PM&AL 2016;10(1)15-20.html

L’utilizzo dei casi in ambito etico-deontologico nella formazione infermieristica

Paola Gobbi 1

1 Segretario Collegio IPASVI di Milano, Lodi, Monza Brianza

Abstract

The present article describes the case analysis methodology for ethics and deontology in nursing education and continuing education for nursing staff. For this purpose, it illustrates a specific pedagogical approach for the analysis of the cases, borrowed from reference models in the existing literature, for example the model by Fry and Johnston and the grid for the analysis of clinical cases developed by Spinsanti.

In the second part of the article we are given the experience of application of this training approach, carried out during the first-level university master in nursing management of the University Vita-Salute San Raffaele in Milan; it is in fact discussed a case on admission to the emergency department of a subject highly disadvantaged: immigrant, illegal, homeless and drunk.

Keywords: Ethics; Nursing; Education; Case analysis; Emergency department

The use of cases in nursing education on ethics and deontology

Pratica Medica & Aspetti Legali 2016; 10(1): 15-20

http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v10i1.1233

Corresponding author

Paola Gobbi

paola.gobbi@ipasvimi.it

Disclosure

L'autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

In questi ultimi anni un profondo cambiamento si è verificato nel contesto socio-culturale in cui operano i professionisti sanitari: importanti e rapide innovazioni tecnologiche hanno spinto gli operatori a riesaminare i propri comportamenti, allo scopo di basarli maggiormente sulle prove di efficacia (evidence-based medicine/nursing); la sanità è sempre più costosa e genera problemi spesso irrisolti circa la capacità di garantire a tutti le prestazioni sanitarie necessarie (equità nell’allocazione delle risorse); il contesto sanitario è apertamente “laico e pluralista” e i soggetti coinvolti (persone assistite, familiari, medici, infermieri) possono sostenere differenti visioni morali, tutte meritevoli di rispetto; i pazienti esigono sempre maggior tutela nella difesa dei loro diritti fondamentali: diritto all’informazione, alla presa di decisioni sul proprio stato di salute, alla riservatezza, alla tutela dei dati personali, alla continuità assistenziale tra ospedale e cure domiciliari.

Se, fino a poco tempo fa, fare una “buona medicina” (ma anche una “buona assistenza infermieristica”) significava portare il maggior beneficio al paziente, oggi l’intervento sanitario non può più essere deciso unilateralmente dal medico e dal sapere delle professioni, ma deve essere concordato insieme all’ammalato, che è persona autonoma e capace di determinare le proprie scelte.

L’etica – ma più propriamente la disciplina della bioetica, intesa come «lo studio sistematico del comportamento umano nell’ambito delle scienze della vita e della cura della salute, in quanto tale comportamento è esaminato alla luce dei valori e dei principi morali» [1] – fornisce un metodo per trovare risposte ai nuovi problemi che scaturiscono dalla relazione tra operatore e paziente in un contesto sanitario diventato troppo complesso per poter continuare a essere governato dall’autoreferenzialità professionale. Esso si fonda invece sulla difesa e sulla promozione dei diritti umani di tutti i soggetti coinvolti, in primis degli assistiti.

La pratica quotidiana delle cure sanitarie e dell’assistenza ai malati è carica di perplessità e obbliga infermieri e medici a scelte e decisioni in cui entrano in gioco importanti valori morali. Un’ulteriore criticità è rappresentata dai tempi entro i quali tali decisioni devono essere prese: spesso non c’è il tempo di consultare il collega esperto o il comitato etico aziendale o, ancora, l’Ordine o il Collegio professionale, quando un dilemma etico si presenta all’infermiere. L’etica clinica non fornisce soluzioni preconfezionate, ma propone al professionista sanitario un metodo per imparare a elaborare le proprie analisi e giungere, di fronte a una situazione problematica, a conclusioni argomentate.

Nel corso degli ultimi anni sono stati elaborati per i professionisti sanitari diversi metodi per l’analisi etica e la presa di decisioni nella pratica clinico-assistenziale. Il modello per l’analisi e la presa di decisioni etiche elaborato da Fry e Johnston (2004) [2] utilizza un approccio imperniato sui valori per la soluzione dei conflitti etici che originano dall’assistenza alle persone. Questo metodo parte dal presupposto che decidere, in etica, è un atto che può essere migliorato attraverso l’allenamento a un processo che tenga conto dei valori coinvolti e degli interessi in gioco, del contesto entro il quale sarà presa la decisione, delle strategie che è necessario adottare per dare una soluzione ai problemi etici identificati, alla natura delle responsabilità dell’infermiere in quella determinata situazione. Nello specifico, tale modello utilizza quattro domande fondamentali per aiutare l’infermiere in questo ambito:

  • quali sono i retroscena dei conflitti di valori? Ponendosi questa domanda l’infermiere inizia a comprendere le diverse prospettive a partire dalle quali viene definito e percepito il problema da parte dei diversi soggetti coinvolti;
  • quale significato hanno i valori implicati? Nell’esplorare il significato dei valori sostenuti dalle parti coinvolte, l’infermiere si rende conto se i valori morali sono realmente tali o se sono convinzioni personali legate alle proprie origini culturali, religiose, professionali;
  • qual è il significato di questi conflitti per le parti implicate? L’infermiere, nella risposta a questa domanda, impara come le parti coinvolte mettono in relazione i propri valori alla situazione contingente;
  • che cosa si dovrebbe fare? L’infermiere esplora tutte le possibilità mediante le quali i conflitti di valori potrebbero essere risolti. Nella maggior parte dei casi, le decisioni etiche vengono prese basandosi sulla quantità di informazioni rilevanti possedute in un determinato momento, sul significato (peso morale) delle dimensioni dei valori in campo e sul giudizio ‘migliore’ di chi prende la decisione o sulla presa di posizione etica collettiva del gruppo.

Secondo il bioeticista Sandro Spinsanti, fondatore e direttore dell’Istituto Giano, il metodo più efficace resta quello del confronto con i casi clinici, in quanto i professionisti della sanità preferiscono partire dalla prassi piuttosto che da considerazioni di tipo teorico, filosofico-storico o in ogni caso di natura accademica. Anche l’interrogativo etico è sempre visto in relazione alla prassi e quindi la preferenza dovrebbe orientarsi verso una formazione bioetica che dia un forte accento alla dimensione di ragionamento e di analisi dei casi clinici che pongono quesiti di natura etica. Inoltre, la formazione dovrebbe essere condotta collegialmente con tutti i professionisti e comprendere, oltre ai momenti d’aula e ai convegni, anche le riunioni nei reparti, all’interno delle équipe di lavoro, laddove si è verificata una situazione a valenza etica che necessita di una riflessione a posteriori e una condivisione delle scelte fatte.

L’insegnamento-apprendimento dell’etica infermieristica

Per quanto riguarda i contenuti di insegnamento dell’etica, in Italia l’attenzione si è rivolta inizialmente ai temi “di frontiera”, come la procreazione medica assistita, l’eutanasia, l’accanimento terapeutico. Successivamente, il focus si è spostato sulla componente relazionale tra professionisti e pazienti: la comunicazione, l’informazione, il coinvolgimento della persona malata nelle decisioni, la privacy. Gli infermieri, in particolare, esprimono come bisogni formativi in ambito etico i limiti delle terapie di fine vita: dove fermarsi, in quale modo, come accompagnare il paziente alla morte, come rilevare e controllare la sintomatologia dolorosa, come gestire i rapporti con i familiari, come fronteggiare il problema dell’accanimento terapeutico nelle rianimazioni neonatali, che spesso genera conflitto tra i diversi professionisti coinvolti. Vi è poi un’ulteriore criticità: sono pochi attualmente in Italia gli infermieri esperti in bioetica e questo comporta una scarsità di docenti/cultori della materia e di infermieri competenti che partecipino ai Comitati etici aziendali.

La griglia di analisi proposta da Spinsanti (2001) e riportata in Appendice [3] non offre soluzioni preconfezionate ai dilemmi etici, ma è finalizzata all’apprendimento di un metodo di elaborazione delle proprie osservazioni al fine di valutare e prendere decisioni. La griglia assicura inoltre che non vengano trascurate delle dimensioni essenziali nell’analisi del caso clinico. A differenza di altri metodi proposti in ambito formativo, la griglia ha come specificità la preoccupazione di inserire organicamente la giustificazione etica del comportamento in ambito sanitario in un contesto più ampio, che includa i vincoli legali e deontologici («il comportamento obbligato», con riferimento sia alla normativa che regolamenta l’esercizio professionale, sia agli specifici codici deontologici dei professionisti sanitari). Inoltre, promuove la ricerca di un modello di intervento sanitario che sia accettabile non solo in astratto («il comportamento eticamente giustificabile»: difesa del minimo morale – cioè rispetto dei princìpi di non maleficità e giustizia – e promozione del massimo morale – cioè rispetto dei princìpi di beneficità e autonomia), ma in concreto e agli occhi dell’assistito («il comportamento eccellente», cioè la qualità percepita dall’utente delle prestazioni ricevute).

L’esperienza del Master in Management Infermieristico dell’Università Vita-Salute San Raffaele

Nel corso di etica infermieristica che ho tenuto per il Master di 1° livello in management infermieristico per le funzioni di coordinamento presso l’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano, negli anni accademici 2003/2004 e 2004/2005, la valutazione finale è stata condotta attraverso la descrizione, da parte degli studenti, di un caso clinico a valenza etica, tratto dalla propria esperienza professionale e la successiva analisi mediante l’applicazione della griglia per l’analisi delle situazioni cliniche di Spinsanti [3].

Circa un terzo dei settanta casi raccolti nei due anni di docenza hanno riguardato i temi dell’informazione e del consenso alle prestazioni sanitarie; rilevante anche il numero dei casi riguardanti gli anziani e le persone più fragili (persone incapaci di manifestare la propria volontà o al termine della vita), gli “altri” (extracomunitari, senza fissa dimora) e i casi riguardanti i vecchi e nuovi problemi, compresi alcuni episodi di malpractice professionale: le principali fattispecie dei casi descritti sono classificate in Tabella I.

La rilevanza etica e professionale dei casi esemplificati dagli studenti durante il corso è tale da imporre una profonda riflessione. Per tale ragione, sembra cosa utile mettere a disposizione della professione un tale patrimonio di esperienze personali e professionali, che hanno spesso dato luogo a dilemmi etici e che – attraverso la discussione guidata dalla griglia di analisi – sono serviti a comprendere meglio le situazioni assistenziali che si incontrano nella prassi quotidiana, a ricercare soluzioni adeguate, a trovare le motivazioni di decisioni prese all’epoca dello svolgimento dei fatti.

Il caso presentato in questo articolo ha come protagonista un uomo extracomunitario quattro volte svantaggiato: immigrato, clandestino, emarginato e ubriaco.

Informazione e consenso

  • inappropriata informazione prima di prestazione invasiva; coinvolgimento degli infermieri nella richiesta di consenso all’atto medico
  • mancato consenso alla trasfusione di sangue
  • carente informazione pre-intervento e scarsa sensibilità del personale infermieristico
  • consenso informato in persona anziana
  • inappropriata comunicazione di diagnosi e/o prognosi; rifiuto delle cure da parte della paziente e conseguente abbandono
  • consenso informato chiesto ai parenti in persona giovane
  • occultamento diagnosi di neoplasia
  • consenso informato all’intervento chirurgico in situazioni di urgenza/coinvolgimento dei familiari
  • omessa/ritardata informazione su paraplegia in persona giovane; disagio degli infermieri
  • omessa informazione a persona anziana; intervento infermieristico per far rispettare la sua volontà
  • mancato consenso alla prestazione “assicurare l’igiene”, non rispetto della volontà della paziente

Anziani e persone fragili; fase terminale della vita

  • mancato coinvolgimento dei familiari nelle cure di persona incapace
  • accanimento terapeutico in paziente terminale con volontà formalmente espresse
  • persona con neoplasia e decisioni sul trattamento di fine vita
  • discriminazione delle cure (anche infermieristiche) erogate in ospedale perché la paziente è anziana
  • ospite di residenza sanitaria assistenziale (RSA) con Alzheimer: omessa informazione, contenzione fisica
  • mancata continuità assistenziale ospedale/territorio
  • anziana cardiopatica: cure non adeguate sia in RSA sia in ospedale, mancata informazione circa la gravità della patologia

Gli “altri”

  • persona extracomunitaria: difficoltà nell’ottenimento del consenso
  • persona extracomunitaria: errata diagnosi e conseguente morte
  • omessa informazione dell’amputazione eseguita in urgenza in persona senzatetto
  • persona extracomunitaria: rifiuto delle cure

Malpractice

  • tardiva prestazione in Pronto Soccorso con falso in cartella clinica
  • morte del paziente per possibile negligenza e conseguente conflitto nell’équipe
  • errata diagnosi di tumore
  • “dimenticanza” di strumenti chirurgici nel torace del paziente e mancata informazione a paziente e familiari

Vecchi e nuovi problemi

  • caso di sieropositività HIV in un dipendente
  • sospetta diagnosi di AIDS in persona giovane
  • inappropriata informazione alla moglie di paziente con AIDS
  • trattamento sanitario obbligatorio (TSO) in persona giovane anoressica e correlato problema di contenzione fisica
  • paziente affetto da sclerosi laterale amiotrofica (SLA) con crisi respiratoria: rispettata la sua volontà di sospendere le cure, con dilemma nell’équipe sanitaria
  • paziente SLA e decisioni sul trattamento di fine vita
  • rianimazione in giovane con sindrome di Down; conflitto nell’équipe
  • sperimentazione di nuova tecnica chirurgica in paziente terminale
  • sperimentazione di nuova tecnica chirurgica: non spiegati al paziente i rischi connessi
  • fecondazione assistita in donna talassemica; problemi nell’applicazione della nuova normativa
  • aborto terapeutico; dilemma della donna
  • allattamento al seno: pro e contro; conflitto nell’équipe infermieristica

Tabella I. Le principali fattispecie risultanti dai casi descritti e analizzati dagli studenti del Master in management infermieristico

Caso clinico: “la seconda volta è tardi”

M. è un uomo di circa trenta anni e di origini marocchine, in Italia senza permesso di soggiorno e senza documenti.

Una domenica mattina di luglio, intorno alle 7.00, arriva al Pronto soccorso. Mezz’ora prima, un passante che faceva jogging lo ha trovato seduto su una panchina con la fronte sanguinante e ha chiamato l’ambulanza. Al triage M. appare agitato e in evidente stato d’ebbrezza alcolica. Non ha con sé documenti e manifesta ripetutamente l’intenzione di andarsene.

M. viene accompagnato immediatamente in sala visite, dove ha un colloquio di circa un quarto d’ora con il medico e l’infermiere in servizio, che cercano invano di tranquillizzarlo. Racconta di essere stato aggredito e derubato durante la notte, di non avere il permesso di soggiorno, di non avere casa né lavoro e di voler andare via immediatamente. Dice di non avere altri problemi, tranne dolore alla ferita e mal di testa.

Vincendo le sue resistenze, il personale sanitario controlla la lesione sulla fronte: presenta una ferita lacero-contusa di circa 5 centimetri, circondata da un vistoso ematoma. La ferita necessita di una sutura chirurgica ma M. permette all’infermiere soltanto di disinfettarla e medicarla. Rifiuta anche di effettuare una TAC del cranio e, ancora agitato ed esplicitando rimostranze e insulti al personale, esce dalla stanza e si sdraia su un lettino nel corridoio.

Nel frattempo, giunge in Pronto Soccorso un uomo con una colica renale, molto sofferente. Mentre il medico visita il nuovo paziente, l’infermiere si reca presso il posto di polizia – attiguo al servizio di pronto soccorso – per segnalare l’aggressione denunciata da M. Al suo ritorno, però, vede M. allontanarsi dal pronto soccorso e avvisa subito il medico di guardia, che sbotta «Quel marocchino mi ha stufato! è in grado di intendere e di volere: se vuole andarsene, lasciatelo andare dove vuole. Io ho da lavorare». L’infermiere avvisa anche il poliziotto di turno, che risponde di non preoccuparsi e che avrebbe chiamato una pattuglia.

La cartella clinica, archiviata con dati anagrafici incompleti, riporta: «Il paziente si presenta in pronto soccorso accompagnato dall’ambulanza in evidente stato di ebbrezza. All’esame obbiettivo presenta una ferita lacero-contusa di circa 5 cm a bordo frastagliato in sede frontale. Si richiede TAC encefalo. Il paziente abbandona il pronto soccorso contro il parere dei sanitari».

Nel pomeriggio dello stesso giorno, intorno alle 15.30, arriva una chiamata dalla centrale operativa del 118. Sta arrivando un uomo di circa 30 anni, trovato nel parco a un km di distanza dall’ospedale, in arresto cardio-circolatorio e con una ferita lacero contusa sulla fronte. Viene avvertito immediatamente il chirurgo di guardia e l’anestesista. All’arrivo del paziente l’infermiere lo riconosce: è M. Non essendoci i presupposti per la rianimazione, non si può fare altro che certificare il decesso del paziente. Qualche giorno dopo, l’autopsia rivela che M. presenta un consistente ematoma cerebrale, cui è seguito molto probabilmente uno stato di coma e successivamente l’arresto respiratorio e cardio-circolatorio.

Analisi del caso

Dal punto di vista legislativo non sono stati commessi errori: il medico e l’infermiere, infatti, in quelle circostanze non possono fare altro che informare il paziente dei rischi legati alla mancanza di cure. Il riferimento principale è la Costituzione. L’articolo 13, comma 1, riferisce che «la libertà personale è inviolabile» e l’articolo 32, comma 2, afferma che «nessuno può essere obbligato a un trattamento sanitario, se non per disposizioni di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana». Il medico, inoltre, non avrebbe potuto chiedere neanche un trattamento sanitario obbligatorio, perché l’articolo 34 della legge 883/78, comma 2, può essere applicato solo in caso di persone affette da malattie mentali. E lo stato di ebbrezza non è condizione sufficiente per intervenire con la forza su un paziente, del quale bisogna comunque tutelare la libertà personale. L’aggressività di M., infine, non era tale da richiedere l’intervento delle forze dell’ordine. Certo è che gli operatori sanitari non si sono premurati molto della salute di M. In particolare, il medico non è stato sufficientemente attento a tutelare la propria posizione, considerato che in cartella clinica non è stato specificato che il paziente era in grado di intendere e volere, limitandosi a dare una descrizione superficiale dei fatti. Per essere del tutto corretto, avrebbe dovuto anche far firmare al paziente una dichiarazione di rifiuto delle cure proposte.

Secondo il principio di non maleficità, inoltre, non si è adeguatamente intervenuti allo scopo di salvaguardare la vita del paziente, tentando di ottenere un reale consenso all’esecuzione della TAC, indispensabile per una corretta diagnosi e per la determinazione del successivo piano di cure e di assistenza. Il personale sanitario ha complessivamente sottovalutato la gravità della situazione, ma perché? è possibile – e corretto – ipotizzare una discriminazione (razziale, sociale, ecc.)? Se al posto del paziente di origine marocchina e in condizioni di clandestinità e di ebbrezza, si fosse presentato un ragazzo italiano, sarebbe andata nello stesso modo? A tale proposito, la frase del medico sembra abbastanza emblematica: «Quel marocchino mi ha stufato!». Essa lascia pensare che M. abbia subito il pregiudizio del personale sanitario, che non si è posto troppi problemi nel lasciarlo andare via. Questa, alla luce dei codici deontologici, risulterebbe una negligenza importante. Infatti, il codice deontologico dell’infermiere, agli articoli 2 e 3 recita: «l’infermiere riconosce che tutte le persone hanno diritto a uguale considerazione e le assiste indipendentemente dall’età, dalla condizione sociale ed economica». E, ancora, all’articolo 2.4, «l’infermiere agisce tenendo conto dei valori religiosi, ideologici ed etici, nonché della cultura, etnia e sesso dell’individuo» . Anche nel codice dei medici, all’articolo 3, si legge: «senza discriminazioni di età, sesso, razza, religione, nazionalità, condizione sociale ed ideologia».

Per orientare l’intervento al bene del paziente, si sarebbe dovuto dedicare molto più tempo a cercare di convincerlo ad effettuare una TAC, spiegando i rischi del suo rifiuto. Inoltre, si dovevano offrire possibili alternative, come l’osservazione, che invece non è stata proposta: tenendo il paziente in osservazione, gli operatori sanitari sarebbero intervenuti nel momento del suo aggravamento, essendone tutelati dall’articolo 54 della Costituzione: «non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri da un pericolo attuale di danno grave alla persona». In questo caso, anche se è stato rispettato il principio di autonomia, il paziente non è stato messo in condizioni di decidere. Era ubriaco, probabilmente stanco e magari non comprendeva bene la lingua (anche se l’infermiere si era accertato che parlasse italiano). Un conto è dire al paziente che cosa potrebbe succedere se non si esegue un certo trattamento, un altro è farglielo capire. In questo caso la comunicazione sembra essere stata eccessivamente sbrigativa e il paziente potrebbe non aver compreso i rischi effettivi a cui sarebbe andato in corso. I servizi di pronto soccorso spesso risultano inadeguati poiché non è disponibile un tempo sufficiente per poter spiegare bene i rischi e i benefici di una scelta: nel caso presente, infatti, sopraggiunge un altro paziente sofferente e il personale sanitario è costretto a distogliere l’attenzione da M. (si consideri che il tutto avviene nell’arco di circa trenta minuti: un lasso veramente molto breve).

Non si può fare a meno di notare che, almeno dal punto di vista etico e deontologico, sono state violate molte norme basilari.

Ringraziamenti

Si ringrazia l’infermiere Samuele Bossi per il caso clinico.

Bibliografia

  1. Van Potter R. Bioethics: Bridge to the Future. New Jersey: Prentice-Hall, 1971. Edizione italiana: Van Potter R. (trad. di R. Ricciardi). Bioetica. Ponte verso il futuro. Messina: Sicania, 2001
  2. Fry ST, Johnston MJ. Etica per la pratica infermieristica. Una guida per prendere decisioni etiche. Milano: Casa Editrice Ambrosiana (CEA), 2004
  3. Spinsanti S. Bioetica e nursing. Pensare, riflettere, agire. Milano: Mc Graw-Hill, 2001

Appendice. La griglia per l’analisi dei casi clinici proposta da Spinsanti. Modificata da [3]

1. Il comportamento obbligato

A che cosa siamo tenuti:

  • per legge?
  • per deontologia professionale?
  • per regolamenti e normative aziendali?

Quali conseguenze medico-legali (penali/civilistiche) o deontologiche possono derivare dal comportamento in questione?

2. Il comportamento eticamente giustificabile

A. La difesa del minimo morale

Evitare ciò che nuoce o danneggia il paziente (Principio di non maleficità)

Il paziente potrebbe ricevere un danno per la salute o per la sua integrità dal trattamento previsto?

Si sta omettendo un intervento che potrebbe impedire un abbreviamento della vita del paziente o un danno permanente?

Opporsi a discriminazioni e ingiustizie (principio di giustizia)

In una società giusta tutte le persone meritano uguale considerazione e rispetto. In questo caso il paziente è discriminato per motivi di ordine ideologico, sociale, razziale o economico?

Esistono considerazioni di ordine sociale (aziendale) che inclinano a offrire al paziente un livello di assistenza medica inferiore a quanto clinicamente appropriato?

B. La promozione del massimo morale

L’orientamento al bene del paziente (principio di beneficità)

Sulla base della diagnosi e della prognosi (o degli esiti), quali trattamenti medici/infermieristici/sanitari/socio-assistenziali scientificamente corretti si possono proporre?

Tali trattamenti influenzano positivamente la prognosi nel caso specifico?

Come vengono valutati rispettivamente i benefici e i danni?

Esistono alternative terapeutiche? Ognuna di queste alternative, quali aspetti potrebbe comportare (abbreviazione della vita, sofferenze fisiche e morali, peggioramento dello stato di benessere)?

Il coinvolgimento del paziente nelle decisioni che lo riguardano (principio di autonomia)

Chi prende la decisione diagnostico/terapeutica (il medico, la famiglia del malato, il malato stesso)?

Se decide il malato, attraverso quale processo informativo è stato messo in grado di decidere (semplice presentazione delle alternative, modulo scritto da firmare, calde raccomandazioni di adesione al progetto terapeutico)?

Che cosa si conosce del sistema di valori del paziente e del suo atteggiamento nei confronti dei trattamenti medici (intensivi, di rianimazione, palliativi, conservativi)?

Il paziente è stato informato circa i trattamenti proposti, i rischi e i benefici potenziali e le possibili alternative?

È stata offerta al paziente la possibilità di avere un secondo parere?

Se il paziente non può essere coinvolto nella valutazione e nella scelta, chi può fare le veci del paziente nel prendere le decisioni?

3. Il comportamento eccellente

Riferendoci al “quadrilatero della soddisfazione” (Figura 1), possiamo ottenere che le persone coinvolte nel trattamento del caso (professionisti, pazienti, familiari, autorità sanitarie) raggiungano la posizione della “giusta soddisfazione” (o almeno della “giusta insoddisfazione”)?

Quale svolgimento dovrebbe avere il caso clinico per poter essere raccontato come una storia di “buona sanità”?

Tabella II. Griglia per l’analisi del caso clinico (modello di Spinsanti) [3]

img_02_01.jpg

Figura 1. Quadrilatero della soddisfazione (modello di Spinsanti) [3]

Refback

  • Non ci sono refbacks, per ora.


Copyright (c) 2016