PM&AL 2017;11(1)11-15.html

Nurse staffing e responsabilità professionale: quando l’organizzazione è il vero imputato

Luigi Pais dei Mori 1,2

1 Infermiere legale, fondatore dello studio di Infermieristica legale e forense LPdM di Belluno

2 Presidente del Collegio I.P.A.S.V.I. della Provincia di Belluno

Abstract

The continuous perception of organizational failure, in terms of human resources adequacy, often generates professional and ethical upsets in health professional workers. Moreover, the perception of insecurity for their own actions, with particular regard to clinical-care needs of assisted people, is ever present.

The international literature thoroughly examines the safety limits of the organizations, by giving clear guidance on policy and organizational decisions to pursue.

Clinical case report dramatically confirms what the literature describe.

Keywords: Nurse staffing; Skill mix; Professional responsibility

Nurse staffing and professional responsibility: when the organization is the real accused

Pratica Medica & Aspetti Legali 2017; 11(1): 11-15

https://doi.org/10.7175/pmeal.v11i1.1292

Corresponding author

Luigi Pais dei Mori

luigi.pais@gmail.com

Disclosure

L’autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.

Premessa

È sentore frequente e comune la percezione di inadeguatezza numerica della composizione delle equipe di professionisti sanitari operanti nelle strutture sanitarie, siano esse pubbliche o private, grandi o piccole. Percezione ancora più acuita quando, alla fatica fisica e mentale, si somma il disagio morale dell’inefficacia e dell’inefficienza del proprio agire, rispetto ai reali bisogni delle persone assistite.

Sicuramente la congiuntura storico-economica non favorisce voli pindarici rispetto ad ideali organizzazioni funzionali, ma quanto costa in termini reali il contenzioso che si genera per errori evitabili a livello di riorganizzazione possibile? Qual è il limite di sicurezza accettabile e sostenibile per poter erogare assistenza infermieristica sicura e di qualità?

Molti ricercatori si sono interrogati per definire un cut off di sicurezza, che tenga conto della complessità clinico-assistenziale della persona e che non tralasci l’efficienza del sistema organizzativo.

Teniamo presente che il modello storico italiano si basa ancora sul turn over del posto letto, poco considerando le variabili intrinseche alle persone degenti e alla necessità di rivedere i modelli organizzativi che popolano le piante organiche delle nostre strutture sanitarie.

A questo si aggiunge l’evoluzione professionale dell’infermiere, da ormai un ventennio professionista sanitario autonomo, co-protagonista della cura, globalmente intesa, e depositario univoco della disciplina infermieristica. Su questo aspetto stride l’insufficienza evolutiva sistemica che genera ancora modelli obsoleti e stantii, dove l’infermiere riveste ancora il saio del factotum in ordine ad una dimensione organizzativa cieca alle evidenze. Ma quanto aumenta il rischio clinico per la persona assistita con queste modalità? Quanto è rischioso eludere la ricerca del migliore skill mix, inteso come composizione del team assistenziale, rispetto alla complessità di “quella” determinata Unità operativa in “quella” determinata giornata, con “quella” definita complessità assistenziale/intensità di cura?

La letteratura sul nurse staffing

Nel merito della letteratura più accreditata è indispensabile citare gli esiti, alcuni ancora non pubblicati, di tre studi internazionali che si sono posti l’obiettivo di dare una risposta alle domande prima poste. Lo studio più noto è probabilmente il RN4CAST (Registered Nurse foreCASTing in Europe) [1] che, oltre a Cina, Sud Africa e Stati Uniti, ha coinvolto 12 Paesi europei1 e aveva la finalità di evidenziare collegamenti e relazioni negli ambiti della competenza, della prestazione e della sicurezza dei pazienti attraverso la misura di specifici indicatori di esito dell’assistenza erogata. In ambito italiano, la declinazione nazionale del progetto è stata coordinata dall’Università di Genova [2].

Il secondo studio internazionale da evidenziare è l’E.S.A.Med (Esiti Sensibili dell’Assistenza in Medicina) [3], prodotto di pregio di un gruppo di ricerca che ha coinvolto tre Università italiane (Udine, Bologna, Verona) e che ha coinvolto 10 importanti aziende sanitarie2. L’obiettivo dello studio era definire gli esiti assistenziali in base alla quantità di assistenza infermieristica erogata (minuti/persona/die) e allo skill mix assistenziale presente.

Il terzo noto studio è l’NSO (Nursing Sensitive Outcomes) [4], nato con la finalità di creare un osservatorio regionale (Emilia Romagna) sugli esiti di una serie di eventi connessi all’assistenza, come lesioni da compressione, cadute accidentali, contenzione.

Tutti gli studi convergono su un alcuni punti chiave:

  • la composizione dello skill mix influenza gli esiti assistenziali;
  • la quantità di personale dedicato all’assistenza influenza gli esiti dell’assistenza.

Sotto questo particolare profilo è definito che un rapporto tra staff di assistenza e persone assistite maggiore di 1:6 (o 7) aumenta sensibilmente il rischio di errore [5].

Già, ma il rapporto di 1:6 – 1:7, come si confronta con l’attuale dotazione?

Storicamente il Decreto del Presidente della Repubblica 128/1969, nota norma di riforma dell’ordinamento ospedaliero, indicava uno standard di assistenza infermieristica, definito in minuti medi per persona al giorno, ricompreso nei celeberrimi 120 minuti di assistenza nelle 24 ore, creando le piante organiche ospedaliere, quindi, sulla base dei posti letto presenti.

Con l’avvento della riforma del Sistema Sanitario Nazionale, ad opera dei D. Lgs 502/92 e 517/93, il potere di definire le linee organizzative generali di organizzazione e funzionamento delle neonate Aziende Sanitarie viene demandato alle Regioni e, nell’ambito precipuo delle dotazioni organiche, si fa riferimento al D. Lgs 29/1993 che sancisce la necessità di determinare le piante organiche sulla rilevazione del carico di lavoro, inteso come «quantità di lavoro necessario, dato un contesto operativo e un periodo di riferimento, per trattare i casi che vengono sottoposti ad una unità organizzativa» [6].

Si comincia, quindi, ad approfondire il concetto di diversificazione dell’assistenza sulla base dei bisogni delle persone assistite, concetto, quello della complessità assistenziale, quanto mai contemporaneo e determinante per gli esiti sulle persone assistite.

Il rapporto tra esiti in termini di salute e staff assistenziale è stato studiato a fondo da Aiken et al., che nel 2002 pubblicano una pietra miliare del nurse staffing [7], con dati ripresi successivamente e continuati nei tre studi internazionali summenzionati.

Aiken riporta dati importantissimi, elaborati analizzando 10.184 infermieri e 232.342 persone assistite (area chirurgica generale, ortopedica e vascolare) in un periodo compreso tra il 1 aprile 1998 e il 30 novembre 1999 in 168 ospedali statunitensi. L’hard endpoint dello studio dimostrava primariamente l’aumento della mortalità delle persone al diminuire del rapporto infermiere/persona assistita. Nell’ambito del progetto RN4CAST, Aiken et al. pubblicano su The Lancet [8] un report relativo ad uno studio osservazionale retrospettivo effettuato sui dati ricavati da 9 Paesi europei (422.730 persone assistite, degenti in aree chirurgiche, di 300 ospedali europei), traslando così nel Vecchio Continente la metodologia osservazionale e rilevando i medesimi risultati: ospedali con un rapporto infermieri/persone assistite di 1:6 rilevano il 30% in meno di mortalità, rispetto a strutture analoghe con un rapporto di 1:8.

La questione viene ripresa ulteriormente in altri studi, tra i quali merita citazione il rapporto del dipartimento della salute del Minnesota (USA) [9] che analizza le relazioni tra il nurse staffing e gli esiti (outcomes) in termini di salute sulle persone assistite e che rimarca la stretta connessione tra scarsa presenza di infermieri (understaffing) e aumento della mortalità, del rischio clinico in generale, delle cadute accidentali e degli errori di somministrazione farmacologica.

Generalmente, quindi, si evidenzia un filone, scientificamente sostenuto, che dimostra quanto costa in termini di esiti negativi (economici, ma anche etici) il perseguito risparmio economico determinato dall’understaffing: il rapporto infermiere/persona assistita, tipicamente rilevato in ambito chirurgico, non deve superare 1:6 – 1:7; diversamente la capacità di controllo degli eventi avversi (surveillance) è minacciata e, secondo anche altri studi [10] oltre a quelli già citati, la probabilità di morte del paziente aumenta, sia nel contesto statunitense che in Europa, dove i sistemi sanitari sono più simili al nostro.

Già, l’italica peculiarità, che spesso viene assunta a “difficoltà di applicazione” di parametrazioni rilevate in sistemi diversi.

In Italia decisamente dirompente è stato il contributo del gruppo di lavoro del citato studio E.S.A.Med, i cui esiti sono stati diffusi attraverso un position paper [11] che, già dal titolo esprime in modo chiaro le sue intenzioni: «Raccomandazioni e standard italiani per dotazioni infermieristiche ospedaliere sicure». Il lavoro infatti punta, tra l’altro, a definire in modo scientifico il citato cut off di sicurezza al di sotto del quale l’assistenza erogata non può dirsi sicura per le persone assistite. Particolare rilevanza viene anche data allo skill mix atto a portare al risultato perseguito: erogazione di assistenza costo-efficace e sicura.

Nel dettaglio, il gruppo di studio che, si ricorda, coinvolgeva 10 ospedali italiani con il coordinamento scientifico di tre Università, si poneva come obiettivi principali: «definire e condividere un panel di indicatori rilevanti, realistici e fattibili per guidare le decisioni sulla dotazione di personale assistenziale da assegnare alle strutture operative ospedaliere; attivare un confronto costante attraverso un panel di indicatori definiti basato sui flussi informativi esistenti al fine di sviluppare un’azione continuativa di benchmarking; elaborare raccomandazioni di buona pratica decisionale sulle dotazioni organiche che includano anche standard minimi di riferimento in grado di assicurare, allo stato attuale delle conoscenze e dell’esperienza, la sicurezza dei pazienti».

Lo studio rileva che le aree maggiormente in sofferenza sono quelle delle chirurgie e delle medicine generali, nelle quali è accolta la maggior parte dei pazienti e in cui la dotazione organica è maggiormente disomogenea, e soffre di understaffing.

Tra le interessanti conclusioni dello studio, che riprende peraltro gli studi di Aiken, assume particolare rilevanza la raccomandazione di garantire 220 minuti di assistenza totali per persona assistita al giorno per poter assicurare la qualità delle prestazioni erogate. A 200 minuti di assistenza per persona al giorno troviamo il limite al di sotto del quale aumenta esponenzialmente il rischio clinico per gli assistiti.

Rispetto allo skill mix, il rapporto tra infermieri e personale di supporto non deve superare il 30% del tempo assistenziale demandabile agli operatori socio sanitari (OSS), ovvero, nel caso dei citati 200 minuti, non più di 60 minuti per persona al giorno.

Nelle derivazioni scaturite dallo studio, merita una riflessione quanto pubblicato nel 2016 su Aging Clinical and Experimental Research [12] rispetto all’aumento della mortalità nelle unità mediche per adulti durante il fine settimana se lo skill mix viene modificato diminuendo l’offerta assistenziale infermieristica a favore del personale di supporto (OSS): i risultati raccomandano di garantire la stessa assistenza in termini quali-quantitativi tutti i giorni della settimana, per non aumentare il rischio di mortalità.

Un caso paradigmatico

  • Ambiente: azienda ospedaliera del nord Italia.
  • Unità operativa: chirurgia multispecialistica, di circa 40 posti letto, con suddivisione funzionale a moduli di 13-14 posti.
  • Organizzazione: 2 infermieri per turno (mattina/pomeriggio/notte) per modulo, non è presente personale di supporto (OSS).
  • Evento avverso: decesso di persona degente a seguito sovraccarico sistemico acuto di componenti nutrizionali somministrati per via parenterale (CVC). Non sono chiare, né dimostrabili, le cause del malfunzionamento del sistema analogico di regolazione del flusso infusivo; di fatto, in poco tempo, una notevole quantità di soluzione è defluita, portando la persona assistita ad un grave distress respiratorio e ad exitus.

Ai due infermieri in turno, data la corretta impostazione iniziale dell’infusione, viene contestato il monitoraggio inadeguato della pratica sanitaria e pertanto sono rinviati a giudizio ex art. 589 c.p.

Nel caso specifico è stato esperito un monitoraggio orario dell’infusione e non vi erano elementi di sorta che potevano o dovevano indurre a riflessioni diverse (es. stato confusionale della persona, agitazione psicomotoria, instabilità clinica, ecc.), ma è utile allargare la riflessione domandandosi se era, di fatto, possibile esperire un monitoraggio più assiduo.

Il caso appare, purtroppo, paradigmatico rispetto agli studi citati, rimarcando pesantemente l’errore di fondo delle organizzazioni che basano le loro dotazioni sui posti letto e non sulla complessità assistenziale delle persone assistite. Il giorno dell’evento il modulo assistenziale aveva in carico 13 persone, con situazioni di disabilità, comorbidità e condizioni generali assai diverse tra loro. Un modulo assistenziale con 13 baldi giovanotti appendicectomizzati ha sicuramente esigenze assistenziali diverse da un modulo di persone assistite polipatologiche, anziane, con alto grado di dipendenza per le attività di vita quotidiana (Activities of Daily Living – ADL) e marcate necessità terapeutiche. Con questi presupposti, è segnatamente sbagliato non prevedere la presenza di personale di supporto all’attività assistenziale (OSS), nell’ottica della composizione di un’equipe assistenziale (skill mix) che tenga opportunamente conto del personale da dedicare alle attività assistenziali di base (es. cure igieniche, alimentazione e idratazione, mobilizzazione e posturamento di utenti a bassa/media complessità) rispetto agli infermieri, da dedicare alle attività più complesse e che necessitano di maggiore responsabilità professionale (es. gestione della terapia farmacologica, medicazioni, coordinamento del personale di supporto, valutazioni dei rischi su scale validate e impostazioni di piani di assistenza personalizzati, ecc.); il tutto coordinato da una adeguata e professionale pianificazione dell’assistenza infermieristiche che deve essere esperita, a norma di Legge [13,14].

Analizzando il caso proposto è necessario parametrare anche il peso del carico assistenziale sui tre turni che, rispetto alle attività da attuare, non possono certamente essere messi sullo stesso piano. Il turno mattutino assorbe la maggior parte delle attività da esperire (prelievi ematochimici, allestimento e gestione delle sacche per la nutrizione parenterale totale, bilanci idrici, approntamento e somministrazione delle terapie orali, sottocutanee, intramuscolari, endovenose, medicazioni, raccordi prescrittivi e attività di supporto al personale medico, attività amministrativa a completamento dell’assistenza, monitoraggio particolare dei pazienti di ritorno dalle sale operatorie), al netto di eventuali ricoveri urgenti e, soprattutto, al netto delle altre attività assistenziali che dovrebbero essere espletate dal personale di supporto (cure igieniche, alimentazione e idratazione, mobilizzazione e posturamento, smaltimento dei rifiuti, preparazione dei carrelli, ecc.). A fronte di quanto esaminato, è ragionevole ipotizzare che il carico di lavoro giornaliero grava almeno al 50% sul turno mattutino.

Area Omogenea

Valore di riferimento regionale espresso in TEMA

Medicina interna

190

Medicina specialistica

195

Chirurgia generale

190

Chirurgia specialistica

195

Ostetricia e ginecologia

190

Critica

700

Pediatrica

200

Assistenza neonatale

350

Riabilitazione e lungodegenza

175

Malattie infettive

230

Tabella I. Valori minimi di riferimento per il personale di assistenza del comparto dedicato alle aree di degenza ospedaliera [15]

TEMA = tempo di erogazione dei minuti di assistenza

Supponendo, dunque, che il definito cut off di sicurezza organizzativa preveda 200 minuti di assistenza per paziente al giorno, almeno 100 minuti devono essere dedicati al turno mattutino (50% del tempo); i pazienti degenti nell’UO il giorno dell’evento erano 13, pertanto il tempo totale da dedicare ad essi è computabile in 1300 minuti di assistenza (21,6 ore); i due infermieri erano in turno per 7 ore, quindi potevano erogare al massimo 14 ore di assistenza, a fronte delle 21,6 poste come “limite di sicurezza” dalla letteratura. Ecco che si evidenzia pesantemente l’assenza del personale di supporto che avrebbe dovuto necessariamente essere presente per permettere agli infermieri di esercitare in sicurezza, dedicandosi pienamente all’assistenza infermieristica. Ragionando a ritroso, infatti, e sottraendo dai 200 minuti la percentuale di tempo da attribuire al personale di supporto dichiarata dallo studio (30% massimo del tempo assistenziale), i minuti/persona/die nel turno mattutino diventano complessivamente 9103, cioè 15,1 ore totali, compatibili con la presenza di 2 infermieri per 7 ore ciascuno.

In forza di quanto evidente, è possibile affermare che la dotazione presente non era congrua rispetto alle esigenze delle persone degenti, primariamente per l’assenza del personale di supporto (OSS), e dunque vi era di fatto una impossibilità organizzativa ad una maggiore diligenza professionale, qualora necessaria.

Sul versante delle scelte organizzative, alla luce di quanto esposto, appare rischiosa la scelta della Regione Veneto di rivedere completamente le dotazioni organiche assistenziali ospedaliere basandosi su ampie valutazioni ricavate dalle rilevazioni dei tempi medi di assistenza in vari ambiti regionali.

La Delibera conseguente [15] ha attribuito un «tempo di erogazione dei minuti di assistenza» (TEMA) differenziato per aree di degenza omogenee (Tabella I), definendo standard minimi regionali che si discostano, ovviamente per difetto, da quanto dimostrato nella letteratura citata e ipotizzando, oltretutto, l’impiego del personale di supporto (OSS) per il 50-60% del tempo assistenziale.

Quando andremo in Aula a ragionare sugli eventi avversi, chi sarà il vero imputato?

Bibliografia

  1. RN4CAST (Registered Nurse foreCASTing in Europe). Disponibile online su www.rn4cast.eu (ultimo accesso marzo 2017)
  2. Sasso L. Presentazione del progetto RN4CAST@IT. Impatto della qualità dell’assistenza infermieristica sulla qualità delle cure: studio italiano secondo le linee guida RN4CAST Consortium. Disponibile online su http://www.dissal.unige.it/jm/images/Documenti/RN4CAST/Presentazione%20Sasso.pdf (ultimo accesso marzo 2017)
  3. STUDIO E.S.A.Med. (Esiti sensibili all’assistenza in medicina). Disponibile online su http://www.evidencebasednursing.it/prova/Progetti/Ricerche/ESAMED.htm
  4. Regione Emilia-Romagna. Progetto “Osservatorio regionale sui Nursing Sensitive Outcomes”, 2014. Disponibile online su http://salute.regione.emilia-romagna.it/assistenza-ospedaliera/progetto-rer-nso (ultimo accesso marzo 2017)
  5. Laquintana D. Fine anno, è tempo di bilanci. Assist Inferm Ric 2016; 35: 168-173
  6. Circolare del Ministero per la funzione pubblica 23 marzo 1994, n. 6. «Carichi di lavoro nelle amministrazioni pubbliche e dotazioni organiche delle amministrazioni dello Stato». Gazzetta Ufficiale del 2 aprile 1994, n. 77, Suppl. Ord. n. 54
  7. Aiken LH, Clarke SP, Sloane DM, et al. Hospital nurse staffing and patient mortality, nurse burnout and job satisfaction. JAMA 2002; 288: 1987-93; http://doi.org/10.7175/10.1001/jama.288.16.1987
  8. Aiken LH, Sloane DM, Bruynell L, et al; RN4CAST consortium. Nurse staffing and education and hospital mortality in nine European countries: a retrospective observational study. Lancet 2014; 383: 1824-30. http://dx.doi.org/10.1016/S0140-6736(13)62631-8
  9. Minnesota Department of Health. Hospital nurse staffing and patient outcomes: a report to the Minnesota Legislature, 2015. Disponibile online su https://www.mnhospitals.org/Portals/0/Documents/policy-advocacy/nursestaffing/Nurse_Staffing_Levels_and_Patient_Outcomes_FINAL.PDF (ultimo accesso marzo 2017)
  10. Kelly L, Vincent D. The dimensions of nursing surveillance: a concept analysis. J Adv Nurs 2011; 67: 652-61; http://dx.doi.org/10.1111/j.1365-2648.2010.05525.x
  11. Saiani L, Chiari P, Palese A, et al. Raccomandazioni e standard italiani per dotazioni infermieristiche ospedaliere sicure. Ig Sanità Pubbl 2011; 67: 777-92
  12. Ambrosi E, Saiani L, Palese A, et al. In-hospital elderly mortality and associated factors in 12 Italian acute medical units: findings from an exploratory longitudinal study. Aging Clin Exp Res. 2016 May 7
  13. Decreto 14 settembre 1994, n. 739 - articolo 1, comma 3. «Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell’infermiere». Gazzetta Ufficiale del 9 gennaio 1995, n. 6
  14. Legge 10 agosto 2000, n. 251 - articolo 1, comma 1. «Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica». Gazzetta Ufficiale del 6 settembre 2000, n. 208
  15. Deliberazione della Giunta Regionale del 29 aprile 2014, n. 610. «Definizione dei valori minimi di riferimento per il personale di assistenza del comparto dedicato alle aree di degenza ospedaliera. Articolo 8, comma 1, della L.R. 29 giugno 2012, n. 23. Deliberazione n. 179/ CR del 30 dicembre 2013». Bollettino Ufficiale della Regione Veneto n. 52 del 20 maggio 2014. Disponibile online su http://bur.regione.veneto.it/BurvServices/pubblica/DettaglioDgr.aspx?id=273829 (ultimo accesso marzo 2017)

1 Belgio, Inghilterra, Finlandia, Germania, Grecia, Irlanda, Norvegia, Polonia, Spagna, Svezia, Svizzera e Olanda;

2 Azienda Provinciale per i Servizi Sanitari di Trento, Azienda Ospedaliero Universitaria di Verona, Fondazione poliambulanza Istituto Ospedaliero di Brescia, Azienda ULSS 9 Treviso, Azienda ULSS 16 Padova, Azienda per i Servizi Sanitari n° 2 Gorizia, Azienda ULSS 6 Vicenza, Azienda per i Servizi Sanitari n° 4 Medio Friuli, Azienda Ospedaliero Universitaria S. Orsola – Malpighi di Bologna e Azienda Ospedaliero Universitaria di Udine.

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