RHC 2015;6(2)41-52.html

Reviews in Health Care 2015; 6(2): 41-52

http://dx.doi.org/10.7175/rhc.v6i2.1164

Drugs

Narrative review

Sofosbuvir: un farmaco versatile nella nuova era dei trattamenti per l'epatite C – la prima fase

Sofosbuvir: an all-around drug in hepatitis C treatment new era – The first phase

Alessia Ciancio 1

1 SC Gastroepatologia DU, Azienda Ospedaliera Universitaria San Giovanni Battista di Torino

Abstract

Chronic hepatitis C virus (HCV) infection is a slowly progressive disease affecting more than 185 million people worldwide. For many years, the combination of pegylated interferon (Peg-IFN) plus ribavirin (RBV) has been the backbone of treatment for patients infected with HCV. More than two years ago, the first generation direct-acting antiviral agents (DAAs) – the protease inhibitors boceprevir and telaprevir – were approved for treatment of genotype 1 patients, doubling the cure rate. The new DAAs that have been developed, are effective for multiple genotypes, improve rates of sustained viral response with fewer side effects, simplify dosing and drug-drug interactions, and in some patients, offer the promise of interferon-free and/or ribavirin-free therapy. These new agents include the recently approved second generation protease inhibitor, the HCV NS5B polymerase inhibitor sofosbuvir and the NS3/4A protease inhibitor simeprevir as well as several other agents that are currently in later phases of development. With sofosbuvir-based regimens, successful interferon-free treatment is now available across all genotypes. In fact sofosbuvir is very effective in combination with Peg-interferon and ribavirine or with ribavirine alone or with other direct anti-viral agents. The following assessment evaluates the evidence on the clinical effectiveness and harms of sofosbuvir for the treatment of chronic hepatitis C.

Keywords

Chronic hepatitis C virus; Sofosbuvir; Protease inhibitor

Corresponding author

Alessia Ciancio

e-mail: alessiaciancio@libero.it

Disclosure

La presente review è stata realizzata con il supporto incondizionato di Gilead Sciences.

Introduzione

L’infezione cronica da virus dell’epatite C (HCV) è una malattia a lenta progressione che colpisce più di 185 milioni di persone nel mondo (circa il 2% della popolazione mondiale). L’infezione da epatite C è associata a un aumentato rischio di cirrosi, ed è la condizione più comune che porta al trapianto di fegato. Tra i pazienti infettati da HCV che sviluppano un’infezione cronica, il 5-20% sviluppa cirrosi e l’1-5% muore di cirrosi o carcinoma epatocellulare.

L’obiettivo primario del trattamento dell’HCV è prevenire lo sviluppo della cirrosi e del carcinoma epatocellulare. Per molti anni, la combinazione di interferone pegilato (Peg-IFN) e ribavirina (RBV) è stata la colonna portante del trattamento dei pazienti con infezione da HCV. Più di due anni fa, i farmaci antivirali ad azione diretta (DAA – Direct-Acting Antiviral Agents) di prima generazione – gli inibitori della proteasi boceprevir e telaprevir – sono stati approvati per il trattamento dei pazienti con genotipo 1, raddoppiando il tasso di guarigione. Questi regimi presentano un percorso terapeutico complesso e prolungato (24-48 settimane), una bassa tollerabilità a causa dei significativi effetti collaterali che inducono i pazienti a interrompere il trattamento, una bassa barriera alla resistenza, e una ridotta efficacia in pazienti che non hanno risposto alla precedente terapia o in pazienti cirrotici. Inoltre queste strategie non sono un’opzione percorribile per molti pazienti, a causa delle controindicazioni o della intolleranza a IFN.

Il trattamento ideale per l’HCV dovrebbe essere altamente efficace, facile da assumere e con un basso profilo di effetti collaterali. I nuovi DAA che sono stati sviluppati, sono efficaci per più genotipi, migliorano i tassi di risposta virologica sostenuta (SVR – Sustained Virologic Response) con un minor numero di effetti collaterali, semplificano i dosaggi e le interazioni farmaco-farmaco e, in alcuni pazienti, offrono la promessa di una terapia senza interferone e/o ribavirina. Questi nuovi agenti includono gli inibitori della proteasi di seconda generazione recentemente approvati: l’inibitore della polimerasi NS5B dell’HCV sofosbuvir (Sovaldi™, Gilead Sciences, Inc.) e l’inibitore della proteasi NS3/4A simeprevir (Olysio®, Janssen Products, LP), così come molti altri agenti che sono attualmente in fasi avanzate di sviluppo. Sofosbuvir è il primo degli inibitori della polimerasi a essere entrato in commercio negli Stati Uniti nei primi mesi del 2014.

Proprietà farmacologiche di sofosbuvir

Sofosbuvir (SOF) è un analogo nucleotidico diretto dell’uridina a somministrazione orale, che inibisce la polimerasi NS5B dell’epatite C e blocca la capacità del virus di replicarsi (Tabella 1).

Nome farmaco (principio attivo)

Sofosbuvir (precedentemente chiamato GS-7977)

Fase

III

Indicazioni

Infezione da virus dell’epatite C

Meccanismo d’azione

Inibitore della nucleotide polimerasi

Via di somministrazione

Orale

Struttura chimica

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Tabella I. Riassunto delle caratteristiche di sofosbuvir

Poiché il sito catalitico della proteina NS5B è altamente conservato in tutti i genotipi, SOF è ampiamente attivo contro tutti i genotipi [1]. I regimi a base di sofosbuvir hanno un’alta barriera alla resistenza, e le mutazioni per sostituzione nel gene NS5B non influenzano i tassi di SVR. In un’analisi cumulativa di pazienti trattati con regimi a base di sofosbuvir e che non sono riusciti a ottenere una SVR, raramente si sono rilevate sostituzioni di NS5B. Questi dati confermano che i regimi a base di sofosbuvir hanno un’alta barriera di resistenza e che le sostituzioni nel gene NS5B non influenzano i tassi di SVR [1].

Dopo la somministrazione orale, sofosbuvir è assorbito rapidamente, è metabolizzato dal fegato ed è eliminato dal corpo principalmente attraverso i reni, nelle urine, come metabolita trifosfato, un metabolita nucleosidico inattivo [1].

La farmacocinetica di sofosbuvir è stata studiata in soggetti con funzionalità renale normale (velocità di filtrazione glomerulare stimata – eGFR > 80 ml/min), insufficienza renale lieve (eGFR = 50-80 ml/min), moderata (eGFR = 30-49 ml/min) e grave (eGFR < 30 ml/min) [2]. L’area sotto la curva (AUC) del metabolita inattivo ha mostrato come sofosbuvir aumentasse in presenza di una diminuita funzionalità renale, con un rapporto lineare tra la clearance renale del metabolita e la clearance della creatinina. I soggetti con insufficienza renale lieve, moderata e grave avevano una AUC del metabolita superiore rispettivamente di circa il 56%, 90% e 456%, rispetto ai soggetti con normale funzionalità renale [2]. Tuttavia, non è stato osservato nessun accumulo significativo di SOF o dei suoi metaboliti, cosicché sofosbuvir può essere somministrato senza modifiche nel dosaggio in condizioni di insufficienza renale da lieve a moderata. Sono in corso studi per determinare la sicurezza d’uso di SOF in pazienti con grave insufficienza renale (eGFR < 30 ml/min) o con malattia renale allo stadio terminale. In uno studio in aperto, 10 pazienti con HCV cronica e genotipo 1 o 3 e con clearance della creatinina (CrCl) inferiore a 30 ml/min, non in dialisi, hanno ricevuto 200 mg di SOF + 200 mg di ribavirina (RBV) al giorno per 24 settimane. La SVR12 complessiva è stata del 40%, il 20% dei pazienti ha interrotto il trattamento, l’anemia era frequente e il 50% dei pazienti ha ricevuto EPO [3].

Poiché sofosbuvir viene metabolizzato dal fegato, è stato condotto uno studio per valutarne la diversa cinetica in pazienti con cirrosi [4]. SOF è stato somministrato per 7 giorni in 17 pazienti con insufficienza epatica correlata ad HCV di grado moderato (Child-Pugh B) o grave (Child-Pugh C) e contestualmente in 8 pazienti con HCV non cirrotici. In generale SOF è stato ben tollerato e ha prodotto un’esposizione sistemica simile in pazienti con insufficienza epatica e in pazienti non cirrotici. Alla luce di questo risultato e del buon profilo di sicurezza osservato in questi pazienti, sembra che non sia richiesta nessuna modifica del dosaggio in caso d’insufficienza epatica o di pazienti con cirrosi compensata [4].

Poiché il metabolismo di sofosbuvir non coinvolge il citocromo P450 3A/4 (CYP3A/4), non vi sono interazioni farmacologiche evidenti. Infatti, fino ad oggi nessuna interazione farmaco-farmaco è stata identificata: non vi è alcuna interazione clinicamente significativa con la co-somministrazione di SOF e ciclosporina, tacrolimus, farmaci utilizzati nel trattamento dell’infezione da HIV, metadone, o contraccettivi orali combinati contenenti etinilestradiolo e norgestimato [5,6]. SOF può essere somministrato indipendentemente dai pasti [7].

Alla luce di quanto illustrato finora, sofosbuvir deve essere utilizzato come componente di un regime di trattamento antivirale combinato contro l’infezione cronica da HCV. Infatti, è il primo farmaco che ha dimostrato sicurezza ed efficacia nel trattamento dell’infezione da HCV senza la necessità di co-somministrazione di interferone. A seconda del tipo di infezione da HCV del paziente, il regime di trattamento può includere sofosbuvir e ribavirina o sofosbuvir, ribavirina e peginterferone-alfa, o sofosbuvir e altri DAA, con o senza ribavirina. Sono stati condotti diversi studi per determinare l’efficacia dei regimi a base di sofosbuvir.

A seguito della recente approvazione, i clinici dovranno decidere come includere sofosbuvir nei loro protocolli di trattamento per l’infezione da HCV. La presente review considera le evidenze in merito all’efficacia clinica e agli effetti collaterali di sofosbuvir per il trattamento dell’epatite cronica C. Lo scopo di questa trattazione è aiutare i clinici nell’inclusione di sofosbuvir nei regimi di trattamento, migliorare la qualità e il valore dei servizi sanitari per i pazienti con epatite C, e provare a fornire un’evidenza che guidi la decisione su quali pazienti trattare e come.

Efficacia clinica

Sofosbuvir e ribavirina con o senza Peg-interferone

Pazienti con HCV genotipo 1 (G1)

Inizialmente, sofosbuvir è stato valutato in combinazione con Peg-IFN e RBV. In uno studio dose-ranging in doppio cieco [8], 64 pazienti con HCV G1 naïve sono stati randomizzati (1:1:1:1) a ricevere o una delle tre dosi orali giornaliere di sofosbuvir di 100, 200, 400 mg/die o placebo per 28 giorni in associazione a Peg-IFN alpha-2a + RBV. Tutti i pazienti hanno ricevuto solo Peg-IFN + RBV per le successive 44 settimane. Quasi tutti i pazienti che avevano ricevuto SOF + Peg-IFN + RBV hanno ottenuto una risposta virologica rapida (RVR), pressocché identica per tutti e tre i gruppi di SOF, rispetto al 21% dei pazienti trattati con duplice terapia. Tuttavia, i tassi di risposta virologica sostenuta (SVR24) sono stati del 56% per il gruppo di 100 mg, rispetto all’83% e all’80% dei gruppi rispettivamente di 200 e 400 mg [8]. Successivamente, la dose da 200 mg di SOF è stata comparata alla dose da 400 mg. Uno studio di fase IIb (studio PROTON) [9] ha valutato l’efficacia e la sicurezza della combinazione di Peg-IFN + RBV + SOF (200 e 400 mg) per 12 settimane seguita da Peg-IFN + RBV per altre 36 settimane in 121 pazienti naïve non-cirrotici con HCV G1 [9]. Il 98% dei pazienti trattati con sofosbuvir ha ottenuto una RVR rispetto al 19% del gruppo placebo. I tassi di SVR12 erano simili tra i gruppi con dosaggio di 200 mg (90%) e 400 mg (91%), in contrasto con il gruppo placebo, che aveva tassi di SVR12 del 58%. Nessuna ripositivizzazione prima della fine del trattamento o recidiva si è verificata in alcun soggetto del gruppo da 400 mg, mentre 3 soggetti del gruppo da 200 mg hanno sperimentato una ripositivizzazione prima della fine del trattamento e 1 ha sviluppato una ricaduta [9]. Questi risultati supportano l’idea che la dose da 400 mg di SOF fornisca una soppressione virale più efficace.

Nello studio in aperto ELECTRON, pazienti naïve e pazienti experienced sono stati trattati con SOF + RBV per 12 settimane [10]. Nel gruppo naïve la SVR24 era dell’84%, mentre, tra i pazienti experienced, solo il 10% presentava una SVR24. Questi dati hanno suggerito che per i pazienti G1 experienced sarebbero necessari Peg-IFN o l’aggiunta di un altro DAA per raggiungere un più alto tasso di SVR.

In un altro studio di fase 2 con SOF + Peg-IFN + RBV per 12 o 24 settimane (ATOMIC) [11] in pazienti G1 non-cirrotici ed experienced, i tassi di SVR24 si sono attestati attorno al 90%, con differenze minime della SVR nei pazienti che presentavano fattori tradizionalmente associati a una ridotta risposta alla terapia a base di interferone, come il carico virale basale, i genotipi IL28B non-CC, la malattia epatica avanzata, l’alto BMI, i pazienti Afro-Americani. Una SVR24 dell’89% è stata ottenuta con 12 settimane di trattamento combinato senza alcun beneficio aggiuntivo dato dal prolungamento del trattamento [11]. A conferma dei dati è stato condotto lo studio di fase 3 NEUTRINO [12], uno studio in aperto di 12 settimane con SOF + Peg-IFN + RBV in pazienti naïve e con HCV genotipo 1, 4, 5 o 6 (l’89% aveva genotipo 1). Una RVR è stata evidenziata entro la seconda settimana nel 91% dei pazienti trattati e sono stati complessivamente osservati tassi di SVR12 del 90%, con l’81% dei tassi di risposta nel genotipo 1 con cirrosi, come era stato previsto. Questi pazienti cirrotici hanno avuto anche tassi di interruzione del trattamento estremamente bassi di solo il 2%, il che suggerisce come questa combinazione sia sicura ed estremamente ben tollerata anche nei pazienti cirrotici [12]. Tra i pazienti che non hanno ottenuto una SVR non sono state identificate varianti associate a resistenza. I pazienti negli studi clinici hanno riportato come SOF sia ben tollerato sia da solo sia in combinazione con RBV o con Peg-IFN + RBV [10,12]. Anche se il 95% dei pazienti ha manifestato un evento avverso, l’interruzione del trattamento a causa di eventi avversi si è verificata solo nel 2% dei casi. Gli eventi avversi si sono verificati con una frequenza superiore al 20% dei casi e i più frequenti sono stati mal di testa, insonnia, stanchezza, nausea, vertigini, infezioni del tratto respiratorio superiore, eruzioni cutanee, mal di schiena, anemia di grado 1, e linfopenia di grado 4. Inoltre, non sono stati identificati gravi eventi avversi in un altro studio che ha valutato la sicurezza di sofosbuvir in pazienti con cirrosi allo stadio Child B o C [4]. Tutti gli eventi avversi sono stati lievi e questi dati suggeriscono che sofosbuvir presenta un eccellente profilo di sicurezza anche nei pazienti con malattia epatica avanzata.

Pazienti con HCV G2 e G3

Uno studio di fase 2 condotto in pazienti con infezione cronica da HCV di genotipo 2 e 3 ha mostrato come il trattamento con SOF + RBV determini una SVR del 100% (10 su 10) nei pazienti naïve e del 68% (17 su 25), in pazienti experienced [7,10]. Sulla base di questi risultati, 3 studi clinici multicentrici randomizzati sono stati condotti in pazienti con infezione cronica da HCV e genotipo 2 o 3.

Nel primo studio, lo studio FISSION [12], 500 pazienti naïve sono stati randomizzati a ricevere o SOF + RBV per 12 settimane o Peg-IFN + RBV per 24 settimane.

Nel secondo, lo studio POSITRON [13], pazienti per i quali il trattamento con Peg-IFN non era un’opzione (a causa di una precedente interruzione dovuta a eventi avversi inaccettabili, una comorbilità che impediva il trattamento con interferone, o per altri motivi) hanno ricevuto o SOF + RBV (207 pazienti) o placebo (71) per 12 settimane.

Nell’ultimo studio, lo studio FUSION [13], pazienti che non avevano avuto una risposta alla precedente terapia con interferone sono stati trattati con SOF + RBV per 12 settimane (103 pazienti) o 16 settimane (98). L’obiettivo primario per tutti e tre gli studi era la risposta virologica sostenuta dopo 12 settimane di terapia. Tra i pazienti naïve dello studio FISSION, la SVR12 nei pazienti con G2 è stata del 97% nei pazienti non cirrotici e del 91% in quelli con cirrosi, in contrasto con i pazienti con G3 nei quali la SVR12 è stata del 61% nei pazienti non cirrotici e del 34% in pazienti cirrotici [12]. Nei pazienti per i quali il trattamento con Peg-IFN non era un’opzione (lo studio POSITRON), il tasso complessivo di risposta virologica sostenuta è stato del 78%, superiore nei G2 (93%) rispetto al 61% dei G3 [13]. Tra i pazienti experienced (lo studio FUSION), il tasso di risposta nei pazienti con G2 dopo 12 settimane di trattamento è stato del 96% in pazienti non cirrotici e del 60% in pazienti cirrotici, rispetto al 100% nei pazienti cirrotici con 16 settimane di trattamento. Come negli studi precedenti, i tassi di risposta sono risultati inferiori nei pazienti con genotipo 3 (37% di SVR12 per 12 settimane e 63% per 16 settimane) rispetto a quelli con genotipo 2 [13]. Queste osservazioni indicano che per i pazienti con G3, la durata della terapia combinata sofosbuvir più ribavirina può avere bisogno di essere estesa o può rendersi necessaria l’aggiunta di altri agenti anti-virali diretti o di peg-interferone.

L’efficacia di un’estensione del trattamento (> 16 settimane) con sofosbuvir e ribavirina nei pazienti con G3 (lo studio VALENCE) [14] o l’aggiunta di Peg-IFN (studio LONESTAR-2) [15] sono state valutate in due diversi studi. Nello studio VALENCE di fase III, l’85% (n = 212/250) dei pazienti con G3 naïve ed experienced che hanno ricevuto un regime di 24 settimane di sofosbuvir e ribavirina ha ottenuto una risposta virologica sostenuta (SVR12) paragonabile all’83% della SVR12 osservata nello studio LONESTAR-2, che ha valutato un regime di 12 settimane con SOF + RBV + Peg-IFN in pazienti con G3 experienced, la metà dei quali circa aveva cirrosi [15].

Pazienti con HCV G4

Lo studio NEUTRINO precedentemente descritto in pazienti con genotipo 1, ha dimostrato come sofosbuvir associato a Peg-interferone e ribavirina portasse a un tasso di guarigione del 96% tra i 28 pazienti naïve con genotipo 4 [12]. Uno studio monocentrico di fase 2b ha coinvolto 60 persone nate in Egitto e che vivevano negli Stati Uniti, naïve e precedentemente trattate con terapia a base di interferone [16]. I pazienti sono stati randomizzati a ricevere una volta al giorno sofosbuvir e ribavirina per 12 o 24 settimane. I tassi di SVR12 sono stati del 68% nel braccio di trattamento di 12 settimane, mentre sono saliti al 93% nel braccio di 24 settimane. Tra i pazienti naïve, i tassi di SVR12 a 12 e 24 settimane sono stati del 70% e del 100%. Tra i pazienti già trattati in precedenza, i tassi di guarigione sono stati del 59% e 87%, rispettivamente. Tra i partecipanti naïve e trattati per 12 settimane, quelli con cirrosi hanno avuto un tasso inferiore di SVR12 rispetto a quelli non-cirrotici (33 vs 91%), ma le risposte sono state simili negli altri gruppi di trattamento [16]. Queste osservazioni indicano che la combinazione sofosbuvir + ribavirina fornisce un regime semplice, privo di interferone per i pazienti con HCV di genotipo 4; l’estensione della durata del trattamento a 24 settimane ha aumentato i tassi di SVR, in particolare per i pazienti experienced.

Pazienti con HCV G5 e G6

I dati relativi ai genotipi 5 e 6 sono limitati. Lo studio NEUTRINO ha arruolato solo il 2% di pazienti con genotipo 5 e 6, di cui il 100% ha ottenuto una SVR12 dopo 12 settimane di trattamento con SOF + Peg-IFN + RBV [12]. I dati sono limitati per cui studi più ampi saranno necessari per confermare questa risposta favorevole.

Pazienti in pre- e post-trapianto di fegato

L’infezione da HCV è l’indicazione più comune al trapianto di fegato. Tuttavia, la recidiva di HCV dopo trapianto di fegato è universale, portando al fallimento precoce del trapianto nel 30-50% dei pazienti. Le terapie a base di interferone per l’HCV sono limitate dalla tossicità e dalla scarsa efficacia. In un piccolo studio di fase 2 [17] 61 pazienti che erano candidati a trapianto per carcinoma epatocellulare, e nei quali la cirrosi era ben compensata con un punteggio MELD medio di 8 punti, sono stati arruolati per verificare l’efficacia del trattamento pre-trapianto con sofosbuvir e ribavirina fino a 48 settimane nel prevenire la recidiva dopo trapianto di fegato. Il 73% dei pazienti aveva HCV di genotipo 1 (39% G1a), il 13% aveva il genotipo 2, il 12% aveva il genotipo 3, e 1 aveva il genotipo 1. Tre quarti erano stati precedentemente trattati per epatite C. Un totale di 43 pazienti (93%), con qualsiasi genotipo, non presentava RNA dell’HCV rilevabile al momento del trapianto e il 70% (30/43) di questi ha raggiunto la SVR12, mentre 3 sono arrivati a trapianto di fegato quando la carica virale era ancora rilevabile. Dieci pazienti presentavano infezioni ricorrenti, e 3 (7%) sono morti (2 per malfunzionamento dell’innesto primario e 1 per le complicazioni di una trombosi dell’arteria epatica). I pazienti che non hanno sviluppato una recidiva di HCV avevano avuto una carica virale non rilevabile per una media di 95 giorni prima del trapianto (28/29 con una SVR del 96%); solo 1 ha avuto una recidiva dopo aver avuto carica virale non rilevabile per 30 o più giorni . L’assenza più duratura di RNA dell’HCV rilevabile prima del trapianto è stato l’unico fattore che ha predetto significativamente la non recidiva dell’HCV (SVR 96%) e i tassi di recidiva più bassi sono stati osservati in pazienti che sono risultati negativi alla presenza di RNA dell’HCV per più di trenta giorni prima del trapianto. Il trattamento è stato ben tollerato in questi pazienti cirrotici compensati e non sono state osservate interazioni farmacologiche con farmaci anti-rigetto [17].

Tra i pazienti con grave recidiva di HCV dopo il trapianto di fegato, un’analisi che ha interessato 40 soggetti ha mostrato i dati dopo il trattamento con sofosbuvir e ribavirina per 24 settimane [18]. Più della metà dei pazienti aveva HCV di genotipo 1a, il 28% aveva il genotipo 1b, il 15% aveva il genotipo 3 e uno il genotipo 4. La maggior parte (88%) era stata precedentemente trattata e il 40% aveva cirrosi epatica (fase F4), ma senza segni di scompenso epatico. Una risposta virologica sostenuta si è riscontrata nel 70% dei casi sia a 12 sia a 24 settimane di trattamento. La combinazione sofosbuvir + ribavirina è stata generalmente sicura e ben tollerata. Sei soggetti hanno presentato eventi avversi gravi e due hanno interrotto il trattamento a causa di eventi avversi. Gli effetti collaterali più comuni sono stati affaticamento, diarrea, mal di testa, dolori articolari e nausea. L’anemia era comune, con il 28% dei partecipanti che hanno ridotto la loro dose di ribavirina e il 20% che sono stati trattati con eritropoietina o trasfusioni di emoderivati [18].

Sofosbuvir in combinazione con altri agenti anti-virali diretti

La combinazione di sofosbuvir con altri agenti anti-virali diretti (sia inibitori della proteasi NS3/4A, come simeprevir o telaprevir sia inibitori di NS5A, come gli agenti antivirali ancora in fase di studio) è stata recentemente studiata, dimostrando come sofosbuvir sia un farmaco estremamente versatile, che occuperà una posizione di primo piano nei prossimi anni.

Sofosbuvir + simeprevir

Pazienti con HCV G1

Lo studio in aperto, randomizzato di fase 2 COSMOS (COmbinazione di SiMeprevir e sOfosbuvir in pazienti affetti da HCV di genotipo 1) ha valutato l’efficacia e la sicurezza di 12 o 24 settimane di trattamento con sofosbuvir + simeprevir (SMP) con o senza RBV in pazienti con infezione cronica da HCV di genotipo 1 con malattia epatica compensata [19]. Lo studio ha incluso 167 pazienti arruolati in due coorti differenti: la coorte 1 includeva pazienti con fibrosi epatica da lieve a moderata (definita come punteggio METAVIR da F0 a F2) che non avevano risposto al trattamento e la coorte 2 comprendeva pazienti con fibrosi avanzata (definita come punteggio METAVIR da F3 a F4) naïve e che precedentemente non avevano risposto al trattamento. Nel complesso, la SVR12 è stata ottenuta in 154 pazienti (92%): il 93% e il 96% dei pazienti in coorte 1 trattati con SOF + SMP per 12 settimane rispettivamente con o senza RBV, avevano raggiunto la SVR12. Inoltre, nella coorte 2 (n = 87), il 94% dei pazienti trattati con la terapia combinata per 12 settimane rispettivamente con o senza RBV, aveva raggiunto la SVR12 (90%; n = 72 e 94%; n = 82 nella coorte 2). Gli eventi avversi più comuni sono stati affaticamento (31%), mal di testa (20%) e nausea (16%). Eventi avversi gravi sono stati osservati nel 2% dei pazienti e il 2% dei pazienti arruolati ha sospeso tutti i trattamenti dello studio a causa di eventi avversi, di cui 3 prima di 12 settimane [19].

Pazienti con HCV G1 nel pre- e post-trapianto di fegato

Risultati real world in tre centri di trapianto di fegato negli Stati Uniti [20] hanno suggerito che i pazienti con G1 possono essere trattati in modo efficace con la combinazione di SOF + SMP, con o senza RBV. Di 147 pazienti, 141 (96%) hanno completato il trattamento; 105 pazienti hanno raggiunto la SVR4 e 87 hanno raggiunto la SVR12. Ad oggi, 16 pazienti hanno mostrato fallimenti del trattamento (11%) e 14 hanno avuto un fallimento virologico (12 di loro hanno avuto una ricaduta nel giro di 4 settimane). Un paziente è morto 6 settimane dopo aver completato il trattamento per malattia epatica progressiva. Nel complesso, la SVR4 è stata raggiunta nell’87% dei pazienti e la SVR12 nell’84% dei pazienti. La terapia è stata ben tollerata in questa popolazione di pazienti difficili da trattare, la maggior parte dei quali aveva cirrosi, e che era non arruolabile, precedentemente intollerante, o non rispondeva alla terapia a base di IFN. Episodi di scompenso epatico non sono stati documentati. Della coorte di soggetti che sono stati trattati, 4 hanno ricevuto trapianto di fegato, tutti dopo la SVR4. Di questi quattro, 3 hanno continuato ad avere SVR post-trapianto, mentre 1 ha avuto una ricaduta [20].

Sofosbuvir e simeprevir sono stati associati a un’alta risposta virologica sostenuta, indipendentemente dall’aggiunta di ribavirina, in pazienti con HCV di genotipo 1 dopo trapianto di fegato [21]. 129 pazienti post-trapianto con infezione da HCV di genotipo 1 sono stati arruolati nello studio. La terapia è stata avviata in media 29 mesi dopo il trapianto di fegato. I dati preliminari dell’analisi sulla popolazione Intention To Treat hanno indicato un tasso di risposta di fine trattamento del 98%; la SVR4 è stata del 92% e la SVR12 del 91%.

Sofosbuvir e l’utlizzo nel real world

Sofosbuvir e simeprevir sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) degli Stati Uniti alla fine del 2013. Visto il successo registrato dagli studi clinici con regimi a base di simeprevir o di sofosbuvir, le linee guida elaborate da esperti americani ed europei raccomandano la somministrazione di SOF + SMP per i pazienti con HCV di genotipo 1 che non possono ricevere l’interferone. L’utilizzo real world di nuovi DAA attualmente approvati è reso possibile da due grandi consorzi, l’HCV-TARGET [22] e il Network TRIO [23].

Lo studio HCV-TARGET

L’HCV-Target rappresenta un’esperienza real world di pazienti sottoposti a trattamento con regimi a base di sofosbuvir in più di 50 cliniche su base accademica e di comunità negli Stati Uniti, in Canada e in Germania [22]. Da gennaio 2014, un totale di 2.330 persone con epatite C hanno acconsentito a essere incluse nello studio HCV-TARGET, e di queste 2063 hanno iniziato il trattamento. Quasi due terzi erano uomini, il 76% erano bianchi, il 12% neri, e l’età media era di 58 anni; il 2% presentava coinfezione con HIV. Circa la metà dei partecipanti non era stata precedentemente trattata per l’HCV e l’altra metà aveva esperienza di un precedente trattamento, compreso il 18% di coloro che non avevano risposto a un precedente ciclo di terapia triplice con inibitori della proteasi di prima generazione. Quasi la metà (48%) aveva cirrosi epatica, il 43% aveva una storia di scompenso, e il 34% aveva un punteggio MELD >10. Il 10% ha avuto carcinoma epatocellulare e l’11% era rappresentato da soggetti con fegato trapiantato. A causa della funzionalità epatica, i soggetti trattati con SOF + SMP hanno mostrato una malattia epatica più avanzata rispetto a quelli trattati con SOF + Peg-IFN + RBV o con RBV da sola. Tra i pazienti con genotipo 1, il 53% è stato trattato con SOF + SMP, il 23% con SOF + Peg-IFN + RBV, il 15% con SOF + SMP + RBV e il 9% con SOF + RBV da soli. Più del 95% dei pazienti con genotipo 2 o 3 sono stati trattati con SOF + RBV da soli. Nei pazienti con HCV G1 non-cirrotici che hanno ricevuto il trattamento con SOF + Peg-IFN + RBV la SVR4 è stata del 90% (114/127), mentre nel sottogruppo cirrotico è stata del 70% (26/37). Il tasso di SVR4 nei pazienti con G1 trattati con SOF + SMP con o senza RBV era del 92% (113/123) nei pazienti non-cirrotici e dell’87% (156/180) nei pazienti con cirrosi, con una SVR dell’86% nei pazienti con HCV di sottotipo 1a e del 95% per quelle con sottotipo 1b. I pazienti con precedente fallimento del trattamento (n = 54) hanno mostrato un tasso di SVR4 dell’81% (85% per i non-cirrotici contro 79% nei pazienti cirrotici). Nei pazienti con G2 trattati con SOF + RBV (n = 187), il tasso di SVR4 è stato del 90% (91% per i non cirrotici contro 88% nei pazienti cirrotici). Nessun dato preliminare è ancora a disposizione per i pazienti G3 [22]. Ribavirina non ha aumentato in modo significativo i tassi di risposta nei pazienti che utilizzano sofosbuvir più simeprevir, compresi i pazienti cirrotici e con genotipo 1a che sono i più difficili da trattare. Nel complesso, i regimi a base di sofosbuvir sono stati in generale sicuri e ben tollerati. Eventi avversi gravi si sono presentati raramente in tutti i regimi (dal 2,9% al 7,9% dei casi) e sono stati principalmente associati a Peg-IFN + RBV [22].

Il Network TRIO

Il Network TRIO valuta i risultati con regimi a base di sofosbuvir e simeprevir in una popolazione real world, eterogenea proveniente da centri medici accademici e di comunità degli Stati Uniti, soprattutto nel nord-est e nel centro-ovest [23]. Nel complesso, 1.211 pazienti provenienti da 150 siti accademici e comunitari sono stati inclusi in questo database. Al momento sono disponibili i dati di 955 pazienti trattati con regimi di 12 settimane. Sono stati esaminati tre regimi principali: SOF + Peg-IFN + RBV, SOF + RBV da soli e SOF + SMP con o senza RBV. Dei 995 partecipanti, il 59% era di sesso maschile, il 16% erano afro-americani, il 30% era cirrotico, il 16% presentava lvelli di piastrine inferiori a 100K/µl, il 43% aveva già esperienza di trattamenti (il 35% non aveva risposto alla terapia, il 65% aveva risposto parzialmente/era recidivante) e il 20% era già stato trattato con un inibitore della proteasi dell’HCV. Tra i 955 pazienti trattati, la maggior parte (92%; n = 822) ha completato la terapia, 44 hanno interrotto il trattamento precocemente, 25 sono stati persi al follow-up, 9 sono morti, e 1 ha ricevuto un trapianto di fegato. Complessivamente, il 79% dei soggetti ha ottenuto la SVR12: in pazienti G1, la SVR è stata dell’82% con SOF + SMP con o senza RBV, del 77% con SOF + Peg-INF + RBV, e solo del 50% (78% popolazione Per Protocol) con SOF + RBV da soli. La SVR12 in pazienti con G1b trattati con SOF + SMP è stata del 92%, rispetto all’80% dei pazienti con G1a. Allo stesso modo, nei non-cirrotici la terapia combinata SOF + SMP ha mostrato tassi di SVR dell’88% rispetto al 75% dei pazienti cirrotici. In pazienti con genotipo 2 trattati con SOF + RBV, il tasso di SVR12 era dell’84% (89% per i non cirrotici contro il 75% nei pazienti cirrotici). Non ci sono dati disponibili per i pazienti G3 [23].

I dati provenienti da queste due esperienze di real world dimostrano che i tassi complessivi di cura nella pratica clinica rimangono alti con tassi di sospensione dal trattamento estremamente bassi, con eventi avversi solo in circa l’1,9% dei casi.

Conclusioni

Sofosbuvir rappresenta un profarmaco uridino nucleotidico HCV specifico la cui funzione si esprime con il blocco della replicazione del virus dell’HCV tramite l’inibizione diretta della NS5B polimerasi virale, proteina che gioca un ruolo fondamentale nella sintesi dell’RNA genomico. La forma attiva trifosfata di sofosbuvir presenta come target il sito attivo dell’ NS5B polimerasi altamente conservato, peculiarità che la rende efficace nei confronti di tutti i genotipi.

Sofosbuvir deve essere somministrato come componente di un regime di trattamento antivirale combinato che, a seconda del genotipo del paziente, prevede l’associazione con inteferone e ribavirina. È stata inoltre dimostrata l’efficacia e la sicurezza delle combinazioni di sofosbuvir con ribavirina, o con altri DAA, anche in assenza di peginterferon-alfa, con la possibilità di estendere il trattamento anche ai pazienti ineleggibili o intolleranti all’interferone. In particolare, nell’ambito degli studi di fase II, è stata in primo luogo valutata l’efficacia di sofosbuvir in combinazione con Peg-IFN e RBV, nei pazienti G1 naïve versus il regime con placebo e Peg-IFN + RBV. Quasi tutti i pazienti che avevano ricevuto SOF + Peg-IFN + RBV hanno ottenuto una risposta virologica rapida (RVR), rispetto al 21% dei pazienti trattati con duplice terapia.

Lo studio di fase IIb PROTON [9] ha identificato in pazienti G1 naïve non cirrotici la posologia di 400 mg di sofosbuvir, in combinazione con Peg-INF e RBV, come la dose più efficace in termini di soppressione virologica, dimostrata dall’assenza di fallimenti virologici e di recidive.

Lo studio ELECTRON [10] ha invece dimostrato una SVR 24 più significativa nei pazienti naïve G1 trattati con SOF + RBV per 12 settimane, rispetto a quella registrata nei pazienti G1 experienced, dati che suggeriscono una maggiore efficacia in termini di tasso di SVR, dei regimi contenenti sofosbuvir e Peg-IFN o un altro DAA per i pazienti G1 experienced.

Lo studio di fase II ATOMIC con SOF + Peg-IFN + RBV per 12 o 24 settimane [11] in pazienti G1 non-cirrotici ed experienced, mostra tassi di SVR24 intorno al 90%, anche nei pazienti che presentavano fattori storicamente associati a una ridotta risposta alla terapia con interferone, senza alcun beneficio aggiuntivo dato dal prolungamento del trattamento [11].

A conferma dei dati è stato condotto lo studio di fase III NEUTRINO [12] che ha osservato tassi di SVR12 dell’ 81% nei pazienti naïve genotipo 1 con cirrosi, con tassi di interruzione del trattamento da eventi avversi estremamente bassi a dimostrazione di come questa combinazione sia sicura e ben tollerata anche nei pazienti cirrotici, con un eccellente profilo di sicurezza mantenuto nei pazienti con malattia epatica avanzata.

Gli studi registrativi di fase II e fase III hanno dimostrato inoltre come i regimi contenenti SOF, con o senza Peg-INF, presentino un ottimo profilo di efficacia e di sicurezza anche nei pazienti co-infetti HCV- HIV, in assenza di significative interazioni farmacologiche.

Anche nei pazienti candidati a trapianto per carcinoma epatocellulare, con cirrosi compensata, è stata verificata l’efficacia del trattamento pre-trapianto con sofosbuvir e ribavirina fino a 48 settimane nel prevenire la recidiva dopo trapianto di fegato. In particolare, il 93%, con qualsiasi genotipo, non presentava HCV-RNA rilevabile al momento del trapianto e il 70% di questi ha raggiunto la SVR12.

Il numero cumulativo di giorni con HCV RNA non rilevabile, si è rilevato pertanto essere il fattore predittivo di prevenzione del rischio di recidiva [17].

Anche tra i pazienti con grave recidiva di HCV dopo il trapianto di fegato, il regime con sofosbuvir e RBV per 24 settimane [18], ha registrato un’importante risposta virologica sostenuta nel 70% dei casi sia a 12 sia a 24 settimane di trattamento in assenza di interazioni farmacologiche o episodi di tossicità.

L’associazione di sofosbuvir e di un ulteriore DAA come simeprevir ha mostrato un elevato profilo in termini di efficacia e di sicurezza, in pazienti affetti da HCV di genotipo 1, sia con fibrosi epatica lieve sia con fibrosi avanzata, naïve e che non avevano risposto ad un precedente trattamento. Nel complesso, la SVR12 è stata ottenuta nel 92% dei casi, senza significative differenze tra 12 e 24 settimane di trattamento, con o senza l’aggiunta della RBV.

Importanti risultati sono emersi inoltre dalle esperienze real world HCV-TARGET [22] e TRIO [23]. In particolare, lo studio TARGET, caratterizzato da una popolazione di pazienti altamente eterogenea, sottoposta a trattamento con regimi a base di sofosbuvir, ha dimostrato un’elevata SVR4, ovvero del 90%, nei pazienti con HCV G1 non-cirrotici che hanno ricevuto il trattamento con SOF + Peg-IFN + RBV.

Nei pazienti cirrotici G1, in particolare experienced, il trattamento con SOF + SMP con o senza RBV ha dimostrato il raggiungimento di un tasso di SVR4 maggiore. L’aggiunta di ribavirina non ha pertanto aumentato in modo significativo i tassi di risposta nei pazienti sottoposti a sofosbuvir e simeprevir, compresi i pazienti cirrotici e con genotipo 1a più difficili da trattare.

Lo studio americano real-life TRIO ha valutato l’efficacia e la sicurezza di tre regimi principali di 12 settimane contenenti SOF + Peg-IFN + RBV, SOF + RBV e SOF + SMP con o senza RBV, in una popolazione real world, di 955 pazienti, di cui il 30% era cirrotico, e il 43% già sottoposto a precedenti trattamenti in particolare, il 20% era già stato trattato con un inibitore della proteasi dell’HCV.

Da questo studio emergono importanti risultati che ci illustrano la risposta e la tolleranza ai trattamenti contenenti sofosbuvir come backbone, anche nei pazienti G1 experienced. Complessivamente, il 79% dei soggetti ha ottenuto la SVR12. In particolare, nei pazienti G1 naive cirrotici, la SVR si è dimostrata essere superiore nel regime NEUTRINO con SOF + Peg-INF + RBV rispetto al trattamento contenente SOF + SMP con o senza RBV, rispettivamente del 89% e 85%.

Un risultato sorprendente si è ottenuto nei pazienti non cirrotici, pertanto con malattia meno avanzata, ma già sottoposti ad un trattamento precedente, per cui la terapia combinata SOF+ Peg-Inf + RBV ha mostrato tassi di SVR12 dell’84%, dato che risulta molto significativo se si tiene conto delle caratteristiche della popolazione in studio.

Nel complesso pertanto, i risultati emersi dalle esperienze di real world confermano gli alti tassi di cura descritti nei trial clinici e percentuali di sospensione dal trattamento estremamente basse, con un tasso di eventi avversi pari a l’1,9% dei casi.

L’efficacia pangenotipica dei regimi contenenenti sofosbuvir è stata dimostrata negli studi registrativi e confermata negli studi real-life. Nel genotipo 2 in particolare, il trattamento SOF + RBV per 12 settimane ha mostrato ampia efficacia nei pazienti naïve ed experienced non-cirrotici e cirrotici. Lo studio di fase II FUSION, ha invece dimostrato come nel genotipo 3, l’estensione a 24 settimane della terapia combinata SOF + RBV possa raddoppiare la soppressione virologica nel paziente cirrotico, in particolare nei pazienti che hanno fallito un precedente trattamento. Nel genotipo 4 la migliore strategia in pazienti naïve è rappresentata da SOF + RBV per 24 settimane, indipendentemente dal grado di fibrosi o SOF + SMP con o senza RBV, mentre la terapia SOF + SMP sembrerebbe essere il miglior regime in pazienti experienced cirrotici.

Implicazioni per future ricerche

I dati di efficacia nei genotipi 5 e 6 sono limitati per cui studi più ampi saranno necessari per confermare una risposta favorevole.

La review in breve

Quesito clinico

Illustrare le evidenze in merito all’efficacia clinica e agli effetti collaterali di sofosbuvir per il trattamento dell’epatite cronica C al fine di aiutare i clinici nell’inclusione di sofosbuvir nei regimi di trattamento, migliorare la qualità e il valore dei servizi sanitari per i pazienti con epatite C, e provare a fornire un’evidenza che guidi la decisione su quali pazienti trattare e come.

Tipo di review

Narrativa

Conclusioni

Con regimi a base di sofosbuvir, un trattamento efficace senza interferone è ora disponibile per tutti i genotipi. Infatti sofosbuvir si è dimostrato molto efficace in combinazione con Peg-interferone e ribavirina o da solo o in associazione con altri agenti anti-virali diretti. Inoltre, il trattamento con sofosbuvir si è dimostrato generalmente sicuro e ben tollerato.

Aree grigie

Non ancora definita la gestione ottimale dei pazienti experienced cirrotici.

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