RHC 2010;1(1)53-66

Reviews in Health Care 2010; 1(1): 53-66

Drugs

Narrative review

Impiego dei fitoterapici in pediatria secondo criteri EBM. Efficacia e tollerabilità di echinacea, cranberry e camomilla

Use of herbal medicines in children following EBM criteria. Effectiveness and tolerability of echinacea, cranberry, and chamomile

Domenico Careddu 1

1 Coordinatore nazionale rete Federazione Italiana Medici Pediatri (FIMP) di fitoterapia

Abstract

The recent appreciation of phytotherapy is related to the evidence of efficacy of herbal medicines, as well as to the continuous improvement of scientific and clinical knowledge of their effects.

Unfortunately among herbal medicine it is frequent to find products that are neither registered nor controlled by regulatory bodies, with a lack of proofs regarding their constituents and quality.

Phytotherapy can find its role among medical therapies only if each medication is standardised and controlled according to the requirements of an official Pharmacopoeia, and produced on the basis of Good Manufacturing Practices similar to those used in pharmaceutical companies.

This is even more important in paediatric age, also because often parents administer herbal medications to their children, without asking the physician or the pharmacist for advice, being convinced that “natural products” are always safe and do not have adverse events or interactions.

The evaluation of these products, ensuring their safety and efficacy through registration and regulation, is an important challenge. To improve an evidence-based and safe use, herbal medicines should be titrated, standardised and labelled. Clinical applications, pharmacology, dosage, possible contraindications and precautions (i.e. during pregnancy, breastfeeding and paediatric age), and potential adverse reactions should be clearly described and codified, for example in the official Pharmacopeia and in the various Monographs (ESCOP, The European Scientific Cooperative On Phytotherapy, and WHO, World Health Organization).

The purpose of this article is to provide a review on the safety and efficacy of some medicinal plants widely used in the paediatric age: echinacea, cranberry, and chamomile. The final aim is to help to use herbal medicine on the basis of the criteria of the Evidence Based Medicine.

Keywords

Phytotherapy; Echinacea; Cranberry; Chamomile; Paediatrics

Corresponding author

Domenico Careddu

Email: dom.careddu@fastwebnet.it

Disclosure

L’Autore dichiara di non avere conflitti di interesse in merito agli argomenti e ai farmaci citati nel presente articolo

Introduzione

La rivalutazione che recentemente sta interessando la fitoterapia è da attribuirsi alle reali attività terapeutiche delle droghe vegetali e dei loro estratti e al continuo espandersi delle conoscenze scientifiche e cliniche sui loro effetti medicamentosi. Purtroppo, però, molto spesso è possibile reperire tra i prodotti fitoterapici preparazioni suscettibili di critiche, immesse sul mercato sotto la spinta di esigenze di carattere unicamente commerciale e non medico-scientifico, anche in conseguenza del fatto che la stragrande maggioranza dei fitoterapici è commercializzata come integratore alimentare. Peraltro la fitoterapia può trovare una giusta collocazione nella terapia medica solo qualora disponga di droghe vegetali tecnicamente ineccepibili e il più possibile standardizzate, prodotte quindi con criteri qualitativi di tipo farmaceutico.

Quanto detto è ancor più vero con riferimento all’età pediatrica, anche in considerazione del fatto che molto spesso i genitori dei bambini ricorrono autonomamente, senza chiedere indicazioni né informare il medico curante, a integratori a base di piante medicinali, nella convinzione, non sempre vera, che tutto ciò che è naturale è non solo efficace, ma anche sicuro e privo di effetti collaterali e/o interazioni.

È quindi importante che le piante medicinali e le droghe vegetali da esse derivate siano considerate come veri e propri principi attivi farmacologici, con indicazioni, controindicazioni, e limitazioni d’uso (infanzia, gravidanza e allattamento), peraltro ben codificate nelle diverse Farmacopee ufficiali e nelle Monografie (ESCOP, The European Scientific Cooperative On Phytotherapy, e WHO, World Health Organization).

L’OMS definisce pianta medicinale ogni vegetale contenente, in uno o più dei suoi organi, sostanze che possono essere utilizzate per fini terapeutici. La droga vegetale è invece la parte della pianta medicinale utilizzata ai fini di cui sopra (foglia, fiore, radice, ecc.) [1-4]. Il fitocomplesso è l’insieme delle sostanze chimiche che compongono una droga vegetale.

Ogni prodotto a base di piante medicinali dovrebbe fornire, per poter essere considerato una fitomedicina, le seguenti informazioni:

  • nome botanico in latino della o delle piante utilizzate, seguito dal nome volgare nella lingua in uso in quel Paese;
  • forma farmaceutica e sua quantità espressa in mg;
  • nome del o dei principali principi attivi;
  • titolazione dello o degli stessi;
  • posologia, modo e durata della somministrazione;
  • scadenza del prodotto.

Per valutare la qualità di un estratto vegetale, si parte già dalla qualità della coltivazione in pieno campo delle erbe destinate alla preparazione degli estratti. Esse infatti vanno coltivate nei terreni più adatti a ciascuna specie, nei climi più confacenti e utilizzando il meno possibile pesticidi e antiparassitari. Anche la raccolta delle piante va fatta nel cosiddetto “tempo balsamico”, cioè nel momento in cui quella pianta esprime il miglior contenuto di fitocomplesso [5].

L’Allegato 3 della Farmacopea prevede che vengano fornite informazioni relative ad alcuni parametri. Il titolo deve essere riferito al o ai principi attivi o costituenti caratteristici della droga in esame. In pratica la titolazione consente di valutare con precisione non solo la presenza, ma anche la quantità di una o più componenti del fitocomplesso, ritenute più importanti ai fini terapeutici. Tale quantità non deve essere inferiore al livello minimo fissato dalla Farmacopea, altrimenti l’estratto non può esplicare un’adeguata attività terapeutica. Grazie alla titolazione è possibile standardizzare il prodotto, in modo che esso sia sempre uguale a se stesso, con ovvi vantaggi per la costanza e la riproducibilità dell’effetto medicamentoso.

Molto importanti sono poi i procedimenti di estrazione del fitocomplesso. In questo caso bisogna utilizzare il solvente più adatto alla pianta che è in lavorazione in quel momento, operare a temperatura non superiore a 30-35 °C e sottoporre l’estratto a tutti i test più sofisticati per accertare in esso l’assenza di inquinanti e la presenza di corretti quantitativi di principi attivi.

Sono anche assai importanti gli studi scientifici fitochimici, farmacologici, clinici e tossicologici che attestano l’efficacia e la tollerabilità dell’estratto in questione. È per questo motivo che bisogna privilegiare le droghe vegetali supportate dagli studi clinici più rigorosi, perché in questo caso possiamo utilizzarle in ossequio ai criteri dell’Evidence Based Medicine (EBM).

Il rimedio fitoterapico moderno e ben concepito ha caratteristiche qualitative che lo avvicinano molto ai criteri tipici dei farmaci di sintesi, con alcune differenze ineliminabili, connaturate al fatto che esso esprime il fitocomplesso in toto della pianta e non un singolo principio attivo.

Per quanto riguarda infine le forme farmaceutiche, distinguiamo essenzialmente preparazioni ottenute partendo da droga essiccata (tisane, infusi, decotti, polveri, estratti fluidi ed estratti secchi), preparazioni ottenute partendo da droga fresca (tinture madri, macerati glicerinati, alcuni estratti secchi, sospensioni integrali di pianta fresca, succhi di pianta fresca) e preparazioni per distillazione o spremitura (olii essenziali).

Ad oggi la forma farmaceutica ottimale è considerata l’estratto secco titolato e standardizzato. Esso si prepara in genere partendo dall’estratto fluido, che poi viene fatto evaporare con metodiche sofisticate quali la nebulizzazione, fino a ottenere una polvere finissima e impalpabile, che è rappresentata in pratica solo dal fitocomplesso tipico della droga. Quest’ultimo è assai più concentrato rispetto all’estratto fluido. Grazie a questa sua concentrazione e purezza, è possibile procedere alla titolazione e alla conseguente standardizzazione, ottenendo spesso titoli nettamente superiori rispetto ai minimi contemplati nei documenti ufficiali [1,5,6].

Un cenno a parte merita il capitolo degli olii essenziali. Essi sono rappresentati da una miscela di sostanze organiche, per lo più volatili, con odore aromatico caratteristico, in genere piuttosto penetrante, e molto instabili, ottenute per distillazione. Gli oli essenziali sono lipofili, generalmente liquidi, assai poco solubili in acqua, ma solubili nei solventi dei grassi. Sono molto concentrati e ricchi di principi attivi (titolo elevato). Nell’uso pediatrico si sconsiglia la somministrazione per via interna ma, anche per via topica, sono raccomandate comunque concentrazioni non superiori al 3-5%.

Si analizzano di seguito alcune delle piante medicinali che presentano un uso consolidato nel bambino e che rispondono a criteri di efficacia e sicurezza: echinacea, cranberry e camomilla.

Echinacea

Composizione e caratteristiche

L’echinacea è una pianta perenne appartenente alla famiglia delle Asteraceae, originaria del continente Nord americano; delle numerose specie presenti in natura, vengono utilizzate a scopo medicinale l’E. purpurea, l’E. pallida e l’E. angustifolia. Queste tre specie, pur avendo alcune differenze nella loro costituzione, ai fini della presente trattazione vengono considerate come un’unica entità. La droga vegetale, cioè la parte attiva della pianta, è costituita dalle radici per le tre specie e anche dalle parti aeree per l’E. purpurea. Storicamente utilizzata dagli Indiani d’America per la cura di ferite e dei morsi di serpenti, riscosse grande diffusione tra i primi colonizzatori del nuovo continente e venne utilizzata per trattare differenti e svariate patologie, dalle flogosi respiratorie all’artrite. Nel ventesimo secolo il suo utilizzo si è diffuso anche in Europa e in particolar modo in Germania. Dopo una fase di parziale oblio, è attualmente una delle piante medicinali più utilizzate e vendute. Le proprietà terapeutiche della droga sono attribuite ad alcuni componenti del fitocomplesso e in particolare all’echinacoside (composto fenolico derivato dall’acido caffeico) e ai polisaccaridi. Peraltro sono proprio questi componenti attivi ad essere utilizzati per la titolazione che, in conformità a quanto indicato nelle Monografie ESCOP, è espressa in echinacoside 0,5-1% e in polisaccaridi 16% (titolo minimo). Non vanno comunque tralasciati, ai fini dell’azione “terapeutica”, numerosi altri componenti, quali l’olio essenziale, le alchilamidi e i flavonoidi [4-6].

Impiego terapeutico ed efficacia

L’echinacea è inserita nelle Monografie ESCOP e WHO, nonché nelle Farmacopee europea e tedesca. In particolare, nel recente supplemento 2009 delle Monografie ESCOP, viene riportata la seguente indicazione clinica: «Terapia adiuvante e profilassi delle infezioni ricorrenti delle vie aeree superiori (common cold)» con aggiunta, per l’E. purpurea, «delle infezioni del tratto urogenitale e del trattamento di ferite superficiali». Viene consigliata una posologia di 900 mg/die di droga secca o dosi equivalenti; per quanto riguarda l’età pediatrica è raccomandata una dose ridotta, proporzionalmente al peso o alla superficie corporea [4].

Il fitocomplesso della pianta è dotato di una valida attività immunomodulante fondata in gran parte su un’azione di stimolo sull’attività fagocitaria e sulle difese aspecifiche dell’organismo. In questo contesto si ricorda l’azione stimolante sulla produzione di alcune interleuchine (IL-1, IL-6 e IL-10 in particolare), nonché l’aumento del numero e dell’attività dei macrofagi e la differenziazione dei granulociti immaturi verso forme più differenziate. A ciò vanno aggiunti l’attività antivirale, mediata dall’aumento dell’espressione genica di IFNα-2 e l’aumento del numero e dell’attività delle cellule NK e dei livelli di TNF. Recentemente è stata identificata una fitomelanina la quale, attraverso un’interazione con particolari recettori noti come Toll-like receptors, parrebbe modulare l’azione immunostimolante verso numerosi patogeni. Oltre a questo effetto, possiamo ricordare l’azione antinfiammatoria (inibizione di lipossigenasi e ciclossigenasi, enzimi chiave nella cascata dell’acido arachidonico), l’azione radical scavenger e l’azione cicatrizzante, legata sia alla stimolazione di fibroblasti, dotati di attività riparative sui tessuti danneggiati, sia all’inibizione delle ialuronidasi batteriche [4,5,7].

Queste azioni, e in particolare quella immunomodulante, sono ampiamente dimostrate da studi sia in vitro sia in vivo, mentre non tutti gli studi clinici effettuati sono concordi e/o conclusivi. Tali incertezze sono per lo più attribuibili alla scarsa qualità metodologica degli studi, a una numerosità per lo più limitata e all’utilizzo di differenti formulazioni [8]. Due metanalisi relativamente recenti [9,10], che hanno selezionato rispettivamente 3 studi e 14 studi di buona qualità, hanno comunque evidenziato che preparati a base di echinacea hanno efficacia statisticamente significativa nel ridurre l’incidenza e la durata del common cold.

Per quanto riguarda l’età pediatrica, si cita lo studio randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo, condotto da Cohen e colleghi [11], nel quale sono stati arruolati 430 bambini, di età compresa tra 1 e 5 anni suddivisi in due gruppi, trattati rispettivamente con un preparato a base di echinacea, propoli e vitamina C o placebo. Nel gruppo che aveva assunto il preparato (160 bambini dei 328 che hanno completato lo studio) si è osservata, nel corso del follow-up complessivo di 12 settimane, una netta riduzione del numero totale e della durata degli episodi infettivi a carico delle vie respiratorie, nonché dei giorni di febbre, dei sintomi associati (tosse e rinite), della durata dell’assunzione dell’antipiretico e dell’eventuale utilizzo di un antibiotico. Lo studio evidenzia un effetto preventivo del preparato oggetto della sperimentazione nei confronti di infezioni delle vie respiratorie (Tabella I).

Di rilievo il lavoro di Weber e collaboratori [12], i quali hanno compiuto un’analisi secondaria dei dati provenienti da un precedente studio randomizzato in doppio cieco, controllato, verso placebo che ha coinvolto 524 bambini di età compresa tra 2 e 11 anni. Il protocollo prevedeva di trattare rispettivamente con Echinacea purpurea o con placebo due gruppi di bambini affetti da flogosi acuta delle vie aeree superiori e di valutare l’insorgenza e il tempo di latenza di un secondo episodio di flogosi acuta. Tra i 401 bambini che avevano presentato un primo episodio acuto e che quindi erano stati arruolati con la conseguente somministrazione del trattamento previsto, quelli trattati con echinacea hanno evidenziato un rischio di sviluppare un secondo episodio flogistico ridotto del 28% rispetto al gruppo placebo. Lo studio dimostra l’efficacia dell’echinacea nel prevenire l’insorgenza di un secondo episodio flogistico acuto a carico delle vie aeree superiori del bambino (Tabella I).

Studio

Pazienti

Evento studiato

Trattamento

Interruzione trattamento

Risultati

Conclusioni degli Autori

Cohen, 2004 [11]

n = 430

Età = 1-5 anni

Efficacia di un preparato contenente echinacea, propoli e vitamina C nella prevenzione delle infezioni del tratto respiratorio durante un periodo invernale di 12 settimane

Gruppo 1 (n = 215):

somministrazione di un preparato fitoterapico contenente 50 mg/ml di echinacea, 50 mg/ml di propoli e 10 mg/ml di vitamina C.

Gruppo 2 (n = 215): somministrazione di placebo.

Posologia:

5 ml x 2 volte/die nella fascia di età 1-3 anni;

7,5 ml x 2 volte/die nella fascia di età 4-5 anni.

Dosaggi raddoppiati durante gli episodi di infezioni respiratorie.

Durata somministrazione: 12 settimane

Complessivamente hanno terminato lo studio 328 bambini:

160 del gruppo 1; 168 del gruppo placebo

Riduzione del numero di episodi di malattia nel gruppo trattato, 138 vs 308 (riduzione del 55%).

Riduzione del numero di episodi per bambino, 0,9 ± 1,1 vs 1,8 ± 1,3 (riduzione del 50%, p < 0,01).

Riduzione del numero di giorni di febbre per bambino, 2,1 ± 2,9 vs 5,4 ± 4,4 (riduzione del 62%, p < 0,01).

Numero totale di giorni di malattia e durata dei singoli episodi, significativamente ridotti nel gruppo 1

Si è osservato un effetto preventivo del prodotto oggetto dello studio sull’incidenza delle infezioni del tratto respiratorio. Effetti collaterali rari, di lieve entità e transitori

Weber, 2005 [12]

n = 524

Età = 2-11 anni

Analisi secondaria di dati provenienti da un trial randomizzato in doppio cieco, controllato con placebo, sull’efficacia dell’echinacea nel trattamento delle infezioni respiratorie acute delle alte vie aeree.

Lo studio valuta l’incidenza di una seconda, terza infezione dopo il primo episodio e il numero di giorni intercorrente tra un primo episodio e i successivi

Gruppo 1 (n = 200): echinacea.

Gruppo 2 (n = 207): placebo.

Bambini monitorizzati per 4 mesi durante la stagione invernale per l’insorgenza di infezioni delle alte vie aeree.

All’arruolamento 2 gruppi trattati rispettivamente con echinacea o placebo, all’insorgenza di infezione acuta

401 bambini

hanno registrato almeno un episodio di infezione acuta e hanno assunto la terapia (echinacea o placebo)

Il 69,2% dei soggetti che hanno assunto placebo rispetto al 55,8% di quelli che hanno assunto echinacea, ha sviluppato un secondo episodio di flogosi acuta delle alte vie aeree.

L’assunzione di echinacea è risultata essere associata a un rischio ridotto del 28% (p = 0,01) di contrarre un secondo episodio

L’Echinacea purpurea sembra essere efficace nel ridurre l’insorgenza di un secondo episodio di flogosi acuta delle alte vie respiratorie nel bambino.

Sono tuttavia necessari ulteriori studi a conferma

Tabella I. Principali studi clinici sull’efficacia dell’echinacea in età pediatrica

A onor del vero altri studi condotti sul trattamento della rinite e delle flogosi delle alte vie respiratorie nel bambino non hanno evidenziato in modo chiaro un’azione terapeutica dell’echinacea, concludendo con la necessità di eseguire ulteriori trial clinici [13,14].

Relativamente all’azione antivirale, appaiano interessanti alcuni lavori preliminari condotti su bambini affetti da mollusco contagioso e/o da verruche. In particolare, un gruppo di 40 bambini affetti da mollusco contagioso (prima infezione con numero di lesioni superiore a 5) è stato trattato in modo randomizzato rispettivamente con il solo curettage delle lesioni e con curettage + echinacea estratto secco. Tutti i bambini sono stati sottoposti a visite di follow-up ogni 15 giorni per due mesi. L’incidenza di recidive nel gruppo trattato con echinacea è stata percentualmente minore (con buona significatività statistica) rispetto al gruppo trattato con placebo, senza alcuna evidenza di effetti collaterali [15].

Sicurezza e tollerabilità

Tutti gli studi nel loro complesso hanno evidenziato un buon livello di sicurezza, confermato peraltro dalle limitate segnalazioni di effetti avversi, soprattutto se paragonate all’enorme quantità di prodotto consumato nel mondo.

In letteratura sono riportate reazioni allergiche soprattutto in soggetti con ipersensibilità verso le Composite o le Asteraceae. A tale proposito, le già citate Monografie ESCOP riportano, tra le controindicazioni, la somministrazione a soggetti con ipersensibilità nota alle Composite, nonché a soggetti affetti da patologie sistemiche progressive o autoimmuni, quali tubercolosi, malattie del collagene, sclerosi multipla, AIDS o patologie HIV-correlate. Viene altresì raccomandata una somministrazione che non ecceda le otto settimane consecutive. Su questi ultimi due aspetti non vi è accordo unanime tra i diversi Autori. Appare comunque prudente che, in casi di allergia o patologie croniche, l’assunzione avvenga su prescrizione medica. La stessa raccomandazione, in ossequio alle norme di buona pratica medica, è applicabile alla donna in gravidanza e allattamento, per la scarsità di studi clinici effettuati (anche se quelli esistenti non hanno evidenziato effetti avversi). Relativamente all’utilizzo in età pediatrica non sono riportate limitazioni ma solo adeguamenti posologici in relazione all’età e al peso corporeo [4,5,7,16].

Cranberry

Composizione e caratteristiche

Il cranberry (Vaccinium macrocarpon), detto anche mirtillo rosso americano, è originario del Nord America e appartiene alla famiglia delle Ericacee. La pianta, che deve il suo nome ai coloni olandesi ai quali la fisionomia degli arbusti, nel periodo di comparsa delle bacche (berries), ricordava il collo delle gru (crane), è coltivata principalmente in Massachusetts, New Jersey, Oregon, Washington, Wisconsin e in alcune zone del Canada e del Cile.

È un arbusto a portamento strisciante, che produce bacche grosse come ciliegie che maturano in autunno. La parte dotata di efficacia terapeutica è il frutto maturo, dal sapore aspro e acidulo.

I pellerossa del Nord America furono i primi a usare questi frutti: il succo veniva impiegato come antisettico, cicatrizzante e colorante per tingere coperte e tessuti, mentre le bacche, mescolate con altri cibi, fungevano da conservante alimentare.

Noto per le numerose proprietà curative (trattamento delle infezioni del tratto urinario in era pre-antibiotica e della diarrea), era trasportato a bordo delle navi per la prevenzione dello scorbuto durante le lunghissime traversate oceaniche (il mirtillo è assai ricco di vitamina C). Ancora oggi il cranberry è largamente utilizzato come prodotto di automedicazione, soprattutto nel trattamento delle cistiti recidivanti, dell’osteoporosi (elevato contenuto in calcio) e come antiossidante.

Impiego terapeutico ed efficacia

I costituenti principali del fitocomplesso sono flavonoidi, catechine, triterpenoidi, tannini, acido beta-idrossibutirrico, acido citrico, malico, glucuronico, quinico, vitamine A e C, sali minerali e proantocianidine (caratteristiche le proantocianidine di tipo A) [4,5].

Le proantocianidine sono sostanze polifenoliche appartenenti al gruppo dei tannini. Il titolo deve essere espresso preferibilmente in proantocianidine di tipo A (minimo 1%) o, in alternativa, in polifenoli totali (minimo 5%). L’azione sinergica di queste numerose componenti è alla base delle molteplici attività biologiche e terapeutiche della pianta, quali l’azione antisettica urinaria, quella antibatterica verso numerosi germi (Helicobacter pylori e Streptococcus mutans) e quella antiossidante e radical scavenger [17-20].

Analizzando l’azione antisettica urinaria, i meccanismi d’azione identificati sono peraltro molteplici e si possono riassumere, in modo esemplificativo, nei seguenti punti [21-23]:

  • inibizione del legame dei germi uropatogeni con la superficie di membrana delle cellule dell’uroepitelio. In particolare due componenti del cranberry inibiscono le adesine di E. coli: le proantocianidine di tipo A e il fruttosio;
  • le proantocianidine inibiscono selettivamente le adesine prodotte dai batteri, evitando l’adesione, soprattutto di Escherichia coli fimbriato di tipo 1 e di tipo P, alle cellule epiteliali del tratto urinario. Il cranberry diminuisce la forza di adesione tra il batterio e la superficie e riduce la lunghezza delle fimbrie P;
  • selezione, a livello intestinale, dei batteri uropatogeni meno adesivi;
  • marcato aumento dell’assorbimento di acido acetilsalicilico con conseguente aumento dei salicilati urinari esercitanti un’attività antinfiammatoria locale;
  • abbassamento del pH urinario e, di conseguenza, creazione di un ambiente sfavorevole per la proliferazione batterica.

E. coli è il responsabile di circa l’80% delle infezioni delle vie urinarie. Aderisce alla membrana delle cellule uroepiteliali per mezzo di strutture proteiche chiamate adesine, localizzate all’estremità distale di sottili filamenti (fimbrie di tipo 1 e fimbrie P) che si proiettano dalla parete del batterio.

Proprio queste caratteristiche strutturali spiegano la selettività d’azione del cranberry nei confronti del germe in esame [23,24].

Molteplici studi randomizzati e controllati hanno dimostrato un sicuro effetto preventivo del cranberry in pazienti adulti affetti da cistiti e prostatiti ricorrenti, pur non essendovi, nei differenti lavori, una uniformità nella forma farmaceutica utilizzata (succo, compresse, ecc.) né nella posologia, né nella durata del trattamento, con conseguenti incertezze nella valutazione dei dati.

Ciò nonostante il Cranberry può vantare ben tre revisioni sistematiche della letteratura effettuate dalla Cochrane Collaboration [25-27], l’ultima delle quali, condotta nel 2008, ha concluso che esistono evidenze, accertate da studi clinici controllati, secondo le quali il succo di cranberry può essere efficace nel ridurre, dopo 12 mesi di trattamento, il numero delle infezioni urinarie sintomatiche nella donna adulta, evidenziando, come già anticipato, la mancanza di certezze sulla preparazione farmaceutica e sul dosaggio più appropriato e la carenza lavori clinici a sostegno del fatto che la droga sia altrettanto efficace in altre categorie di pazienti e in età pediatrica. Proprio in questa fascia di età, la rilevanza della problematica delle infezioni del tratto urinario (UTIs) è notevole, per la possibile concomitanza di malformazioni delle vie urinarie, di disturbi minzionali, di stipsi e/o encopresi. Statisticamente le UTIs sono presenti nel 5-10% dei bambini, precedute come frequenza solo dalle infezioni a carico delle vie respiratorie. La recidiva di infezione delle vie urinarie nei primi mesi di vita rappresenta un segnale di possibile uropatia malformativa: circa 1/3 di queste situazioni è associato a un reflusso vescico-ureterale (RVU) [28,29]. Molti di questi bambini sono candidati a una terapia antibiotica protratta, con necessità di esami di follow-up e problematiche legate al fenomeno delle resistenze batteriche e alla ridotta compliance [30,31].

Tutte queste motivazioni possono spiegare la notevole percentuale di auto-prescrizione del cranberry, così come evidenziato da recenti indagini condotte sia negli Stati Uniti sia in altri Paesi [32]. A questo va aggiunto il desiderio, sempre più diffuso, di ricorrere a trattamenti di tipo naturale, legato alla convinzione sia di una reale efficacia, sia dell’assenza di effetti collaterali e/o di controindicazioni in confronto alle terapie con farmaci di sintesi.

Tra i lavori di più recente pubblicazione relativi all’efficacia di cranberry in età pediatrica, citiamo uno studio randomizzato e controllato condotto su 84 bambine con UTI, di età compresa tra 3 e 14 anni, suddivise in 3 bracci, trattati per un periodo di 6 mesi rispettivamente con succo di cranberry (50 ml/die), Lactobacillus GG (100 ml/5 giorni al mese) e controllo [22]. Nella coorte di bambine (n = 28) che assumevano succo di mirtillo, si sono verificati 5 episodi di UTI (18,5%), contro gli 11 (42,3%) verificatisi nel gruppo trattato con Lactobacillus GG e i 18 (48,1%) nel gruppo di controllo. I risultati dello studio evidenziano che l’assunzione giornaliera di succo concentrato di cranberry può prevenire in modo significativo le infezioni delle vie urinarie sintomatiche nel bambino. L’abbandono dello studio da parte di una sola bambina nel “gruppo cranberry” depone per l’ottima tollerabilità della terapia (Tabella II).

Ai fini della pratica clinica, appare interessante, nonostante la ridotta dimensione del campione, lo studio di Nishizaki e colleghi [33], che ha valutato l’efficacia dell’antibiotico cefaclor vs cranberry nella prevenzione delle UTIs. Sono stati reclutati 31 bambini (18 maschi e 13 femmine), di età omogenea, affetti da UTIs ricorrenti con RVU fino al quarto grado, divisi in due gruppi rispettivamente di 12 bambini trattati con cranberry 100 ml/die, e di 19 trattati con cefaclor 5-10 mg/kg/die. Entrambi i gruppi hanno seguito il trattamento previsto per circa un anno. L’analisi statistica dei dati ha evidenziato come la profilassi con mirtillo rosso americano sia sovrapponibile, come efficacia, a quella condotta con cefaclor; lo studio ha inoltre messo in evidenza l’ottima compliance associata al trattamento.

Per quanto concerne le altre attività terapeutiche riconosciute al cranberry, molto rilevante è quella antiossidante, pur in assenza di studi specifici in età pediatrica. Tale azione è legata ai polifenoli, che hanno proprietà capillaro-protettrice (antocianine), ma anche antinfiammatoria, antiallergica e antivirale [4,34].

Relativamente all’attività antibatterica, vi sono buone evidenze nei confronti dell’Helicobacter pylori [35]. Un trial multicentrico randomizzato e controllato in doppio cieco, condotto su un gruppo di bambini (età 6-16 anni) con infezione asintomatica da H. pylori (accertata con urea breath test), ha evidenziato l’efficacia del succo di mirtillo (200 ml), somministrato quotidianamente per 3 settimane, nell’eradicazione dell’infezione [19] (Tabella II).

Per quanto riguarda l’azione su altri germi, vi sono alcune evidenze in vitro relativamente alla riduzione della virulenza di Streptococcus mutans, implicato nella formazione della carie dentaria, e alla possibile azione antiadesiva nei confronti di Streptococcus pneumonie e Streptococcus agalactiae.

Il cranberry non sembra invece in grado di modificare in modo significativo la flora microbica nasofaringea, come rilevato nello studio di Kontiokari e colleghi [36], riassunto in Tabella II.

Studio

Pazienti

Evento studiato

Trattamento

Interruzione del trattamento

Risultati

Conclusioni degli Autori

Ferrara, 2009 [22]

n = 84

Età = 3-14 anni (femmine)

Efficacia del succo di cranberry nelle infezioni ricorrenti del tratto urinario (UTIs) sintomatiche

Gruppo 1 (n = 28): succo di cranberry 50 ml/die

Gruppo 2 (n = 27): Lactobacillus GG 100 ml per 5 giorni al mese (n = 27)

Gruppo 3 (n = 29) controllo

Gruppo 1: 1/28 (3,5%)

Gruppo 2: 1/27 (3,7%)

Gruppo 3: 2/29 (6,8%)

(p < 0,05)

Gruppo 1: UTI in 5/27 (18,5%)

Gruppo 2: UTI in 11/26 (42,3%)

Gruppo 3: UTI in 18/27 (48,1%)

Il consumo giornaliero di succo di cranberry può prevenire in modo significativo le UTIs sintomatiche nei bambini

Gotteland, 2008 [19]

n = 295

Età = 6-16 anni

Asintomatici

Test positivo per H. pylori

Effetto del succo di cranberry da solo o in sinergia con il probiotico La1 nell’inibizione dell’H. pylori in bambini infetti

Gruppo CB/La1: succo di cranberry+ La1

Gruppo La1: placebo + La1

Gruppo CB: succo di cranberry + La1 heat-killed

Gruppo controllo: placebo + La1 heat-killed

Succo di cranberry (200 ml) e La1 (80 ml) furono somministrati giornalmente per 3 settimane, dopo di che fu effettuata una seconda UBT

Dropout totale: 8,1%.

Nessuna differenza osservata nei diversi gruppi

Eradicazione di H. pylori:

Gruppo CB/La1: 22,9%

Gruppo La1: 14,9%

Gruppo CB: 16,9%

Gruppo controllo: 1,5%

(p < 0,01)

L’assunzione regolare di succo di cranberry o La1 può essere utile nel trattamento di bambini asintomatici colonizzati da H. pylori. Tuttavia non è stato osservato effetto sinergico in caso di consumo contemporaneo di cranberry e La1

Kontiokari, 2005 [37]

n = 341

Età media = 4,3 anni

Effetto del succo di cranberry sulla flora nasofaringea. Valutare come viene accettato dai bambini e valutare il suo effetto su patologie infettive e sintomi correlati

Gruppo 1 (n = 171): succo di cranberry per 3 mesi

Gruppo 2 (n = 170): placebo per 3 mesi

Gruppo 1: 18/171 (11%)

Gruppo 2: 11/170 (7%)

Nessun cambiamento significativo dei batteri respiratori; cambiamenti significativi della composizione di acidi grassi fecali (p < 0,001), ma non diversa nei gruppi (p > 0,05). Il succo di cranberry non ha effetti sulle malattie infettivi comuni né sui loro sintomi

Benché ben accettato dai bambini, il succo di cranberry non è efficace sulla flora nasofaringea né sulle patologie infettive

Tabella II. RCT relativi all’efficacia di cranberry in età pediatrica

La1 = Lactobacillus johnsonii; UBT = (13)C-urea breath test

Sicurezza e tollerabilità

Come già accennato, il succo di cranberry è associato a un’ottima compliance. Tale dato, unitamente all’assenza di effetti collaterali, è stato confermato in tutti gli studi condotti sul bambino [22,33,37].

Si consiglia comunque l’utilizzo di estratti ad alto titolo in proantocianidine, e la formulazione farmaceutica più adatta all’età.

La posologia varia sulla base della formulazione utilizzata: per quanto riguarda l’estratto secco, la posologia indicativa è di 5-20 mg/kg/die, mentre per il succo è di 15 ml/kg/die nel bambino e di 500-1.000 mg/die nell’adulto [4]. Non vi è consenso sul numero di somministrazioni giornaliere e sulla durata del trattamento. Sono ovviamente auspicabili e necessari ulteriori studi clinici, in particolare in ambito pediatrico, a conferma dei dati preliminari, che appaiono molto promettenti.

Per quanto riguarda le interazioni, è stata segnalata una possibile azione di potenziamento dell’effetto anticoagulante di warfarin [18,38]. Un recente studio clinico ha valutato l’interazione tra succo di cranberry e l’assunzione orale di antibiotici beta-lattamici (amoxicillina e cefaclor) evidenziando un lieve aumento dei tempi di assorbimento ma non nella quantità assorbita e nessuna variazione nella clearance renale [39]. Sebbene definito sicuro, si consiglia di non somministrarlo in soggetti con calcolosi renale da ossalato, pur in presenza di dati contrastanti [40].

L’utilizzo del cranberry in gravidanza, che in Italia è espressamente vietato da un Decreto Ministeriale del 2002 (Gazzetta Ufficiale n.167 del 18.07.02), relativo all’uso di prodotti contenenti bioflavonoidi, sebbene sconsigliato da alcune fonti di letteratura, per la carenza di evidenze scientifiche a favore della sicurezza d’uso, viene parzialmente avallato dal recente Supplemento alle Monografie ESCOP, le quali raccomandano che l’assunzione debba avvenire sotto controllo medico, qualora la quantità ecceda di molto quella riscontrabile in alimenti. La raccomandazione è estesa anche all’allattamento [4,41].

Non sono invece riportate limitazioni d’uso in età pediatrica (alcuni studi hanno coinvolto lattanti di pochi mesi di vita), sebbene nelle già citate Monografie ESCOP, Supplemento 2009, venga fatto riferimento a bambini di 2 anni di età [4,33,34].

Camomilla

Composizione e caratteristiche

La camomilla, appartenente alla famiglia delle Asteraceae, ha il suo habitat nell’Europa centro-meridionale e in Gran Bretagna. La droga vegetale è costituita dalle sommità fiorite essiccate di Matricaria recutita L., contenenti non meno di 4 ml/kg di olio essenziale blu e un minimo di 0,25% di apigenina-7-glucoside (Farmacopea Europea, ESCOP). È ricca di flavonoidi, che possono rappresentare fino all’8% della massa della droga secca. Essi sono degli eterosidi di flavoni e si accumulano nei fiori ligulati. È interessante notare la differente distribuzione di questi flavonoidi nelle varie strutture del fiore. I glucosidi della quercetina e della luteolina sono presenti prevalentemente nei fiori gialli, mentre i glucosidi dell’apigenina principalmente nei fiori ligulati bianchi. Contiene inoltre polisaccaridi, cumarine e piccole quantità di un lattone sesquiterpenico, detto antecotulide. L’essenza è costituita dal camazulene, dall’alfa bisabololo e dai suoi ossidi, dall’alfa pinene, dal beta pinene e dall’1,8-cineolo [2,5,7,16].

Impiego terapeutico ed efficacia

La camomilla esplica un’azione antinfiammatoria a livello delle mucose (in particolar modo quella gastrica) e della cute, dimostrate da studi sia in vitro sia in vivo sull’animale. Tali azioni sono dovute rispettivamente agli azuleni e ai flavonoidi che sono inibitori reversibili sia della cicloossigenasi sia della lipossigenasi. L’apigenina in particolare, ma anche il kempferolo e la genisteina, riducono notevolmente l’attivazione trascrizionale della cicloossigenasi 2 (COX 2) e della ossido nitrico sintetasi inducibile (INOS) in macrofagi umani attivati in vitro [42]. A livello della cute, la camomilla pare avere anche un’azione di stimolo sull’attività dei fibroblasti, con conseguente azione riparatrice sulle ferite e sulle ustioni [43,44].

Uno studio clinico ha valutato l’effetto analgesico di un estratto fluido di camomilla sulla stomatite aftosa, evidenziando una buona efficacia e tollerabilità [45]. Sempre sulla cute è stata evidenziata una potente attività antibatterica e antimicotica ad ampio spettro, legata verosimilmente all’alfa-bisabololo, pur non essendo ancora noto il meccanismo d’azione [46]. Uno studio comparativo, randomizzato, parzialmente in doppio cieco, condotto su pazienti affetti da dermatite atopica di medio grado, ha valutato l’efficacia di una crema contenente un estratto di camomilla versus una crema con idrocortisone allo 0,5% o placebo, evidenziando la superiorità della camomilla per uso topico [47]. La droga possiede attività spasmolitica sulla muscolatura liscia del tubo digerente, che parrebbe legata ai flavonoidi e in particolare all’apigenina, ma anche a bisabololo e ai suoi derivati. Tale azione spasmolitica è simile a quella della papaverina. Tale effetto dipende, almeno in parte, da un’azione sui canali del cloro, ma soprattutto dall’inibizione del cAMP [48]. Studi clinici hanno valutato tale azione nel lattante, evidenziando una buona efficacia e tollerabilità nelle cosiddette coliche gassose [49]. Sempre in ambito gastroenterologico, alcuni studi randomizzati in doppio cieco con placebo hanno valutato un numero complessivo di oltre 300 bambini affetti da diarrea acuta ai quali è stato somministrato un preparato a base di pectina di mela e camomilla. Il trattamento è risultato statisticamente più efficace rispetto al placebo, soprattutto nel ridurre la frequenza di evacuazioni e la durata della diarrea [50,51]. Per quel che riguarda l’attività sedativa della camomilla, che è tradizionalmente considerata tipica di questa droga, si è recentemente potuto dimostrare che alcuni flavonoidi, nella fattispecie l’apigenina, potrebbero esplicare attività benzodiazepinica con effetti anticonvulsivanti, ansiolitici e moderatamente ipnogeni, perché sarebbero in grado di legarsi ai recettori delle benzodiazepine [52]. In vitro gli estratti di camomilla mostrano affinità anche per i recettori dell’acido gamma-aminobutirrico (GABA) [2,16,53,54].

A dosi elevate la droga sembra avere azione sedativa [55], mentre a dosi più basse pare dotata di attività ansiolitica.

Studio

Pazienti

Evento studiato

Trattamento

Interruzione del trattamento

Risultati

Conclusioni degli Autori

De la Motte, 1997 [50]

n = 79

Età = 6 mesi-5,5 anni

Diarrea

Gruppo 1 (n = 39): preparazione con pectine della mela e estratto di camomilla

Gruppo 2 (n = 40): placebo

Non riportato

Interruzione della diarrea

Gruppo 1: 33/39

Gruppo 2: 23/40

p < 0,05

La preparazione ha ridotto significativamente la diarrea. Non sono state rilevate altre differenze nei due gruppi

Becker, 2006 [51]

n = 255

Età = 6 mesi- 6 anni

Diarrea acuta

Gruppo 1: preparazione con pectine della mela ed estratto di camomilla

Gruppo 2: placebo

Non riportato

Efficacia della preparazione statisticamente superiore rispetto al placebo

Effetto benefico dell’estratto vegetale nel diminuire la durata della malattia e calmare i sintomi associati

Tabella III. RCT su estratto di camomilla nel trattamento della diarrea in età pediatrica (abstract)

Sicurezza e tollerabilità

La presenza di lattoni, in particolare di antecotulide, ma anche di erniarina e di umbelliferone, può provocare, in persone sensibili, reazioni allergiche da fotosensibilizzazione, come dermatite da contatto, nelle zone cutanee esposte alla luce solare. Si sottolinea comunque che il potenziale allergico della camomilla matricaria è notevolmente inferiore rispetto ad altre specie di camomilla, proprio per la minima percentuale di antecotulide (può essere presente per contaminazione). Se ne sconsiglia pertanto l’uso in soggetti con sensibilità alla camomilla o ad altre Composite. La posologia varia a seconda della modalità di somministrazione: orale, applicazione topica o inalazione. Per quanto attiene la somministrazione per os, l’estratto secco va somministrato alla dose di 50-300 mg 3 volte/die, oppure 3 g di droga in 150 ml di acqua calda, per infuso, 3-4 volte/die. Complessivamente, la camomilla vanta un buon livello di sicurezza [2,5,7,16].

Implicazioni per ulteriori ricerche

È auspicabile e necessario, ai fini di una chiara conferma dell’efficacia clinica dei differenti fitoterapici, che vengano condotti trial clinici secondo standard di ricerca rigorosi (doppio cieco controllato con placebo), con l’utilizzo di preparati titolati e standardizzati, posologie e formulazioni adeguate all’età, in particolar modo in pediatria, ambito nel quale l’utilizzo è particolarmente diffuso, spesso al di fuori di ogni tipo di controllo clinico

Conclusioni

La fitoterapia ha tradizioni millenarie e il suo utilizzo è molto diffuso, in particolar modo nel bambino. È indispensabile, in ossequio ai criteri di EBM, utilizzare unicamente prodotti titolati, standardizzati e con indicazioni d’uso in età pediatrica, rifuggendo da “esotismi”, assai spesso non supportati da evidenze scientifiche. Pur essendo prodotti naturali, le piante medicinali possono avere controindicazioni, interazioni ed effetti collaterali che devono essere conosciuti e rispettati, ai fini di un impiego che sia aderente al sempre attuale primum non nocere.

La review in breve

Quesito clinico

Valutare, secondo i criteri EBM, efficacia e sicurezza di alcuni rimedi fitoterapici ampiamente impiegati in età pediatrica: echinacea, cranberry e camomilla

Tipo di revisione

Narrativa

Strumenti di ricerca della letteratura

PubMed (RCT), VDANet, Elsevier Global Medical News, Monografie WHO ed ESCOP.

È stato consultato il sito www.salute.gov.it per gli aspetti legati alla fitovigilanza e alla sicurezza dei prodotti fitoterapici.

Si è fatto infine riferimento ai principali testi specializzati e alle revisioni pubblicate in letteratura, integrate dalle competenze ed esperienze dell’Autore

Conclusioni

Echinacea, cranberry, camomilla: queste piante vantano un uso tradizionale secolare e sono presenti nelle Farmacopee di numerosi Paesi. Le recenti ricerche scientifiche e i numerosi trial condotti ne confermano la sicurezza d’uso e la buona tollerabilità, anche in età pediatrica

Aree grigie

Non sempre gli studi clinici effettuati hanno utilizzato prodotti titolati e standardizzati, con conseguenti difficoltà nell’analisi e nella comparazione dei dati. Gli studi condotti in età pediatrica sono pochi e coinvolgono un numero limitato di soggetti

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