RHC 2011;2(2)87-100

Reviews in Health Care 2011; 2(2): 87-100

Drugs

Narrative review

Effetti extrascheletrici della vitamina D

Extraskeletal effects of vitamin D

Maurizio Rossini 1

1 Sezione di Reumatologia, Dipartimento di Medicina, Università di Verona

Abstract

In the last years we observed an increasing number of publications about the vitamin D, due to its recognised therapeutic actions and to the widespread hypovitaminosis D. In addition to the well known skeletal benefits, vitamin D can have multiple effects on other tissues.

Muscular apparatus: hypovitaminosis D is associated with myopathy, sarcopenia, muscular strength reduction and increased risk of falls. The vitamin D supplementation increases the muscle functionality indexes. Cardiovascular system: low levels of vitamin D are related to increased levels of cardiovascular risk factors, heart failure, stroke, and cardiovascular mortality, while a good vitamin D status is associated with a decreased incidence of cardiovascular diseases. Diabetes and metabolic syndrome: a good vitamin D status is related to a decreased incidence of type 2 diabetes and metabolic syndrome; a vitamin D supplementation in the early childhood reduces (nearly 30%) the risk of having type 1 diabetes. Cancer: vitamin D deficit is associated with breast, colorectal cancer and melanoma relapses. Low and high levels of 25-hydroxy-vitamin D (25(OH)D) are related to a higher neoplastic mortality. Infectious diseases: hypovitaminosis D is associated with higher incidence of upper respiratory tract infections and worse interferon response in chronic hepatitis C. Vitamin D supplementation decreases the risk of having type A influence. Rheumatic diseases: in rheumatoid arthritis low serum levels of vitamin D metabolites are related to a higher disease activity, while a good vitamin D status is associated with a higher probability of remission or response to therapy and a lower degree of disability. Neurologic diseases: associations between vitamin D deficit and risk of multiple sclerosis, depression, cognitive deficits, and Parkinson’s disease have been reported.

There is evidence of the extraskeletal effects of vitamin D, but most derive from observational studies: clinical trials are required the better to determine the therapeutic role of vitamin D.

Keywords

Extraskeletal effects; Vitamin D; Supplementation

Corresponding author

Dott. Maurizio Rossini

Prof. Aggregato di Reumatologia

E-mail: maurizio.rossini@univr.it

Disclosure

L’Autore dichiara di non avere conflitti di interesse in merito agli argomenti citati nel presente articolo

Introduzione

A testimonianza del grande interesse e delle numerose recenti acquisizioni sulla vitamina D vi è la evidente crescita esponenziale negli ultimi anni delle pubblicazioni che la riguardano. Selezionando le pubblicazioni in PubMed sulla base del termine “vitamin D” nel titolo, si passa dai circa 300 articoli annuali nei primi anni 2000 a più di 1.300 articoli del 2010 (Figura 1). In questa review si riassumono i risultati di tale ricerca selezionando le principali e più recenti evidenze relative ai potenziali effetti extrascheletrici della vitamina D.

Figura 1. Istogramma relativo alla quantità di pubblicazioni presenti sul PubMed che contengono “vitamin D” nel titolo. È stato registrato un netto incremento negli ultimi 10 anni, con un picco rimarcabile nel 2010

La possibile rilevanza clinica di questi studi è amplificata dal persistere di diffuse condizioni carenziali di vitamina D, in modo particolare in Italia. Dopo le prime segnalazioni negli anni ’90 [1], che rivelavano la significativa prevalenza di un severo deficit di vitamina D nel nostro Paese, soprattutto negli anziani e nei mesi invernali e non limitata ai lungodegenti, il problema è stato confermato anche recentemente [2,3] e può arrivare a interessare più del 70% delle donne anziane. Nonostante la latitudine, che favorirebbe la sintesi cutanea di vitamina D da esposizione solare, già nel 1995 [4] e anche recentemente [5] è stato riportato che l’Italia è tra i Paesi europei con i più bassi livelli sierici di 25-idrossi-vitamina D (25(OH)D), espressione di uno stato vitaminico D carente. Il problema non risparmia i maschi in età senile [6], anche se è più tardivo rispetto alle femmine [7].

La carenza di vitamina D non è tuttavia esclusiva degli anziani: è stata descritta anche in circa 1/3 delle donne italiane in età premenopausale, specialmente se obese e residenti nelle regioni del sud, associandosi significativamente anche a questa età a una ridotta densità minerale ossea [8].

Il significato clinico di tale carenza potrebbe essere più rilevante nell’ambito di determinate patologie. Una diffusa condizione di insufficienza di vitamina D è stata descritta recentemente anche in pazienti affetti da artrite reumatoide, sulla base di uno studio multicentrico italiano condotto su una casistica tra le maggiori al mondo [9]. In questo studio si è osservato che gran parte dei pazienti presenta livelli sierici ridotti di 25(OH)D e che gli attuali approcci supplementari con 400-800 UI/die sono insufficienti (Figura 2).

Figura 2. Prevalenza dell’insufficienza di vitamina D in pazienti affetti da artrite reumatoide. Modificata da [9]

Gli effetti extrascheletrici della vitamina D

Oltre ai noti effetti scheletrici della vitamina D, anche di recente confermati in termini di capacità di ridurre il rischio di frattura in condizioni carenziali, di adeguato introito di calcio e a dosaggi superiori a 700-800 UI/die [10,11], non è sorprendente che la carenza di vitamina D possa avere effetti extrascheletrici sistemici. Vi sono almeno quattro buoni motivi per ritenerlo:

  • recettori per la vitamina D sono presenti in numerosi tessuti;
  • la vitamina D controlla la trascrizione di numerosi geni;
  • la vitamina D ha effetti endocrini non solo calciotropi;
  • l’attivazione della vitamina D non avviene solo a livello renale e ha effetti anche intracrini e paracrini.

La fisiologia, infatti, ci insegna che recettori della vitamina D sono presenti in numerosi tessuti extrascheletrici (Tabella I) [12].

Adipe

Surrene

Osso

Midollo osseo

Cervello

Mammella

Cellule neoplastiche (eventuali)

Cartilagine

Colon

Epididimo

Follicolo pilifero

Intestino

Rene

Fegato

Polmone

Linfociti B e T

Muscolatura striata

Muscolatura liscia

Ovaio

Cellula β pancreatica

Paratiroide

Parotide

Ipofisi

Placenta

Prostata

Retina

Cute

Stomaco

Testicolo

Timo

Tiroide

Utero

Tabella I. Distribuzione pressoché ubiquitaria dei recettori per la vitamina D

In secondo luogo vanno considerate le funzioni endocrine non calciotropiche della vitamina D attivata a livello renale [13]. In particolare l’attività endocrina dell’1,25(OH)2D prodotta a livello renale non si esplica solo a livello scheletrico ma controlla anche il sistema renina-angiotensina e la secrezione insulinica (Figura 3) [14].

Figura 3. Attivazione renale ed extrarenale ed effetti intracrini, paracrini ed endocrini della vitamina D

In terzo luogo è nota un’attivazione extrarenale della vitamina D [12]. In particolare è stata documentata un’attività 1-alfa-idrossilasica anche in cellule della linea monocito-macrofagica ed epiteliali [14], da cui derivano funzioni intracrine e paracrine (Figura 3). Nelle cellule della linea monocito-macrofagica l’attivazione 1-alfa-idrossilasica della vitamina D determina la produzione di una proteina battericida chiamata catelicidina e funzioni paracrine di modulazione dei linfociti T e B. In alcune cellule epiteliali l’esistenza di un’attività 1-alfa-idrossilasica consente la produzione autonoma di 1,25(OH)2D o calcitriolo, il quale induce la sintesi di proteine che inibiscono l’angiogenesi e inducono apoptosi, regolando così la proliferazione cellulare. A conferma della rilevanza delle funzioni intracrine e paracrine della vitamina D è stato stimato che vi sia dedicato l’80-95% del consumo metabolico giornaliero di vitamina D [13]. All’interno delle cellule con attività 1-alfa-idrossilasica è prevista anche un’attività 24-idrossilasica al fine di regolare l’eventuale iperproduzione endogena di calcitriolo, mediante la produzione di un metabolita inattivo della vitamina D, detto acido calcitroico [14]. Si comprende pertanto, anche da questo punto di vista, come appaia preferibile ricorrere primariamente alla supplementazione con vitamina D anziché con i suoi metaboliti attivi, al fine di sfruttare tutte le sue funzioni fisiologicamente predisposte e regolate.

Infine, a ulteriore dimostrazione dei potenziali effetti extrascheletrici, è stato recentemente riportato che la vitamina D regola l’espressione di più di 200 geni e in particolare di alcuni correlati a malattie autoimmuni o neoplastiche [15].

Apparato muscolare

Per quanto riguarda i possibili effetti della vitamina D sull’apparato muscolare, va ricordato che i recettori per la vitamina D sono presenti sulle cellule muscolari e che la loro espressione tende a diminuire con l’avanzare dell’età [16]. È noto da tempo che la vitamina D è in grado di stimolare la produzione di proteine muscolari, ma soprattutto è in grado di attivare alcuni meccanismi di trasporto del calcio a livello del reticolo sarcoplasmatico essenziali nella contrazione muscolare. In condizioni di ipovitaminosi D sono stati spesso descritti quadri di miopatia dei muscoli prossimali degli arti (per es. difficoltà ad alzarsi dalla sedia, impotenza funzionale nel portare le braccia sopra la testa), di sarcopenia e di riduzione della forza muscolare, con disturbi dell’equilibrio e con conseguente aumento del rischio di cadute e quindi di fratture, soprattutto in età senile.

Recentemente è stato osservato che lo stato vitaminico D condiziona anche il recupero funzionale nel periodo post-frattura di femore [17]: i pazienti con livelli sierici di 25(OH)D superiori a 25 nmol/l (o 9 ng/ml) presentavano una performance fisica migliore e un minor rischio di cadute.

Un’associazione tra ipovitaminosi D e successivo scadimento fisico valutato sulla base di alcuni test di performance fisica è stata documentata in particolare nelle donne [18]: i tempi necessari per alzarsi 5 volte da una sedia o per alzarsi, percorrere 3 metri e tornare a sedersi sono risultati significativamente peggiorati dopo 2 anni e mezzo, in particolare nei soggetti di sesso femminile con livelli basali di 25(OH)D nel quartile più basso.

È stata inoltre dimostrata un’associazione tra alcuni polimorfismi genetici del recettore per la vitamina D e il rischio di cadere: in particolare è stato osservato un significativo aumento del rischio in soggetti portatori dell’allele B per il poliformismo Bsm1 del recettore per la vitamina D [19]. L’aumentato rischio di cadute potrebbe essere attribuito a peggiori condizioni di equilibrio e di forza muscolare, effettivamente documentate in questi soggetti [20].

Vi sono dimostrazioni del fatto che la somministrazione di vitamina D sia in grado di migliorare la forza muscolare? In un recente trial clinico randomizzato e controllato è stato osservato che la somministrazione giornaliera di 1.000 UI di vitamina D in donne anziane migliora la funzione muscolare nel sottogruppo di pazienti più deboli e lente [21]. Una recente metanalisi ha mostrato un trend ai limiti della significatività per quanto riguarda il rapporto tra supplementazione di vitamina D e indici funzionali, in particolare a livello dei muscoli prossimali degli arti inferiori [22]; come prevedibile, la significatività viene largamente raggiunta quando si vanno a supplementare i soggetti più carenti e cioè con livelli sierici basali di 25(OH)D inferiori alle 25 nmol/l.

L’importanza ricoperta dalla miopatia da carenza di vitamina D nel determinismo delle cadute nell’anziano è stata confermata dalla dimostrazione della riduzione del rischio di cadute in seguito alla somministrazione di adeguate dosi di vitamina D, documentata in tre recenti meta-analisi indipendenti [23-25]. Una specifica meta-analisi della Cochrane Collaboration ha confermato che la somministrazione di vitamina D, in associazione con il calcio, riduce del 29% l’incidenza di cadute [23]. La mancata significatività del risultato con la sola vitamina D può essere attribuita al tipo di vitamina D impiegato (ergocalciferolo o D2 anziché colecalciferolo o D3) e all’insufficiente dosaggio. Infatti è stato osservato in un’altra meta-analisi che per ottenere una significativa riduzione del rischio di cadute occorre somministrare almeno 800 UI di vitamina D al giorno (o equivalenti dosaggi settimanali o mensili) e raggiungere livelli di 25(OH)D sierici superiori alle 60 nmol/l, meglio ottenibili, com’è noto, ricorrendo alla D3 [26].

Di recente è stato sorprendentemente riportato un aumento dell’incidenza di cadute e di fratture in particolare nei primi 3 mesi dalla somministrazione in un unico giorno di 500.000 UI di vitamina D a donne ultrasettantenni [27]. Si trattava tuttavia di soggetti generalmente non carenti e pertanto i risultati di questo studio non sono applicabili a realtà, come quella della popolazione anziana italiana, nelle quale è invece nota una consistente carenza di vitamina D. Un’altra possibile interpretazione dell’inatteso aumento dell’incidenza di cadute osservata in questo studio può essere paradossalmente trovata nei potenziali benefici extrascheletrici della vitamina D i quali, potendo incrementare la vita attiva dell’anziano, finirebbero per esporlo maggiormente a insidie traumatiche. Tuttavia rimangono attualmente alcune incertezze sui livelli massimi auspicabili di vitamina D: recentemente è stato riportato un aumento del rischio di sindrome dell’anziano fragile (sarcopenia, debolezza, scarsa energia, lentezza, ridotta attività fisica) in condizioni sia di bassi sia di elevati livelli sierici di 25(OH)D [28].

Apparato cardiovascolare

Sono molteplici i meccanismi patogenetici attraverso i quali il deficit di vitamina D potrebbe comportare un aumento di problemi cardiovascolari [29] (Figura 4).

Figura 4. Possibile patogenesi dell’associazione tra deficit di vitamina D e rischio cardiovascolare

In presenza di bassi livelli di vitamina D sono stati osservati livelli mediamente più elevati di pressione sistolica, così come in presenza di altri, più noti, fattori di rischio per ipertensione arteriosa [30]. Il rischio di ipertensione arteriosa aumenta al diminuire dei livelli di 25(OH)D [31]. Nonostante ciò una meta-analisi degli studi attualmente disponibili relativi agli effetti della somministrazione di vitamina D sulla pressione arteriosa mostra una tendenza alla riduzione, sebbene non significativa, indipendentemente dai dosaggi o dall’associazione con calcio [31]. È possibile che ciò derivi dall’inadeguatezza dei dosaggi e delle casistiche sin qui indagate. Anche nei confronti della frequenza cardiaca, indicatore indiretto di scompenso cardiaco, bassi livelli sierici di 25(OH)D si comportano come i più noti fattori di rischio cardiovascolare, cioè sovrappeso, scarsa attività fisica e fumo [30]. È stato riportato che i livelli sierici di 25(OH)D potrebbero rappresentare un marker o modulatore importante di diversi parametri funzionali in pazienti affetti da scompenso cardiaco [32]. In pazienti ipertesi, livelli di 25(OH)D inferiori a 15 ng/ml si sono associati a un rischio più che doppio di malattie cardiovascolari [33] e uomini con tale carenza di vitamina D hanno avuto un rischio doppio di infarto miocardico nei dieci anni successivi rispetto a coloro che avevano livelli normali di 25(OH)D [34]. Rischi 3-5 volte superiori di morire per scompenso cardiaco o per morte cardiaca improvvisa sono stati riportati in pazienti con 25(OH)D inferiori a 25 nmol/l rispetto a quelli con livelli sierici superiori a 75 nmol/l, ovviamente dopo correzione per tutti gli altri fattori di rischio cardiovascolari noti [35]. Anche l’incidenza di stroke è risultata inferiore del 33% in soggetti con livelli di 25(OH)D superiori alla media [36].

Si ricorda che è stata osservata un’associazione tra bassi livelli sierici di vitamina D e mortalità [37-40], soprattutto cardiovascolare [38-40], e che tali livelli erano associati anche ad alterazioni laboratoristiche indicative di flogosi, alterata adesività cellulare e stress ossidativo [38]. Una meta-analisi ha peraltro dimostrato che la somministrazione di vitamina D è in grado di ridurre significativamente la mortalità generale [41]. Recenti meta-analisi confermano una significativa riduzione di più del 30% dell’incidenza di malattie cardiovascolari in soggetti con un buono stato vitaminico D [42], con un evidente correlazione negativa tra rischio relativo e livelli sierici di 25(OH)D [31]. Tuttavia la meta-analisi attualmente fattibile evidenzia solo un trend non significativo nell’effetto preventivo della supplementazione vitaminica D nei confronti degli eventi cardiovascolari, anche se ciò può essere chiaramente imputabile alla scarsità degli studi sino ad ora disponibili e all’inadeguatezza dei dosaggi impiegati [43]. Nel gennaio 2010 è stato finalmente avviato un trial (VITAL, VITamin D and omegA-3 triaL), sponsorizzato dal National Institutes of Health, con lo scopo di valutare se la somministrazione di 2.000 UI/die di vitamina D e/o 1 g di olio di pesce (acidi grassi polinsaturi omega-3) sono effettivamente in grado di ridurre il rischio di patologie cardiache e di stroke. La concomitante supplementazione calcica non sembra poter fornire un contributo positivo in tal senso [43]; anzi è stato recentemente riportato che la supplementazione calcica, in assenza di vitamina D, aumenterebbe il rischio di infarto miocardico [44].

Diabete e sindrome metabolica

Due meta-analisi concordano nell’indicare che un buono stato vitaminico D, valutato sia come introito di vitamina D [45] sia come livelli sierici di 25(OH)D [42], si associa a una riduzione dell’incidenza di diabete di tipo 2 e di sindrome metabolica.

Non vi sono d’altra parte sino ad ora evidenze certe dell’utilità della supplementazione con vitamina D nel diabete di tipo 2 [31]: pur essendo disponibili 8 trial che hanno valutato gli effetti della supplementazione con vitamina D su alcuni parametri glicemici, solo 2 sono stati classificati di buona qualità, i dosaggi impiegati erano probabilmente troppo bassi, la compliance era spesso scadente e solo in piccoli sottogruppi erano stati indagati i livelli sierici di 25(OH)D. Tuttavia in pazienti con scompenso glicemico a digiuno, la supplementazione giornaliera con 700 UI di vitamina D3 e 500 mg di calcio ha attenuato il previsto peggioramento con l’età della glicemia a digiuno e di un indice di resistenza insulinica [46]. È in programma un trial (Thiazolidinedione Intervention with vitamin D Evaluation, TIDE) condotto su 16.000 pazienti affetti da diabete di tipo 2 che ha tra gli obiettivi anche quello di valutare gli effetti della somministrazione in questi pazienti di 1.000 UI/die di vitamina D3.

Per quanto riguarda il diabete di tipo 1 è disponibile una meta-analisi che indica una riduzione di quasi il 30% del rischio di incorrere in questa malattia se si assumono supplementi di vitamina D nella prima infanzia [47].

Neoplasie

La possibilità di alcune cellule epiteliali di attivare la vitamina D, cui consegue la regolazione intracrina di meccanismi implicati nella replicazione e apoptosi cellulare, rende ragione di numerose associazioni tra carenza di vitamina D e alcuni tipi di tumore. In particolare da meta-analisi di studi casi-controllo appare evidente la correlazione negativa tra livelli sierici di vitamina D e rischio di tumore al seno [48,49], anche se non si raggiunge la significatività per gli studi nested case-control [49]. L’aumento del rischio in una casistica di donne in postmenopausa è risultato evidente soprattutto per valori di 25(OH)D inferiori a 50 nmol/l [50]. Analoghe osservazioni sono disponibili per i tumori del colon-retto [51], per i quali è stata stimata una riduzione di incidenza di almeno il 50% per valori sierici di 25(OH)D superiori a 34 ng/ml [52]. Recentemente nella popolazione europea è stata confermata una minor incidenza di quasi il 30% di carcinomi del colon-retto in soggetti con adeguato introito calcico che presentano buoni valori prediagnostici di 25(OH)D [53]. Inoltre in pazienti affetti da melanoma, quelli con livelli sierici di 25(OH)D superiori a circa 60 nmol/l recidivano di meno [54].

Sul rapporto tra stato vitaminico D e rischio neoplastico non mancano tuttavia segnalazioni in senso opposto. Una recente meta-analisi non solo non ha mostrato alcun rapporto tra ipovitaminosi D e rischio di carcinoma del pancreas, ma ha segnalato un aumento del rischio per elevati livelli di 25(OH)D, superiori a 100 nmol/l [55]. Analogamente è stato riportato un aumento della mortalità, e in particolare di quella neoplastica, sia per livelli sierici bassi sia per livelli elevati di 25(OH)D [40]. A tutt’oggi è disponibile un solo trial clinico randomizzato che abbia valutato gli effetti della supplementazione vitaminica D sul rischio neoplastico: è stata riportata una significativa riduzione del rischio in soggetti trattati giornalmente con 1.100 UI di vitamina D in associazione con calcio, rispetto al solo calcio o al placebo [56].

Patologie infettive

La potente azione battericida della catelicidina monocito-macrofagica, indotta dall’attivazione della vitamina D, oltre a giustificare lo storico beneficio dell’irradiazione ultravioletta o solare nei confronti della malattia tubercolare, ha indotto la valutazione di eventuali correlazioni tra stato vitaminico D e diverse condizioni infettive, sia batteriche sia virali. In una grande casistica americana è stata effettivamente osservata una correlazione inversa tra l’incidenza di infezioni delle prime vie respiratorie e i livelli sierici di 25(OH)D [57]. L’associazione era particolarmente evidente nei pazienti con broncopneumopatie croniche ostruttive o asma, nei quali tra l’altro è stata recentemente osservata una correlazione positiva tra livelli sierici di vitamina D, funzione respiratoria e risposta ai corticosteroidi [58]. Secondo una recente review le maggiori evidenze indicanti un potenziale ruolo preventivo o terapeutico della supplementazione con vitamina D riguardano la tubercolosi, le malattie virali delle prime vie respiratorie e l’influenza [59]. Recentemente in un trial clinico randomizzato e in doppio cieco verso placebo è stato osservato che la somministrazione di sole 1.200 UI di vitamina D3 in bambini in età scolare può ridurre di oltre il 40% il rischio di ammalarsi di influenza A [60]. In condizioni di ipovitaminosi D è stata anche riportata nell’epatite cronica C una ridotta risposta al trattamento con interferone [61] (Tabella II).

Autore, anno [rif]

Tipo studio

N partecipanti

Outcome

Risultati

Ginde, 2009 [57]

Analisi secondaria

18.883

Misurazione dell’associazione tra livelli di 25(OH)D e URTI

I livelli di 25(OH)D sono inversamente associati con URTI recenti (p < 0,001), riscontrati in percentuale pari a:

  • 24% per 25(OH)D < 10 ng/ml
  • 20% per 10 ng/ml ≤ 25(OH)D < 30 ng/ml
  • 17% per 25(OH)D ≥ 30 ng/ml

Sutherland, 2010 [58]

Trial randomizzato in doppio cieco

54

Determinare l’effetto dei livelli di vitamina D sul fenotipo e la risposta ai GC nell’asma

Nell’asma ridotti livelli di vitamina D sono associati a una ridotta funzionalità polmonare (22,7 ml di aumento nella FEV1 per ogni ng/ml di aumento della vitamina D; p = 0,02), a un’aumentata iperresponsività delle vie respiratorie (necessari 1,03 vs 1,92 mg/ml di metacolina per indurre una riduzione di FEV1 del 20%; p = 0,01) e a una ridotta risposta ai GC (0,05 volte incremento di MKP-1 per ogni ng/ml di aumento della vitamina D; p = 0,02)

Urashima, 2010 [60]

Trial randomizzato in doppio cieco

334

Determinare l’effetto della supplementazione in vitamina D sull’incidenza dell’influenza A stagionale nei bambini in età scolare

La supplementazione in vitamina D3 durante l’inverno riduce l’incidenza dell’influenza A nei bambini in età scolare (10,8% vs 18,6%; p = 0,04) e l’incidenza degli attacchi d’asma nei bambini asmatici (2/167 vs 12/167; p = 0,006)

Petta, 2010 [61]

Trial clinico

246

Indagare il ruolo della 25(OH)D nella progressione dell’epatite cronica C e nella risposta virologica alla terapia basata su interferone

I pazienti con il genotipo 1 di HCV hanno livelli sierici di 25(OH)D bassi (forse per ridotta espressione di CYP27A1) (p < 0,001). Bassi livelli di vitamina D correlano con fibrosi severa e con bassi tassi di risposta virologica alla terapia basata su interferone

Tabella II. Riassunto dei principali recenti studi che hanno indagato il ruolo della vitamina D nelle patologie infettive e nell’asma

25(OH)D = 25-idrossivitamina D; FEV1 = Forced Expiratory Volume in the 1st second; GC = glucocorticoidi; HCV = Hepatitis C Virus; MKP-1 = Mitogen-activated protein Kinase Phosphatase-1; URTI = Upper Respiratory Tract Infections

Patologie reumatiche

I pazienti con patologie autoimmuni, tra cui molte, ma non solo, di natura reumatica, presentano spesso livelli sierici di 25(OH)D indicativi di grave carenza e inferiori a quelli mediamente riscontrabili in controlli sani [62]. è stato osservato che soggetti con maggior introito alimentare di vitamina D sono meno esposti al rischio di ammalarsi di una patologia autoimmune come l’artrite reumatoide [63], ma ciò non è stato confermato in uno studio successivo [64]. La discrepanza è attribuibile alla scarsa accuratezza nel valutare lo stato vitaminico D, stimato per entrambi gli studi sulla base dell’introito alimentare che rappresenta, come noto, solo il 10-20% della quota endogena di vitamina D. Altri studi hanno osservato una correlazione inversa tra i livelli sierici di 1,25(OH)2D [65] o 25(OH)D [66] e l’attività di malattia in corso di artrite reumatoide. Non è chiaro tuttavia se una condizione di ipovitaminosi D in corso di artrite reumatoide particolarmente attiva possa essere semplicemente la conseguenza di uno stato di disabilità associato, con compromissione in particolare dell’esposizione solare, o essere una concausa della flogosi e della disabilità. In uno studio multicentrico italiano condotto su pazienti con artrite reumatoide abbiamo osservato una correlazione positiva tra stato vitaminico D e probabilità di remissione o di risposta alla terapia e una correlazione negativa con il grado di disabilità [9]. Tali correlazioni rimanevano significative anche dopo correzione per i maggiori determinanti dei livelli sierici di 25(OH)D (esposizione solare, indice di massa corporea ed età). Ciò fa ritenere che effettivamente la vitamina D possa svolgere un ruolo nel controllo dell’attività di malattia in corso di artrite reumatoide e nell’attenuare le conseguenti condizioni di disabilità.

Già in passato bassi livelli sierici di 25(OH)D sono stati visti associarsi anche con il peggioramento di coxartrosi e gonartrosi, anche se non sempre. Recentemente è stato confermato che i maschi con deficit di vitamina D hanno un rischio doppio di avere segni radiografici di osteoartrosi dell’anca [67] ed è stato documentato con risonanza magnetica nucleare che il volume cartilagineo in donne con gonartrosi è positivamente associato con i livelli sierici di 25(OH)D, sia al basale sia longitudinalmente [68]. Si ricorda che recettori per la vitamina D sono presenti nei condrociti articolari umani e che l’insufficienza di vitamina D potrebbe compromettere la capacità dell’osso subcondrale di resistere agli insulti traumatici.

In alcuni studi è stato inoltre osservato che bassi livelli di vitamina D, nonostante la correzione per le numerose covariate possibili, si associano a un significativo aumento del rischio di dolore cronico lombare [69] o diffuso [70], in particolare nelle donne, per motivi per il momento non chiari.

Infine, anche nel lupus eritematoso sistemico [71,72] e nella sclerosi sistemica [73] lo stato vitaminico D sembra condizionare alcune manifestazioni cliniche.

Patologie neurologiche

In ambito neurologico di estremo interesse, anche se ancora di incerto significato clinico, sono inoltre le segnalazioni di un’associazione del deficit di vitamina D con rischio di sclerosi multipla, depressione, deficit cognitivi e morbo di Parkinson [74-77].

Conclusioni

Implicazioni per ulteriori ricerche

Appare evidente la necessità di trial clinici che valutino specificamente gli effetti sistemici della supplementazione con vitamina D in condizioni carenziali. Non sarà tuttavia facile condurli per motivi etici e interpretarne i risultati, perché sin da ora appare opportuno evitare condizioni di insufficienza di vitamina D, considerato anche il basso costo e il buon profilo di sicurezza di un intervento preventivo.

In conclusione sono numerose le evidenze disponibili relative a potenziali effetti clinici extrascheletrici della vitamina D. Tuttavia si noterà che molte delle osservazioni, derivando da studi osservazionali, indicano associazioni tra stato vitaminico D e patologie nelle quali non è possibile ancora definirne il ruolo di causa o effetto. Appare inoltre evidente la necessità di trial clinici che valutino specificamente gli effetti sistemici della supplementazione con vitamina D. Comunque, considerata la grave condizione carenziale italiana, specie in età senile, risulta secondo me doveroso prestare una maggiore attenzione alla prevenzione del deficit di vitamina D, tenendo conto del favorevole rapporto costi/potenziali benefici e del noto profilo di sicurezza. Il riscontro di un’elevata prevalenza di ipovitaminosi D anche nei più recenti dati epidemiologici dimostra l’insufficienza o l’inadeguatezza dei trattamenti preventivi sino ad ora intrapresi in questo senso.

La review in breve

Quesito clinico

Analizzare i più recenti dati disponibili sugli effetti extrascheletrici della vitamina D, argomento di crescente interesse in ambito clinico

Tipo di revisione

Narrativa

Ricerca della letteratura

PubMed; keyword: “vitamin D”; articoli in lingua inglese, ultimi 10 anni, privilegiando i più recenti

Conclusioni

Sono numerose le motivazioni e le evidenze disponibili relative a potenziali effetti clinici extrascheletrici della vitamina D. Uno stato carenziale di vitamina D sembra associarsi a un aumento del rischio per alcune patologie muscolari, cardiovascolari, metaboliche, autoimmuni, reumatiche, infettive, neurologiche e neoplastiche. Tuttavia gli attuali dati disponibili, derivando in gran parte da studi osservazionali, indicano associazioni nelle quali non è possibile ancora definirne il ruolo di causa o effetto dello stato vitaminico D. Per motivi fisiopatologici ci si attendono effetti della supplementazione con vitamina D solo in condizioni carenziali

Aree grigie

Le meta-analisi attualmente disponibili relative agli effetti extrascheletrici della supplementazione con vitamina D sono generalmente insufficienti

Bibliografia

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