RHC 2011;2(3)161-170

Reviews in Health Care 2011; 2(3): 161-170

Disease

Narrative review

Cardiomiopatia peripartum

Peripartum cardiomyopathy

Rodolfo Citro 1, Roberta Giudice 1, Marco Mirra 1, Rosa Paolillo 1, Chiara Paolillo 1, Anna Battimelli 1, Gennaro Provenza 1, Amelia Ravera 1, Rosario Farina 1, Cesare Baldi 1

1 Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia, AOU San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona “Scuola Medica Salernitana”, Salerno

Abstract

Peripartum cardiomyopathy is an uncommon form of congestive heart failure associated with systolic dysfunction of left ventricle. The onset is characterised by symptoms of heart failure occurring between the last month of pregnancy and 5-6 months postpartum. The early diagnosis and the institution of medical treatment for this disease are essential because the inadequate management may affect the patient’s long-term prognosis and can lead to severe complications, including death.

Currently its aetiology is not completely understood. Many aetiopathogenetic hypotheses have been formulated: inflammation, viral agents, autoimmune processes. In the last years, evidences aroused for a role of prolactin and its 16 kDa metabolite in reducing cardiomyocite metabolic activity and contraction. In this article we have reviewed the current literature with special emphasis on the role of prolactin and the related current treatment strategies. In particular, bromocriptine appears promising, even if women need to be informed that the drug stops the production of breastmilk. Further researchers, such as large multicenter trials, are needed to decide the best treatment for the women suffering of this disease.

Keywords

Peripartum cardiomyopathy; Cardiac failure; Prolactin; Pregnancy

Corresponding author

Dott. Rodolfo Citro

Dipartimento Medico-Chirurgico di Cardiologia,

AOU San Giovanni di Dio e Ruggi D’Aragona “Scuola Medica Salernitana”

Largo Città di Ippocrate Salerno – 84131.

Tel. 089 673377- Cell. 347 3570880 - Fax 089673314

E-mail: rodolfocitro@teletu.it

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione e cenni storici

La cardiomiopatia peripartum (peripartum cardiomyopathy, PPCM) è una cardiomiopatia caratterizzata da disfunzione sistolica del ventricolo sinistro che esordisce con i segni clinici dello scompenso cardiaco, nelle ultime fasi della gravidanza o, più spesso, durante i primi 5-6 mesi dopo il parto che, se non riconosciuta e adeguatamente trattata, può esporre a complicanze gravi, fino alla morte [1,2].

Demakins e colleghi nel 1971 sono stati tra i primi a riconoscere la PPCM come entità nosologica [1]. Nel 1999, grazie allo sviluppo dell’ecocardiografia, è stato possibile ampliarne la conoscenza in modo da definire criteri diagnostici clinici e strumentali e identificare anche utili indicatori prognostici [3].

Fisiopatologia

  • Miocardite virale
  • Anormale risposta immunitaria
  • Risposta abnorme allo stress emodinamico
  • Aumentata apoptosi dei miociti
  • Infiammazione citochino-mediata
  • Malnutrizione
  • Componenti genetiche
  • Eccessiva produzione di prolattina
  • Anormale funzione ormonale
  • Aumentato tono adrenergico
  • Ischemia miocardica

Tabella I. Principali ipotesi eziologiche per l’insorgenza di cardiomiopatia peripartum

Alcuni Autori hanno ipotizzato che la cardiomiopatia peripartum sia l’evoluzione di una cardiomiopatia dilatativa idiopatica già presente in epoca pre-gestazionale, che dà segno di sé a causa dell’ipervolemia gravidica. Tuttavia, la PPCM si verifica con maggior frequenza nei mesi successivi al parto quando, al contrario, la volemia si riduce.

A tutt’oggi l’eziologia della PPCM non è ancora nota. Le principali ipotesi prese in considerazione sono riassunte in Tabella I e in Figura 1. Molti Autori sostengono un’ipotesi infiammatoria [5], basata sul riscontro in queste pazienti di alti livelli sierici di markers infiammatori e innescata da infezioni virali [6] o da una risposta autoimmune (cross-reattività tra antigeni fetali nel sangue materno e tessuto miocardico della gestante) [7,8].

L’ipotesi più interessante sembra il coinvolgimento di un frammento molecolare cardiotossico derivato dalla scissione della prolattina. Quest’ultima è un ormone ipofisario, secreto durante la gravidanza e nel postpartum per stimolare la produzione di latte materno. In presenza di alto stress ossidativo la prolattina viene lisata dall’enzima catepsina D dando luogo a un frammento di 16 kDa con proprietà angiostatiche e pro-apoptotiche [9]. Le pazienti affette da PPCM hanno elevati livelli sierici di LDL ossidate, indicative di un alto stress ossidativo sistemico, livelli aumentati di catepsina D, di prolattina totale e del suo frammento angiostatico 16 kDa. Quest’ultimo, in studi sperimentali eseguiti sui ratti, ha dimostrato:

  • di inibire la proliferazione e la migrazione delle cellule endoteliali;
  • di indurre la loro apoptosi distruggendo capillari già formati;
  • di promuovere la vasocostrizione;
  • di deprimere la funzione contrattile dei cardiomiociti.

Un deficit dei meccanismi di difesa antiossidanti, con conseguente alto stress ossidativo, potrebbe essere il trigger che innesca questa cascata patogenetica [10]. Infine, studi su femmina di ratto hanno dimostrato come la delezione di un gene (STAT3) induca una iperproduzione e una iperattivazione dell’enzima catepsina D favorendo lo sviluppo di PPCM. In questa popolazione la somministrazione di bromocriptina, un agonista dei recettori D2 della dopamina, previene la comparsa delle PPCM, attraverso la soppressione di prolattina.

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Figura 1. Rappresentazione schematica dei possibili meccanismi patogenetici implicati nell’insorgenza di cardiomiopatia peripartum (PPCM) [4]

Epidemiologia

Il 58% dei casi di PPCM si verifica in donne di età superiore ai 30 anni; circa un terzo (27-33%) [5] delle pazienti si ammala durante la prima gravidanza.

La maggior incidenza è stata riscontrata a Haiti (1/299) [11,12], in Sudafrica (1/1.000) e in USA (1/2.289-1/4.000) [13]. Tra le donne statunitensi quelle ispaniche rappresentano la frazione minore.

Sembra che ad aumentare il rischio di questa patologia concorrano sia i classici fattori cardiovascolari (ipertensione, diabete, fumo), sia quelli connessi alla gravidanza (età avanzata, multiparità, gravidanze gemellari, pre-eclampsia, ipertensione gestazionale, farmaci facilitanti il parto, tocolisi [14], malnutrizione) [15] sia fattori genetici (etnia afro-americana) [16,17].

Quadro clinico

La presentazione clinica della PPCM [18] è molto variabile e risulta essere molto simile ai quadri di scompenso cardiaco sistolico secondari ad altre cardiomiopatie. Il più delle volte l’esordio è subdolo essendo i primi segni e sintomi presenti anche negli ultimi stadi di una gravidanza fisiologica (edema delle caviglie, dispnea da sforzo, ortopnea, dispnea parossistica notturna, tosse persistente, astenia, palpitazioni). Per limitare il ritardo diagnostico è necessario porre attenzione alla comparsa di tachicardia, di un terzo tono cardiaco, di rantoli crepitanti basali all’auscultazione del polmone e di turgore venoso giugulare, poiché non presenti fisiologicamente in gravidanza.

Ulteriori segni e sintomi riscontrabili sono: dolenzia addominale secondaria a congestione epatica, dolore precordiale, vertigini, spostamento dell’itto della punta e, in fase avanzata, ipotensione posturale e anemia.

Nel 78% dei casi i sintomi compaiono entro i primi 4 mesi dopo il parto, mentre soltanto nel 9% delle pazienti la patologia esordisce durante l’ultimo mese di gestazione.

La malattia in genere ha un decorso evolutivo e, nella maggioranza dei casi, viene diagnosticata in fase avanzata quando le pazienti si trovano in un avanzato grado di compromissione funzionale (classe funzionale III o IV secondo la classificazione NYHA – New York Heart Association). Purtroppo, in alcuni casi la patologia può esordire con aritmie ventricolari minacciose o arresto cardiaco che se non prontamente trattati possono risultare fatali [19].

In pazienti con marcata dilatazione del ventricolo sinistro e severa riduzione della frazione di eiezione [20] sono possibili episodi embolici periferici (cerebrali [21], coronarici [22], mesenterici ed eventualmente polmonari) secondari a trombosi ventricolare sinistra.

Percorso diagnostico

La diagnosi precoce è essenziale. Non possedendo ancora specifici marker diagnostici possiamo formulare la diagnosi unicamente per esclusione. I criteri diagnostici attuali per la cardiomiopatia peripartum prevedono:

  • scompenso cardiaco esordito durante l’ultimo mese di gravidanza o durante i 5-6 mesi dopo il parto;
  • assenza di altra causa dimostrabile di scompenso cardiaco;
  • una frazione di eiezione stimata all’ecocardiografia inferiore al 45%, una frazione di accorciamento sistolico inferiore al 30% e un diametro telediastolico indicizzato del ventricolo sinistro maggiore di 2,7 cm/m2.

Poiché è importante escludere altre possibili cause di scompenso cardiaco è necessario eseguire un esame ematico completo – con cui è possibile evidenziare un’eventuale anemia, alterazione elettrolitica, disfunzione renale, epatica o tiroidea – accompagnata dalla ricerca di marker infiammatori e antivirali.

L’esame elettrocardiografico è aspecifico potendo mostrare: tachicardia sinusale, fibrillazione o flutter atriale, extrasistolia ventricolare frequente isolata o ripetitiva fino alla tachicardia ventricolare, modificazioni aspecifiche della fase di ripolarizzazione ventricolare [23].

L’ecocardiografia è indispensabile per verificare la dilatazione delle cavità cardiache [24], la disfunzione ventricolare sinistra e per la diagnosi differenziale con altre cause di scompenso cardiaco (es. valvulopatie, embolia polmonare, versamento pericardico). Oltre che per la diagnosi, l’ecocardiografia è importante perché fornisce degli indicatori prognostici, come l’entità della dilatazione, nonché il grado di compromissione della funzione sistolica e diastolica ventricolare sinistra, utili nel riconoscimento delle pazienti a più alto rischio [25].

La risonanza magnetica (MRI), pur non identificando specifici pattern di PPCM, può essere di aiuto nella diagnosi differenziale con altre forme di cardiomiopatia [26].

La biopsia endomiocardica mostra danno al miocardio con progressiva apoptosi e necrosi dei cardiomiociti e distruzione del citoscheletro e conseguente perdita di muscolo cardiaco.

L’esame bioptico, pur presentando un’elevata specificità, ha una sensibilità limitata e pertanto non è raccomandato di routine.

Aspetti terapeutici e follow-up

La gestione terapeutica della cardiomiopatia peripartum necessita di un approccio multidisciplinare che coinvolge il cardiologo, il ginecologo, il rianimatore e il pediatra.

Gli obiettivi del trattamento medico sono:

  • riduzione del precarico e del postcarico;
  • aumento della contrattilità miocardica;
  • prevenzione delle complicanze (tromboembolia, congestione polmonare, aritmie) e della mortalità.

Se dopo il parto la terapia della cardiomiopatia peripartum coincide con quella per lo scompenso cardiaco dettata dalle linee guida della European Society of Cardiology [27], le cose cambiano in caso di insorgenza della PPCM durante la gravidanza. Infatti in questi casi ACE-inibitori e bloccanti del recettore per l’angiotensina II (ARB) sono controindicati per tossicità renale fetale [28,29]; al contrario possono essere utilizzati idralazina e nitrati a lunga durata d’azione [30]. I beta-bloccanti non sembrano essere teratogenici [31] ma possono causare ritardo di crescita del feto; vanno preferiti i beta1-selettivi per il possibile effetto anti-tocolitico derivante dal blocco beta2. I diuretici sono utili per diminuire il precarico e la congestione polmonare ma vanno utilizzati con prudenza perché diminuiscono il flusso placentare. Spironolattone ha effetti anti-androgenici nel primo trimestre di gravidanza. Warfarin è tossico per il feto, per cui una terapia anticoagulante prevede l’utilizzo di eparina a basso peso molecolare (Low Molecular Weight Heparin, LMWH).

La restrizione dell’introito di fluidi a 2 litri al giorno e del sale nella dieta sono utili per migliorare i sintomi.

Inoltre è importante mantenere il fisiologico equilibrio idro-elettrolitico e controllare i livelli di potassio e magnesio (che facilmente diminuiscono durante la gestazione) per evitare possibili aritmie.

La restitutio ad integrum con il recupero completo della funzione contrattile miocardica si osserva in circa il 40% delle pazienti in genere nel giro di pochi mesi. L’ecocardiografia prima della dimissione, a 6 settimane, a 6 mesi e successivamente ogni anno è utile per monitorare il recupero completo della funzione contrattile miocardica e gli effetti della terapia sui parametri emodinamici.

Una disfunzione ventricolare sinistra che persiste per più di 6 mesi dopo l’esordio è solitamente indice prognostico sfavorevole e di irreversibilità della patologia. Tuttavia alcuni casi hanno mostrato un recupero funzionale del ventricolo sinistro fino al terzo anno dopo l’esordio.

Pazienti in condizioni gravi, refrattarie al trattamento medico con progressivo e irreversibile deterioramento della funzione ventricolare sinistra potrebbero necessitare di assistenza ventricolare meccanica in attesa di eventuale trapianto cardiaco [32-34].

Prospettive future

Bromocriptina, già utilizzata per ottenere l’interruzione della lattazione, sembra essere promettente nel trattamento della PPCM, in quanto inibisce la secrezione di prolattina. Sulla base di questo concetto, bromocriptina è stata impiegata in alcuni case report [35]. L’unico trial controllato finora pubblicato, nonché l’unico incluso in una revisione Cochrane sull’argomento [36], ha preso in esame 20 donne con insufficienza cardiaca seguite nel periodo postpartum [37]. L’impiego del farmaco alla dose di 2,5 mg, due volte al dì per due settimane, seguiti da 2,5 mg al dì per 6 settimane ha dato buoni risultati in termini di recupero funzionale del ventricolo sinistro [38]. È opportuno tener presente che il suo utilizzo nel postpartum aumenta il rischio di infarto miocardico acuto e andrebbe coadiuvato da una contemporanea, adeguata terapia anticoagulante. La terapia con bromocriptina sembra promettente, nonostante le donne trattate con questo farmaco non possano allattare al seno a causa del suo effetto di inibizione sulla lattazione. I risultati di questo trial sono riassunti in Tabella II. Trial clinici controllati e randomizzati su ampia scala sarebbero opportuni al fine di validare definitivamente l’impiego di bromocriptina nel trattamento della PPCM.

Tipo di studio

Studio pilota prospettico, single-center, randomizzato, open-label

Partecipanti

Criteri di inclusione:

  • donne con diagnosi di PPCM entro il primo mese postpartum (definita come: donne con sintomi di insufficienza cardiaca congestizia sviluppati nell’ultimo mese di gravidanza o durante il primo mese postpartum, nessun altra causa identificabile di insufficienza cardiaca e LVEF < 35% all’ecocardiografia transtoracica)
  • N = 20 (su 93 con PPCM sospetta).

Criteri di esclusione:

  • donne con pressione sistolica > 160 or < 95 mmHg o diastolica > 105 mmHg
  • condizioni cliniche diverse dalla cardiomiopatia che possono determinare aumento di livelli dei markers infiammatori (es. sepsi, patologie autoimmuni, infezione da HIV, patologie epatiche significative, definite come livelli di transaminasi epatiche > 2 volte i limiti di normalità)
  • storia di ulcera peptica o disordini psichiatrici
  • funzione renale compromessa, definita come urea e/o creatinina > 1,5 volte i valori normali

Intervento

Intervento: bromocriptina + terapia standard per insufficienza cardiaca (n = 10):

  • 2,5 mg 2 volte al giorno per 2 settimane seguite da 2,5 mg per 6 settimane in aggiunta alla terapia standard (vedi sotto gruppo di controllo)

Gruppo di controllo (n = 10):

  • diuretico (furosemide) e ACE-inibitore (enalapril)
  • donne con LVEF < 25% o LV ricevettero in aggiunta una terapia anticoagulante con warfarin per 6 mesi
  • carvedilolo aggiunto dopo la risoluzione dell’insufficienza cardiaca acuta
  • le dosi di enalapril e carvedilolo furono titolate fino ai livelli tollerati nelle prime 4 settimane dopo la diagnosi e poi rimasero invariate per i restanti 6 mesi dello studio
  • la dose di furosemide venne ridotta sulla base della valutazione clinica nel corso dei 6 mesi dello studio

Risultati

Non ci furono significative differenze nelle caratteristiche al baseline tra il gruppo di studio e il gruppo di controllo, inclusi i livelli sierici di 16 kDa prolattina e l’attività della catepsina D. Nel gruppo di studio le pazienti mostrarono un maggiore recupero della frazione di eiezione del ventricolo sinistro (dal 27% al 58%; p = 0,012) rispetto al gruppo di controllo (dal 27% al 36%) a 6 mesi. Una paziente nel gruppo di studio morì, rispetto alle 4 nel gruppo di controllo.

La MRI cardiaca mostrò l’assenza di trombi intracavitari.

I figli delle pazienti di entrambi i gruppi mostrarono una crescita e una sopravvivenza normali

Tabella II. Studio su bromocriptina [37]

ACE = angiotensin converting enzyme; LV = left ventricle; LVEF = left ventricular ejection fraction; MRI = magnetic resonance imaging; PPCM = peripartum cardiomyopathy

Altre opzioni terapeutiche

Un piccolo studio prospettico ha evidenziato che pentossifillina è efficace nel migliorare la funzione ventricolare, gli outcome e i sintomi se aggiunta alla terapia convenzionale [39].

Le immunoglobuline ev hanno dimostrato in svariati studi di migliorare la frazione di eiezione [40,41] e di ridurre i livelli di citochine infiammatorie, in particolare la tioredossina [42].

Il ruolo della terapia immunosoppressiva non è stato ancora provato in modo chiaro, tuttavia può essere presa in considerazione nelle pazienti con miocardite provata. Dati i numerosi meccanismi eziologici della cardiomiopatia peripartum, è improbabile che questo tipo di approccio possa essere utile in tutte le tipologie di pazienti e la mancanza di ampi studi controllati e randomizzati non consente considerazioni più approfondite su questo approccio [43].

I ricercatori hanno enfatizzato la necessità di verificare l’eventuale presenza di infezioni virali prima di intraprendere un trattamento immunosoppressivo, dato che tale trattamento potrebbe attivare dei virus latenti, con conseguente deterioramento della funzione miocardica [44,45].

Conclusioni

La cardiomiopatia peripartum è una patologia rara, ma che presenta elevati rischi, potendo condurre anche a morte. L’esordio della malattia può essere subdolo con segni e sintomi aspecifici che, se non sottoposti a un’attenta valutazione, possono essere confusi con “disagi” solitamente riferiti nelle donne nel periodo precedente e successivo al parto. Quando emerge il sospetto clinico è importante ottenere una rapida diagnosi al fine di avviare gli opportuni interventi terapeutici. Sono in studio numerose ipotesi eziologiche, tra cui quelle infiammatoria, virale e autoimmune, e svariate terapie, che spesso presentano forti limitazioni per le possibili conseguenze sul feto o sul latte materno: tra i diversi tipi di trattamento, il più promettente sembra al momento bromocriptina, che agisce inibendo la secrezione di prolattina. Tuttavia sono necessari studi ulteriori per confermarne l’efficacia.

Implicazioni per ulteriori ricerche

Vi è la necessità di ulteriori studi relativi alla gestione e al trattamento della cardiomiopatia peripartum. Studi clinici multicentrici randomizzati e controllati potrebbero fornire una guida fondamentale per il trattamento di questa grave patologia per le madri; sarebbe inoltre necessario che tali trial indagassero non solo gli outcome per le madri, ma anche quelli relativi ai bambini.

La review in breve

Quesito clinico

Riassumere le possibili opzioni per la gestione della cardiomiopatia peripartum

Tipologia di revisione

Narrativa

Ricerca della letteratura

PubMed, articoli in inglese, con keywords: peripartum cardiomyopathy, prolactin

Conclusioni

La cardiomiopatia peripartum è una patologia con elevati rischi, di conseguenza va presa in considerazione e adeguatamente trattata. Sono in studio numerose ipotesi eziologiche e svariate terapie, tra le quali la più promettente sembra al momento essere bromocriptina, che agisce inibendo la secrezione di prolattina. Tuttavia sono necessari studi ulteriori per confermarne l’efficacia.

Aree grigie

Sarebbero necessari trial clinici randomizzati mirati a valutare gli outcome dei trattamenti non solo sulla madre ma anche sul bambino

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