RHC 2011;2(Suppl 1)87-91

Reviews in Health Care 2011; 2(Suppl 1): 87-91

Quando e come è possibile un approccio pro-coagulante dell’emorragia cerebrale non traumatica non associata a farmaci anticoagulanti?

When and how is possible hemostatic therapy in non anticoagulant-associated intracerebral haemorrhage

Domenico Prisco 1, Elisa Grifoni 1, Caterina Cenci 1

1 Dipartimento di Area Critica Medico-Chirurgica, Università degli Studi di Firenze

Abstract

Hematoma volume is a major determinant of outcome in spontaneous intracerebral haemorrhage (ICH) and its secondary expansion occurs frequently and early with the potential sequelae of rostrocaudal deterioration or death. Therefore, early restriction of ICH volume is of paramount importance. Although few indications appear to be available for neurosurgical measures, nonsurgical measures such as reduction of hypertension and normalisation of altered coagulation seem to be beneficial. However, the routinary use of coagulation factors outside of anticoagulant-associated spontaneous ICH cannot generally be recommended at present. Future trials on recombinant coagulation factor VIIa with stricter selection criteria of inclusion time window, ICH and intraventricular haemorrhage volume, and age of patients are needed.

Keywords

Intracerebral haemorrhage; Hematoma volume; Hemostatic therapy; Recombinant activated factor VII

Corresponding author

Prof. Domenico Prisco

SOD Patologia Medica, AOU Careggi, Firenze

E-mail: priscod@aou-careggi.toscana.it

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di tipo finanziario in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

L’emorragia intracerebrale (EIC) costituisce la forma più grave di ictus. La sua incidenza è stimata intorno a 120-150 casi/milione di persone/anno, rappresentando circa il 20% di tutti i ricoveri per ictus. La mortalità a un mese è del 40%, a un anno di oltre il 50%, e solo il 20% dei pazienti recupera autonomia funzionale a 6 mesi [1,2].

Il tipo più comune di EIC spontanea, ovvero non associata a traumi o a farmaci anticoagulanti, è dovuto alla rottura delle piccole arterie o delle arteriole danneggiate da ipertensione o da angiopatia amiloide.

Il volume dell’ematoma all’esordio e lo sviluppo di emorragia intraventricolare sono tra i maggiori determinanti della prognosi nell’EIC; inoltre, anche l’espansione secondaria dell’ematoma si associa a un maggior rischio di deterioramento neurologico precoce [3-5]. L’aumento del volume dell’ematoma rappresenta una complicanza frequente nell’EIC, verificandosi in oltre il 70% dei casi quando definito come incremento di qualsiasi entità del volume dell’EIC o come invasione intraventricolare; inoltre, almeno un terzo dei pazienti presenta un aumento significativo del volume dell’ematoma, definito come incremento maggiore del 33% o superiore a 12,5 ml nelle prime 24 ore [6].

Sebbene strategie terapeutiche atte a limitare precocemente la crescita dell’ematoma siano potenzialmente in grado di migliorare la prognosi di questi pazienti, l’efficacia sia dell’intervento chirurgico precoce sia dei trattamenti medici rimane controversa [7].

Strategie terapeutiche per limitare l’espansione dell’ematoma nell’emorragia cerebrale

Le strategie terapeutiche volte a limitare l’espansione dell’ematoma nell’EIC possono essere suddivise in chirurgiche e non chirurgiche, sebbene i due approcci possano essere anche complementari [8].

L’approccio chirurgico, anche se potenzialmente in grado di rimuovere la fonte del sanguinamento e i prodotti deleteri derivanti dalla degradazione dei globuli rossi, rimane tuttora controverso, anche perché i principali trial condotti fino ad ora non hanno arruolato pazienti in una finestra temporale sufficientemente precoce per valutarne l’efficacia nel limitare l’espansione dell’ematoma [9,10].

L’approccio medico ha essenzialmente due obiettivi: il controllo dei livelli di pressione arteriosa e il ripristino di una normale emostasi.

Per quanto riguarda il trattamento antipertensivo, se da un lato la riduzione dei valori pressori in fase acuta ha teoricamente un fondamento razionale nel tentativo di favorire la fine del sanguinamento in atto, dall’altro la pressione sistemica elevata può migliorare la perfusione delle zone peri-ematoma compresse e ischemiche. Mancando ancora chiare evidenze in proposito, sembra ragionevole una riduzione cauta dei livelli pressori con un approccio terapeutico basato non solo sui valori di pressione arteriosa ma anche sulla situazione clinica del paziente come raccomandato dalle linee guida [11,12].

La correzione del difetto emostatico comprende il reversal della terapia antitrombotica nei pazienti con EIC associata all’uso di tali farmaci e la terapia emostatica nell’EIC spontanea non associata a farmaci antitrombotici. Inoltre, nei pazienti con difetti dell’emostasi, questi vanno corretti, per esempio, attraverso la somministrazione di concentrati piastrinici nei pazienti piastrinopenici o di fattori della coagulazione in quelli con carenze specifiche.

EIC si verificano approssimativamente con tassi di 0,3-0,6% per anno nei pazienti trattati con anticoagulanti orali, e il 6-16% di tutte le EIC avviene in corso di terapia anticoagulante. Nello studio ISCOAT, in 2.745 pazienti trattati con anticoagulanti orali si è osservato l’1,1% di complicanze emorragiche cerebrali di cui lo 0,25% mortale [13]. Il rischio è più elevato nei pazienti anziani (6% per anno in età superiore ai 70 anni), nei pazienti con valore di INR elevato e in quelli con amiloidosi cerebrale e leucoaraiosi. Il trattamento in questi casi consiste nel rapido ripristino della coagulazione utilizzando concentrati di complesso protrombinico associati a vitamina K o, in assenza dei concentrati, plasma fresco congelato e vitamina K.

I pazienti in trattamento con eparina endovena vengono riportati alla normale coagulazione mediante solfato di protamina a dosi variabili in base ai tempi di interruzione della terapia.

Le EIC avvengono anche nel 3-9% dei pazienti trattati con r-TPA intravenoso, nel 6% dei soggetti trattati in sequenza per via intravenosa e poi intrarteriosa e nel 10,9% di quelli trattati per via intrarteriosa. Il trattamento consigliato è con piastrine e/o plasma fresco congelato o concentrati di complesso protrombinico.

Anche la terapia con antiaggreganti piastrinici aumenta di 11,5 volte il rischio relativo di EIC spontanea. Non ci sono trattamenti farmacologici specifici per le complicanze emorragiche che avvengono con questa terapia; l’unico provvedimento utile può essere la trasfusione di concentrati piastrinici [2]. Alcuni Autori suggeriscono poi di utilizzare desmopressina (1-deamino-8-D-arginin vasopressina, DDAVP) [14].

Terapia emostatica nell’emorragia cerebrale non associata a farmaci antitrombotici

Nei pazienti con EIC non associata a farmaci anticoagulanti esistevano segnalazioni iniziali di un possibile effetto positivo di un trattamento con fattore VII attivato ricombinante (rFVIIa), un agente pro-emostatico che induce la generazione di trombina sulle piastrine attivate localmente e contribuisce alla stabilizzazione del coagulo di fibrina a livello dei vasi danneggiati.

Uno studio randomizzato di fase II, controllato con placebo e in doppio cieco, condotto su 399 pazienti non coagulopatici con EIC idiopatica utilizzando tre dosi di rFVIIa (40, 80 e 160 µg/kg) somministrato entro quattro ore dall’esordio dei sintomi, aveva mostrato che pazienti trattati con rFVIIa presentavano una significativa limitazione dell’aumento di volume dell’ematoma intracerebrale rispetto ai pazienti trattati con placebo, nonché una riduzione della mortalità e migliori esiti clinici, con risposta dose dipendente [15]. Eventi avversi tromboembolici arteriosi (soprattutto ischemie miocardiche e cerebrali) si verificavano con maggior frequenza nei pazienti trattati con rFVIIa rispetto a quelli trattati con placebo e la metà di essi interessava il gruppo a dose maggiore. Tuttavia la frequenza complessiva di eventi ischemici fatali o gravemente disabilitanti non differiva tra rFVIIa e placebo. Purtroppo i risultati di un trial di fase III (FAST – Factor VII for Acute Hemorrhagic Stroke), condotto su 816 pazienti randomizzati a ricevere 20 o 80 µg/kg di rFVIIa o placebo, hanno deluso le aspettative: il rFVIIa infatti non ha prodotto effetti sull’endpoint mortalità più disabilità a 90 giorni, nonostante la riduzione del volume dell’ematoma intracerebrale [16]. Inoltre, in questo studio dosi più elevate di rFVIIa, soprattutto in pazienti ad alto rischio, quali quelli più anziani, con segni di aterosclerosi coronarica o cerebrale, sono risultate associate con un lieve aumento del rischio di eventi tromboembolici, costituiti più frequentemente da eventi cardiaci minori [17]. Sono state proposte varie ipotesi per spiegare i risultati dello studio FAST, tra cui uno sbilanciamento nella percentuale di pazienti con emorragia intraventricolare all’esordio nei bracci dello studio (41% nel gruppo 80 µg/kg versus 29% nel gruppo placebo) e l’inclusione di pazienti molto anziani ad elevato rischio di complicanze fatali neurologiche e non neurologiche. È inoltre possibile che l’efficacia del rFVIIa sia maggiore per un sottogruppo di pazienti con EIC sottorappresentato nel FAST rispetto ai bracci attivi del trial di fase II. Un’analisi post hoc dello studio FAST [18] ha identificato nel sottogruppo di pazienti di età ≤ 70 anni, con volume dell’EIC < 60 ml, volume dell’emorragia intraventricolare < 5 ml e tempo intercorso tra l’esordio e il trattamento ≤ 2,5 ore una popolazione in grado di beneficiare maggiormente del trattamento con rFVIIa con un’odds ratio (OR) per outcome negativo a 3 mesi di 0,28 (IC 95% = 0,08-1,06) rispetto a 1,44 (IC 95% = 0,88-2,21) nel gruppo di pazienti dello studio FAST trattati con 80 µg/kg di rFVIIa. Il vantaggio del trattamento con rFVIIa nella stessa sottopopolazione di pazienti con EIC è stato confermato anche all’analisi dei dati del trial di fase II. Sulla base di questi risultati è quindi auspicabile un nuovo studio prospettico volto a valutare l’efficacia del rFVIIa in una popolazione di pazienti con EIC selezionata in base all’età, al volume dell’ematoma e alla finestra temporale del trattamento.

Non vi sono al momento indicazioni all’uso di farmaci antifibrinolitici nell’EIC. Sebbene alcuni studi abbiano dimostrato che gli antifibrinolitici riducono il rischio di risanguinamento dopo emorragia subaracnoidea [19] e che possono avere un qualche effetto nel limitare la crescita dell’ematoma nell’EIC [20,21], il loro uso non è risultato associato ad un miglioramento dell’outcome clinico a causa dell’incremento del rischio di eventi ischemici cerebrali [22].

Conclusioni

Strategie terapeutiche volte a limitare l’espansione dell’ematoma nell’EIC sono di fondamentale importanza per ridurre il rischio di outcome negativi, quali deterioramento neurologico e morte. Se l’opzione chirurgica sembra essere riservata a pochi casi, strategie mediche, come la modulazione dei valori di pressione arteriosa e il ripristino di una normale emostasi, sembrano avere un qualche beneficio. Tuttavia, la terapia emostatica nell’EIC spontanea non associata a farmaci anticoagulanti non è al momento raccomandabile. Studi futuri dovranno valutare l’efficacia del rFVIIa in gruppi selezionati di pazienti.

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