Reviews in Health Care 2011; 2(Suppl 1): 99-107
Trasformazione emorragica dello stroke ischemico e trattamento della trasformazione emorragica durante terapia trombolitica
Hemorrhagic transformation in ischemic stroke and its treatment during thrombolysis
Maurizio Paciaroni 1, Luca Masotti 2, Valeria Caso 1
1 Stroke Unit e Divisione di Medicina Cardiovascolare. Università degli Studi di Perugia, Italy
2 UO Medicina Interna, Ospedale di Cecina, ASL 6 Livorno
Abstract
Hemorrhagic transformation (HT) of brain infarction or hemorrhagic infarction is a complication of acute ischemic stroke, especially in cardioembolic stroke, and represents the most feared complication of thrombolysis. HT is a multifocal secondary bleeding into brain infarcts with innumerable foci of capillary and venular extravasation either remaining as discrete petechiae or emerging to form confluent purpura. HT is evidenced as a parenchymal area of increased density within an area of low attenuation in a typical vascular distribution on non-contrasted CT scans and is subdivided into two major categories on the basis of standardised definition: hemorrhagic infarct (HI) and parenchymal haematoma (PH). PH has been associated to poor outcome in ischemic stroke patients. Thus, its prevention, early detection and adequate treatment represent key points in the management of acute stroke.
Keywords
Hemorrhagic transformation; Ischemic stroke; Thrombolysis
Disclosure
Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di tipo finanziario in merito ai temi trattati nel presente articolo
Trasformazione emorragica dello stroke ischemico: definizione, fisiopatologia, fattori di rischio, sottotipi e outcome
La trasformazione emorragica (HT) di uno stroke ischemico si manifesta nell’8-9% dei pazienti [1,2]. È un fenomeno complesso, principalmente dovuto alla compromissione della barriera emato-encefalica, e potenziali trigger sono il danno da riperfusione, lo stress ossidativo, l’infiltrazione leucocitaria e la proteolisi da disregolazione extracellulare [3-6]. La HT può manifestarsi spontaneamente negli ictus ischemici, ma può anche essere una complicanza della terapia antitrombotica (antiaggregante piastrinica, anticoagulante e fibrinolitica) attualmente utilizzata nella fase acuta dell’ictus o nella profilassi secondaria [7-9]. Lo spettro clinico della HT è variabile; nella maggior parte dei casi, infatti, non vi è un aggravamento della sintomatologia iniziale e la HT può essere evidenziata a un controllo TC non urgente, mentre nelle HT sintomatiche vi è generalmente un deterioramento neurologico che può esitare in un outcome funzionale peggiore o nel decesso del paziente [10].
I fattori predittivi di un HT sono rappresentati dalla presenza di un’ampia lesione ischemica iniziale, di uno stroke secondario a cardioembolismo, dal riscontro di alti livelli di glicemia all’ingresso in Ospedale, dall’esecuzione di trattamento trombolitico, dall’uso concomitante della profilassi del tromboembolismo venoso (TEV) con eparine a basso peso molecolare o eparina non frazionata e dal precedente utilizzo di farmaci anticoagulanti orali [2,11]. L’attenta valutazione del rischio di sanguinamento, così come indicato dalla recenti linee guida NICE (Figura 1), potrebbe limitare la HT secondaria al trattamento profilattico del TEV nel paziente con stroke ischemico [12,13].
Figura 1. Profilassi TEV in pazienti con stroke acuto secondo le linee guida NICE [12,13]
EBM = eparine a basso peso molecolare; ENF = eparina non frazionata
Infarto emorragico 1 (HI 1), petecchie non confluenti |
Infarto emorragico 2 (HI 2), petecchie confluenti |
Ematoma parenchimale 1 (PH 1), interessamento emorragico < 30% dell’area ischemica con lieve/moderato effetto massa |
Ematoma parenchimale 2 (PH 2), interessamento emorragico > 30% con significativo effetto massa |
Tabella I. Classificazione clinica della trasformazione emorragica dello stroke
La HT è stata classificata secondo criteri basati non solo sulla presenza di sintomi ma anche in base a caratteristiche neuroradiologiche precise, evidenziabili alla tomografia computerizzata (TC) o alla risonanza magnetica (RM) dell’encefalo [9]. Il primo gruppo è caratterizzato dalla presenza alle neuroimmagini di materiale ematico all’interno della lesione ischemica sotto forma di petecchie isolate o confluenti le quali non determinano compressione sul circostante parenchima cerebrale sano. Questa entità è definita infarto emorragico (hemorrhagic infarct, HI). Il secondo gruppo è caratterizzato da materiale ematico all’interno della lesione ischemica in quantità tale da rappresentare un vero e proprio ematoma parenchimale (parenchimal hematoma, PH) [9]. La Tabella I riassume i criteri per definire la HT.
Le Figure 2 e 3 mostrano alcuni esempi di HT. Studi clinici hanno dimostrato che solo gli PH, che si manifestano nel 3% circa dei pazienti con stroke ischemico, hanno una prognosi negativa [2,9].
Figura 2. Esempi di trasformazione emorragica tipo HI (infarto emorragico)
Figura 3. Esempio di trasformazione emorragica tipo PH (ematoma parenchimale)
Nello studio ECASS (European Cooperative Acute Stroke Study) la presenza di PH 2 si associava a un rischio relativo di rapido deterioramento neurologico di 32,3 (IC 95% = 13,4-77,7) e di mortalità a 3 mesi di 18,0 (IC 95% = 8,05-40,1) [9]. Più recentemente Paciaroni e colleghi hanno evidenziato che il 91,7% dei pazienti con PH era deceduto o severamente disabile a 3 mesi, con un rischio relativo di mortalità o severa disabilità di 15,29 (IC 95% = 2,35-99,35) [2]. Gli HI, che si manifestano nel 5,5% circa dei pazienti con ictus ischemico, sembrano avere un effetto positivo sullo stesso [2]. Una possibile spiegazione di questo dato può essere trovata considerando l’HI come segno di riperfusione della zona ischemizzata.
Trasformazione emorragica dello stroke ischemico: implicazioni clinico-terapeutiche
Nel paziente che presenta un PH deve essere interrotto qualsiasi trattamento antitrombotico, almeno fino alla dimostrazione della cessazione del sanguinamento, mentre nel paziente con HI la sospensione del trattamento antitrombotico deve essere valutata caso per caso, visto che, in mancanza di solide evidenze della letteratura, non esistono indicazioni precise da parte delle linee guida disponibili. È consigliabile l’interruzione di un trattamento anticoagulante, mentre un trattamento con antiaggreganti piastrinici potrebbe, in alcuni casi, essere continuato (ad es. nel paziente con stroke secondario a stenosi carotidea significativa o fibrillazione atriale, condizioni nelle quali il rischio di recidiva precoce è molto alto, con attento monitoraggio clinico e neuro-radiologico) [14-16].
Emorragia cerebrale secondaria a trattamento tombolitico nello stroke ischemico
La trombolisi sistemica con rt-PA (recombinant tissue-type plasminogen activator) endovena rappresenta il primo e unico trattamento per lo stroke ischemico acuto approvato dall’autorità regolatoria europea (EMA, European Medicines Agency) e dal Ministero della Salute. Tuttavia, nella pratica clinica, solo una piccolissima minoranza dei pazienti è sottoposta a questo trattamento; in Italia è stimato che solo lo 0,2% del totale dei pazienti con ictus ischemico e il 1,5% dei pazienti trattabili vengano effettivamente sottoposti a trombolisi sistemica per lo stroke ischemico [16]. Le ragioni di un tale “sottoutilizzo” sono molteplici e solo in parte riconducibili al limite della cosiddetta “finestra terapeutica” (ad oggi rappresentata dalle prime 3 ore dall’insorgenza dei sintomi, ma verosimilmente prossima ad essere estesa a 4,5 ore). Alcuni Autori suggeriscono che il sottoutilizzo della trombolisi sia soprattutto da ricercare nel timore che possa verificarsi una complicanza emorragica [17]. Il rischio di emorragia sintomatica intracerebrale, infatti, rappresenta la reazione avversa maggiore nel trattamento dell’ictus ischemico acuto solo nel 6-7% dei pazienti e comunque senza essere stata associata ad alcun aumento della morbilità o mortalità complessiva [17]. La mortalità nei pazienti che sviluppano ICH secondaria a trombolisi è comunque elevata. Una recente analisi condotta su 352 pazienti sottoposti a trombolisi dimostra che la mortalità in 20 pazienti (5,7%) che avevano sviluppato ICH è risultata del 75% [18].
Fattori di rischio per ICH trombolisi-correlata sono rappresentati da severo deficit neurologico, elevati livelli di pressione arteriosa sistolica, edema cerebrale o effetto massa alla TC pre-trattamento, iperglicemia, bassa conta piastrinica e anamnesi di scompenso cardiaco [19,20].
Non esistono linee guida basate sull’evidenza nella gestione dell’ICH correlata a trombolisi. Le raccomandazioni, seppur codificate, sono empiriche [14-16] e il trattamento è spesso differente nelle varie realtà e talora diverso nella medesima realtà dove la scelta di una strategia di neutralizzazione può risultare operatore-dipendente. Nella casistica precedentemente descritta, che rappresenta ad oggi la casistica più numerosa sul trattamento dell’ICH da trombolisi, solo 11 pazienti su 20 ricevettero una terapia di neutralizzazione: 7 pazienti su 20 ricevettero plasma fresco congelato, 5 crioprecipitati, 4 vitamina K1 endovena, 3 unità piastrinche e un paziente ricevette antifibrinolitici. 5 pazienti su 11 ricevettero più di un farmaco. È interessante notare che nessun paziente con ICH secondaria a trombolisi presentava bassi livelli di fibrinogeno [18].
Management pratico dell’emorragia cerebrale secondaria a trombolisi
Riportiamo di seguito le raccomandazioni per la gestione dell’emorragia secondaria a trombolisi [14-16].
Se il paziente presenta peggioramento della sintomatologia neurologica, cefalea di nuova insorgenza, nausea e/o vomito si deve sospettare una trasformazione emorragica in seguito a trattamento con rt-PA. In tal caso:
1. sospendere l’infusione di rt-PA, fino a quando non si individuano altre cause che possano giustificare il peggioramento neurologico;
2. eseguire immediata TC-cerebrale di controllo;
3. se la TC-cerebrale è negativa, riprendere l’infusione della restante dose di rt-PA;
4. eseguire prelievo di sangue periferico per misurare PT (tempo di protrombina), PTT (tempo di protrombina parziale), conta piastrinica e fibrinogeno;
5. disporre di crioprecipitati (contenenti fattore VIII, fibrinogeno, fattore XIII), fibrinogeno, piastrine, antifibrinolitici (acido tranexamico o amino caproico) e plasma fresco congelato per eventuale somministrazione.
Se l’emorragia cerebrale è presente:
- valutare i valori del fibrinogeno;
- considerare la somministrazione dei fattori di cui al punto 5 per annullare/tamponare l’effetto del rtPA;
- considerare la valutazione neurochirurgica.
Nonostante il rischio di questa complicanza, spesso multifocale e potenzialmente devastante (Figura 4), va comunque considerato che, al momento attuale, i vantaggi della riperfusione ottenuta dalla terapia trombolitica sono sicuramente superiori ai potenziali rischi emorragici, fermo restando, peraltro, che non esistono alternative terapeutiche efficaci a questo trattamento. Attenersi strettamente a indicazioni e controindicazioni e valutare attentamente i fattori di rischio di sanguinamento sono altresì regole fondamentali per ridurre al minimo il rischio di sanguinamento.
Figura 4. Esempio di ICH secondaria a trombolisi
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