RHC 2012;3(Suppl 1)5-13.html

Reviews in Health Care 2012; 3(Suppl 1): 5-13

Congress report

Epidemiologia e fattori di rischio delle infezioni fungine in ematologia

Invasive fungal infections in hematology: epidemiology and risk factors

Matteo Bassetti 1, Morena Caira 2, Agostinho Carvalho 3

1 Clinica di Malattie Infettive, A.O.U. Santa Maria della Misericordia, Udine

2 Istituto di Ematologia, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

3 Sezione di Microbiologia, Dipartimento di Medicina Sperimentale e Scienze Biomediche, Università degli Studi di Perugia

Abstract

Recent Italian and International epidemiological data show that invasive fungal infections (IFI), particularly aspergillosis, are still a crucial issue for patients with acute myeloid leukemia. However, in the last years the epidemiology is changing, and in order to determine the real risk of a patient and in order to improve preventive, diagnostic and therapeutic measures, it’s important to identify all the factors (e.g. age, performance status, prophylaxis) that play a role in the development of IFI. Immunogenetics may potentially contribute to improve diagnosis providing new therapeutic tools, but results are limited by sample size and absence of thorough functional characterization moreover lack of replication limits translation of data to the clinical practice. Regarding candidemia an Italian study showed that the overall incidence remained unchanged between 2008 and 2010 but with an increase in the number of C. albicans and C. glabrata infections.

Keywords

Invasive fungal disease; Epidemiology; Hematology

Corresponding author

Matteo Bassetti

mattba@tin.it

Disclosure

Il presente Congress Report è stato supportato da Astellas Pharma SpA.

Epidemiologia delle infezioni da Aspergillus

Uno degli strumenti a disposizione per descrivere l’epidemiologia delle infezioni fungine invasive (IFI) in ematologia sono gli studi autoptici. Nel 2010 Lehrnbecher e colleghi [1] hanno analizzato un’ampia casistica monocentrica di oltre 2.700 autopsie consecutive, identificando più di 200 casi di infezione fungina; in questa esperienza, analizzando tre intervalli temporali consecutivi (dal 1993 al 2005) emerge come le IFI, e in particolare l’aspergillosi invasiva, siano ancora un problema cruciale per il paziente ematologico. Il limite degli studi autoptici risiede nella graduale, ma costante, riduzione del numero di autopsie attualmente effettuate, dato che rende questi studi poco rappresentativi della realtà epidemiologica nei centri italiani. A ciò si aggiunge il fatto che tali studi escludono per definizione tutti i pazienti che sono sopravvissuti all’IFI (percentuale aumentata nell’ultimo decennio).

Per i motivi citati, ancora tanta attenzione viene rivolta agli studi epidemiologici in vivo. Le principali casistiche pubblicate negli anni ’90 prendevano in esame solo le categorie di pazienti considerati ad alto rischio, cioè pazienti con leucemie mieloidi acute e pazienti sottoposti a trapianto [2-5]. All’inizio degli anni 2000, invece, si compie un passo avanti e si iniziano a studiare tutte le patologie ematologiche. La prima esperienza pubblicata dal gruppo cooperativo italiano SEIFEM (Sorveglianza Epidemiologica Infezioni Fungine in EMatologia) [6], relativa agli anni 1999-2003, ha confermato il ruolo cruciale dell’aspergillosi nel paziente con leucemia mieloide acuta e, in minor misura, con leucemia linfatica acuta, a fronte di solo sporadiche segnalazioni nelle altre patologie ematologiche. Negli stessi anni è stato condotto uno studio analogo (SEIFEM 2004-B) [7] nella popolazione di pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali ematopoietiche, riportando un’incidenza complessiva del 3,8%, ma con sostanziali differenze tra trapianto autologo e allogenico.

Un ulteriore passo avanti viene compiuto con lo studio Hema e-Chart [8], un registro prospettico e web-based, che ha permesso di analizzare i dati di oltre 3.000 pazienti, provenienti da 19 centri italiani. In questa popolazione di soggetti con nuova diagnosi di malattia ematologica (in prevalenza leucemie acute e linfomi non Hodgkin) sono stati registrati 869 eventi febbrili, con un’incidenza complessiva del 27%. Come atteso l’evento febbrile è risultato essere un problema soprattutto del paziente con leucemia mieloide acuta (598 pazienti, incidenza del 69%) ed è interessante notare come una percentuale ancora molto ampia di questi eventi febbrili (44%) sia stata conclusa come febbre di origine sconosciuta (FUO). Le infezioni fungine rappresentavano l’11% della casistica, con un’incidenza complessiva del 3,7% e una netta prevalenza dei casi sostenuti da muffe. Va necessariamente notato come in questa casistica ben il 50% dei casi fosse classificabile esclusivamente come possibile, secondo i criteri EORTC. Attraverso questo registro è stato possibile confermare il dato di riduzione della letalità da infezioni da Aspergillus (15%), trend già suggerito da precedenti esperienze [9] e presumibilmente legato al miglioramento delle tecniche diagnostiche, all’introduzione dei nuovi antifungini e alla possibilità di trattamento tempestivo. Il registro statunitense TRANSNET ha documentato un’incidenza complessiva di aspergillosi invasiva pari al 3,4% nel paziente trapiantato, dato che cambia notevolmente a seconda della tipologia di trapianto ricevuto dal paziente [10].

Dopo il 2010 si comincia a cogliere qualche nuovo trend epidemiologico in letteratura. Un registro austriaco multicentrico, relativo agli anni 2007-2008, se da un lato sottolinea come le aspergillosi siano ancora un problema del paziente leucemico, dall’altro fa notare come quasi il 40% delle aspergillosi diagnosticate in ematologia coinvolga ora pazienti non leucemici [11]. Un dato analogo viene presentato in un’esperienza francese multicentrica in cui, ancora una volta, le aspergillosi in pazienti non leucemici rappresentano quasi il 40% [12]. Tali differenze rispetto alle esperienze precedenti sono probabilmente legate al fatto che questi registri non sono focalizzati esclusivamente sui pazienti di nuova diagnosi, ma estendono l’analisi a tutte le fasi di malattia; il 67% di queste aspergillosi, infatti, sono state riscontrate in pazienti almeno in seconda linea di trattamento.

Lo studio SEIFEM-2010

Lo studio SEIFEM-2010 è un registro prospettico italiano, focalizzato esclusivamente sulle leucemie mieloidi acute di nuova diagnosi [13]. Lo studio, condotto durante un periodo 26 mesi (febbraio 2010 – aprile 2012), ha coinvolto 41 centri italiani e ha arruolato oltre 1.100 pazienti. Lo scopo del registro era indagare, a parità di malattia ematologica e di fase della stessa, i fattori di rischio addizionali da ricercare in un paziente per poter meglio prevedere il reale rischio infettivo. Dai dati preliminari su un’iniziale casistica inserita all’interno del registro emerge una correlazione tra l’età del paziente e il rischio di sviluppare una IFI [13]. Questo è un dato non nuovo, ma interessante, se si considerano altri aspetti che emergono dal registro, come per esempio che oggi oltre l’80% dei pazienti è considerato idoneo per una chemioterapia intensiva, percentuale che supera il 50% anche nella fascia d’età tra i 71 e gli 80 anni. È stata inoltre osservata una correlazione tra performance status e rischio di sviluppare una IFI, mentre non sono state notate particolari correlazioni con abitudini di vita come il fumo o l’alcol. Altro aspetto importante, che emerge dal registro, è relativo ai recenti cambiamenti nella profilassi antifungina del paziente leucemico [14]. Osservando l’andamento delle scelte effettuate dall’apertura del registro fino alla metà del 2011, si osserva infatti come l’utilizzo di posaconazolo sia cresciuto sensibilmente nel corso degli ultimi due anni. Confrontando i dati dei pazienti che avevano ricevuto una profilassi sistemica efficace contro le muffe (itraconazolo o posaconazolo) è stata osservata una significativa riduzione dell’incidenza di infezioni fungine invasive nei pazienti che ricevevano posaconazolo e, in particolar modo, una riduzione delle infezioni sostenute da muffe. Questo dato ben si inserisce all’interno di ciò che sembra emergere oggi dalla letteratura, cioè di come l’introduzione di posaconazolo nella leucemia mieloide acuta abbia ridotto il dato di incidenza di infezioni ben al di sotto del 5% [15].

Conclusioni

Dai dati esposti emerge come, sebbene l’aspergillosi rimanga oggi un problema cruciale del paziente con leucemia mieloide acuta, l’epidemiologia sia in continuo cambiamento; di qui la necessità di individuare tutti quei fattori che permettano di stabilire il reale rischio di un paziente, in modo da poter meglio impiegare misure preventive, diagnostiche e terapeutiche.

Epidemiologia delle infezioni da Candida

Il rischio di infezioni da Candida varia a seconda del tipo di paziente, in particolare è molto basso nei linfomi e nei trapianti autologhi e aumenta con l’aumentare della neutropenia, fino ad arrivare al rischio maggiore in pazienti con neutropenia prolungata e che siano già colonizzati da Candida tropicalis, uno dei ceppi che sta assumendo sempre più importanza in termini di epidemiologia e mortalità.

Dal punto di vista storico, l’incidenza nel secolo scorso è andata progressivamente crescendo: tra il ‘54 e il ‘56 era del 22%, mentre, secondo i dati del National Cancer Institute tra il ‘54 e il ‘64 (fase pre-fluconazolo) arrivava al 35% nei pazienti con una lunga storia di neutropenia. Anche in un lavoro del 2009 [16], che analizzava le cause di morte nei pazienti leucemici, l’incidenza delle infezioni fungine è aumentata in maniera significativa dall’8% al 23% tra gli anni ’54-’59 e ’60-’63, rispettivamente. In una casistica giapponese recentemente pubblicata [17] è stata riscontrata batteriemia o fungemia in 251 pazienti con leucemia mieloide acuta, su 2.585 pazienti analizzati (circa il 10%), con un rapporto di 1:1 per quel che riguarda i Gram+ e i Gram– (49% e 36%), mentre i funghi rappresentavano il 12%. Un altro dato pubblicato di recente riguarda uno studio autoptico giapponese [18] nel quale per la prima volta viene evidenziato un graduale decremento delle infezioni da Candida, con invece un aumento delle infezioni da Aspergillus, trend probabilmente correlati all’utilizzo di fluconazolo. Per quanto riguarda il confronto tra epidemiologia europea e americana dalla review di Cornely del 2011 [19] emerge una netta differenza, con l’incidenza americana che, con 22-29 casi per 100.000 pazienti, è quasi doppia rispetto a quella europea (1,4-11 casi per 100.000). Infine, il dato complessivo per quanto riguarda i pazienti trapiantati [20] evidenzia come la Candida sia al secondo posto, con un’incidenza cumulativa sui 12 mesi dell’1,1%, rispetto all’1,6% di Aspergillus e allo 0,3% degli zygomiceti.

Riassumendo quello che può essere il ruolo della Candida nel paziente ematologico, si può affermare che la candidiasi invasiva nel paziente trapiantato può arrivare a una prevalenza complessiva del 28%, con un 43% rappresentato dall’aspergillosi invasiva. Per quel che riguarda le neoplasie ematologiche il dato è un po’ più variabile e ci sono meno evidenze, ma il range di incidenza di candidosi invasiva sembrerebbe variare dal 13% al 44%.

La realtà italiana

Per quanto riguarda la realtà italiana, uno studio condotto presso l’Ospedale San Martino di Genova [21], in cui sono stati registrati 350 casi di candidemie, ha evidenziato un’incidenza globale pressoché invariata tra il 2008 e il 2010. Andando a osservare le specie di Candida isolate si evidenzia però un incremento del numero delle infezioni da C. albicans e da C. glabrata. I dati epidemiologici globali emersi dallo studio mostrano la prevalenza di C. albicans (circa 50%); tra le non albicans l’incidenza maggiore è stata evidenziata per C. parapsilosis mentre sono stati registrati pochissimi ceppi di C. krusei e circa un 10% di C. glabrata (Figura 1). Un dato interessante emerso dallo studio riguarda la diversa rappresentazione delle specie di Candida all’interno dei diversi reparti dell’ospedale (medicina interna, chirurgia, rianimazione, trapianti di organo solido, ematoncologia e globalmente): nei pazienti trapiantati C. albicans è stata isolata nel 40% dei casi, C. parapsilosis nel 33% e C. glabrata nel 18%, mentre nei pazienti ematoncologici la quota di C. albicans è sempre del 40% e C. parapsilosis e C. krusei rappresentano ognuna circa il 20% dei casi.

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Figura 1. Incidenza delle diverse specie di Candida nello studio dell’Ospedale San Martino [21]

Anche la mortalità dovuta a infezione da Candida è diversa a seconda della specie isolata, in particolare nello studio dell’Ospedale S. Martino [21], in cui in 324 casi di candidemia è stata riscontrata una mortalità globale molto alta (43%), la percentuale di decessi per C. krusei (57,1%) e C. tropicalis (47,8%) è risultata molto diversa da quella dovuta a C. parapsilosis (36,2%), come evidenziato in Figura 2.

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Figura 2. Tassi di mortalità delle diverse specie di Candida nello studio dell’Ospedale San Martino [21]

Lo studio EORTC

Il gruppo EORTC ha recentemente presentato i risultati di uno studio, condotto tra il 2005 e il 2009, su un’ampia casistica di 145.030 pazienti con neoplasie solide o malattie ematologiche [22]. Le malattie ematologiche erano presenti in più di 27.000 pazienti e la distribuzione è rappresentata in Figura 3. Per quanto riguarda l’incidenza di infezioni nelle diverse malattie ematologiche si è osservato un dato globale del 2,3‰, che scende all’1,5‰ nel tumore solido, al 4,2‰ nelle malattie ematologiche non trapiantate e sale al 14,6‰ nei pazienti trapiantati. Il tempo medio di insorgenza della fungemia è risultato di circa 23 giorni dal ricovero in ospedale e tra le infezioni monomicrobiche sono risultate prevalenti le infezioni da Candida (86,9% di cui il 40,4% rappresentato dalle albicans), mentre le muffe e gli altri funghi erano molto rari. La distribuzione delle varie specie di Candida mostra una maggioranza di ceppi non albicans (46,5%) con una presenza molto elevata di tropicalis, glabrata e krusei.

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Figura 3. Distribuzione delle malattie ematologiche nello studio EORTC [22]

LLA = leucemia linfatica acuta; LLC = leucemia linfatica cronica; LMA = leucemia mieloide acuta; LMC = leucemia mieloide cronica; MM = mieloma multiplo; SMD = sindrome mielodisplasica

Infine, per quanto riguarda il trattamento delle candidemie, nello studio EORTC la terapia di elezione è rappresentata da fluconazolo (56,9%), nonostante l’utilizzo del farmaco in profilassi, seguito da echinocandine (35,4%) e amfotericina B (27,9%).

Fattori di rischio genetici

Si parla di fattori di rischio genetici, anziché biologici, per differenziarli da quei fattori strettamente legati alla pratica clinica, come per esempio nel caso specifico del paziente trapiantato possono essere lo stadio della malattia, il regime di condizionamento, ecc. In questo caso, invece, ci si riferisce ai fattori genetici intrinseci al paziente e che non variano con la pratica clinica. Tra le varianti genetiche più rilevanti vi sono i polimorfismi di singoli nucleotidi (Single Nucleotide Polymorphisms – SNPs), i quali possono risultare in sostituzioni aminoacidiche che portano alla produzione di proteine modificate a funzione ridotta che causano una maggior predisposizione alle infezioni.

L’influenza della genetica nella suscettibilità alle infezioni fungine è stata ricercata in uno studio del 1988 [23] che ha confrontato le cause di morte in bambini che erano stati adottati con le cause di morte sia dei genitori adottivi, sia dei genitori biologici. I risultati hanno evidenziato un rischio relativo di morte per infezione pari a 5,80 nei bambini i cui genitori naturali erano deceduti a causa di infezioni, attribuendo alla genetica un ruolo più importante rispetto ai fattori ambientali (il rischio relativo di decesso per infezione era infatti dello 0,73 se erano i genitori adottivi a decedere a causa di infezioni).

Varianti genetiche nei pazienti immunocompromessi

La popolazione di pazienti immunocompromessi, sia trapiantati che non trapiantati, rappresenta una popolazione ideale per studiare la suscettibilità genetica in quanto, sebbene i pazienti presentino lo stesso livello di immunosoppressione, solo alcuni sviluppano infezioni. Capire il profilo immunogenetico di questi pazienti, e in che modo funzionalmente tali varianti genetiche possono avere un impatto nella risposta immunologica, è pertanto molto importante anche per la possibilità in futuro di una valutazione genetica non solo dei donatori, quando possibile, ma anche del paziente (scelta di profilassi mirata o di trattamento specifico). Inoltre, conoscere l’impatto funzionale di queste varianti genetiche può aiutare a identificare nuovi target terapeutici e disegnare nuove strategie di profilassi.

Diverse varianti genetiche del sistema immunitario sono già state associate con suscettibilità a infezioni fungine in pazienti immunocompromessi e immunocompetenti. In generale, si tratta di varianti che hanno un effetto a livello dei recettori del sistema immunitario, ovvero recettori che riconoscono elementi specifici presenti nei funghi e che stimolano una risposta infiammatoria che porta allo sviluppo dell’immunità adattativa. Variazioni di questi recettori portano a un difetto funzionale e a un aumento della suscettibilità alle infezioni. Per esempio, è stato dimostrato che i pazienti che presentano un aplotipo del recettore TLR-4, che fa parte della famiglia dei Toll-Like Receptors, hanno un rischio molto più elevato di aspergillosi e di mortalità a essa correlata [24].

Un altro recettore che è stato studiato è il C-type Lectin Receptor Dectin-1 che ha come ligando il beta glucano sulla parete fungina. È stato dimostrato che una sostituzione nucleotidica su questo gene (Y238X) introduce uno stop codon, pertanto i pazienti che presentano polimorfismo di questo recettore producono una proteina troncata che non riconosce il beta glucano nella parete di Candida albicans. Ne consegue una ridotta produzione di citochine infiammatorie, un aumento del rischio di infezioni mucocutanee e il rischio di colonizzazione da Candida in pazienti trapiantati.

In uno studio del 2010 dell’Università di Perugia [25], condotto per verificare il rischio di aspergillosi nei pazienti con polimorfismo del recettore Dectin-1, è stata raccolta una casistica di 223 coppie di donatori e riceventi di trapianto allogenico, nelle quali sono stati evidenziati 41 casi di aspergillosi provata o probabile. Lo screening genetico di questi pazienti ha indicato che la presenza di polimorfismo, sia nel donatore sia nel ricevente, aumentava il rischio di sviluppare aspergillosi e determinava una ridotta sopravvivenza in circa il 20% nelle coppie con polimorfismo.

Un altro studio, tuttora in corso, ha lo scopo di validare i risultati ottenuti presso l’Università di Perugia in popolazioni di pazienti di altri Centri Trapianto italiani ed europei [26]. In particolare, viene ricercata la presenza di un’aumentata suscettibilità all’infezione da Aspergillus nei pazienti con aplotipo GAG dell’opsonina PTX3, che in condizioni normali si attacca ai conidi di Aspergillus e ne facilita la fagocitosi e l’eliminazione. Dai risultati preliminari sembrerebbe che la presenza di aplotipo aumenti il rischio di aspergillosi se presente nei donatori, ma non nei riceventi. È interessante notare che in pazienti immunocompromessi e non trapiantati, su 45 casi di aspergillosi registrati non è stata notata associazione con la presenza di aplotipo PTX3.

Prospettive future

L’immunogenetica può contribuire in futuro a un miglioramento della diagnostica e a fornire nuove alternative terapeutiche. Ovviamente, i risultati ottenuti finora sono limitati dalle dimensioni ridotte delle casistiche disponibili e dall’assenza di caratterizzazione funzionale, come per esempio nel caso del TLR-4 del quale, a oggi, non si conosce ancora il ligando. Inoltre, l’assenza di trasposizione dei dati in altre popolazioni ne limita l’applicazione nella pratica clinica, anche se sono in via di definizione alcuni studi volti alla ricerca di marker genetici comuni a varie popolazioni di trapiantati e che potranno, pertanto, essere utilizzati in trial clinici per verificare l’applicabilità clinica di questo tipo di approccio.

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