RHC 2011;2(4)209-227

Reviews in Health Care 2011; 2(4): 209-227

Disease

Narrative review

Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno e disturbi cognitivi: effetti della CPAP

Obstructive sleep apnea syndrome and cognitive impairment: effects of CPAP

Alessandra Giordano 1,2, Alessandro Cicolin 1,2, Roberto Mutani 2

1 SSCVD Medicina del Sonno, AOU San Giovanni Battista-Molinette, Torino

2 Dipartimento di Neuroscienze, Università degli Studi di Torino

Abstract

Obstructive Sleep Apnea Syndrome (OSAS) is a sleep disorder characterised by repetitive episodes of upper airway obstruction (apnea) or reduced airflow (hypopnoea) despite persistent respiratory effort. Apnea is defined as the cessation of breathing for at least 10 seconds during sleep, while hypopnoea is defined as at least 30% reduction in airflow for 10 seconds associated with oxygen desaturation and sleep fragmentation. The presence in the general population is about 4%. The principal symptoms are: excessive daytime sleepiness (EDS), snoring, dry throat, morning headache, night sweats, gastro-esophageal reflux, and increased blood pressure.

Long term complications can be: increased cardio-cerebrovascular risk and cognitive impairment such as deficiency in attention, vigilance, visual abilities, thought, speech, perception and short term memory.

Continuous Positive Airway Pressure (CPAP) is currently the best non-invasive therapy for OSAS.

CPAP guarantees the opening of upper airways using pulmonary reflexive mechanisms increasing lung volume during exhalation and resistance reduction, decreasing electromyografical muscular activity around airways.

The causes of cognitive impairments and their possible reversibility after CPAP treatment have been analysed in numerous studies. The findings, albeit controversial, show that memory, attention and executive functions are the most compromised cognitive functions.

The necessity of increasing the patient compliance with ventilotherapy is evident, in order to prevent cognitive deterioration and, when possible, rehabilitate the compromised functions, a difficult task for executive functions.

Keywords

Obstructive Sleep Apnoea Syndrome; Cognitive aspects; Continuous Positive Airway Pressure

Corresponding author

Dott.ssa Alessandra Giordano PhD

SSCVD Medicina del Sonno

Via Cherasco 15, 10126 Torino

Tel. +39.011/633.5038 Fax. +39.011/633.4193

E-mail: alessandra.giordano@unito.it

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

La medicina del sonno è un campo di interesse scientifico e di ricerca, in grande crescita negli ultimi anni. Il perfezionamento di metodiche non disponibili fino a pochi anni fa e i progressi in campo tecnico hanno reso possibile la diagnosi e la cura dei disturbi del sonno e delle patologie ad esso correlate, conferendo a questa branca della medicina dignità nosografica effettiva.

La gestione del paziente affetto dalla sindrome delle apnee ostruttive del sonno, spesso associata ad altre patologie, necessita di un approccio multidisciplinare. Dal punto di vista terapeutico, gli sforzi della comunità scientifica sono stati notevoli, in particolare per quanto riguarda gli aspetti chirurgici e lo sviluppo di nuovi apparecchi di tipo odontostomatologico, quali riposizionatori mandibolari o linguali, attualmente usati nei pazienti affetti dalla sindrome delle apnee ostruttive durante il sonno (Obstructive Sleep Apnea Syndrome, OSAS) di grado lieve/moderato o intolleranti al trattamento a ventilazione a pressione positiva continua. Il trattamento di elezione per l’OSAS rimane infatti la ventilazione meccanica a pressione positiva delle vie aeree (Continuous Positive Airway Pressure, CPAP) quale trattamento protesico non invasivo per questa sindrome dalle molteplici implicazioni [1].

L’uso regolare della CPAP riduce la morbilità e mortalità cardiovascolare e, normalizzando la macro e micro-struttura del sonno, porta alla scomparsa dell’ipersonnia diurna [2]. La sua efficacia nella riduzione del deficit cognitivo spesso secondario all’OSAS è ancora oggetto di studio.

La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno

Per sindrome delle apnee ostruttive nel sonno si intende una condizione caratterizzata da ripetuti episodi di occlusione delle vie aeree superiori durante il sonno, determinanti desaturazioni ossiemoglobiniche e frammentazione del sonno. Tale sindrome è associata a una serie di sintomi e dati oggettivi: russamento forte e intermittente associato a sonno non ristoratore ed eccessiva sonnolenza diurna. L’occlusione totale delle vie aeree viene chiamata apnea e consiste in una cessazione totale di flusso di aria dal naso e dalla bocca della durata di almeno 10 secondi associata a ripetuti sforzi inspiratori toracici e addominali. La riduzione parziale viene definita ipopnea e consiste in una diminuzione di flusso, della durata di almeno 10 secondi, pari ad almeno il 50% associata a una desaturazione di almeno il 3%. Le apnee e le ipopnee terminano con un profondo e rapido atto inspiratorio [3-5].

La frequenza di questa sindrome è piuttosto elevata (4% nella popolazione generale maschile) [6] e la sua rilevanza clinica acquista importanza sempre maggiore in relazione ai rischi che tale patologia può determinare in termini di incidenti automobilistici da eccessiva sonnolenza diurna e di rischio cardio-cerebrovascolare (4 volte superiore) [7]. La relazione tra obesità o eccesso di peso e apnee ostruttive è stato documentato [8]. Nel 2005 Young e colleghi stimarono che il 17% della popolazione statunitense era affetta da disturbo respiratorio del sonno lieve o grave (Apnea and Hypopnea Index o AHI ≥ 5) e il 5,7% da disturbo respiratorio del sonno di grado moderato o grave (AHI ≥ 15); nel 41% e nel 58% dei casi, rispettivamente, tale patologia era attribuibile al peso eccessivo (indice di massa corporea o BMI ≥ 25) [9].

Anche anomalie anatomiche e funzionali possono avere un ruolo cruciale, con particolare riferimento alla faringe che risulta più stretta e collassabile nel soggetti OSAS, alla responsività dei muscoli delle vie aeree superiori e alla pressione di chiusura del velo faringe; uno studio di Isono e colleghi ha evidenziato che quest’ultima è correlata alla frequenza di desaturazioni notturne [10,11]. La prevalenza della sindrome risulta massima tra la quinta e la settima decade di vita, con picchi maschili che possono arrivare al 18% e, in maschi obesi, al 40% [12].

Il motivo per cui la prevalenza dell’OSAS è influenzata dal genere non è ancora chiaro [13]. È interessante il dato secondo il quale, con l’avanzare dell’età, la differenza di prevalenza dell’OSAS tra popolazione femminile e maschile tende a ridursi [14].

Fattori di rischio

Tra i principali distinguiamo:

  • età: le tre fasce di età in cui si osserva una elevata prevalenza dell’OSAS sono: bambini con età inferiore a 6 anni, adulti compresi tra 55 e 65 anni e anziani con età superiore a 70 anni [13];
  • genere: il rapporto maschi/femmine è di 5:1, probabilmente a causa di differenti morfologie cranio-facciali, diversa distribuzione del grasso corporeo ed effetto degli ormoni sessuali [14];
  • familiarità: un soggetto ha un rischio di sviluppare l’OSAS tanto maggiore quanti più familiari di primo grado sono affetti da tale sindrome. La spiegazione di ciò probabilmente va ricercata nella trasmissione di determinate conformazioni o malformazioni cranio-facciali o di alterazioni neurologiche [15];
  • obesità (soprattutto la centrale, cioè quella della parte superiore): nell’obesità severa (BMI > 40) la prevalenza dell’OSAS varia tra il 42% e il 48% negli uomini e tra l’8% e il 38% nelle donne. Il parametro che più correla obesità e OSAS è la misura della circonferenza del collo [16];
  • russamento: poiché la vibrazione nelle prime vie aeree è facilitata dal collasso delle stesse, il russatore ha maggiori probabilità di sviluppare un’OSAS;
  • tabacco: sebbene il fumo di sigaretta non sembri aumentare l’indice AHI [17], nei fumatori si è notato un più alto indice di ipossia notturna e di carbossiemoglobina. Il fumo, infatti, agisce sia direttamente mediante irritazione cronica con conseguente edema della mucosa faringea e peggioramento della stenosi delle vie aeree superiori, sia indirettamente attraverso la conseguente sindrome disventilatoria ostruttiva;
  • sostanze irritanti: l’esposizione ambientale a sostanze irritanti può contribuire all’ostruzione delle prime vie aeree con meccanismo diretto mediato dai processi flogistici che comportano uno stato edematoso delle mucose delle prime vie aeree;
  • alcol: l’alcol aggrava un’OSAS preesistente ma non ne determina l’insorgenza. Esso è in grado di determinare una desaturazione notturna attraverso una riduzione delle risposte agli stimoli ipossici e ipercapnici, un aumento delle resistenze faringee e un’alterazione dei meccanismi di risveglio [18];
  • farmaci, quali anestetici e tranquillanti: quelli più incriminati sono le benzodiazepine, per il loro ampio consumo tra la popolazione. Le benzodiazepine abbassano il tono della muscolatura, favorendo il collasso delle prime vie aeree, riducono la risposta ventilatoria all’ipossia e rialzano la soglia di risveglio dal sonno;
  • fattori anatomo-funzionali locali: le alterazioni anatomo-funzionali delle prime vie aerodigestive possono avere un ruolo chiave nella fisiopatologia dell’OSAS [19]. Queste alterazioni possono riguardare singolarmente o in associazione il distretto nasale e rinofaringeo, il livello retropalatale e l’istmo delle fauci e il livello che comprende il complesso io-glosso-mandibolare e lo spazio retrolinguale. I muscoli dilatatori (tensore del velo palatino, genioglosso, ioidei, ecc.) riducono l’attività tonica dilatatoria durante il sonno e ciò determina una riduzione della ventilazione/minuto.

Fisiopatologia

Il collabimento delle vie aeree superiori nel sonno si verifica a livello dei tessuti molli delle vie aeree superiori e in particolare della faringe. Le dimensioni delle vie aeree superiori faringee dipendono dall’equilibrio delle forze tra i muscoli dilatatori di tali vie e la pressione intraluminale faringea negativa che si crea durante l’espansione toracica per l’inspirazione. Il controllo sulla pervietà a questo livello, assicurato in veglia dal sistema nervoso centrale, durante il sonno risulta modificato: l’ipotonia muscolare, il turgore delle mucose e la posizione supina contribuiscono alla caduta posteriore della lingua, al restringimento del lume faringeo e predispongono al russamento [20]. Anche gli elementi scheletrici rivestono un ruolo importante considerando che la pervietà delle vie aeree superiori implica la coordinazione dei muscoli dilatatori e inspiratori. La mancanza di coordinazione tra questi due gruppi di muscoli porta all’occlusione delle alte vie respiratorie nel sonno. La pervietà delle vie respiratorie superiori e la stessa funzione respiratoria sono controllate anche da riflessi chimici, indotti dalla riduzione della saturazione di O2, e meccanici, originati dai recettori di tensione muscolare dei muscoli dilatatori faringei [21].

Se su tali condizioni fisiologiche si sovrappongono anomalie anatomiche o funzionali, insorgono quelle riduzioni di flusso che danno origine alla Obstructive Sleep Hypopnea (OSH) e, all’aumentare delle resistenze, a una totale cessazione del flusso con Obstructive Sleep Apnea (OSA). Le alterazioni anatomiche che i pazienti OSAS possono presentare e che fanno parte dei fattori patogenetici dell’OSAS comprendono: un palato duro molto arcuato, un palato molle lungo, posto in basso e con ridondanza tissutale e una mandibola moderatamente retroposta.

Vi sono molti altri fattori importanti dal punto di vista patogenetico. L’adiposità compromette le vie aeree superiori sia perché il “doppio mento” comprime la faringe dall’esterno in posizione supina, sia per l’infiltrazione interna delle strutture parafaringee che riduce lo spazio per il passaggio dell’aria. L’obesità patologica, inoltre, produce un impatto di notevole importanza nei confronti della dinamica ventilatoria: i depositi adiposi attorno all’addome, al diaframma e alle coste riducono la flessibilità della gabbia toracica e la respirazione si fa più faticosa [22]. In posizione supina il carico adiposo si fa sentire ancora maggiormente e contribuisce all’aggravarsi dell’ipossemia. Nel sonno REM la fisiologica ipotonia muscolare determina una paralisi funzionale dei muscoli respiratori accessori e facilita la retroposizione mandibolare e si possono, quindi, determinare severe desaturazioni di ossigeno. Infine, il testosterone può contribuire all’ostruzione inducendo una maggiore massa muscolare parafaringea e una disposizione centrale del grasso.

Tra gli altri fattori patogenetici che possono indurre una riduzione di calibro delle vie aeree vi sono la deprivazione di sonno, la sua frammentazione e l’utilizzo di sedativi o di alcol: tutti questi fattori aumentano il grado di ipotonia muscolare e riducono il drive respiratorio.

Su meccanismi autonomici si basa la possibile insorgenza delle aritmie ipo- e ipercinetiche, la cui frequenza nell’OSAS è correlata alla gravità della desaturazione di O2, aumentando di 3 volte con riduzioni inferiori al 60% [23]. Un’aritmia sinusale accompagna ciascun ciclo respiratorio ostruttivo nel quale la frequenza diminuisce con la cessazione del flusso e accelera con la ripresa della respirazione; tali variazioni possono essere più o meno marcate con cicli ripetitivi di bradicardia e tachicardia oscillanti da meno di 30 bpm a più di 120 bpm. Una grave bradicardia sinusale compare in circa il 10% dei pazienti OSAS ed è di solito accompagnata da severa ipossiemia [24]. Le variazioni di frequenza combinate con l’ipossiemia predispongono a difetti di conduzione, aritmie maligne e forse anche a morte improvvisa [25].

Vi è correlazione tra OSAS e il rischio di sviluppo di coronaropatie, cardiomiopatia idiopatica e scompenso cardiaco congestizio [26,27].

I disturbi del respiro correlati al sonno sono ormai riconosciuti come patologia a elevata morbilità [28], strettamente connessi al rischio di stroke: in particolare l’OSAS porterebbe a un rischio ictale cerebrale tre volte maggiore rispetto a quello della popolazione generale [29]. Il picco di mortalità nei pazienti OSAS si riscontra tra 55 e 64 anni rispetto a quello della popolazione generale maschile statunitense, corrispondente a 72 anni d’età.

Sintomi e complicanze precoci

I sintomi e le complicanze a breve termine dell’OSAS sono di tipo diurno e notturno.

Il russamento si inserisce tra le manifestazioni cliniche dell’OSAS: è un rumore inspiratorio prodotto dalle vibrazioni che si verificano ai vari livelli delle vie aeree superiori, correlato al loro restringimento. Durante tale fenomeno, infatti, il lavoro inspiratorio è aumentato.

La frammentazione del sonno è il risultato del russamento e delle apnee che inducono un aumento del lavoro muscolare inspiratorio in risposta a stimoli chimici e meccanici. L’architettura del sonno risulterà quindi frammentata e il sonno meno riposante (fasi quantitativamente più ridotte sono quelle del sonno profondo a onde lente e il sonno REM). In letteratura vi sono dati controversi circa la responsabilità della frammentazione del sonno nel determinare sonnolenza (EDS) e impairment diurni. L’EDS si manifesta attraverso la tendenza ad addormentarsi involontariamente durante situazioni di scarsa attività diurna e anche attraverso deficit di attenzione e concentrazione [30]. Beebe a Gozal, nel 2002, proposero un modello in cui si sottolineava come la frammentazione del sonno e le variazioni gassose ematiche possano impedire i processi ristorativi correlati al sonno e determinare uno stress biochimico e cellulare, che può portare a una disfunzione delle regioni prefrontali, con conseguenti effetti negativi sulla efficienza diurna (difficoltà di mantenimento dell’attenzione, labilità emotiva e deficit delle funzioni esecutive) [31]. Kingshoot e collaboratori nel 1998, per contro, non evidenziarono una correlazione tra indice di arousal o AHI e sonnolenza misurata mediante test delle latenze multiple nel sonno (MSLT) o test di mantenimento della vigilanza (MWT) [32]. Altri Autori, ancora, attribuiscono valore causale alla scarsa ossigenazione notturna nel determinare EDS nei soggetti OSAS [33]. La ripresa della ventilazione dopo l’apnea si verifica solo dopo un “risveglio elettrico” (arousal elettroencelografico) o un risveglio vero e proprio, spesso accompagnati dall’aumento della pressione arteriosa e della frequenza cardiaca (Figura 1) [34].

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Figura 1. Nel tracciato polisonnografico sopra esposto sono evidenti le modificazioni della respirazione in corrispondenza dell’evento apnoico ostruttivo (l’interruzione del flusso oro-nasale e il persistere dei movimenti di torace e addome), la desaturazione ossiemoglobinica e l’arousal EEG al termine dell’apnea (fonte SSCVD Medicina del Sonno, Università degli Studi di Torino)

Bocca secca e gola irritata sono da mettersi in relazione al russamento e alla eventuale respirazione per via orale.

Possono inoltre verificarsi molteplici episodi confusionali notturni.

I sintomi da reflusso gastroesofageo acido notturno e bruciore retrosternale sono frequenti quando la pressione toracica eccessivamente negativa esercita un’aspirazione verso l’alto sul contenuto addominale e l’aumento della pressione addominale espelle il contenuto gastrico.

Possono comparire cefalee mattutine generalizzate o bifrontali che si risolvono entro un’ora dal risveglio. Tali cefalee possono essere indice di ipercapnia notturna e aumento della pressione intracranica.

Il bruxismo può dipendere da una scorretta occlusione dentale derivato dal disallineamento mascellare di frequente correlato eziologicamente all’OSAS [35,36].

A causa dello sforzo richiesto dall’inspirazione si può manifestare sudorazione notturna.

La frequenza cardiaca ha un andamento bimodale. In genere si osserva bradicardia relativa durante l’apnea cui segue un improvviso aumento della frequenza cardiaca alla fine delle apnee al momento della ripresa della ventilazione.

La pressione arteriosa non si riduce come fisiologicamente avviene in fase non-REM ma addirittura si verificano oscillazioni pressorie con ulteriore aumento dei valori a fine apnea. Normalmente, durante il riposo notturno, si verifica una riduzione fisiologica della pressione arteriosa dell’ordine del 10-15%, con valore pressorio minimo riscontrato negli stadi del sonno a onde lente (stadi III e IV NREM), e una riduzione del lavoro cardiaco del 10%.

Nel paziente OSAS non si assiste alla fisiologica riduzione di frequenza cardiaca e pressione arteriosa negli stadi NREM, né alle variazioni che normalmente seguono gli eventi fasici del REM: la pressione arteriosa non si riduce, anzi si verificano oscillazioni con ulteriore aumento dei valori a fine apnea. I meccanismi alla base di queste alterazioni sembrano legati soprattutto all’attivazione di riflessi neurovegetativi in risposta all’ipossia, alle modificazioni della pressione negativa intratoracica, ai meccanismi di arousal e, naturalmente, anche allo stadio del sonno in cui si verificano le apnee [37].

Complicanze a lungo termine

La frammentazione del sonno, le oscillazioni acute della frequenza cardiaca e dei valori di pressione arteriosa sistemica e polmonare, l’aumento delle resistenze vascolari, l’aumento della gittata cardiaca alla ripresa della ventilazione e i fenomeni intermittenti di ipossiemia e ipercapnia in relazione con le apnee sono responsabili delle gravi complicanze a medio e lungo termine di questa complessa patologia [38].

L’OSAS non trattata è associata infatti a ipertensione arteriosa cronica nel 40% dei casi e il 30% degli ipertesi idiopatici risulta affetto da OSAS [39].

Sebbene non sia ancora completamente provato che la sindrome delle apnee rivesta un ruolo causale diretto nella genesi dell’ipertensione cronica, è vero che quest’ultima migliora in seguito al trattamento a pressione positiva continua e/o a quello chirurgico delle apnee.

Complicanze cardiovascolari e cerebrovascolari

L’OSAS è associata a un incremento, di circa 4 volte, del rischio cardio-cerebrovascolare rispetto a quello ritrovato nella popolazione generale. È stata documentata [40] una fluttuazione della pressione arteriosa alla fine di ciascun episodio di apnea ostruttiva notturna, e ampie evidenze mostrano che l’OSAS potrebbe essere un importante fattore di rischio indipendente per lo sviluppo di ipertensione arteriosa sistemica. La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno sembra inoltre essere implicata nello sviluppo di aritmie, cardiomiopatie, ipertensione polmonare, infarto miocardico acuto e ictus.

Complicanze cognitive

Dall’analisi della letteratura è emerso che tra le maggiori complicanze e manifestazioni cognitive vi sono il deterioramento delle capacità di attenzione, vigilanza, abilità visuo-costruttive, comunicazione, pensiero, percezione e la compromissione della memoria a breve termine [41,42].

Alcuni studi hanno evidenziato un marcato rallentamento dei tempi di reazione nei pazienti OSAS rispetto ai controlli, condizione revertita dopo trattamento con CPAP [43]. Altri studi hanno riscontrato, oltre che difficoltà al mantenimento della vigilanza, deficit nella memoria verbale e non verbale [44,45].

La diagnosi

La classificazione internazionale dei disturbi del sonno (ICSD) nel 2005 ha proposto degli specifici criteri per la diagnosi di OSAS; tali criteri sono riassunti in Tabella I.

Criteri

Descrizione

Eccessiva sonnolenza diurna o insonnia

Frequenti pause respiratorie nel sonno

Sintomi associati

Almeno uno dei seguenti:

  • importante russamento
  • cefalea mattutina
  • secchezza delle fauci al risveglio
  • retrazioni della gabbia toracica nel sonno in età infantile

La polisonnografia

Evidenzia più di 5 apnee ostruttive/ora della durata di almeno 10 sec e uno o più dei seguenti:

  • frequenti risvegli dal sonno associati ad apnee
  • bradi-tachicardia
  • desaturazione di ossigeno associata agli episodi apnoici

II Multiple Sleep Latency Test (MSLT)

Può evidenziare o meno una latenza media di sonno inferiore a 10 minuti

Tabella I. Criteri per la diagnosi di OSAS indicati dalla classificazione internazionale dei disturbi del sonno (ICSD)

La sola osservazione e raccolta dei dati anamnestici del paziente, infatti, non possono condurre a una diagnosi di certezza, per la quale dovranno quindi essere effettuati specifici approfondimenti. La poligrafia dinamica cardio-respiratoria notturna è una semplice metodica che consiste nel monitoraggio notturno (compiuto al domicilio del paziente) di parametri quali la frequenza cardiaca, la saturazione di ossigenazione arteriosa, il flusso aereo oro-nasale, il russamento, il tempo di apnea e il tempo trascorso in posizione supina o laterale. Con tale metodo si possono qualificare e quantificare le apnee notturne e quindi risalire all’indice di apnea-ipopnea (AHI, numero di eventi respiratori patologici per ora di sonno), all’entità e alla durata delle desaturazioni, e al tipo di apnea.

Per approfondire il quadro, in ricovero può essere effettuata una polisonnografia completa unitamente a una serie di indagini: prove di funzionalità respiratoria, cefalometria e dosaggi ormonali tiroidei.

L’ICSD ha inoltre proposto una suddivisione dei pazienti OSAS in base al diverso livello di gravità della sindrome. Tale suddivisione è riportata in Tabella II.

Grado

AHI

Descrizione

OSAS lieve

5-15/h

Lieve sonnolenza o insonnia, assenza di apnee per la maggior parte del tempo di sonno, apnee associate a lieve desaturazione di O2 o ad aritmie cardiache benigne

OSAS moderata

15-25/h

Sonnolenza moderata o lieve insonnia, desaturazione moderata o lievi aritmie cardiache

OSAS grave

> 25/h

Sonnolenza grave, apnee durante la maggior parte del tempo di sonno, apnee associate a gravi desaturazioni di O2 o aritmie cardiache moderato-gravi, possibile presenza di insufficienza cardio-respiratoria

Tabella II. Classificazione dei pazienti OSAS in base al livello di gravità della sindrome secondo l’ICDS

AHI = numero di eventi respiratori patologici per ora di sonno

OSAS e alterazioni neurocognitive

Le alterazioni neurocognitive sono tra le conseguenze maggiormente invalidanti e ansiogene per il paziente affetto da OSAS. Vengono riportati dalla letteratura deficit della vigilanza, della comunicazione, del pensiero e della percezione, ma le compromissioni più frequentemente citate e discusse sono a carico delle funzioni esecutive che prevedono programmazione [46], delle abilità costruttive [47,48] dell’attenzione e della memoria verbale/non verbale a breve termine [42,49,50].

Le cause più comunemente ipotizzate come responsabili del declino cognitivo in questi pazienti sono la frammentazione del sonno e l’ipossiemia [45], i frequenti aumenti della pressione intracranica correlati agli eventi apnoici [51], che possono determinare modificazioni della perfusione cerebrale [42], e variazioni strutturali dovute ad alterazione delle fibre nervose [52].

Alcuni studi sostengono che il deficit cognitivo nell’OSAS sia globalmente correlato esclusivamente all’ipossiemia [45]. Altre indagini sembrano indicare che la riduzione delle prestazioni in test esecutivi e psicomotori siano riferibili alla gravità dell’ipossiemia, mentre deficit della memoria e dell’attenzione correlerebbero con la compromissione della vigilanza [48]. Alcuni Autori [53] hanno evidenziato come i deficit delle funzioni esecutive e della memoria verbale siano correlati a una significativa riduzione della materia grigia nell’ippocampo bilaterale e nel nucleo caudato. Canessa e colleghi, nel 2011, hanno sottoposto un gruppo di 17 pazienti a una batteria di test neuropsicologici e a risonanza magnetica evidenziando deficit a carico delle funzioni mnesiche ed esecutive e alterazioni del tono dell’umore associati a una riduzione della materia grigia a carico dell’ippocampo di sinistra, della corteccia parietale posteriore di sinistra e del giro frontale superiore di destra [54].

La causa del deficit cognitivo nell’OSAS, definibile come una forma di “pseudodemenza”, non è nota in realtà con precisione; l’esecuzione di potenziali evocati evento-relati e in particolare l’analisi dell’onda P300 ha contribuito alla ricerca di nuovi metodi di valutazione di questo aspetto della sindrome. La P300 è caratterizzata da una latenza, proporzionale al tempo di processazione dello stimolo, e da un’ampiezza, proporzionale all’attenzione devoluta dal soggetto al compito da eseguire, e i suoi generatori sono localizzati sia a livello sottocorticale (strutture limbiche), sia a livello corticale (evento-specifiche). I dati presenti in letteratura, riguardanti i risultati dell’applicazione della P300 all’OSAS, non sono univoci: alcuni studi hanno evidenziato un aumento della latenza e una diminuzione dell’ampiezza [55,56] non confermati da altri Autori che rilevano solo un aumento della latenza della P300 [57], dato che deporrebbe per una compromissione anche delle componenti più precoci della funzione cognitiva. Gli episodi ipossico/ipercapnici e la frammentazione del sonno, presenti nei pazienti con OSAS, potrebbero alterare l’efficacia ristorativa dei processi morfeici e provocare diverse disfunzioni cellulari e biochimiche, modificando il network neuronale e gliale di particolari regioni cerebrali.

Date queste premesse, alcuni Autori suggeriscono una specifica connessione tra l’alterazione delle regioni prefrontali della corteccia cerebrale, e/o di aree ad esse connesse, e la compromissione delle funzioni esecutive, che si manifestano con disturbi del comportamento, tendenza alla perseverazione, ridotta capacità di giudizio, di organizzazione e di problem solving, riduzione delle motivazioni e dell’attenzione, labilità affettiva e rigidità di pensiero [56,58].

Il sonno notturno pare essere di notevole importanza per il ristoro delle funzioni delle zone prefrontali [59] molto attive in condizioni di veglia e di rilassamento [60] e particolarmente vulnerabili all’insulto ipossico; la frammentazione del sonno potrebbe dunque impedire processi omeostatici fondamentali per il corretto funzionamento di queste regioni e delle loro numerose connessioni [61]. Inoltre i fenomeni ipossici e le alterazioni intra- ed extracellulari del pH potrebbero agevolare questo processo, creando un ambiente poco favorevole per processi cellulari implicati nel ristoro delle funzioni sopra citate.

Studi eseguiti in condizioni di privazione di sonno hanno dimostrato alterazioni metaboliche e neurochimiche delle regioni prefrontali, una loro attivazione in risposta ai task neurocognitivi di esplorazione delle funzioni esecutive e mnesiche, peraltro alterate [62].

Uno studio di risonanza magnetica funzionale, condotto nel 2005, rilevò proprio una mancata attivazione della corteccia prefrontale dorso-laterale in soggetti OSAS durante compiti di working memory, indipendentemente dal grado di ipossia notturna, che quindi sarebbe ritenuta non necessaria nel determinare il declino cognitivo a favore, probabilmente, della sola frammentazione del sonno [63].

La memoria a breve termine è una proprietà peculiare delle aree corticale sensoriale, motoria e integrativa necessarie per registrare, rievocare e produrre lo stimolo originario. Tutto il processo può avvenire nella corteccia del linguaggio e non necessita del sistema limbico, coinvolto invece nell’immagazzinamento a lungo termine e nella formazione di memoria permanente.

La rievocazione immediata viene disturbata dalla presenza di lesioni a carico della corteccia sensoriale o motoria primaria, o ancora da disattenzione e/o sonnolenza. La capacità di apprendimento viene ostacolata da lesioni a carico dell’ippocampo o dei nuclei mediali dorsali del talamo; la memoria remota resiste alle lesioni del sistema limbico, ma si perde in presenza di un’estesa lesione della corteccia.

L’applicazione di metodiche come la risonanza magnetica morfometrica e funzionale e la SPECT hanno confermato la presenza di deficit in molte aree cerebrali, soprattutto nelle regioni prefrontali, parietali, limbiche e cerebellari dei pazienti affetti da OSAS [64]. Studi PET hanno rilevato perdita di materia grigia nella corteccia a livello corticale e sottocorticale prevalentemente nell’emisfero destro (Figura 2) [42].

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Figura 2. Immagini SPECT che rappresentano la perfusione cerebrale dei soggetti normali (in alto) e OSAS (in basso). Fonte: SSCVD Medicina del Sonno-Università degli Studi di Torino

Macey e colleghi nel 2008 osservarono nei pazienti OSAS multiple regioni cerebrali, quali il giro del cingolo, la capsula interna, i nuclei cerebellari profondi e alcune porzioni della corteccia frontale, prefrontale e parietale erano caratterizzate dalla presenza di anisotropia frazionale (FA), misura dell’integrità delle fibre e quindi indice di danno assonale [52].

Deficit delle funzioni esecutive generalmente vengono ricondotti a lesioni della corteccia prefrontale, così come i disturbi di fluenza verbale e di linguaggio sono imputabili a lesioni del lobo temporale destro; modificazioni comportamentali e motivazionali infine riflettono comunemente disturbi nelle regioni limbiche, paraippocampali e nel cingolo [65].

Le alterazioni cognitive e comportamentali presentate dal soggetto affetto da OSAS hanno importanti implicazioni sulla qualità della sua vita; sono assai frequenti e spesso motivano la prima visita del paziente, problemi di ordine sociale (stanchezza, affaticamento e sonnolenza, russamento, addormentamento in pubblico, difficoltà della sfera sessuale, deriva verso un disturbo mentale), professionale (assopimento sul lavoro, perdita di giornate di lavoro, problematiche di natura fisica, scarsa produttività e talvolta, cessazione dell’attività lavorativa), medico-legale (incidenti stradali), elementi, alcuni, reversibili entro pochi mesi con l’applicazione della terapia [49,66,67].

Non stupisce, pertanto, che i pazienti con vigilanza e performance diurne maggiormente compromesse presentino una compliance significativamente più elevata all’utilizzo della CPAP.

Terapia a pressione positiva continua (CPAP)

La presenza di numerose cause di OSAS, alcune delle quali risultano ancora oggi poco chiare, determina la difficoltà di mettere a punto la terapia.

Oggi si sta delineando un approccio diagnostico-terapeutico al problema di tipo multidisciplinare, che coinvolge più figure sanitarie: neurologi, otorinolaringoiatri, cardiologi, pneumologi, dietologi, psicologi, radiologi, odontoiatri e chirurghi maxillo-facciali.

La riduzione del peso corporeo diventa significativa quando si tratti di un calo ponderale dell’ordine di almeno il 10% del peso corporeo del soggetto.

La terapia chirurgica viene presa in considerazione nei casi in cui vi siano delle alterazioni anatomiche passibili di correzione. In età pediatrica, ad esempio, si potranno effettuare interventi di adenotonsillectomia, qualora il problema consista in una ipertrofia di tali strutture linfatiche.

Nell’adulto gli interventi spazieranno nell’ambito dei vari livelli a cui potranno riscontrarsi le anomalie anatomiche: interventi chirurgici del naso (per correzione del setto, dei turbinati, della piramide, dello spazio canale), dell’istmo delle fauci (chirurgia tradizionale dell’ugola, del palato molle, della regione faringo-tonsillare) e interventi della base linguale.

La terapia preferenziale, peraltro, sebbene sintomatica e non causale, è quella effettuata con terapia a pressione positiva continua. Se, infatti, la patogenesi delle apnee può essere ricondotta all’impossibilità della pressione all’interno delle vie aeree a mantenere la pervietà delle stesse, intuitivamente è sufficiente aumentare la pressione all’interno delle stesse vie perché la chiusura di queste non si verifichi.

La CPAP, a tutt’oggi, resta il trattamento d’elezione non invasivo all’OSAS (in Figura 3 è illustrato l’apparecchio); la sua applicazione deve essere intesa come terapia protesica e in quanto tale, funziona finché viene utilizzata.

Tra le terapie non invasive si possono annoverare gli oral appliances, in particolare i protrusori mandibolari, indicati nei casi di OSAS di grado lieve/medio e nei casi in cui il paziente risulti intollerante alla CPAP [68,69].

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Figura 3. Ventilatore a pressione positiva continua (CPAP)

Quest’ultima garantisce la pervietà delle prime vie aeree mediante un aumento della pressione all’interno delle vie aeree impedendone il collasso in fase inspiratoria. Una piccola turbina, in grado di generare una pressione continua positiva, mantiene pervie le vie aeree superiori del paziente. L’aria viene veicolata nelle alte vie respiratorie per mezzo di una interfaccia nasale o oronasale fatta aderire al capo del paziente tramite l’utilizzo di una cuffia. Un tubo flessibile di lunghezza standard, in grado di permettere una certa libertà di movimento al paziente e di evitare una caduta di pressione, collega l’apparecchio alla maschera nasale.

Le pressioni di erogazione terapeutiche possono essere variate sulla base delle necessità dettate dal singolo caso in questione, e in genere rientrano in un range compreso tra 7 e 15 cmH2O. La necessità di pressioni più elevate porta lo specialista a indicare presidi terapeutici differenti quali auto-CPAP o Bilevel, a seconda del caso clinico, al fine di evitare un eccessivo discomfort al paziente. È sempre necessario, una volta posta diagnosi di OSAS e stabilita l’indicazione all’uso del presidio terapeutico, procedere alla titolazione, o taratura, del dispositivo CPAP.

La titolazione consiste essenzialmente nell’effettuare alcuni giorni (in media tre) di uso controllato dell’apparecchio allo scopo di stabilire la corretta pressione terapeutica per il paziente, definita come il livello di pressione positiva che mantiene la pervietà delle vie aeree superiori con una pressoché totale scomparsa degli episodi apnoici.

Molti fattori, come modificazioni del peso o interventi chirurgici mirati, possono modificare la gravità della sindrome e conseguentemente la pressione terapeutica. È quindi sempre necessario effettuare, a intervalli regolari, un follow-up dei pazienti. L’analisi dei dati dalle apparecchiature consente di controllare la compliance all’utilizzo e di verificare l’eventuale presenza di apnee residue. Un monitoraggio poligrafico sia in condizioni basali, sia durante l’uso del dispositivo CPAP si renderà necessario in presenza di significative variazioni di peso, persistenza di sintomi, quali primariamente la sonnolenza, e a seguito di interventi chirurgici che possano aver modificato le condizioni cliniche e anatomiche dei pazienti al fine di correggere l’intensità della pressione terapeutica [70].

Questo mezzo terapeutico ha dimostrato una altissima percentuale di successi in termini di miglioramento del quadro clinico. L’applicazione di una CPAP correttamente tarata porta a una normalizzazione della macro- e micro-struttura del sonno in breve tempo con scomparsa dell’ipersonnia diurna, riduzione del rischio accidentale e miglioramento della qualità di vita del paziente e del partner. È inoltre dimostrata l’efficacia di tale trattamento sulla sopravvivenza: si ha, infatti, una riduzione della mortalità cardiovascolare, supposta dagli effetti positivi sulla pressione arteriosa [41] e sulla risoluzione di gran parte delle complicanze cardiovascolari. Uno studio del 2005 con follow-up a 10 anni evidenzia come l’incidenza di complicanze cardiovascolari, fatali e non, sia significativamente aumentata in soggetti affetti da OSAS severa non in trattamento con CPAP rispetto ai pazienti trattati e come questa percentuale sia sostanzialmente sovrapponibile ai soggetti trattati con altre terapie quali uvulopalatofaringoplastica (UPPP), avanzamento mandibolare, farmacoterapia e settoplastica. [71]. Inoltre si osserva, in seguito all’applicazione della CPAP, una tendenza alla normalizzazione diurna delle tensioni parziali di O2 e CO2 in pazienti OSAS con ipossiemia e ipercapnia diurna [72] frequenti nei pazienti con broncopneumopatia cronico-ostruttiva (BPCO) e/o condizione di obesità/ipoventilazione.

I pazienti in terapia con CPAP presentano al follow-up, come evidente alla polisonnografia se richiesta dal caso clinico, una scomparsa delle desaturazioni di O2 con tutti i rischi a esse correlate, un miglioramento delle aritmie cardiache e una riduzione della sonnolenza diurna. Tutte queste modificazioni portano a un miglioramento globale della qualità di vita. Nella maggior parte dei casi sono sufficienti pochi giorni di utilizzo per osservare la scomparsa degli arousal e dei risvegli infrasonno, una vistosa riduzione della frammentazione del sonno e della sonnolenza diurna, la scomparsa delle desaturazioni di O2, il miglioramento delle aritmie cardiache preesistenti e, talvolta, anche dell’ipertensione arteriosa sistemica. L’applicazione della terapia con CPAP comporta un miglioramento generale delle performance diurne dei pazienti, lasciando tuttavia deficit residui, evidenti soprattutto a carico delle funzioni esecutive [73], ipoteticamente connessi a un danno neuronale permanente [74,75].

In letteratura sono presenti dati non univoci circa la reversibilità del decadimento intellettivo dopo il ripristino di normali condizioni respiratorie: alcuni Autori [76] hanno infatti documentato che l’impiego di erogatori a pressione d’aria positiva in acuto o il trattamento chirurgico si associano usualmente a un miglioramento delle performance cognitive. Altri studi, tuttavia, hanno osservato che un efficace trattamento dei pazienti con OSAS (ovvero una correzione dei parametri respiratori) non influenza significativamente l’outcome cognitivo. Bardwell e colleghi nel 2001 [77] evidenziarono, infatti, come non ci siano differenze statisticamente significative in test cognitivi tra pazienti trattati con ventiloterapia per una settimana e pazienti trattati con placebo (pressione 2 cmH2O). Altri ancora hanno documentato una differente efficacia del trattamento strumentale con CPAP in funzione delle differenti funzioni cognitive indagate. In particolare, Saunamaki e colleghi nel 2007 [78] hanno evidenziato che la maggior parte dei deficit neuropsicologici si normalizza con il trattamento, con particolare riferimento ai tempi di performance, alla flessibilità cognitiva e alla pianificazione. Castronovo e colleghi nel 2009 [79] rilevarono una diminuzione dell’attivazione della corteccia prefrontale e delle strutture ippocampali nei pazienti OSAS dopo il trattamento con CPAP a fronte di un sovra-reclutamento di alcune regioni cerebrali in pazienti di nuova diagnosi. Tale fenomeno, secondo gli Autori, potrebbe riflettere un meccanismo di compensazione neuronale in pazienti mai trattati. Più recentemente Canessa e colleghi hanno sottolineato come i deficit mnesici e quelli a carico delle funzioni esecutive evidenziati in soggetti OSAS mai trattatiti fossero revertiti dopo 3 mesi di terapia con CPAP [54].

Le discordanti evidenze emerse sono il risultato di differenti periodi di trattamento a cui sono stati sottoposti i pazienti e al numero di ore di utilizzo per notte del presidio. A questo proposito, uno studio del 2007 sottolinea come la soglia (h/notte) sopra la quale sia possibile evidenziare un miglioramento soggettivo e/o oggettivo della sonnolenza e del funzionamento diurno dipenda dal tipo di outcome preso in esame (ESS, MSLT oppure outcome funzionali) e come, comunque, vi sia una differenza significativa tra pazienti non trattati e in CPAP dopo tre mesi di terapia [80].

Un recentissimo studio evidenzia un miglioramento del punteggio ottenuto alla Epworth Sleepiness Scale (ESS) per la sonnolenza, di alcuni aspetti del funzionamento diurno e di alcune abilità cognitive dopo tre mesi di CPAP con un sostanziale incremento del miglioramento all’aumentare delle ore di utilizzo per notte [44].

Fattori relativi alla compliance

La compliance dei pazienti può essere scarsa a causa di una varietà di problemi. L’esperienza clinica evidenzia come vengano, infatti, occasionalmente riferiti: abrasioni o eruzioni cutanee, perdite di aria da scarsa tenuta dell’interfaccia, congiuntiviti da perdite d’aria, aerofagia, sinusiti e riniti, difficoltà alla espirazione, senso di oppressione toracica, secchezza del naso e delle fauci ed epistassi. Questi problemi possono essere risolti con provvedimenti quali la scelta di un diverso tipo di maschera, l’umidificazione dell’aria tramite umidificatori, l’impiego di prodotti a uso topico per i disturbi cutanei o di spray oro-nasali per la secchezza delle mucose.

La percentuale di pazienti affetti da OSAS che rifiuta, interrompe l’utilizzo o usa con discontinuità la CPAP è elevata; nei numerosi lavori scritti in proposito si va da un minimo di 5% a un massimo di 50% di abbandoni della terapia ventilatoria [81-83]. Le variabili che maggiormente influenzano la compliance sono quelle fisiologiche (BMI, AHI, pressione della CPAP misurata in cm di H2O) e psicologiche (grado di sonnolenza soggettiva, salute, tolleranza, influenze esterne). Una maggior compliance è stata associata alle condizioni che potevano trarre, dall’utilizzo, un beneficio più evidente (AHI, BMI e sonnolenza elevati). Sono risultati meno tolleranti i pazienti di sesso femminile, quelli con età < 50 e > 80 anni, i soggetti non obesi, quelli con una gravità di malattia minore e con quadri sindromici meno eclatanti, con una titolazione > 8 cmH2O, i casi di depressione e i soggetti sottoposti a forti influenze esterne quali fastidio o insofferenza espressi dai familiari [84-86].

Le motivazioni che spingono il paziente a interrompere l’utilizzo della CPAP sono numerose e comprendono problemi di ordine finanziario, psicologico, limitazioni nelle abitudini di vita, la preoccupazione per la propria estetica e per il giudizio altrui, la scomodità e la rumorosità del presidio e i suoi possibili effetti collaterali (riniti, congiuntiviti, secchezza delle mucose, decubiti in corrispondenza della maschera).

Altri problemi possono essere legati al dispositivo stesso; questo può venire considerato ingombrante o rumoroso e risultare quindi fastidioso per il paziente e/o per il compagno di letto. A questo tipo di problemi si può ovviare scegliendo un altro modello più piccolo e silenzioso, se disponibile, o allontanando l’apparecchio dal letto tramite l’utilizzo di tubi di collegamento più lunghi.

Il problema più difficilmente risolvibile è quello dell’accettazione del dispositivo da parte del paziente. L’idea di dover essere dipendenti da un apparecchio in modo cronico non è irrilevante per almeno due motivi. Il primo è che alcuni pazienti percepiscono tale situazione come segno di disabilità e questo, unito al fatto che spesso la percezione della gravità della propria malattia da parte del paziente è sottostimata, può portare a un rifiuto del trattamento. Il secondo motivo è che affinché la terapia con CPAP sia efficace, i pazienti devono partecipare attivamente al trattamento e impegnarsi a usare il dispositivo ogni notte, oltre che a essere attenti e disponibili a segnalare e correggere eventuali problemi.

La stessa continuità d’uso può influire sulla compliance. Perché la CPAP abbia una buona efficacia terapeutica sulla sonnolenza diurna, è necessario un uso costante per tutte le notti; una discontinuità nell’utilizzo si riflette in un minore alleviamento del sintomo. In questo caso appare preferibile, se il paziente insiste nel voler ridurre l’uso, consigliare l’impiego per tutte le notti, ma per un numero minore di ore. Infatti è stato osservato che sono sufficienti 4 ore di trattamento nella prima parte della notte per ottenere un effetto benefico persistente sulla saturazione ossiemoglobinica e sulla continuità del sonno per il resto della notte [87].

Supporti educazionali, tecnologici e psicologici possono, pertanto, apportare un miglioramento del grado di accettazione della terapia e di compliance. Una dettagliata spiegazione riguardante la malattia, la terapia e il funzionamento della CPAP, la progettazione e il commercio di apparecchi sempre più sofisticati e silenziosi, il contemporaneo utilizzo di un umidificatore e/o di decongestionanti nasali, la scelta di una maschera adatta alle dimensioni anatomiche, una consulenza psicologica e un attento follow-up del paziente sono tra gli elementi che possono realmente fare la differenza in tal senso [75].

Conclusioni

Il quadro cognitivo presentato dai pazienti affetti da apnee morfeiche, come emerge dalla letteratura, risulta compromesso particolarmente nelle funzioni attentive, esecutive e mnesiche a breve termine. Risultano per lo più conservate l’espressione e la comprensione linguistica e la memoria a lungo termine [46-50,53].

L’alterazione di queste funzioni, che unitamente ad altri parametri porta a problematiche di ordine familiare, sociale, lavorativo e legale (russamento, disturbi sessuali, addormentamenti in pubblico, al lavoro, alla guida, scarsa produttività), a difficoltà nello svolgere le normali attività lavorative e sociali, affaticamento, difficoltà di concentrazione, soggettiva sensazione di ottundimento e difficoltà mnesiche, spesso motiva i pazienti alla prima visita e li sprona, nonostante le frequenti perplessità e le resistenze, a proseguire l’iter diagnostico e terapeutico.

Stabilire un’associazione tra ipossia intermittente cronica e modificazioni cellulari in aree neuronali cognitivamente significative può fornire una chiave di lettura per le alterazioni neuropsicologiche riscontrate nei pazienti OSAS gravi [88].

Alcuni aspetti della memoria si associano a determinate strutture neuroanatomiche o sistemi neuronali; anche se tutte le tracce mnesiche sono immagazzinate con molta probabilità nella neocorteccia, sono necessarie molte strutture subcorticali per i processi globali della memoria (registrazione, immagazzinamento e rievocazione).

Studi di circolo cerebrale effettuati con metodiche quali l’inalazione di Xenon 133, SPECT, flussimetria doppler e spettroscopia di risonanza magnetica hanno dimostrato che l’ipoperfusione cerebrale è assai comune nel paziente affetto da sindrome delle apnee ostruttive del sonno [89-92].

Lojandrs e colleghi nel 1999 evidenziarono un miglioramento nell’ODI e un debole incremento di performance nei compiti di memoria visiva nei pazienti OSAS trattati (CPAP e UPPP) [93]. Findley e colleghi nel 1986 [45] misero in luce un più severo deficit cognitivo in soggetti apnoici con associata ipossemia.

L’irreversibilità dei deficit cognitivi a carico delle funzioni esecutive [74,75], dopo l’applicazione prolungata di ventilazione a pressione positiva [73], è stata ipoteticamente connessa a un danno neuronale permanente. L’alterazione dell’efficacia ristorativa dei processi morfeici potrebbe essere responsabile di disfunzioni cellulari e biochimiche, tali da modificare il network neuronale e gliale delle regioni cerebrali deputate al controllo di queste funzioni [46].

I dati ottenuti dallo studio dell’eccitabilità corticale mediante stimolazione magnetica transcranica e delle funzioni cognitive attraverso la valutazione dei potenziali evocati evento-relati (P300) suggeriscono la presenza di una compromissione della funzione corticale (cortex motoria e associativa), solo parzialmente revertita dalla applicazione di CPAP, e verosimilmente sostenuta da alterazioni metaboliche (dimostrate nell’uomo) e da un danno neuronale (dimostrato nell’animale a livello corticale e ippocampale) [57]. Proprio la differente genesi, metabolica e apoptotico-atrofica, giustificherebbe la solo parziale reversibilità del deficit cognitivo presente nella sindrome.

Queste osservazioni debbono, ovviamente, fare i conti con la storia di malattia del soggetto, elemento che è spesso difficilmente ricostruibile. Maggiore è il numero di “anni di malattia” più è probabile che l’eventuale danno ipossico risulti irreversibile. È in ogni caso auspicabile un’ottimizzazione delle procedure terapeutiche e un sempre maggiore miglioramento tecnologico al fine di aumentare la compliance dei pazienti al trattamento con CPAP.

Implicazioni per ulteriori ricerche

Le considerazioni effettuate suggeriscono di pensare e implementare una serie di strategie che si configurano come vere e proprie consulenze finalizzate all’accettazione e al corretto utilizzo della terapia.

Le metodologie ipotizzabili dovrebbero essere finalizzate all’aumento della compliance attraverso strategie tecniche e assistenziali e supporto psicologico.

Le strategie tecniche essenziali dovrebbero prevedere la scelta del dispositivo e della maschera nasale più adatta al paziente. È importante ricordare che, comunemente, in tutti gli apparecchi CPAP in commercio è possibile programmare una rampa di pressione. Infine, se sussiste una marcata intolleranza a elevate pressioni terapeutiche, può essere indicato utilizzare per il primo periodo una pressione subottimale (di alcuni cm H2O più bassa), per poi passare alla pressione ottimale quando si sia raggiunta una maggiore comodità e tolleranza all’uso del dispositivo CPAP.

Appare sempre più importante, per aumentare l’efficacia e la tollerabilità della CPAP, seguire i pazienti fin dalla prescrizione e in ogni periodo del trattamento, tramite opportune strategie assistenziali. Una maggiore assistenza medica, tecnica e psicologica favorisce l’ottimizzazione e la tolleranza del dispositivo.

La review in breve

Quesito clinico

Valutazione dei deficit cognitivi nei soggetti affetti da sindrome delle apnee ostruttive nel sonno e loro modificazione dopo il trattamento ventilatorio

Tipologia di revisione

Narrativa

Ricerca della letteratura

PubMed, con le seguenti keywords: Obstructive Sleep Apnea Syndrome; Cognitive aspects; Continuous Positive Airway Pressure

Conclusioni

L’OSAS è una sindrome che può avere complicanze cognitive. Il quadro cognitivo risulta compromesso particolarmente nelle funzioni attentive, esecutive e mnesiche a breve termine.

Gli episodi ipossico/ipercapnici e la frammentazione del sonno, presenti nei pazienti con OSAS, potrebbero alterare l’efficacia ristorativa dei processi morfeici e provocare diverse disfunzioni cellulari e biochimiche, modificando il network neuronale e gliale di particolari regioni cerebrali.

In particolare si evidenzia la possibile reversibilità di deficit mnesici e attentivi senza componente visuo-motoria e deficit intellettivo globale, mentre risultano potenzialmente non reversibili i deficit esecutivi e attentivi con componente visuo-motoria.

Tale irreversibilità a carico delle funzioni esecutive, dopo l’applicazione di CPAP, è stata ipoteticamente connessa a un danno neuronale permanente mentre la compromissione della vigilanza (reversibile) sarebbe responsabile dei deficit mnesici e attentivi.

Conclusioni

Risulta di fondamentale importanza la messa a punto di metodiche e apparecchiature finalizzate all’ottimizzazione della terapia e all’aumento della compliance da parte dei pazienti.

Aree grigie

Non è sempre facile valutare con precisione i domini cognitivi eventualmente deficitari in pazienti affetti da OSAS né valutarne la reversibilità a causa della estrema variabilità dei pazienti stessi, sia in termini di condizioni fisiche e mediche concomitanti sia, soprattutto, a causa della diversa, e spesso poco individuabile, durata della malattia.

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