Reviews in Health Care 2011; 2(Suppl 1): 77-86
Il rischio di emorragia cerebrale nel paziente in terapia con farmaci antitrombotici. Focus sui nuovi anticoagulanti orali
Risk of cerebral haemorrhage in patients treated with antithrombotic drugs. Focus on new oral anticoaguants
Giancarlo Agnelli 1
1 Medicina Interna e Stroke Unit, Università degli Studi di Perugia
Abstract
Antithrombotic drugs represent one of the leading pharmacological category used in clinical practice, especially in cardiovascular setting. Their demonstrated antithrombotic efficacy has been fundamental in the improvement of the management of many diseases related to athero-thrombotic or thromboembolic risk in prevention and treatment of cardiovascular events. Nonetheless, they are also associated with a not negligible haemorrhagic risk. Among these risks, intracranial bleeding represents the most feared, and should be kept in mind, prevented when possible and adequately managed when occurs. In this article the intracranial haemorrhagic risk associated to drugs vitamin K antagonists and new oral anticoagulants is reviewed.
Keywords
Intracerebral haemorrhage; Vitamin K antagonists; New oral anticoagulants; Risk factors
Disclosure
L’Autore dichiara di non avere
conflitti di interesse di natura finanziaria
in merito ai temi trattati nel presente articolo
Introduzione
Emorragia maggiore |
|
Emorragia minore |
|
Tabella I. Definizione di emorragia in corso di farmaci antitrombotici secondo l’International Society on Thrombosis and Haemostasis [9]
L’emorragia intracranica (EIC) spontanea in pazienti in trattamento antitrombotico rappresenta un problema rilevante nella pratica clinica. L’ampia disponibilità e la conseguente crescente diffusione di molte categorie di farmaci ad azione antitrombotica avvenuta negli ultimi venti-trenta anni (vitamina K antagonisti – VKA, vecchi e nuovi antiaggreganti piastrinici, eparina non frazionata, eparine a basso peso molecolare – EBPM, fondaparinux e, più recentemente, nuovi anticoagulanti orali) ha visto come contraltare l’aumento di prevalenza di EIC associate a tali trattamenti, specie per quanto riguarda i farmaci VKA. Studi clinici effettuati negli Stati Uniti, nel Regno Unito e confermati da evidenze relative a dati clinici italiani, infatti, dimostrano che, a fronte di una sostanziale stazionarietà nell’incidenza dell’EIC totali, è nettamente incrementata la quota di pazienti con EIC secondaria o associata all’utilizzo di farmaci antitrombotici; l’incidenza di EIC associata a farmaci VKA è addirittura quintuplicata negli ultimi venti anni [1-3]. L’innegabile efficacia dei farmaci antitrombotici, che tanto è stata determinante nel miglioramento della gestione di patologie a rischio aterotrombotico e tromboembolico in termini di riduzione e trattamento degli eventi cardiovascolari, si scontra quindi con un non trascurabile rischio emorragico, di cui l’EIC rappresenta l’evento più temibile.
L’EIC che si verifica in pazienti in trattamento antitrombotico ha una mortalità superiore rispetto a quella dei pazienti non in trattamento [4-6]. Ciò è sicuramente dimostrato per i farmaci VKA [4,5], mentre il rischio di mortalità sembra essere modestamente incrementato per gli antiaggreganti piastrinici [6]; minori e non conclusivi sono i dati relativi a eparina non frazionata, EBPM e fondaparinux, mentre al momento non esistono dati riferibili ai nuovi farmaci anticoagulanti orali.
La conoscenza in termini epidemiologici, di prevenzione e adeguato trattamento del rischio emorragico cerebrale rappresenta pertanto un punto cruciale per il corretto uso dei farmaci antitrombotici.
Di seguito viene esposto il rischio di EIC associato al trattamento antitrombotico con i i farmaci VKA e i nuovi farmaci anticoagulanti orali derivante dall’analisi dei trial clinici ad oggi pubblicati.
Epidemiologia dell’EIC associata a farmaci anticoagulanti
I dati epidemiologici riguardanti il rischio di EIC nei pazienti in trattamento con farmaci antitrombotici derivano da trial clinici randomizzati controllati (RCT) e da studi di popolazione.
Due concetti fondamentali che val la pena premettere in questo contesto iniziale sono:
- la definizione di evento emorragico utilizzata negli studi clinici;
- la scelta dei pazienti nei RCT.
Negli ultimi anni nella letteratura internazionale si è dibattuto sulla non uniformità della definizione di evento emorragico presente nei RCT finalizzata alla valutazione della sicurezza dei farmaci antitrombotici testati. Emorragie fatali, emorragie in organi critici, emorragie maggiori e minori, emorragie clinicamente rilevanti, emorragie richiedenti l’ospedalizzazione o l’intervento chirurgico o la trasfusione di 2 unità di globuli rossi concentrati o che determinano un calo dell’emoglobina di 2 g/dl sono tutte definizioni che è possibile incontrare nella lettura dei risultati di sicurezza di farmaci antitrombotici [7-10]. Nonostante tentativi di uniformare le definizioni, occorre sottolineare un punto chiave: l’EIC è, per definizione, un evento emorragico maggiore, che può risultare fatale e che si verifica in un organo critico e che può essere passibile di intervento chirurgico. Quindi nella lettura dei risultati di sicurezza in termini di rischio di EIC di un farmaco antitrombotico occorre andare a ricercare espressamente i dati sul numero di EIC, se riportate, oppure i dati relativi a eventi emorragici maggiori, fatali o verificatisi in organi critici. La Tabella I riporta la definizione di eventi emorragici proposta dall’International Society on Thrombosis and Haemostasis (ISTH) [9].
Il secondo punto è quello relativo alla scelta dei pazienti inseriti nei RCT. È noto che questi pazienti, spesso con età media non troppo avanzata, sono sottoposti ad adeguato screening prima di essere arruolati e generalmente sono pazienti che “offrono garanzie” in termini di elevata aderenza e “basso profilo emorragico” [7]. Ciò comporta che i dati relativi agli eventi emorragici derivanti dai RCT potrebbero essere sottostimati e contrastare con i dati che si verificano nella popolazione reale, spesso più anziana e affetta da importante comorbilità [7].
Rischio di EIC con i farmaci vitamina K antagonisti
L’1-1,5% della popolazione generale dei Paesi industrializzati assume farmaci VKA. L’incidenza di emorragie maggiori e minori da o in corso di terapia anticoagulante orale (TAO) con farmaci VKA riportata nei RCT arriva a circa 8% per anno [11]. La TAO incrementa il rischio emorragico nei pazienti trattati dello 0,5% per anno di trattamento [11]. Il rischio di EIC varia dallo 0,1 al 1,8% per anno nei RCT [7]. Queste stime epidemiologiche derivanti dai RCT potrebbero sottostimare il rischio di EIC nella popolazione reale in TAO, dove gli studi clinici evidenziano un rischio di EIC dello 0,2-2,5% per anno di trattamento [7].
Fattore di rischio |
Punteggio |
|
Ematocrito < 30% |
1 |
|
Recente infarto del miocardio |
1 |
|
Pregresso ictus |
1 |
|
Pregresso sanguinameto gastrointestinale |
1 |
|
Creatininemia > 1,5 mg/dl |
1 |
|
Età > 65 anni |
1 |
|
Diabete mellito |
1 |
|
Classificazione del rischio |
Punteggio |
Rischio di eventi emorragici per anno di trattamento (%) |
Basso |
0 |
3 |
Rischio |
1-2 |
8-12 |
Alto |
≥ 3 |
30-48 |
Tabella II. Lo score OBRI (Outpatient Bleeding Risk Index)
Figura 1. Lo score HEMORR2HAGES
Per la popolazione italiana è necessario fare riferimento allo studio ISCOAT che ha appunto evidenziato come, nella popolazione reale in TAO seguita presso 34 Anticoagulation Clinics italiane, il rischio di EIC per anno di trattamento sia risultato dello 0,6% di cui il 50% risultato fatale [12]. Sono stati evidenziati molti fattori di rischio di sanguinamento correlati all’uso di farmaci antitrombotici [7]. L’intensità dell’anticoagulazione rappresenta uno dei fattori di rischio più importanti. Per valori di International Normalized Ratio > 3,0 il rischio di emorragia raddoppia, per valori > 4,5 incrementa di sei volte. Il rischio emorragico si riduce se il paziente in TAO è seguito presso Anticoagulation Clinics, mentre incrementa in età avanzata, se il paziente ha mutazioni genetiche che comportano anomalie nella metabolizzazione dei dicumarolici, se il paziente ha un’anamnesi positiva per precedenti ictus, sanguinamenti, anemia, ipertensione arteriosa, insufficienza renale e/o epatica. Inoltre il rischio emorragico aumenta nei primi tre mesi di terapia con VKA e se il cosidetto tempo speso in range terapeutico (Time spent in Therapeutic Range, TTR) si riduce a meno del 60% del totale [7]. Il rischio di EIC nei pazienti in TAO aumenta significativamente quando vengono associati ai farmaci VKA altri antitrombotici, quali antiaggreganti piastrinici (aspirina o clopidogrel) in duplice o triplice terapia, ad esempio in pazienti con eventi tromboembolici in TAO ben condotta (duplice terapia) o in pazienti con fibrillazione atriale sottoposti a procedure di rivascolarizzazione coronarica mediante PTCA/stenting medicato (triplice terapia) [13-18]. Occorre sottolineare che, in tutte queste condizioni, il rischio emorragico non modifica il beneficio apportato dalla terapia antitrombotica.
Molti dei fattori di rischio analizzati sono stati inseriti in pratici score che quantificano il rischio emorragico generale, EIC comprese. Nel paziente in trattamento con farmaci VKA è possibile prevedere il rischio emorragico utilizzando lo score OBRI (Outpatient Bleeding Risk Index, Tabella II e Figura 1), lo score HEMORR2HAGES (acronimo derivante dalle iniziali dei fattori di rischio inseriti, Tabella III) e il più recente HAS-BLED (anch’esso acronimo derivante dalle iniziali dei fattori di rischio, Tabella IV) inserito nelle linee guida sul management pratico della fibrillazione atriale dalla Società Europea di Cardiologia (ESC) in associazione allo score CHA2DS2-VASC (Tabella V) per la stima del rischio embolico [7,19-21]. È da sottolineare come lo score HEMORR2HAGES preveda l’esecuzione di un test genetico per la valutazione di mutazioni di enzimi epatici coinvolti nella metabolizzazione dei dicumarolici e non sia raccomandato in Italia.
Fattore di rischio |
Punteggio |
Patologia epatica |
1 |
Patologia renale |
1 |
Alcolismo |
1 |
Cancro |
1 |
Età > 75 |
1 |
Conta piastrinica < 75.000/mm3 |
1 |
Trattamento antipiastrinico concomitante |
1 |
Precedente sanguinamento |
1 |
Pressione arteriosa non controllata |
1 |
Ematocrito < 30% |
1 |
CYP2C9*2 o presenza di CYP2C9*2 |
1 |
Alto rischio di caduta o compromissione cognitiva |
1 |
Precedente ictus |
1 |
Tabella III. Lo score HEMORR2HAGES
Lettera dell’acronimo |
Fattore di rischio |
Punteggio |
H |
Ipertensione arteriosa (Hypertension) |
1 |
A |
Anormale funzione epatica e renale (Abnormal renal and liver function) |
1 o 2 |
S |
Ictus (Stroke) |
1 |
B |
Sanguinamento (Bleeding) |
1 |
L |
INR labile (Labile INRs) |
1 |
E |
Età > 65 anni (Elderly) |
1 |
D |
Farmaci e alcol (Drugs and alcohol) |
1 o 2 |
Classificazione del rischio |
Punteggio |
Rischio di eventi emorragici per anno di trattamento (%) |
Basso |
0-3 |
0,8 |
Rischio |
4-5 |
2,6 |
Alto |
5-10 |
5,8 |
Tabella IV. Lo score HAS-BLED
Fattore di rischio |
Punteggio |
Scompenso cardiaco/disfunzione ventricolare sinistra (FE < 40%) |
1 |
Ipertensione arteriosa |
1 |
Età ≥ 75 anni |
2 |
Diabete mellito |
1 |
Stroke/TIA/tromboembolismo |
2 |
Malattia vascolare (CAD, AOP, placche aortiche |
1 |
Età = 65-74 anni |
1 |
Sesso femminile |
1 |
Alto rischio ≥ 2 |
Tabella V. Il CHA2DS2-VASC
Rischio di EIC con i nuovi farmaci anticoagulanti orali (inibitori diretti del fattore IIa e del fattore Xa)
I limiti farmacodinamici, farmacocinetici, di maneggevolezza e di compliance dei farmaci antitrombotici che fino ad alcuni anni fa rappresentavano le uniche classi farmacologiche disponibili nella profilassi e nel trattamento della patologia tromboembolica arteriosa e venosa (eparina non frazionata ev e sc, fondaparinux, VKA) hanno condotto alla ricerca e allo sviluppo di nuovi farmaci anticoagulanti, somministrabili per via orale, che superassero o riducessero al minimo queste limitazioni [22-24]. Negli ultimi anni, pertanto, sono state studiate diverse molecole, il cui meccanismo d’azione sulla coagulazione è fondamentalmente rappresentato da inibizione diretta della trombina o fattore II attivato (dabigatran) e inibizione del fattore X attivato (rivaroxaban, apixaban, edoxaban) [22-24]. I principali campi di applicazione in cui questi farmaci sono stati studiati in RCT sono rappresentati da: profilassi e trattamento del tromboembolismo venoso (TEV), profilassi embolica nel paziente con fibrillazione atriale e profilassi/trattamento della cardiopatia ischemica.
Per la valutazione del rischio di EIC in pazienti in trattamento con dabigatran sono disponibili i risultati di RCT di fase III in cui il farmaco è stato studiato nella profilassi del TEV in pazienti sottoposti a interventi di protesi d’anca e di ginocchio (studi RE-MOBILIZE, RE-NOVATE, RE-MODEL) [25-27], nella profilassi tromboembolica arteriosa in pazienti con fibrillazione atriale (RE-LY) [28] e nella profilassi secondaria dei pazienti con TEV (RE-COVER) [29]. Negli studi di profilassi del TEV nei pazienti ortopedici, due dosaggi di dabigatran (150 mg o 220 mg una volta al giorno) sono stati confrontati con enoxaparina al dosaggio di 40 mg una volta/die (RE-MODEL e RE-NOVATE) o 30 mg x 2 volte/die (RE-MOBILIZE). Nello studio RE-NOVATE non vengono segnalati sanguinamenti in organi critici, nello studio RE-MODEL ne viene segnalato uno nel braccio 150 mg, nello studio RE-MOBILIZE vengono segnalati 10 casi di sanguinamento maggiore (5 nel gruppo 220 mg, 5 nel gruppo 150 mg) a fronte di 12 casi nel gruppo enoxaparina. Non sono comunque specificati gli eventuali casi di EIC. Il numero di pazienti totali trattati con dabigatran in questi tre studi è stato di 5.419 [25-27].
Nello studio RE-LY circa 18.000 pazienti sono stati arruolati e suddivisi in tre gruppi di circa 6.000 pazienti ciascuno, rispettivamente trattati con dabigatran 110 mg x 2 volte al giorno, 150 mg x 2 volte al giorno o warfarin con INR target 2,5. Entrambi i dosaggi di dabigatran si associano a una riduzione significativa delle EIC rispetto a warfarin, sia per le emorragie intraparenchimali sia per quelle sub-durali, mentre non esistono differenze significative tra i due dosaggi (Tabella VI) [28,30].
|
Warfarin |
Dabigatran 110 bid |
Dabigatran 150 bid |
Dabigatran 110 bid vs warfarin |
Dabigatran 150 bid vs warfarin |
Dabigatran 150 bid vs dabigatran 110 bid (n = 12.091) |
||||||
n |
%/anno |
n |
%/anno |
n |
%/anno |
RR (IC 95%) |
p |
RR (IC 95%) |
p |
RR (IC 95%) |
p |
|
EIC totali |
90 |
0,76 |
27 |
0,23 |
39 |
0,32 |
0,30 (0,19-0,45) |
< 0,001 |
0,42 (0,29-0,62) |
< 0,001 |
1,43 (0,88-2,94) |
0,15 |
ICH |
48 |
0,41 |
15 |
0,13 |
16 |
0,13 |
0,31 (0,17-0,55) |
< 0,001 |
0,33 (0,19-0,57) |
< 0,001 |
1,05 (0,52-2,13) |
0,88 |
ESD |
40 |
0,34 |
22 |
0,10 |
23 |
0,19 |
0,30 (0,16-0,57) |
< 0,001 |
0,56 (0,34-0,94) |
< 0,028 |
1,90 (0,94-3,81) |
0,07 |
Tabella VI. Rischio di emorragia intracranica con i diversi regimi di dabigatran utilizzati nello studio RE-LY [28,30]
Anche i risultati dello studio di fase III RE-COVER, in cui dabigatran al dosaggio di 150 mg x 2 volte al giorno viene confrontato con warfarin con INR target 2,5 nella profilassi secondaria del TEV a partire dalla fase acuta di episodi di TEV, dimostrano che nel gruppo trattato con dabigatran il rischio di EIC è ridotto, in particolare su 1.274 pazienti in trattamento con dabigatran non sono stati evidenziati casi di EIC a fronte dello 0,23% nei pazienti trattati con warfarin [29].
Rivaroxaban è stato ampiamente analizzato in RCT di fase III relativi alla profilassi del TEV in pazienti sottoposti a interventi di protesi d’anca e di ginocchio, ambito in cui, al momento, in Italia il farmaco trova indicazione. Il programma di RCT in questo ambito, denominato RECORD, comprende quattro studi multicentrici in cui rivaroxaban al dosaggio di 10 mg al giorno è stato confrontato con enoxaparina a dosaggi di 30 mg x 2 volte al giorno o 40 mg una volta al giorno, e dimostra che, a fronte di un vantaggio in termini di riduzione degli eventi TEV, rivaroxaban in due dei quattro studi si associa a incremento non significativo del rischio di emorragie maggiori (0,3% vs 0,1% nel RECORD I, p = 0,18, e 0,7% vs 0,3% nel RECORD IV, p = 0,10), ma non sono riportati i dati relativi alle EIC. Dalla lettura dei dati pubblicati, sembrano tuttavia potersi escludere EIC nel RECORD 2 e 3, mentre nel RECORD 1 e 4 sono segnalati due sanguinamenti in organi critici [29-32]. Il totale di pazienti trattati con rivaroxaban nei RCT RECORD I-IV è stato di 6.241 (eventuale rischio di EIC 0,03%) [31-34].
Rivaroxaban è stato testato in RCT di fase III nel trattamento in fase acuta e nella profilassi secondaria del TEV negli studi EINSTEIN-DVT e EINSTEIN-Extension [35]. Rivaroxaban al dosaggio di 15 mg x 2 volte al giorno per 3 settimane, seguito da 20 mg al giorno per 3-6-12 mesi è stato confrontato a warfarin preceduto da enoxaparina in pazienti con trombosi venosa profonda in fase acuta (EINSTEIN-DVT) oppure al placebo dopo sospensione di warfarin somministrato per 6-12 mesi a pazienti con trombosi venosa profonda o embolia polmonare (EINSTEIN-Extension) [35]. Benché anche in questo caso non vengano riportati i dati delle EIC, nello studio EINSTEIN-DVT vengono segnalate 3 emorragie in organi critici sia nel gruppo di trattamento rivaroxaban che enoxaparina-VKA, mentre nell’EINSTEIN-Extension non si sono verificati sanguinamenti in organi critici sia nel gruppo rivaroxaban che placebo [35]. Sono in corso di pubblicazione i risultati dello studio EINSTEIN-PE (Pulmonary Embolism).
Infine rivaroxaban è stato confrontato con warfarin nella profilassi degli eventi embolici arteriosi in pazienti con fibrillazione atriale nello studio di fase III ROCKET-AF [36]. I risultati sono in fase di pubblicazione; report preliminari presentati a Congressi internazionali dimostrano che su 7.081 pazienti trattati con rivaroxaban 20 mg/die (15 mg/die in pazienti con clearance della creatinina compresa tra 30-49 ml/min), il rischio di stroke emorragico è dello 0,26% per anno di trattamento, significativamente inferiore ai pazienti in trattamento con warfarin (0,4%/anno, p = 0,012). In particolare EIC si sono verificate in 55 pazienti in trattamento con rivaroxaban (0,49%, 37 intraparenchimali, 2 intraventricolari, 14 sub-durali, 4 subaracnoidee) contro 84 (0,74%) nel gruppo in trattamento con warfarin (p = 0,019). L’incidenza di EIC intraparenchimale si riduce, seppur non significativamente, anche nella sotto-popolazione dello studio in profilassi secondaria (circa 3.750 pazienti trattati con rivaroxaban) in cui si verificano 0,59% eventi per anno di trattamento nei pazienti nel braccio rivaroxaban contro lo 0,80% nel gruppo warfarin (p = 0,46) [37].
Nel programma di RCT di fase III ADVANCE, apixaban al dosaggio di 2,5 mg ogni 12 ore è stato confrontato con enoxaparina (30 mg x 2 volte al giorno o 40 mg una volta al giorno) per la profilassi del TEV nei pazienti sottoposti a intervento di protesi di ginocchio (ADVANCE I e II) [38,39] o di anca (ADVANCE III) per un totale di 5.770 pazienti [40]. In nessun paziente si è verificata una EIC (1 caso su 5.755 nei pazienti trattati con enoxaparina, verificatosi al dosaggio di 30 mg ogni 12 ore). Apixaban è risultato associato a un rischio EIC dello 0,5% (0,4% intracerebrale, 0,1% sub-durale) per anno di trattamento nel RCT AVERROES, studio multicentrico nel quale apixaban al dosaggio di 5 mg ogni 12 ore è stato confrontato con aspirina (81-324 mg/die), quest’ultima associata a un rischio di EIC dello 0,5% per anno di trattamento (0,4% intracerebrale, 0,1% sub-durale, p = 0,45) in pazienti che non potevano assumere VKA [41]. Nello studio APPRAISE (Apixaban for Prevention of Acute Ischemic Safety Events), RCT di fase II in cui apixaban a diversi dosaggi (2,5 mg x 2 volte al giorno o 10 mg una volta al giorno) in associazione a aspirina (100% dei casi) e clopidogrel (76% dei casi) vs placebo in pazienti con sindrome coronarica acuta con o senza elevazione del tratto ST, il gruppo di trattamento ha presentato un rischio raddoppiato di emorragie maggiori rispetto al gruppo placebo specie se in triplice terapia (più clopidogrel), ma nessuna di queste emorragie è risultata essere localizzata in sede intracranica [42]. Estrapolando i dati di questi RCT con apixaban, su 9.208 pazienti trattati col farmaco si sono verificati 15 casi (0,16%) di EIC di cui 11 intracerebrali e 4 sub-durali [38-42].
Ancora limitati i dati per quanto riguarda edoxaban, che, al momento ha terminato la valutazione in RCT di fase II [43].
In conclusione i nuovi farmaci anticoagulanti sembrano essere associati, almeno dai dati derivanti dai RCT di fase III, con un rischio di EIC inferiore o comunque non superiore ai farmaci antitrombotici con cui sono stati confrontati. La loro diffusione nella pratica clinica quotidiana ci permetterà di valutarne l’impatto in termini di EIC nella popolazione reale.
Conclusioni
In conclusione l’EIC associata a terapia anticoagulante orale sta diventando una problematica sempre più attuale nella pratica clinica quotidiana per l’ampia diffusione di questi farmaci, problematica che necessita di adeguata conoscenza soprattutto in riferimento alla loro neutralizzazione urgente. Il timore di EIC non deve comportare comunque un indiscriminato astensionismo prescrittivo dei farmaci anticoagulanti, ma deve promuovere la conoscenza del meccanismo d’azione di questi farmaci e delle loro proprietà farmacodinamiche e cinetiche oltre alla individuazione di quei fattori di rischio emorragico che possono ridurne l’appropriatezza e la correttezza nella prescrizione. La disponibilità e l’uso di antidoti che rapidamente neutralizzano l’effetto dei farmaci antitrombotici deve essere imprescindibile in ambito ospedaliero, specie nei dipartimenti di Emergenza. Mentre per i vecchi anticoagulanti orali (VKA) esistono antidoti specifici per la neutralizzazione urgente, i nuovi anticoagulanti orali, promettenti per la loro efficacia e sicurezza nei RCT, non hanno ad oggi un antidoto specifico; ciò potrebbe limitarne l’uso. Sono tuttavia in corso studi finalizzati alla loro individuazione. Al momento l’utilizzo di fattore VII ricombinante attivato, plasma fresco congelato, concentrati di complesso protrombinico, anche in forma attivata (FEIBA), ed eventualmente procedure dialitiche sono stati proposti come misure per il reverse dei nuovi farmaci anticoagulanti orali [4,43-46].
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