Reviews in Health Care 2013; 4(Suppl 3): 5-16
Congress report
L’esperienza di Cesena nella gestione della coagulopatia trauma-indotta: quali prospettive per il futuro?
Cesena experience in the management of trauma induced coagulopathy: where are we going?
Vanessa Agostini 1
1 Medicina Trasfusionale, Ospedale Bufalini, Cesena
Abstract
In recent years the management of the Trauma Center has witnessed the implementation of a significant change in the approach to critical bleeding and acute trauma-induced coagulopathy. The Trauma Center of “Bufalini” Hospital in Cesena has achieved a leading position in this system, especially with a multidisciplinary approach that has strongly influenced the organization of the Trauma Center. Thus, it is of particular interest the involvement of specialists in Transfusion Medicine within the Trauma Center: “Bufalini” Hospital was among the first in Italy to bring hematologists from Transfusion Medicine Department in the Trauma Team. This approach, which has led to very significant improvements in the way we manage polytrauma patients, is now spreading widely in other national centers.
In 2009 the first Massive Transfusion Protocol (MTP) was implemented in the Trauma Center, with the aim of identifying patients at risk, improving the communication between different healthcare professionals and achieving a blood components fixed ratio. Transfusion support was part of the context of the Damage Control Resuscitation (DCR) based on the principles of permissive hypotension, Damage Control Surgery (DCS) and Haemostatic Resuscitation.
Considering the major medical and scientific knowledge and new data available, in 2011 the “Bufalini” Hospital Working Group modified its MTP with the aim of obtaining a rapid diagnosis of hyperfibrinolisis, an early diagnosis of hypofibrinogenemia and reduce therapy with blood components. It has also been developed an algorithm for the proper interpretation of Point-Of-Care Device results (ROTEM®).
Keywords
Massive transfusion protocol (MTP); Trauma Center; Management
Disclosure
Il presente Congress Report è stato supportato da CSL Behring.
Figura 1. Sistemi Integrati di Assistenza al Trauma (SIAT) in Emilia Romagna
Introduzione
Negli ultimi anni la gestione dei Trauma Center ha visto attuarsi un notevole cambiamento nell’approccio al sanguinamento critico e alla coagulopatia acuta trauma-indotta. Il Trauma Center dell’Ospedale “Bufalini” di Cesena ha raggiunto una posizione all’avanguardia in questo sistema, soprattutto grazie all’approccio multidisciplinare che ha fortemente caratterizzato l’organizzazione del Trauma Center. In tal senso risulta di particolare interesse il coinvolgimento degli specialisti della Medicina Trasfusionale all’interno del Trauma Center: l’ospedale di Cesena è stato tra i primi in Italia a portare gli ematologi della medicina trasfusionale nel Trauma Team. Questo approccio, che ha portato miglioramenti molto rilevanti nel modo di gestire i pazienti politraumatizzati, si sta ora diffondendo ampiamente anche in altri centri nazionali.
Normative per la gestione del Trauma Center
Il Trauma Center dell’ospedale di Cesena opera all’interno dell’organizzazione sanitaria dell’Emilia Romagna, regione che nel 2002 ha approvato un documento contenente le linee guida per la definizione della rete dei servizi sanitari in alcune aree particolari, tra cui la terapia dei grandi traumi, mediante il modello denominato “Hub and Spoke”. In base a questo modello furono creati in Emilia Romagna tre Sistemi Integrati di Assistenza al Trauma (SIAT); ogni SIAT ha come punto di riferimento un “hub”, costituito dal Trauma Center, al quale è connessa una rete di ospedali periferici (“spokes”). Il Trauma Center di Cesena rappresenta l’“hub” per l’Area Vasta Romagna, che comprende i territori delle Aziende sanitarie di Cesena, Forlì, Ravenna e Rimini, per un totale di oltre 1 milione di abitanti, che durante l’estate diventano circa il doppio, vista la vocazione fortemente turistica del territorio. Gli altri SIAT dell’Emilia Romagna sono il SIAT dell’Emilia occidentale, con hub presso l’Azienda ospedaliero-universitaria di Parma, e il SIAT dell’Emilia orientale, con hub presso l’Ospedale Maggiore di Bologna (Figura 1).
Figura 2. Attività del Trauma Center di Cesena pre- e post-SIAT
La storia del Trauma Center di Cesena è piuttosto recente, in quanto l’attività ha avuto inizio nel 2001 e, in principio il Centro si occupava soprattutto di traumi cranici, mentre negli anni successivi, grazie al cambiamento nell’asset amministrativo e gestionale dell’ospedale, sono afferiti presso il Centro anche i politraumi maggiori (Figura 2).
L’organizzazione all’interno della Medicina Trasfusionale per la gestione del supporto trasfusionale al paziente politraumatizzato con emorragia critica è stato impostato e strutturato in conformità alle normative nazionali e regionali. In particolare la Legge n. 219 del 21 ottobre 2005 sulla “Nuova disciplina delle attività trasfusionali e della produzione nazionale degli emoderivati” prevede “lo sviluppo (….omissis) di specifici programmi di diagnosi e cura” all’interno del “sistema urgenza-emergenza”, mentre il Decreto della Giunta Regionale 23 del 2005, che stabilisce i “Requisiti specifici per l’accreditamento delle Strutture di Emergenza e Urgenza”, impone la presenza di una scorta minima di 3 sacche di sangue 0 negativo, l’esistenza di una procedura nota e condivisa per la gestione del sangue in dotazione, l’esistenza di un protocollo per la gestione del sanguinamento critico e la disponibilità nella banca del sangue di emocomponenti per il trattamento del sanguinamento critico (15-20 unità di RBC, Red Blood Cells) prima dell’arrivo del paziente in Emergency Room). A livello internazionale è fortemente consigliata la stesura di procedure condivise a livello interdisciplinare per la gestione delle emorragie gravi. In Tabella I si riporta un esempio significativo tratto dal “Manual of Optimal Blood Use”, pubblicato online dall’European Blood Alliance e specificamente indirizzato ai medici trasfusionisti.
In osservanza alle normative e ai requisiti richiesti nel 2002 il reparto è stato organizzato in modo da assicurare la presenza in ospedale di medici e tecnici della Medicina Trasfusionale nei giorni lavorativi dalle ore 7.30 alle ore 20.00, mentre durante le festività, la domenica pomeriggio e la notte, il servizio funziona tramite reperibilità. Il medico e i tecnici reperibili vengono quindi allertati direttamente dalla scena del trauma in modo da poter raggiungere velocemente l’Ospedale per mettere in atto la terapia tempestivamente, in particolare con la disponibilità immediata di una prima fornitura di 4 unità di RBC e 2 unità di FFP (Fresh Frozen Plasma).
Nel periodo tra il 2002 e il 2009 il Centro di Cesena non aveva ancora elaborato un “protocollo di trasfusione massiva” (PTM) così, dopo il primo pacchetto di 4 unità di RBC e 2 unità di FFP, il supporto trasfusionale veniva messo in atto in base al giudizio clinico e agli esami di laboratorio standard. Gli esami di laboratorio standard costituiscono un punto cruciale: i campioni da analizzare ottenuti al tempo 0 e disponibili mediamente dopo circa 60 minuti rendono infatti conto della situazione al tempo 0, mentre nel frattempo la situazione clinica può essere notevolmente mutata.
1 |
Se lo staff medico addetto agli interventi di emergenza conta più operatori, allora uno di questi deve essere incaricato dell’esecuzione degli ordini di sangue e delle relazioni con la Banca del Sangue. Tale aspetto assume particolare importanza nei casi in cui si rende necessario trattare contemporaneamente pazienti multipli infortunati |
2 |
Inserire una cannula intravenosa e prelevare un campione di sangue per il test di compatibilità. Predisporre l’infusione intravenosa, eseguendo il prelievo del campione di sangue e presentando il modulo di richiesta del sangue presso la Banca del Sangue al più presto possibile |
3 |
È essenziale etichettare chiaramente sia la provetta contenente il campione di sangue che le richieste di sangue relative ai singoli pazienti. Nel caso di pazienti non identificabili, sarà necessario utilizzare un sistema basato su codici di identificazione di emergenza. Il nome del paziente deve essere utilizzato solo quando si è certi che le informazioni di cui si è in possesso sono corrette |
4 |
Comunicare alla Banca del Sangue i livelli di urgenza delle consegne del sangue destinato ai singoli pazienti. Le comunicazioni devono essere effettuate utilizzando una serie di termini precedentemente concordati con la Banca del Sangue, e finalizzati a descrivere il livello di urgenza nelle consegne del sangue |
5 |
Se esiste una scorta speciale di sangue “0 negativo”, per esempio in sala travaglio, utilizzare prima tale scorta per ragazze e donne in età fertile |
6 |
Se il paziente presenta un sanguinamento diffuso, non attendere gli esiti dei test di compatibilità |
7 |
In caso di emergenza, non richiedere sangue con compatibilità verificata (cross-matching). Richiedere invece alla Banca del Sangue di fornire il tipo di sangue che può essere fornito con la maggiore rapidità possibile e con il maggior margine di sicurezza, in conformità alle norme locali. Nel caso di donne e ragazze in età fertile, è raccomandabile utilizzare globuli rossi di gruppo RhD negativo fino a quando non è noto il tipo RhD esatto della paziente |
8 |
Qualora poco dopo la prima richiesta di sangue dovesse pervenirne una seconda per lo stesso paziente, utilizzare il medesimo codice di identificazione utilizzato nel modulo della prima richiesta di sangue, per consentire alla Banca del Sangue di sapere che si tratta dello stesso paziente |
9 |
Assicurarsi che lo staff della Banca del Sangue sappia:
|
Tabella I. Esempio di procedura per le emorragie gravi secondo il Manual of Optimal Blood Use
Elaborazione del primo PTM (2009)
Nel 2009 si è attivato presso l’Ospedale di Cesena un gruppo di lavoro costituito da anestesisti e specialisti in medicina trasfusionale che, basandosi sulla letteratura scientifica disponibile fino al 31 Maggio 2009, è giunto all’elaborazione di un primo PTM (Figure 3 e 4). I principali obiettivi dell’implementazione di questa nuova procedura erano:
- identificare i pazienti a rischio;
- velocizzare la comunicazione tra i diversi medici e operatori professionali coinvolti;
- avere un rapporto fisso tra gli emocomponenti (all’epoca non era presente nella struttura nessun Point-Of-Care Device per monitorare e indirizzare la trasfusione).
Figura 3. PTM luglio 2009
Figura 4. PTM luglio 2009
In base a quanto previsto nel protocollo, all’arrivo in Pronto Soccorso il paziente con trauma maggiore generalmente riceveva 2 litri di cristalloidi. Se le condizioni del paziente erano stabili dal punto di vista emodinamico si procedeva con un percorso diagnostico-clinico standard (linea tratteggiata); in caso contrario si iniziava, in Pronto Soccorso, la trasfusione di 4 unità di RBC e 2 unità di FFP (=1000 ml). Se il paziente risultava ancora emodinamicamente instabile (classe di shock ATLS III-IV o not responder/transient responder), con la presenza dei seguenti paramenti: BE<-6; lattato>4; almeno due tra: pressione artesiosa sistolica (PAS) <90, pulsazioni>120, trauma chiuso; Extended-FAST positiva, il servizio di Medicina trasfusionale preparava 10 unità di RBC, 5 U di FFP e 1 concentrato di piastrine (PC) senza aspettare i risultati degli esami di laboratorio e con lo scopo di recuperare un volume di sangue perso. Al termine di questo primo PTM, se il paziente manteneva l’instabilità emodinamica, veniva ripetuto lo stesso protocollo, con l’aggiunta di 10 sacche di crioprecipitato, come fonte di fibrinogeno e fattore XIII.
Il supporto trasfusionale rientrava nel contesto della Damage Control Resuscitation (DCR) basata sui principi della ipotensione permissiva, Damage Control Surgery (DCS) ed Haemostatic Resuscitation.
Il protocollo di gestione della trasfusione massiva elaborato nel 2009 era basato su un approccio “proattivo” piuttosto che su uno “reattivo”. Tre elementi fondanti giustificavano tale scelta:
- la necessità di evitare o diminuire la coagulopatia da diluizione;
- la disponibilità di dati derivanti da studi di origine militare e civile sull’utilizzo di alte dosi di FFP e RBC;
- il potenziale emostatico di alte dosi di FFP.
È noto che uno dei principali driver della coagulopatia acquisita è la diluizione, che deriva dal fisiologico riempimento vascolare dovuto alla somministrazione di fluidi. Molto significativa a questo proposito è l’analisi condotta dal German Trauma Registry su più di 8.700 pazienti: di questi, circa il 34% presentava coagulopatia all’arrivo in Emergenza ma ben il 40% dei pazienti sviluppava una coagulopatia dopo la somministrazione di più di 2 litri di fluidi, oltre il 50% dei pazienti dopo somministrazione di > 3 litri e oltre il 70% dei pazienti dopo somministrazione di > 4 litri. Inoltre l’analisi aveva evidenziato che la mortalità aumentava in relazione all’Injury Severity Score (ISS) e, all’interno della stessa categoria di ISS, la mortalità risultava più alta in pazienti con coagulopatia rispetto a pazienti che non presentavano coagulopatia.
Figura 5. Schema organizzativo del Trauma Center dell’Ospedale “Bufalini” di Cesena
Un’altra motivazione dell’approccio “proattivo” risiedeva nella disponibilità di dati derivanti da studi di origine militare e civile condotti soprattutto negli Stati Uniti, che supportavano l’utilizzo di alte dosi di FFP e RBC. Pur riconoscendo che la maggior parte di questi studi aveva un disegno retrospettivo, quindi con un basso livello di evidenza scientifica, bisogna considerare che, all’epoca, questi erano i dati disponibili.
Una terza ragione a sostegno dell’approccio “proattivo” rispetto a quello “reattivo” erano i dati a supporto del potenziale emostatico di alte dosi di FFP. Lo studio di Johansson e colleghi, pubblicato nel 2008, aveva dimostrato che una strategia trasfusionale precoce era in grado di mantenere la competenza emostatica in pazienti con emorragia massiva: in questo studio si valutava l’efficacia della trasfusione con pacchetti costituiti da 5 unità di RBC, 5 unità di FFP e 2 PC in termini di formazione e stabilità del coagulo in 10 pazienti. Di questi, 6 pazienti presentavano uno stato di ipocoagulabilità prima della somministrazione della trasfusione, mentre nessuno lo era al termine della trasfusione di 7 pacchetti.
Il nuovo PTM 2012
Successivamente le conoscenze in merito alla patofisiologia della TIC (Trauma Induced Coagulopathy) iniziarono a cambiare e a farsi più approfondite; molto importante a questo proposito fu la London Trauma Conference del dicembre 2009 nel corso della quale vennero ad esempio presentati dati significativi, da parte della London School of Medicine, in merito all’esistenza di una coagulopatia endogena acuta, che inizia sulla scena dell’incidente ed è indipendente dalla quantità di fluidi utilizzati per la resuscitation del paziente.
Sempre grazie agli sviluppi della ricerca, ora è noto che i principali drivers di ATC (Acute Traumatic Coagulopathy) sono la iperfibrinolisi e la anticoagulazione mediata dal complesso trombomodulina-trombina, con l’attivazione della proteina C in proteina C attivata (aPC) che determina la inattivazione dei fattori V e VIII. E più recentemente lo studio CRASH-2 ha evidenziato che la somministrazione precoce, entro le 3 ore dal trauma, di acido tranexamico ha un impatto significativo sulla mortalità, specialmente nei paziente profondamente ipotesi (PAS < 75mmHg).
Considerando le maggiori conoscenze medico-scientifiche e i nuovi dati disponibili, nel 2011 il gruppo di lavoro di Cesena ha sentito quindi la necessità di modificare il precedente PTM con lo scopo di ottenere una rapida diagnosi dell’iperfibrinolisi, una precoce diagnosi di ipofibrinogenemia e ridurre la terapia con emocomponenti (è noto infatti che per ogni unità di RBC somministrata si registra un aumento nella mortalità, senza raggiungere il plateau).
Figura 6. PTM 2012
Al momento attuale la situazione del Trauma Center dell’ospedale Bufalini di Cesena può essere così descritta: nell’Unità di Terapia Intensiva (UTI) è presente un tromboelastografo ROTEM®, connesso tramite il server dell’ospedale ad un PC nei locali della medicina trasfusionale. In questo modo il medico trasfusionista può seguire i risultati del ROTEM® e confezionare la terapia a base di emocomponenti e concentrati dei fattore della coagulazione (Goal-Directed Therapy) mentre il paziente si trova in pronto soccorso o in sala operatoria o in radiologia interventistica. In questo modo i reparti possono lavorare insieme, sfruttando al meglio le potenzialità di un approccio interdisciplinare (Figura 5).
Sono inoltre stati introdotti alcuni cambiamenti all’interno del precedente PTM (Figura 6): all’arrivo in pronto soccorso il paziente con trauma maggiore riceve 1 grammo di acido tranexamico, dopo aver fatto un prelievo di sangue per il ROTEM® e gli altri esami di laboratorio standard. L’anestesista e lo specialista del Trauma Center possono attivare il PTM sulla base dei parametri clinici sopracitati. Se il paziente rimane emodinamicamente instabile dopo l’attuazione del primo PTM (che comunque può essere modificato se i risultati del ROTEM® sono già disponibili), la terapia successiva viene condotta in base ai risultati del ROTEM®. In questo modo si cerca di ridurre l’utilizzo di FFP e concentrato di piastrine, laddove i parametri viscoelastici dimostrino che non ce ne sia la necessità. È inoltre stato elaborato un algoritmo ROTEM® di riferimento come supporto nell’approccio al paziente in base ai valori riscontrati sullo strumento.
Tutta la procedura è stata pensata e realizzata all’interno della DCR: il PTM non rappresenta l’unico strumento di supporto per il trattamento del paziente ma risulta di notevole utilità all’interno di una politica di gestione complessiva dei pazienti traumatizzati gravi. In questo contesto è inoltre fondamentale evitare l’ipotermia e correggere l’ipocalcemia.
Figura 7. Tipologia di pazienti afferiti al Trauma Center di Cesena nel 2011 e 2012
Al momento l’approccio del Trauma Center dell’ospedale di Cesena si situa a metà tra le strategie di intervento degli Stati Uniti, da una parte, e di Austria e Germania, dall’altra: nel PTM 2012 si prevede infatti una precoce somministrazione di acido tranexamico, pacchetti di RBC e FFP, ma è stata anche evidenziata la necessità di indirizzare precocemente il supporto alla coagulazione tramite l’utilizzo di Point-Of-Care Device.
Una prima analisi dei dati 2012
In conclusione si ritiene opportuno presentare una breve analisi sui dati relativi ai pazienti trattati presso il Trauma Center dell’ospedale di Cesena, per mettere in evidenza i risultati ottenuti e le differenze registrate negli anni. La presente analisi, sui dati estratti dal database dell’U.O. Anestesia e Rianimazione e del sistema gestionale informativo della Medicina Trasfusionale, prende in considerazione i primi 9 mesi del 2011 e i primi 9 mesi del 2012, al fine di confrontare la tipologia di pazienti afferiti, i trattamenti messi in atto e i risultati ottenuti.
In entrambi i periodi presi in esame, i pazienti afferiti al Centro possono essere così suddivisi: pazienti arrivati direttamente dalla scena del trauma al Trauma Center, pazienti trasferiti dagli ospedali spoke e pazienti con trauma cranico (quest’ultimo sottogruppo di pazienti viene considerato a parte per il diverso tipo di coagulopatia che presenta e perché il trauma cranico isolato difficilmente presenta uno shock emorragico) (Figura 7).
All’interno del gruppo di pazienti arrivati direttamente al Trauma Center, è interessante notare che nel 2012 sono aumentati i pazienti politraumatizzati con trauma cranico: i dati registrati attestano infatti un Injury Severity Index (ISS) più alto rispetto all’anno precedente, così come l’Abbreviated Injury Severity Score Head (AIS H), che risulta più alto, in maniera statisticamente significativa, rispetto all’anno precedente (Tabella II).
Dall’analisi dei dati relativi al supporto trasfusionale messo in atto, è invece interessante osservare la diminuzione dell’ammontare totale delle RBC trasfuse, così come quello delle RBC trasfuse nelle prime 24 ore e soprattutto una riduzione statisticamente significativa dell’utilizzo di FFP (Tabella III).
Dall’elaborazione e dall’analisi di questi dati, emerge una prima indicazione favorevole relativa alle scelte messe in atto per la gestione del Trauma Center: probabilmente i cambiamenti operativi dovuti all’implementazione del nuovo PTM hanno avuto un’influenza positiva sulla riduzione del supporto trasfusionale in questo tipo di pazienti (Figura 8).
2011 |
2012 |
P (test U Mann-Withney) |
|
Numero |
88 |
82 |
|
Età (SD) |
47 (19) |
46 (23) |
0,966 |
Maschi/Femmine (%) |
75% (66/22) |
70,7% (58/24) |
|
ED Pressione sanguigna (IQR) |
120 (100-141,25) |
125 (113,5-150) |
0,297 |
ED Ipotensione (%) |
26% (23/65) |
20% (17/65) |
|
ISS (IQR) |
25 (17-59) |
29 (22-75) |
0,010 |
AIS H ≥3 (%) |
37,5% |
51,2% |
0,050 |
ED Emoglobina (IQR) |
12,15 (10,4-13,4) |
12 (10,7-13,6) |
0,630 |
ED BE (IQR) |
-2,7 (-4,92-2,6) |
-2,30 (-4,5-2) |
0,540 |
ED Lattato (IQR) |
2,13 (9,4-1,5) |
2 (14-1,4) |
0,278 |
ED Ipossia (sì/no %) |
14,8% (13/75) |
18,3% (15/67) |
|
ED INR (SD) |
1,38 (0,38) |
1,41 (0,542) |
0,462 |
Tabella II. Caratteristiche cliniche e demografiche dei pazienti afferiti al Trauma Center di Cesena: confronto 2011 vs 2012
AIS H = Abbreviated Injury Severity Score Head; ED = Emergency Department; INR = International Normalized Ratio; IQR = Interquartile Range; ISS = Injury Severity Index; SD = Standard Deviation
2011 |
2011 (IQR) |
2012 |
2012 (IQR) |
|
RBC |
733 |
3,5 (0-13) |
449 |
2 (0-6) |
RBC 24 h |
453 |
2 (0-5,75) |
266 |
0 (0-4) |
FFP |
297 |
2 (0-5) |
141 |
0 (0-2) |
FFP 24 h |
227 |
2 (0-4) |
109 |
0 (0-2) |
PLT |
48 |
0 (0-1) |
50 |
0 (0-0) |
PLT 24 h |
45 |
0 (0-1) |
26 |
0 (0-4) |
CRYO |
65 |
0 (0-0) |
47 |
0 |
CRYO 24 h |
65 |
0 (0-0) |
47 |
0 |
FBG |
0 |
23 |
0 (0-6) |
Tabella III. Emocomponenti trasfusi: confronto 2011 vs 2012
RBC = Red Blood Cells; FFP = Fresh Frozen Plasma; PLT = piastrine; CRYO = crioprecipitati; FBG = fibrinogeno
Figura 8. Riduzione del supporto trasfusionale post-PTM 2012
RBC = Red Blood Cells; FFP = Fresh Frozen Plasma
Per chiarire meglio l’importanza del nuovo protocollo di gestione PTM, è parso opportuno verificare che la riduzione del supporto trasfusionale non sia da correlare al minor numero di pazienti sottoposti a PTM: nel 2011 infatti i pazienti sottoposti a PTM sono stati 18, mentre nel 2012 i casi con sanguinamento tale da richiedere un PTM e con un grado severo di acidosi sono stati solo 6. Al fine di verificare questo aspetto è stata condotta separatamente un’analisi sul gruppo di pazienti non sottoposti a PTM: anche in questo caso, pur essendo lo score ISS e lo score AISH più alti nel 2012 rispetto all’anno precedente, il supporto trasfusionale risulta ridotto (Figura 9).
Figura 9. Riduzione del supporto trasfusionale nei pazienti non sottoposti a PTM
EPL = emazie povere di leucociti; FFP = Fresh Frozen Plasma
L’autrice ringrazia i colleghi del Trauma Center, e in particolare il Dr. Fabrizio Zumbo dell’UTI, il Sig. Maurizio Ravaldini (UTI) e la Dr.ssa Michela Bellini, per il supporto nell’elaborazione dei dati
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