RHC 2014;5(Suppl 1)19-36.html

Reviews in Health Care 2014; 5(Suppl 1): 19-36

Disease

Narrative review

Ipofosfatemia in pazienti con epatite B cronica

Hypophosphatemia in patients with chronic HBV

Giovanni Vitale 1, Pietro Andreone 1

1 Dipartimento di Scienze Mediche e Chirugiche, Università di Bologna

Abstract

Phosphorus is an essential element for correct functioning of the organism. Alteration of serum phosphorus may be due to reduced dietary intake, altered by intra-extracellular, by excretion or reabsorption from the intestine, bone and kidney. In patients with chronic hepatitis B, hypophosphatemia may be secondary to several causes among which the most frequent are related to the use of drugs and the deficiency of vitamin D. Tenofovir is a first choice drug for the treatment of chronic hepatitis B and it can be used in patients with mild renal impairment. In fact renal failure induced by TDF is not frequent, dose-dependent and usually reversible. However, it’s recommended to avoid use other nephrotoxic drugs during treatment with TDF; monitor kidney function and phosphorus metabolism before and during therapy; adjust the doses of the drugs to the degree of renal failure; verify the presence of proximal tubulopathy through the calculation of the EFPi and the TMPi/GFR and consider the suspension of the TDF in the case of severe hypophosphoremia (< 1 mg / dl) or creatinine clearance < 50 ml/min). The aim of this review is to facilitate the recognition of drug-induced hypophosphatemia and differentiate it from that due to other causes, in order to avoid unnecessary discontinuation of antiviral therapy.

Keywords

Hypophosphatemia; Chronic HBV; Nucleotide analogs

Corresponding author

Dott. Giovanni Vitale

Email: giovanni.vitale2@studio.unibo.it

Disclosure

La presente review è realizzata con il supporto di Gilead Sciences.

Introduzione

Il fosforo rappresenta uno degli anioni maggiormente rappresentati nel corpo umano e uno dei più importanti alla luce dei ruoli svolti (metabolismo cellulare, componente degli acidi nucleici, elemento strutturale). Pur essendo essenziale per il corretto funzionamento dell’organismo, il suo metabolismo è tra i meno conosciuti e gli esami di screening, atti a individuare un’alterazione delle concentrazioni del fosforo, tra i meno richiesti. La prevalenza dell’ipofosfatemia nella popolazione generale non è ben definita e varia nei pazienti ospedalizzati dall’1% al 5%, percentuale probabilmente sottostimata, causa l’assenza della fosfatemia negli esami laboratoristici effettuati di routine; in alcune categorie a rischio queste percentuali crescono notevolmente: fino al 75% nei reparti di terapia intensiva, fino all’80% nei pazienti con sepsi severa e fino al 30,4% negli alcolisti [1]. Una riduzione del fosforo sierico può trovare molteplici giustificazioni, dipendendo esso dall’apporto dietetico, dagli scambi intra-extra-cellulari e dall’escrezione o dal riassorbimento intestinale, osseo e renale.

I pazienti con epatopatia cronica spesso presentano riduzione del fosforo per condizioni che vanno da un ridotto assorbimento, all’utilizzo di farmaci che interferiscono con la sua omeostasi, alla concomitante assunzione di alcol, a una condizione di ipovitaminosi D. In particolare quest’ultima condizione, con riduzione dei valori sierici di vitamina D al di sotto dei 20 ng/ml, è presente in una percentuale compresa tra il 64% e il 92% dei pazienti epatopatici e spesso la gravità del deficit è inversamente proporzionale alla stadio dell’epatopatia, essendo più accentuato nella cirrosi e nell’insufficienza epatica terminale [2]. Tra le varie causa di epatopatia, l’epatite cronica da HBV (Hepatitis B Virus) ha un ruolo di primo piano: circa un terzo della popolazione mondiale infatti presenta evidenza sierologica di un pregresso o presente contatto con il virus HBV e si stima che circa 350-400 milioni di persone siano HBsAg positive.

Una delle opzioni terapeutiche nella gestione dell’infezione da HBV è rappresentata dalla terapia a lungo termine con analoghi nucleotidici: adefovir (ADV) e tenofovir (TDF). Questi farmaci, solitamente ben tollerati e sicuri, possono provocare, talvolta, una riduzione delle concentrazioni sieriche di fosforo, quale prima manifestazione di una tubulopatia prossimale, potenziale effetto collaterale legato al loro utilizzo. Negli ultimi anni tale aspetto è stato notevolmente ridimensionato alla luce delle recenti casistiche condotte in pazienti monoinfetti. In passato infatti, in pazienti coinfetti (HIV e HBV), erano state segnalate percentuali non trascurabili di ipofosfatemia e tubulopatia, dato giustificabile sia con il concomitante utilizzo di altri farmaci antiretrovirali nefrotossici che con dosi più alte di farmaco utilizzate. È pertanto necessario che questi pazienti vengano sottoposti, prima dell’inizio della terapia con analoghi nucleotidici, a tutti gli accertamenti finalizzati a escludere la presenza di un’ipofosfatemia o di un’insufficienza renale preesistente, oltre che a un monitoraggio del fosforo e della funzione renale durante il trattamento onde evitare erronee e precoci sospensioni, mancati aggiustamenti posologici dei farmaci oppure la mancata individuazione di altre condizione morbose potenzialmente correggibili, vedasi deficit di vitamina D.

Nella presente review verrà presentata una panoramica sull’omeostasi del fosforo e le indicazioni per la diagnosi e il trattamento dell’ipofosfatemia, per poi affrontare nello specifico il legame tra analoghi nucleotidici, insufficienza renale e carenza di fosforo. Obiettivo della trattazione è agevolare il riconoscimento di ipofosfatemia indotta da farmaci e differenziarla da quella dovuta ad altre cause, al fine di evitare un’inutile sospensione della terapia antivirale.

L’omeostasi del fosforo

Il fosforo è il sesto elemento più abbondante nel corpo umano e l’anione intracellulare maggiormente rappresentato. Il contenuto di fosforo normalmente presente in un adulto è di circa 700 g (10 g/kg di peso corporeo). Di questi, l’85% è contenuto nello scheletro sotto forma di cristalli di idrossiapatite, il 14% nei tessuti molli e solo l’1% nei fluidi extracellulari. Nel sangue il fosforo è presente principalmente come fosforo inorganico e, sebbene rappresenti una frazione molto piccola (0,2% del fosforo totale), è quella che regola il metabolismo di tutto il fosforo presente nell’organismo. Questo anione infatti svolge un ruolo cruciale nel metabolismo cellulare (generazione di ATP e fosforilazione di enzimi), come componente di materiale genetico e come elemento strutturale (fosfolipidi e fosfoproteine). La Figura 1 riassume in sintesi le funzioni del fosforo.

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Figura 1. Funzioni e importanza del fosforo nell’organismo

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Figura 2. Riassorbimento renale del fosforo [5]

Il rene e il piccolo intestino sono i principali organi deputati all’omeostasi del fosforo. Una dieta equilibrata prevede una quantità di fosforo di 800-1.200 mg/die [1], due terzi dei quali vengono assorbiti nel piccolo intestino prossimale, anche in assenza di vitamina D. In condizioni di dieta povera di vitamina D e di fosforo, il piccolo intestino è in grado di aumentarne l’assorbimento. Circa 400 mg vengono escreti nelle feci mentre una quota compresa tra i 600 e gli 800 mg con le urine. Più dell’80% del fosforo filtrato a livello del glomerulo viene riassorbito nel tubulo prossimale (solo una piccola quota in quello distale); l’escrezione frazionale del fosforo (EFPi) oscilla tra il 10 e i 15%, ma non è costante, risentendo soprattutto del fosforo presente nella dieta: uno scarso contenuto di fosforo nell’alimentazione produrrà infatti un riassorbimento renale pressoché completo del fosforo filtrato, viceversa una dieta ricca di fosforo produrrà un ridotto riassorbimento renale. Altri elementi coinvolti nell’omeostasi del fosforo, oltre all’apporto alimentare, sono multipli fattori ormonali e non; per esempio il paratormone (PTH) e il Fibroblast Growth Factor-23 (FGF-23) riducono il riassorbimento di fosforo nel tubulo prossimale mentre l’1-25 diidrossicolecalciferolo (la forma attiva della vitamina D3) ne aumenta il riassorbimento sia a livello renale che intestinale.

Il riassorbimento renale di fosforo è mediato da cotrasportatori sodio-fosforo (NaPi) di tipo I, II e III, la cui attività è regolata dai livelli sierici di paratormone e fosforo. Il tipo II prevede 3 isoforme, IIa e IIc, localizzate sull’orletto a spazzola della membrana cellulare dei tubuli prossimali, e IIb, non espressa nel rene e responsabile del riassorbimento intestinale [3-5] (Figura 2).

Ipofosfatemia

Cause di ipofosfatemia

L’ipofosfatemia è il risultato di processi che possono verificarsi singolarmente o in combinazione: una ridotta introduzione con la dieta, il passaggio di fosforo dal fluido extracellulare all’interno della cellula (causa di ipofosfatemia a breve termine), l’aumentata escrezione urinaria di fosforo o un suo ridotto assorbimento intestinale (le ultime due causa di ipofosfatemia a lungo termine) [2]. La Figura 3 e la Tabella I riassumono il metabolismo del fosforo e le possibili cause di ipofosfatemia [3].

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Figura 3. Metabolismo del fosforo e cause di ipofosfatemia. Modificato da [3]

Condizione

Causa

Pseudoipofosfatemia

  • Mannitolo

Passaggio del fosforo extracellulare nella cellula

  • Alcalosi respiratoria acuta (intossicazione da salicilati, ventilazione meccanica)
  • Somministrazione di glucosio, fruttosio, terapia insulinica, nutrizione parenterale
  • Azione catecolaminergica (adrenalina, dopamina, salbutamolo, ipotermia, derivati della xantina)
  • Rapida proliferazione cellulare (uso di eritropoietina e GM-CSF)

Ridotto assorbimento intestinale di fosforo

  • Uso di antiacidi leganti il fosforo (es. idrossido di magnesio e idrossido di alluminio)
  • Farmaci che causano deficit o resistenza alla vitamina D (fenitoina, fenobarbital, rifampicina, isoniazide, carbamazepina, sorafenib [24])

Aumentata escrezione urinaria di fosforo

  • Inibitori dell’anidrasi carbonica (acetazolamide)
  • Diuretici (idroclorotiazide, indapamide, furosemide)
  • Teofillina, broncodilatatori, corticosteroidi
  • Sindrome di Fanconi indotta da farmaci
  • Espansione volemica (SIADH indotta da farmaci, somministrazioni saline)
  • Bifosfonati
  • Estrogeni, mestranolo
  • Aciclovir
  • Imatimib mesilato

Ipofosfatemia multifattoriale

  • Acidosi metabolica indotta da alcol/toluene
  • Alcol
  • Intossicazione da acetaminofene
  • Somministrazione endovena di ferro

Tabella I. Cause di ipofosfatemia. Modificato da [4]

Pseudoipofosfatemia

É una condizione rara secondaria all’utilizzo del mannitolo, un polisaccaride non riassorbibile con funzione di diuretico osmotico, che in realtà presenta solo una blanda azione fosfaturica; in questa circostanza ci troviamo di fronte a una falsa ipofosfatemia in quanto il fosforo viene legato al molibdato utilizzato durante il dosaggio colorimetrico del fosforo stesso [6].

Ipofosfatemia secondaria al passaggio intracellulare di fosforo

Condizione che si verifica nel trattamento della chetoacidosi diabetica, nell’alcalosi acuta respiratoria, nell’iperattivazione adrenergica, nella sindrome da rialimentazione, nella sindrome dell’osso affamato, condizione quest’ultima che può verificarsi dopo un intervento di paratiroidectomia in una situazione di aumentata sintesi ossea con insufficiente assunzione di calcio [7-10]. L’ipofosfatemia secondaria al passaggio di fosforo dal compartimento extracellulare a quello intracellulare è frequente ed è legata alla formazione di composti intermedi del metabolismo glicolitico contenenti fosforo; l’incremento del pH intracellulare, come avviene nell’alcalosi respiratoria, secondariamente alla riduzione intracellulare della CO2, stimola l’attività della fosfofruttochinasi che a sua volta stimola la glicolisi, provocando una rapida ridistribuzione del fosforo e favorendone la penetrazione cellulare a discapito dei livelli sierici. Condizioni associate ad alcalosi respiratoria sono l’intossicazione da salicilati, la ventilazione meccanica, il coma epatico, la sepsi, i colpi di calore e le ustioni [11]. Aumentati livelli sierici di insulina promuovono il trasporto di glucosio e fosforo all’interno del muscolo scheletrico e del fegato. Se in soggetti normali di solito la somministrazione di insulina e glucosio provoca solo una lieve riduzione delle concentrazioni sieriche di fosforo, nei soggetti malnutriti, alcolisti, con diabete scompensato (chetoacidosi diabetica), in nutrizione parenterale totale, questa può causare un calo clinicamente molto più significativo [4]. Oltre alla sindrome dell’osso affamato altre cause di ipofosfatemia legate alla rapida proliferazione cellulare del midollo osseo e al sequestro di fosforo da parte delle nuove cellule, sono l’utilizzo di fattori di crescita come eritropoietina e GM-CSF, disordini linfoproliferativi acuti (leucemie) e trapianto di midollo [4]. La stimolazione beta-adrenergica, associata all’utilizzo di epinefrina o sostanze catecolamino-simili (dopamina, salbutamolo, teofillina), provoca ipofosfatemia attraverso il passaggio di fosforo dall’esterno all’interno della cellula. Anche l’ipotermia terapeutica può provocare ipofosfatemia attraverso l’attivazione simpatica [4].

Ipofosfatemia dovuta a ridotta introduzione o assorbimento intestinale

La causa più frequente è legata all’utilizzo di antiacidi contenenti alluminio, calcio, magnesio [12,13]. Questi farmaci, oltre a legare il fosforo presente nella dieta, rimuovono anche quello secreto endogenamente dal piccolo intestino. Se una dieta bilanciata è in grado comunque di fornire una quantità di fosforo eccedente rispetto al fabbisogno giornaliero, tale da minimizzare l’ipofosfatemia provocata dagli antiacidi, i soggetti più fragili, malnutriti e ospedalizzati sono a maggior rischio di ipofosfatemia significativa (per esempio è più frequente nei soggetti sottoposti a resezione epatica [14]). Uno studio condotto su volontari sani ha dimostrato che la combinazione di una dieta a basso contenuto di fosforo con l’utilizzo di antiacidi è in grado di ridurre in tre mesi le concentrazioni sieriche di fosforo di 1 mg/dl [12]. Altre categorie interessate da una ridotta introduzione o assorbimento sono rappresentate dai soggetti affetti da anoressia, morbo di Crohn, malattia celiaca, perdite intestinali (diarrea o vomito).

Ipofosfatemia secondaria a ipovitaminosi D

L’ipovitaminosi D, la più frequente tra le cause di ipofosfatemia, riduce l’assorbimento intestinale e il riassorbimento tubulare renale del fosforo. La vitamina D deriva per 4/5 dall’esposizione solare; essa si deposita nel tessuto adiposo e la quota che si libera viene immediatamente convertita nel fegato in 25(OH)D, le cui concentrazioni sieriche rappresentano un preciso indicatore dei depositi di vitamina. La 25(OH)D (25-idrossicolecalciferolo) viene convertita nel metabolita attivo 1,25(OH)2D (1,25-diidrossicolecalciferolo) soprattutto nel rene nell’ambito di un meccanismo omeostatico che coinvolge i livelli sierici di paratormone, calcio e fosforo [15].

L’1,25(OH)2D è il metabolita attivo della vitamina D che esercita le sue azioni attraverso l’interazione con specifici recettori (VDR) nucleari o situati sulla superficie cellulare: influenza il metabolismo calcio-fosforico, promuove alcune funzioni muscolari, contribuisce al controllo della proliferazione cellulare, con effetti sul sistema immunitario, sulla cute e su numerose neoplasie.

Un quadro preoccupante è emerso da studi policentrici internazionali che hanno inaspettatamente documentato una maggiore prevalenza di ipovitaminosi D nella popolazione generale dei paesi del Sud Europa (Italia, Grecia e Spagna). In Italia i cibi non vengono addizionati con vitamina D e di conseguenza la correzione del deficit è comunemente affidata alla supplementazione farmacologica. Numerosi studi hanno evidenziato che la carenza di vitamina D è molto diffusa tra i pazienti con epatite cronica B (95%) [16]. La conseguenza clinica di un’insufficienza/deficit di vitamina D riguarda principalmente una riduzione della densità minerale ossea con un aumento di prevalenza di osteopenia e osteomalacia [14].

Infine un ridotto assorbimento intestinale può essere indirettamente legato all’utilizzo di farmaci che causano una deficienza o resistenza alla vitamina D; per esempio alcuni anticonvulsivanti come fenobarbital e fenitoina aumentano la degradazione della vitamina D attraverso un’iperattivazione del citocromo P 450. Analogo meccanismo può essere riconducibile a rifampicina, isoniazide, carbamazepina [17,18]. Le Tabelle II e III mostrano rispettivamente come interpretare i livelli sierici di vitamina D e come supplementarne correttamente la carenza [15,19].

Definizione

Livelli sierici di vitamina D

nmol/l

ng/ml

Carenza

< 50

< 20

Insufficienza

50-75

20-30

Eccesso

> 250

> 100

Intossicazione

> 375

> 150

Tabella II. Interpretazione dei livelli sierici di vitamina D

Valore basale di vitamina D

Dose terapeutica cumulativa (UI)

Dose giornaliera di mantenimento (UI/die)

ng/ml

nmol/l

< 10

< 25

1.000.000

2.000

10-20

25-50

600.000

1.000

20-30

50-75

300.000

800

Tabella III. Supplementazione di vitamina D in caso di carenza o insufficienza

Ipofosfatemia dovuta ad aumentata escrezione urinaria

L’ipofosfatemia può essere anche secondaria a inadeguata fosfaturia. In questo sono solitamente coinvolti il paratormone (PTH) e il Fibroblast Growth Factor-23 (FGF-23) i quali riducono l’attività dei cotrasportatori NaPi presenti sulla membrana cellulare dei tubuli prossimali. L’aumentata fosfaturia può essere secondaria sia a disordini acquisiti che genetici. Tra le forme acquisite si annoverano l’iperparatiroidismo primitivo e quello secondario: il paratormone infatti, promuove l’internalizzazione dalla membrana cellulare del cotrasportatore NaPi-IIa, favorendone la degradazione e quindi l’attività di riassorbimento di fosforo [20]. L’ipofosfatemia associata a iperparatiroidismo primitivo di solito è lieve in quanto intervengono dei meccanismi di compenso rappresentati dall’aumentata mobilizzazione ossea e dall’aumentato riassorbimento intestinale. L’iperparatiroidismo primitivo si accompagna a concentrazioni sieriche aumentate di calcio mentre quello secondario a concentrazioni ridotte. Invece la presenza di una calcemia normale deve far propendere per una perdita primitiva di fosforo a livello tubulare [21]. Tra le forme acquisite vi è anche l’osteomalacia oncogenica, rara patologia paraneoplastica nella quale il tumore causale, in genere di origine mesenchimale, produce fattori circolanti (tra cui il FGF-23) in grado di determinare un quadro clinico di osteomalacia o rachitismo vitamina D-resistente. 

Numerosi sono poi i farmaci in grado di aumentare l’escrezione urinaria di fosforo; tra quelli maggiormente coinvolti vi sono i diuretici, in particolare gli inbitori dell’anidrasi carbonica come l’acetazolamide, i tiazidici e l’indapamide, mentre i diuretici dell’ansa di solito sono poco coinvolti in quanto il riassorbimento di fosforo è minimo a livello dell’ansa di Henle. Anche i bifosfonati possono provocare ipofosfatemia ma di solito è modesta, transitoria e secondaria all’aumento del PTH, che causa una brusca riduzione della calcemia [4].

Tra i disordini genetici in grado di provocare aumentata escrezione renale di fosforo ricordiamo l’X-linked ipofosfatemia e il rachitismo ipofosfatemico familiare, legate rispettivamente a una mutazione inattivante una zinco metallo-endopeptidasi e a una mutazione attivante il FGF-23; sono caratterizzate da giovane età, bassa statura, dolore osseo, evidenza radiologica di rachitismo, perdita renale di fosforo, e deficit di vitamina D [11].

Sindrome di Fanconi

La sindrome di Fanconi è una tubulopatia prossimale caratterizzata da ridotto riassorbimento tubulare di fosforo, bicarbonato, glucosio, acido urico e aminoacidi. Ne possono conseguire acidosi metabolica, ipouricemia, aminoaciduria, glicosuria (con glicemia nella norma) e ipofosfatemia. Può riconoscere sia cause ereditarie che acquisite; tra le ereditarie ricordiamo una forma primaria causata da una mutazione missense del cotrasportatore NaPi-II e una forma secondaria in cui sono incluse la cistinosi, la galattosemia, la tirosinemia, la sindrome di Lowe, la sindrome di Alport, la malattia di Wilson e i disordini mitocondriali [22]. Tra le forme acquisite ci sono quelle causate da amiloidosi, mieloma multiplo, emoglobinuria parossistica notturna, trapianto renale, metalli pesanti e farmaci. Tra i farmaci maggiormente associati a questa sindrome vi sono gli antineoplastici streptozocina, azacitidina, suramina e in particolare ifosfamide. Tra gli antivirali vi sono state segnalazioni con cidofovir e con gli analoghi nucleotidici tenofovir e adefovir. Infine può essere raramente associata ad alcuni antibiotici (tetracicline e aminoglicosidi), ad acido valproico e acido fumarico [23]. Nel box sono riportate le caratteristiche cliniche e laboratoristiche della sindrome di Fanconi [22,23].

Caratteristiche cliniche della sindrome di Fanconi [22,23]

  • Aumento variabile della creatinina sierica
  • Glicosuria normoglicemica
  • Fosfaturia e ipofosfatemia
  • Iperaminoaciduria
  • Deficit di bicarbonati acidosi tubulare renale
  • Ipouricemia
  • Ipopotassemia e perdita di sodio
  • Ipercalciuria
  • Proteinuria
  • Poliuria e polidipsia

Ipofosfatemia multifattoriale

Organo/apparato

Fattori di rischio

Sintomi

Muscolo liscio

  • Fosforo < 1 mg/dl
  • Ipofosfatemia acuta su cronica
  • Alcolismo
  • Disfagia
  • Miopatia prossimale
  • Ileo paralitico
  • Rabdomiolisi
  • Insufficienza respiratoria

Cuore

  • Fosforo < 1 mg/dl
  • frazione di eiezione e contrattilità
  • Scompenso cardiaco

SNC

  • Fosforo < 1 mg/dl
  • Irritabilità, delirium
  • Parestesie
  • Coma
  • Encefalopatia metabolica

Sangue

  • Fosforo < 1 mg/dl
  • Anemia emolitica
  • Piastrinopenia
  • Disfunzione GB

Osso

  • Prolungata ipofosfatemia
  • Giovane età
  • Ipercalciuria
  • Osteomalacia
  • Algodistrofia
  • Osteoporosi

Tabella IV. Fattori di rischio e sintomi causati dall’ipofosfatemia [1].

Due esempi di ipofosfatemia multifattoriale sono quelli legati all’intossicazione da acetaminofene e all’infusione endovenosa di ferro: nel primo caso vi è sia un aumentato passaggio di fosforo nelle cellule (di solito per l’iperventilazione e la somministrazione di soluzioni di destrosio) sia un ridotto riassorbimento tubulare, nel secondo caso si verifica sia attraverso un ridotto riassorbimento tubulare (per un aumento di FGF-23 e una tossicità diretta del ferro sui tubuli) che attraverso un’inibizione dell’1a-idrossilazione della vitamina D. Una causa non farmacologica è rappresentata invece dall’abuso di alcool che altera l’assorbimento intestinale del fosfato. Gli alcolisti in genere sono anche malnutriti, e in particolare presentano insufficiente apporto di minerali. Inoltre, durante la fase di riabilitazione e disassuefazione da alcool, lo stress da astinenza può creare alcalosi respiratoria, che aggrava ulteriormente l’ipofosfatemia.

Manifestazioni cliniche dell’ipofosfatemia

I sintomi dell’ipofosfatemia sono solitamente non specifici e dipendenti dalla causa, dalla durata e dalla loro severità. Iniziano a manifestarsi solitamente in presenza di ipofosfatemia severa (fosforo < 1 mg/dl) a causa della riduzione intracellulare di ATP e 2,3-difosfoglicerolo, situazione in grado di interferire con tutte le funzioni cellulari. Le forme di ipofosfatemia lieve e moderata di solito sono asintomatiche anche se possono occasionalmente manifestarsi con mialgie, crampi, irritabilità, astenia. Quando l’ipofosfatemia è associata a iperparatiroidismo secondario possono essere presenti dolori ossei generalizzati. Il problema principale legato alla cronica deplezione di fosforo è la mineralizzazione ossea, potendo provocare osteopenia e osteoporosi [21]. Invece l’ipofosfatemia severa può tradursi in conseguenze clinicamente rilevanti che vanno dalla rabdomiolisi, all’emolisi, alla disfunzione leucocitaria, all’insufficienza respiratoria, alle aritmie ventricolari, allo scompenso cardiaco, all’obnubilamento del sensorio [2]. In Tabella IV sono riportati i principali disturbi causati dall’ipofosfatemia in base all’organo o apparato coinvolto [1].

Diagnosi di ipofosfatemia

Le concentrazioni sieriche di fosforo seguono un ritmo circadiano calando rapidamente alle prime ore del mattino, raggiungendo un nadir (3,3±0,3 mg/dl) alle ore 11 e un picco di 4,6±0,2 mg/dl tra l’1 e le 3 [25]. La fosfatemia deve essere sempre rilevata dopo almeno 12 ore di digiuno e preferibilmente al mattino. In base ai valori rilevati l’ipofosfatemia viene definita [1]:

  • minima: fosforo tra 2-2,2 mg/dl;
  • lieve: fosforo tra 1,9-1,5 mg/dl;
  • moderata: fosforo tra 1-1,4 mg/dl;
  • severa: fosforo < 1 mg/dl.

Nella maggior parte degli studi clinici vengono considerati solo valori < 2 mg/dl. Se il fosforo risulta < 1,5 mg/dl o la clearance della creatinina < 50 ml/min la funzione renale deve essere riesaminata entro una settimana, includendo la glicemia, la potassemia e la glicosuria, nel sospetto di una tubulopatia prossimale ovvero una sindrome di Fanconi. Il paziente potrà a questo punto essere inviato allo specialista nefrologo per la presa in carico e la condivisione del successivo iter diagnostico-terapeutico.

Un deficit di fosforo lieve (2-2,2 mg/dl) non richiede solitamente accertamenti di rilievo oltre al controllo laboratoristico del dato, a meno che il paziente non riceva farmaci in grado di provocarlo.

Se l’ipofosfatemia si conferma, è necessario ricercare cause precipitanti o favorenti: malnutrizione, alcolismo, diarrea cronica, vomito, uso di antiacidi. Alcuni autori [1], consigliano in caso di assenza di queste cause, esami atti a ricercare un possibile deficit di vitamina D; andranno quindi dosati i livelli sierici di calcio, fosforo, vitamina D e paratormone nello stesso giorno. In caso di alterazioni significative della fosfatemia riferibili a ipovitaminosi D o a iperparatiroidismo non secondario a insufficienza renale, può essere utile coinvolgere direttamente lo specialista endocrinologo.

Per quanto precedentemente esposto, data la prevalenza del deficit di vitamina D nei pazienti epatopatici (tra il 64 e il 92%) [2] e in particolare nei pazienti affetti da epatite cronica B, sarebbe prudenziale escludere questo deficit a prescindere dal livello dell’ipofosfatemia e dalla presenza o meno di altre cause in grado di giustificarla. Qualora non dovesse essere presente una carenza di vitamina D, andrà esclusa una perdita renale di fosforo. In questo caso sarà necessario effettuare la fosfaturia e calcolare l’escrezione frazionale di fosforo (EFPi) da un campione random di urina.

Quest’ultima viene calcolata con la seguente formula:

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Una fosfaturia < 1 mmol/die esclude con ragionevole sicurezza una perdita renale di fosforo così come una fosfaturia < 3,2 mmol/die (100 mg) combinata a una EFPi  < 5%. Un’escrezione urinaria giornaliera di fosforo > 100 mg (3,2 mmol) o EFPi > 5% sono indicative con elevata probabilità di una perdita renale di fosforo. Se la calcemia è alta la perdita renale è secondaria a iperparatirodismo primitivo, se la calcemia è bassa la perdita è ascrivibile a un iperparatiroidismo secondario. In caso di calcemia nella norma la perdita di fosforo è primariamente renale. A questo punto un’ulteriore indicazione può essere ottenuta dal rapporto tra il riassorbimento tubulare massimale del fosforo e il tasso di filtrazione glomerulare (GFR). Tale parametro diagnostico (TMPi/GFR), tuttavia mai validato, può essere calcolato attraverso il normogramma di Bijvoet. Negli adulti, il range di normalità è compreso tra 0,8-1,35 mmol/l, potendo i valori variare in base ad età e sesso. Le Figure 4 e 5 ripropongono rispettivamente l’algoritmo diagnostico da utilizzare nella pratica clinica nella diagnosi differenziale dell’ipofosfatemia [1] e il normogramma di Bijvoet [1,26,27].

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Figura 4. Algoritmo diagnostico per la diagnosi differenziale dell’ipofosfatemia. Modificato da [1].

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Figura 5. Normogramma di Bijvoet per il calcolo del rapporto tra il riassorbimento tubulare massimale del fosforo e il tasso di filtrazione glomerulare (TmPi/GFR) [1,26,27]

Terapia dell’ipofosfatemia

Tutte le volte che ci si trova di fronte a un’ipofosfatemia deve essere effettuata un’attenta anamnesi personale atta a individuare la presenza di condizioni morbose o farmaci favorenti. In caso di deficit di vitamina D sarà necessaria una sua supplementazione (come riportato nel paragrafo Ipofosfatemia secondaria a ipovitaminosi D), una periodica verifica dei suoi livelli e di quelli del fosforo. Inoltre quando sono presenti farmaci potenzialmente in grado di causare ipofosfatemia, nelle forme almeno moderate (Pi < 1,5 mg/dl) o clinicamente sintomatiche, deve essere attentamente valutato il rapporto rischio-beneficio legato a un’eventuale sospensione prendendo in considerazione la supplementazione con fosforo o la sostituzione con farmaci non responsabili di ipofosfatemia qualora disponibili. Per quanto riguarda la supplementazione di fosforo, deve essere presa in considerazione solo nei pazienti sintomatici con severa ipofosfatemia o in quelli con perdita cronica di fosforo dovuta a un difetto tubulare; la formulazione per os è più sicura (2,5-3,5 g/die) rispetto a quella e.v. alla quale sono associate, per il drammatico calo della calcemia, casi di tetania, ipotensione, aritmie, insufficienza renale. La formulazione endovena andrebbe riservata ai pazienti con fosforemia < 1 mg/dl, in terapia intensiva e ventilati, alle dosi di 2,5-5 mg/kg ogni 2-6 ore, con controllo della fosforemia a 6 ore non essendo prevedibile la risposta alla supplementazione [1]. Una volta superati i valori di fosforo di 1 mg/dl si può passare alle formulazione per os [4] abbinata a una dieta ricca di alimenti a base di fosforo. Tra i cibi a maggior contenuto di fosforo ricordiamo il latte (100 mg per 100 g) e i suoi derivati, la carne di pollo, pesce, uova, cereali, legumi.

Analoghi nucleotidici, insufficienza renale e ipofosfatemia

Gli analoghi utilizzati per il trattamento dell’epatite B possono essere classificati in nucleosidici (lamivudina, telbivudina, emtricitabina, entecavir) e nucleotidici (adefovir – ADV e tenofovir – TDF).

Tutti gli analoghi nucleos(t)idici vengono escreti attraverso le urine. Di conseguenza una riduzione delle dosi o un aumento dell’intervallo temporale tra una somministrazione e l’altra è assolutamente richiesto in caso di peggioramento della funzione renale intesi come valori di clearance della creatinina < 50 ml/min.

La Tabella V mostra il corretto aggiustamento della posologia dei singoli farmaci in caso di insufficienza renale [28].

Farmaco

ClCr (ml/min)

Aggiustamento posologia

Lamivudina

≥ 50

100 mg/24 h

30-49

100 mg dose di carico – 50 mg/24 h

15-29

100 mg dose di carico – 25 mg/24 h

5-14

35 mg dose di carico – 15 mg/24 h

5

< 35 mg dose di carico – 10 mg/24 h

Adefovir

≥ 50

10 mg/24 h

20-49

10 mg/48 h

10-19

10 mg/72 h

< 10, no ED

-

ED

10 mg/settimana

Telbivudina

≥ 50

600 mg/24 h

30-49

400 mg/24 h o 600 mg/48 h

< 30, no ED

200 mg/24 h o 600 mg/72 h

ED*

200 mg/24 h o 600 mg/96 h

Tenofovir

≥ 50

300 mg/24 h

30-49

300 mg/48 h

10-29

300 mg/72-96 h

ED*

300 mg/settimana

Entecavir

Pz naive

Pz resistenti a lamivudina°

≥ 50

0,5 mg/24 h

1 mg/24 h

30-49

0,25 mg/24 h o 0,5 mg/48 h

0,5 mg/24 h

10-29

0,15 mg/24 h o 0,5 mg/72 h

0,3 mg/24 h o 0,5 mg/48 h

<10 o ED

0,05 mg/24 h o 0,5 mg/5-7 gg

0,1 mg/24 h o 0,5 mg/72 h

≥ 50

0,5 mg/24 h

1 mg/24 h

Tabella V. Aggiustamento della posologia degli analoghi nucleos(t)idici in base ai valori di clearance della creatinina (ClCr)

* in pazienti in emodialisi (ED) tutti gli antivirali devono essere somministrati al termine della seduta dialitica

° in pazienti resistenti alla lamivudina, entecavir deve essere assunto a distanza di due ore dal cibo

Nel corso degli anni l’attenzione posta all’utilizzo dei diversi farmaci ad azione antivirale, specie quelli utilizzati nell’HBV e nell’infezione HIV, è stata costante; nel recente passato la difficoltà nello stabilire l’incidenza di nefrotossicità di questi farmaci è dipesa da diversi fattori, tra cui la complessità dei pazienti in questione, la frequente presenza di altre possibili cause organiche o farmacologiche di danno renale, le diverse definizioni di insufficienza renale e le differenti modalità utilizzate per valutarla [29]. In Tabella VI sono riportati i fattori di rischio nefrotossico legati al paziente e al farmaco in terapia antivirale [28,29].

Fattori di rischio legati al paziente

  • Insufficienza renale cronica
  • Disidratazione
  • Cirrosi epatica scompensata
  • Iperuricemia
  • Acidosi
  • Ipertensione arteriosa non controllata
  • Diabete scompensato
  • Glomerulonefrite
  • Trapianto d’organo
  • Polimorfismi dei geni che codificano per i trasportatori del tubulo prossimale

Fattori di rischio legati ai farmaci

  • Tossicità intrinseca
  • Dose
  • Durata della terapia
  • Associazione con altre sostanze nefrotossiche

Tabella VI. Fattori di rischio nefrotossico in terapia antivirale [28,29]

La maggior parte degli effetti collaterali legati all’utilizzo degli analoghi nucleos(t)idici nella terapia dell’HBV, a prescindere dalla molecola utilizzata, è legata a un effetto di classe per tossicità mitocondriale; l’inibizione di una DNA polimerasi gamma, coinvolta nella replicazione del DNA mitocondriale provoca un accumulo intracellulare di lipidi, produzione di lattato dalla respirazione anaerobica e produzione di radicali tossici dell’ossigeno [30]. L’entità e la percentuale di nefrotossicità da analoghi nucleotidici è stata recentemente ridimensionata e rivalutata alla luce di nuovi studi condotti su pazienti esclusivamente HBV e non HIV o coinfetti (HBV-HIV); in caso di pazienti HIV la presenza di altri farmaci antiretrovirali rendeva difficile la corretta valutazione del problema.

TDF e in particolar modo ADV, possono essere associati a tossicità renale da tubulopatia prossimale, solitamente reversibile e dose dipendente, che tende a manifestarsi dopo 4-12 mesi di trattamento, con aumento dei valori di creatinina e ipofosfatemia. Il dato relativo a un peggiore profilo di sicurezza renale degli analoghi nucleotidici nei pazienti coinfetti rispetto ai monoinfetti deriva da una serie di considerazioni: la sindrome di Fanconi nei pazienti in terapia con TDF, è stata associata nel 74% dei casi all’utilizzo dell’inibitore delle proteasi ritonovir e nel 48% dei casi all’inibitore nucleosidico della trascrittasi inversa didaonosina [31]. Inoltre la co-somministrazione di lopinavir/ritonavir con tenofovir incrementa i livelli sistemici di quest’ultimo suggerendo che la combinazione di questi farmaci rappresenta un fattore di rischio per lo sviluppo di tossicità mitocondriale [32].

ADV dipivoxil, è il secondo analogo approvato per il trattamento dell’epatite B dopo lamivudina; profarmaco di ADV, è un analogo nucleotidico dotato di attività in vitro contro Hepadnavirus, Herpes virus, Retrovirus, HBV; ha una nefrotossicità dose-dipendente, ovvero del 22-50% alle dosi di 60-120 mg come dimostrato negli studi condotti su pazienti HIV infetti, che scende al 33% quando utilizzata alle dosi di 30 mg nei pazienti HBV, per ridursi ulteriormente quando utilizzata alle dosi di 10 mg/dl sempre nei pazienti HBV [33-35].

La potenza antivirale non molto elevata che determina un profilo di resistenza peggiore rispetto al TDF (29 vs 0% a 5 anni), i costi meno vantaggiosi e il maggior tasso di tossicità renale, fanno sì che ADV sia stato ormai sostituito come prima scelta dallo stesso TDF [36].

Come riportato nelle schede tecniche di ADV e TDF le alterazioni renali sono segnalate molto più frequentemente nei pazienti che assumono ADV rispetto a quelli che assumono TDF (Tabella VII) [35,38].

Evento avverso

Frequenza*

Adefovir

Aumento della creatinina

Molto comune

Insufficienza renale, ipofosfatemia

Comune

Sindrome di Fanconi, tubulopatia prossimale

Non nota

Tenofovir

Ipofosfatemia

Comune

Aumento della creatinina, tubulopatia prossimale, sindrome di Fanconi

Rara

Necrosi tubulare acuta

Molto rara

Nefrite interstiziale, diabete insipido neurogenico

Non nota

Tabella VII. Alterazioni renali riportate in scheda tecnica per adefovir e tenofovir

* ≥ 1/10 = molto comune; ≥ 1/100, < 1/10 = comune; ≥ 1/10.000, < 1/1.000 = rara; < 1/10.000 = molto rara; non nota = reazione avversa identificata tramite sorveglianza post-marketing la cui frequenza non può essere definita sulla base dei dati disponibili

Nei due studi randomizzati controllati, condotti in pazienti con epatopatia cronica HBV (Studio 102 e 103), viene dimostrato il profilo favorevole di sicurezza di TDF a livello renale, anche a fronte di un periodo osservazionale molto lungo (7 anni); la percentuale di pazienti con un evento avverso renale è stata ≤ 1,7% (inteso come incremento della creatinina sierica ≥ 0,5 mg/dl rispetto al basale o fosforemia < 2 mg/dl o clearance della creatinina < 50 ml/min) (Tabella VIII) [39,40].

Eventi

Gruppo di provenienza

Totale

TDF-TDF (n = 389)

ADV-TDF (n = 196)

Eventi avversi che portano alla sospensione del farmaco

n

11

2

13

%

2,8

1

2,2

Decessi

n

9

3

12

%

2,3

1,5

2,1

Eventi avversi severi

n

5

2

7

%

1,3

1

1,2

Eventi avversi grado 3 e 4

n

3

3

6

%

0,8

1,5

1

Creatinina sierica > 0,5 mg/dL rispetto al basale

n

6

4

10

%

1,5

2

1,7

Fosforo < 2 mg/dl

n

5

4

9

%

1,3

2

1,5

Clearance creatinina < 50 ml/min

n

3

3

6

%

0,8

1,5

1

Tabella VIII. Dati sulla sicurezza di tenofovir [40]

Tuttavia, un elemento limitante nella valutazione dei dati relativi alla sicurezza renale nell’utilizzo di TDF in questi due studi, è risultato legato al fatto che molti pazienti avevano ricevuto un trattamento con ADV per 48 settimane prima di essere trattati con TDF nello studio open-label. Sebbene non ci siano raccomandazioni che vietino l’utilizzo di TDF nei pazienti con insufficienza renale da lieve a moderata, molti clinici esitano nell’utilizzarlo in queste situazioni [28]. La sua somministrazione è risultata comunque sicura anche in pazienti con lieve insufficienza renale (GFR = 50-80 ml/min) come dimostrato in uno studio condotto su 280 soggetti, nel quale, la funzionalità renale si è mantenuta stabile dopo 96 settimane di trattamento, anche nei 72 pazienti che presentavano lieve insufficienza renale al basale. I 9 pazienti che durante l’osservazione avevano sviluppato un GFR < 50 ml/min avevano tutti valori basali di clearance della creatinina compresi tra 49 e 61 ml/min [41]. Altri dati di rilievo circa la sicurezza del TDF in popolazioni “fragili”, emergono dallo studio di coorte Vireal; qui è stata valutata l’efficacia e la sicurezza di TDF in 441 pazienti francesi trattati per due anni con TDF [42]. In una sub-analisi condotta su un gruppo di pazienti anziani (età > 65 anni) è stato valutato l’impatto dell’ipertensione e del diabete sulla funzionalità renale in questa sottopopolazione: la clearance della creatinina si è mantenuta stabile dimostrando il profilo favorevole di sicurezza di TDF anche nei pazienti anziani con comorbidità, quali ipertensione e diabete [42].

Infine, TDF anche quando è stato messo a confronto con entecavir, non è risultato avere un rischio aumentato di insufficienza renale rispetto a quest’ultimo [43]..

Analoghi nucleotidici: norme di pratica clinica

Nella pratica clinica ci sono due questioni principali legate al corretto uso degli analoghi nucleotidici in relazione alla funzione renale e alla fosforemia; la prima è legata alla corretta tempistica del monitoraggio di questi due parametri in corso di terapia antivirale, la seconda a quale tipo di analogo fare affidamento in pazienti con o ad alto rischio di insufficienza renale o ipofosforemia.

Potremmo a questo punto dividere i pazienti a seconda delle diverse situazioni in pazienti che devono iniziare TDF e pazienti già in terapia con TDF.

I pazienti che devono iniziare TDF si suddividono in pazienti:

  • con fosforemia e creatinina nella norma: prima di iniziare un trattamento antivirale con analoghi nucleotidici è buona norma effettuare una valutazione clinica e laboratoristica accurata, finalizzata ad escludere la presenza di una condizione di insufficienza renale o ipofosfatemia preesistente, oltre che di altri fattori farmacologici e non, potenzialmente in grado di aumentare il rischio di sviluppo di insufficienza renale relata all’utilizzo di analoghi. Andranno pertanto eseguiti prima di iniziare la terapia clearance della creatinina, fosforemia, calcemia, dosaggio della vitamina D, anamnesi farmacologica.
  • con ipofosforemia ma funzione renale nella norma: in caso di ipofosforemia riscontrata prima di iniziare un trattamento antivirale, in assenza di insufficienza renale andranno valutate, cercate e corrette le sue principali cause ovvero una ridotta introduzione, un’aumentata escrezione urinaria, un ridotto assorbimento intestinale, un amentato passaggio di fosforo dal compartimento extracellulare a quello intracellulare (vedi paragrafo Cause di ipofosfatemia). Concentrazioni sieriche inferiori a 1.5 mg/dl, verificate in almeno due diversi prelievi effettuati a distanza di una settimana, rappresentano comunque una controindicazione all’inizio della terapia antivirale con TDF.
  • con ipofosforemia e funzione renale alterata: l’European Association for the Study of Liver (EASL) punta i riflettori su quelle categorie a maggior rischio di presentare una funzione renale alterata ovvero un’ipofosfatemia già al momento di iniziare la terapia con TDF; fattori di rischio sono considerati cirrosi scompensata, clearance della creatinina < 60 ml/min, ipofosforemia preesistente, ipertensione arteriosa scarsamente controllata, proteinuria, diabete scompensato, glomerulonefrite, terapia con altri farmaci nefrotossici o l’essere già stati sottoposti a trapianto d’organo (Tabella VI) [36]. In questi pazienti l’EASL consiglia il monitoraggio mensile per i primi tre mesi e ogni tre mesi per il primo anno a prescindere dal farmaco utilizzato e poi ogni sei mesi se non vi è un peggioramento della funzione renale o della fosforemia rispetto al basale.

Invece l’Agenzia Italiana del farmaco (AIFA) e l’European Medicines Agency (EMA) consigliano un monitoraggio più intensivo: controllo della clearance della creatinina e della fosforemia inferiori alle 4 settimane per il primo anno e inferiori ai tre mesi in paziente a rischio di insufficienza renale o che hanno già presentato problemi di insufficienza renale in corso di ADV prima di passare al TDF.

La scelta del farmaco non si deve basare solo sulla sicurezza renale o sui valori di fosforo sierico ma deve tenere conto anche della presenza di eventuali resistenze. In pazienti naive, con insufficienza renale al basale (clearance creatinina < 50-60 ml/min) o ipofosforemia clinicamente significativa (< 2 mg/dl), entecavir potrebbe essere preferito al TDF o, in alternativa, la telbivudina (alcuni studi sembrano evidenziarne un ruolo nefroprotettivo) se il paziente presenta bassa viremia basale (< 108 e < 106 rispettivamente per HBeAg positivi e HBeAg negativi).

Nei pazienti con GFR < 50 ml/min i dati di sicurezza, come abbiamo visto, sono limitati: in questi casi l’utilizzo del TDF deve essere considerato solo qualora i benefici potenziali siano maggiori dei rischi potenziali. Se il GFR è compreso tra 30 e 49 ml/min TDF andrà somministrato ogni 48 ore.

Nei pazienti con GFR < 30 ml/min o in dialisi, TDF in compresse non è raccomandato per la mancanza di dosaggi alternativi. In queste situazioni potrà essere utilizzata la formulazione pediatrica di TDF granulato (33 mg/g). Se questa formulazione o altri trattamenti non sono disponibili la dose di TDF sarà di 300 mg/72-96 ore se clearance tra 10 e 29 ml/min, 300 mg/settimana se emodialisi da somministrare dopo 12 ore cumulative di dialisi.

Dall’altro lato TDF rappresenta l’unica possibilità terapeutica nei pazienti con resistenza a lamivudina o a telbivudina nei quali il rischio di resistenza a entecavir supera il 50% a 5 anni: in questi casi, stante l’assenza di alternative terapeutiche, risulta difficile sostituirlo anche nei pazienti con insufficienza renale [28,37]. Non possono essere fornite invece raccomandazioni per i pazienti con GFR < 10 ml/minuto non in dialisi [28,37].

I pazienti già in terapia con TDF si suddividono in pazienti:

  • con fosforemia e funzione renale nella norma: in questi pazienti l’EASL consiglia il monitoraggio mensile per i primi tre mesi e ogni tre mesi per il primo anno; poi ogni sei mesi se non vi è un peggioramento della funzione renale o della fosforemia rispetto al basale. L’AIFA e l’EMA consigliano invece un monitoraggio mensile della clearance della creatinina e della fosforemia per il primo anno e in seguito ogni tre mesi;
  • con ipofosforemia ma funzione renale nella norma: anche in caso di ipofosforemia riscontrata in corso di trattamento antivirale, in assenza di insufficienza renale andranno valutate, cercate e corrette le sue principali cause ovvero una ridotta introduzione, un’aumentata escrezione urinaria, un ridotto assorbimento intestinale, un amentato passaggio di fosforo dal compartimento extracellulare a quello intracellulare (vedi paragrafo Cause di ipofosfatemia). Concentrazioni sieriche inferiori a 1.5 mg/dl, richiedono sempre un prelievo di conferma a una settimana. Se questi valori si confermano, anche in assenza di alterazioni della clearance della creatinina, vanno eseguiti esami di secondo livello atti a confermare o escludere una tubulopatia prossimale o una sindrome di Fanconi e deve essere considerato il passaggio da TDF a entecavir nei pazienti precedentemente naive [28]. Nei pazienti già resistenti ad analoghi nucleosidici con valori di fosforo compresi tra 1 e 2 mg/dL va considerata la correzione del fosforo per os (2,5-3,5 g/die in dosi refratte). Se l’ipofosforemia è severa (< 1 mg/dl) il trattamento con TDF andrà comunque sospeso;
  • con ipofosforemia e alterata funzione renale: se queste due alterazioni si sviluppano in corso di terapia con analoghi nucleotidici e non erano presenti prima di iniziare il trattamento, il sospetto che ci si possa trovare di fronte a una tubulopatia renale indotta dal farmaco antivirale è concreto. Se il paziente in terapia con TDF presenta F < 1,5 mg/dl o valori di clearance della creatinina < 50 ml/min andrà effettuato un prelievo di conferma a una settimana e andrà adeguata la posologia del farmaco sulla scorta del filtrato glomerulare. In caso di conferma di insufficienza renale con GFR < 50 ml/minuto o ipofosfatemia < 1 mg/dl, non giustificata da altre cause o farmaci, vanno eseguiti esami di secondo livello atti a confermare una tubulopatia prossimale o una sindrome di Fanconi e, in caso di conferma del sospetto, deve essere considerato il passaggio da TDF a entecavir nei pazienti precedentemente naive [28]. Nei pazienti già resistenti ad analoghi nucleosidici con valori di fosforo compresi tra 1 e 2 mg/dl va considerata la correzione del fosforo per os (2,5-3,5 g/die in dosi refratte) e l’adeguamento della posologia, visto che TDF rappresenta l’unica possibilità terapeutica nei pazienti con resistenza alla lamivudina o alla telbivudina (rischio di resistenza a entecavir > 50% a 5 anni): in questi casi, stante l’assenza di alternative terapeutiche, risulta difficile sostituirlo anche nei pazienti con insufficienza renale [28,37].Se l’ipofosforemia è severa (< 1mg/dl) il trattamento con TDF andrà comunque sospeso.

In conclusione, onde evitare una precoce ed erronea sospensione della terapia con analoghi nucleotidici come il TDF, farmaci potenzialmente “salvavita”, si raccomanda un attento monitoraggio della funzione renale e una corretta diagnosi differenziale per individuare la reale causa determinante l’ipofosfatemia.

Conclusioni

Il fosforo è un elemento fondamentale per il corretto funzionamento dell’organismo: è coinvolto nel metabolismo cellulare, è un componente degli acidi nucleici ed un elemento strutturale.

Un’alterazione del fosforo sierico può dipendere da un ridotto apporto dietetico, da alterati scambi intra-extracellulari, dall’escrezione o dal riassorbimento intestinale, osseo e renale.

Nei pazienti con epatite cronica B, l’ipofosfatemia può essere secondaria a molteplici cause tra le quali le più frequenti sono legate all’utilizzo di farmaci e al deficit di vitamina D.

TDF rappresenta un farmaco di prima scelta nella terapia dell’epatite cronica B e può essere utilizzato anche nei pazienti con insufficienza renale lieve. L’insufficienza renale indotta da TDF è infatti non frequente, dose-dipendente e spesso reversibile. Si consiglia tuttavia di evitare l’uso di altri farmaci nefrotossici in corso di terapia con TDF, controllare regolarmente funzione renale e metabolismo del fosforo prima e durante la terapia, adattare le dosi dei farmaci al grado di insufficienza renale, verificare la presenza di tubulopatia prossimale mediante il calcolo della EFPi e del TmPi/GFR e considerare la sospensione del TDF in caso di ipofosforemia severa (< 1 mg/dL) o clearance della creatinina < 50 ml/min).

In conclusione, onde evitare una precoce ed erronea sospensione della terapia con analoghi nucleotidici come il TDF, si raccomanda un attento monitoraggio della funzione renale e una corretta diagnosi differenziale per individuare la reale causa determinante l’ipofosfatemia.

Implicazioni per future ricerche

  • Oltre alla fosfatemia, dosare anche i livelli di vitamina D prima di iniziare la terapia antivirale con analoghi nucleotidici e correggerne la carenza, eliminando sin da subito eventuali dubbi sulla natura dell’ipofosfatemia stessa.
  • Raccogliere informazioni, a lungo termine, sull’incidenza di ipofosfatemia e insufficienza renale, in corso di terapia con analoghi nucleotidici, in categorie a rischio come pazienti anziani, diabetici, ipertesi.

Quesito clinico

Presentazione di una panoramica sull’omeostasi del fosforo e le indicazioni per la diagnosi e il trattamento dell’ipofosfatemia, per poi affrontare nello specifico il legame tra analoghi nucleotidici, insufficienza renale ed carenza di fosforo

Tipologia di revisione

Narrativa

Conclusioni

Onde evitare una precoce ed erronea sospensione della terapia con analoghi nucleotidici come tenofovir, si raccomanda un attento monitoraggio della funzione renale e una corretta diagnosi differenziale per individuare la reale causa determinante l’ipofosfatemia

Aree grigie

La gestione di tenofovir in pazienti con ipofosfatemia severa (< 1 mg/dl) è insufficienza renale con clearance della creatinina < 50 ml/min già resistenti ad analoghi nucleosidici: assenza di valide e sicure alternative terapeutiche

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