Farmeconomia. Health economics and therapeutic pathways 2021; 22(Suppl 2): 1-16
https://doi.org/10.7175/fe.v21i1S.1512
Supplement
Gestione del paziente affetto da diabete mellito T2: la presa in carico ottimizzata
Cesare Celeste Berra 1, Lorenzo Pradelli 2
1 Dipartimento Universitario Endocrino-Metabolico, IRCCS MultiMedica, Sesto San Giovanni (MI)
2 AdRes Health Economics and Outcome Research, Torino
Abstract
Over the past 20 years, the prevalence of diabetes in Italy has been growing, up to the current estimated proportion of about 8.5%, which accounts also for undiagnosed patients. As most of these subjects are >65 years of age, the probability of having comorbidities is high. In addition, diabetes itself exposes patients to a wide spectrum of complications, that cover several therapeutic areas. This is why the optimal management of diabetes necessarily involves a multidisciplinary team.
Several models of integrated care of chronic diseases may be set: for instance, the role assigned to GPs and specialists may differ among models. Indeed, a disequilibrium between GPs and specialists is deemed to be the main cause of the low patients’ participation in Progetto Cronicità (chronic diseases project), which started in Lombardia (a Northern region in Italy) in 2018.
A help to understand how to build a proper integrated care model in diabetes comes from the experience of the Authors, that describe in detail their experience in IRCCS MultiMedica (Sesto San Giovanni, MI, Italy).
This Supplement ends with a review of the evidence found in literature about the advantages of a multidisciplinary management of diabetes in terms of outcomes, costs, and patients’ satisfaction.
Keywords
Type 2 Diabetes; Multidisciplinary; Integrated care model; Costs
Received: 23 July 2021
Accepted: 30 July 2021
Published: 29 September 2021
Cenni epidemiologici e definizione della popolazione target
I dati epidemiologici disponibili inerenti al diabete in Italia hanno permesso di identificare, grazie all’estrapolazione di dati dello studio ARNO 2019 [1], una prevalenza attuale del 6,2%, dato quasi doppio rispetto a quello italiano di 20 anni fa. Le fonti dello studio ARNO comprendono la farmaceutica territoriale, le schede di dimissione ospedaliere e l’archivio delle esenzioni per patologia, facendo riferimento a 11,3 milioni di cittadini di ogni età (circa un sesto degli abitanti del Paese).
Verosimilmente, il dato sottostima la dimensione del problema. Infatti si presume che il reale ammontare di prevalenza sia incrementale di un ulteriore 1%, portando la prevalenza del diabete noto intorno al 7,2%, percentuale a cui ovviamente occorre aggiungere i soggetti affetti da diabete non diagnosticato che, sempre secondo le fonti dello studio ARNO 2019, corrispondono a circa 1 caso ogni 5 noti (circa 1,5% della popolazione) [1]. La prevalenza del diabete nel suo complesso (casi noti e non diagnosticati) si attesta ragionevolmente intorno all’8,5% [1].
Quindi in Italia stimiamo di individuare oltre 4 milioni di casi noti e circa 1 milione di casi misconosciuti.
Dal punto di vista anagrafico, più di 2/3 dei soggetti identificati hanno età superiore a 65 anni; tra essi, una buona percentuale, di circa il 20%, è di età pari o superiore a 80 anni, con prevalenza maggiore nelle fasce più anziane nella popolazione maschile [1].
Il diabete rappresenta di per sé un fattore di rischio importante per le malattie cardiovascolari, tanto che essere portatore della malattia diabetica pone il soggetto a un rischio di sviluppare un nuovo evento cardiovascolare (CV) pari alla pregressa diagnosi di cardiopatia ischemica. La patologia diabetica conferisce un rischio indipendente 2 volte maggiore di sviluppare malattie cardiovascolari (malattia coronarica, ictus cerebri, morti per causa vascolare) [2]. Tra i soggetti affetti da patologia diabetica, la presenza di danno d’organo (cuore, rene) o di ulteriori fattori di rischio (obesità, fumo, durata di malattia ipertensione, ecc.) amplifica ulteriormente il rischio di patologia CV [3,4]. Nel 2020 la task-force della European Society of Cardiology (ESC), in associazione con la European Association for the Study of Diabetes (EASD) ha prodotto un documento di consenso e di linea guida su diagnosi e trattamento di diabete, pre-diabete e malattie cardiovascolari [5]. In questo trattato venivano identificate nella popolazione diabetica tre differenti categorie di rischio CV (moderato, elevato e molto elevato) sulla base della presenza di danno d’organo o di altri fattori di rischio noti [5]. In particolare, sono considerati soggetti con malattia CV accertata i soggetti diabetici [5]:
- a rischio CV molto elevato;
- con altro danno d’organo (proteinuria, insufficienza renale definita come GFR<30 ml/min/1,73 m2, ipertrofia ventricolare sinistra o retinopatia);
- con 3 o più fattori di rischio CV (età, ipertensione arteriosa, dislipidemia, fumo, obesità);
- con diabete di tipo 1 insorto precocemente o di lunga durata (>20 anni).
I soggetti diabetici ricadono nella categoria ad alto rischio CV se:
- la malattia diabetica dura da più di 10 anni in assenza di danno d’organo (proteinuria, insufficienza renale definita come velocità di filtrazione glomerulare – GFR <30 ml/min/1.73 m2, ipertrofia ventricolare sinistra o retinopatia);
- con qualsiasi altro fattore di rischio CV (età, ipertensione arteriosa, dislipidemia, fumo, obesità) [5].
Appartengono, invece, alla categoria a rischio CV moderato i pazienti diabetici giovani (diabete di tipo 1 <35 anni e di tipo 2 <50 anni) con durata di malattia diabetica <10 anni in assenza di danno d’organo o altri fattori di rischio [5].
In particolare, studi recenti hanno indicato come la riduzione del filtrato glomerulare sia un forte predittore di morbilità e mortalità CV indipendentemente dai fattori di rischio CV tradizionali [5]. La microalbuminuria, inoltre, nei soggetti affetti da diabete è un ulteriore importante predittore di rischio CV.
Per quanto riguarda la situazione italiana, importanti sono i dati dello studio multicentrico italiano RIACE (Renal Insufficiency And Cardiovascular Events) [6], studio osservazionale, prospettico, di coorte sul GFR come predittore indipendente di morbilità e mortalità cardiovascolare e outcome renale nel diabete di tipo 2. I dati sono stati raccolti in maniera consecutiva presso 19 centri diabetologici universitari o ospedalieri negli anni 2007-2008. I 15.773 pazienti della coorte dello studio RIACE avevano una età media di 66,0 ± 10,3 anni, una durata media di malattia di 13,2 ± 10,2 anni e un rapporto maschi/femmine di 57/43; i soggetti arruolati erano in buon controllo per i principali fattori di rischio CV, ovvero emoglobina glicata (HbA1c), lipidi e pressione arteriosa [7]. Nello studio RIACE [6], la prevalenza di normo-, micro-, e macro-albuminuria era del 73,1%, 22,2%, e 4,7%, rispettivamente. Dei soggetti con normoalbuminuria, il 47,8% aveva livelli di albuminuria compresi nel range 10-29 mg/dì (cosiddetta low albuminuria) e il 52,2% al di sotto di 10 mg/dì (cosiddetta normal albuminuria) [6].
Negli ultimi 10 anni importanti trial clinici hanno dimostrato come l’utilizzo di determinati farmaci antidiabetici possa modificare la storia clinica della malattia diabetica riducendo gli eventi CV, nefrovascolari e renali in genere e, in alcuni casi, la morte per tutte le cause in soggetti affetti da diabete di tipo 2 ad alto rischio CV [8-18].
In relazione a quanto evidenziato da numerosi studi clinici [3-6,8-18] emerge come il diabete sia strettamente legato a malattia cardiaca e renale e come sia indispensabile la gestione del diabete da parte di un team multi-specialistico (diabetologo, cardiologo, nefrologo, ma anche dietista, infermiere dedicato, psicologo) in collaborazione con la medicina territoriale.
Valutazione critica del Progetto Cronicità della Lombardia: che cosa non ha funzionato
Nei Paesi industrializzati circa 1/3 della popolazione soffre di patologie croniche, la cui gestione assorbe il 70% delle risorse [19]. Il progressivo invecchiamento della popolazione, inoltre, contribuisce a incrementare la quota di pazienti cronici. Tali soggetti necessitano di monitoraggio, visite periodiche e controlli di aderenza ai trattamenti prescritti.
Tenendo conto di ciò, nella regione Lombardia è stato organizzato un piano per la creazione di percorsi di presa in carico dedicati [19]: a partire da metà gennaio del 2018 i 3,5 milioni di pazienti lombardi affetti da patologie croniche hanno ricevuto una lettera individuale di invito ad aderire a questo progetto. Nel dettaglio, al paziente veniva richiesto di scegliere un medico “gestore” incaricato di garantire coordinamento e integrazione tra i livelli di cura e le varie aree terapeutiche. Tra i due veniva sottoscritto un patto di cura della durata di un anno, nel corso del quale il gestore redigeva un Piano Assistenziale Individuale contenente tutte le prestazioni e prescrizioni da effettuare in quell’arco temporale. L’obiettivo era accompagnare il paziente nel suo percorso, garantendo un livello di cura adeguato e sollevandolo dalla necessità di autogestire e prenotare autonomamente tutti i controlli necessari [19].
Tuttavia a distanza di un anno dall’iniziativa, il 90% dei pazienti cronici lombardi ha declinato l’invito e la quota di Piani Assistenziali Individuali redatta è stata solo dello 0,45% [20]. Secondo una disamina del co-fondatore di Slow Medicine [20], il motivo principale di questo rifiuto di massa risiede nel forte desiderio da parte dei pazienti di continuare a essere seguiti dal proprio medico di fiducia. Lui ritiene, infatti, che i pazienti cronici vadano gestiti all’interno della propria comunità di riferimento, che comprende la propria famiglia e i servizi sociali e sanitari di supporto: gli specialisti sono fondamentali, ma solo come consulenze quando necessario. Il pacchetto di prestazioni annuali standard proposto è probabilmente sembrato, se non proprio inutile, quantomeno distaccato e non necessariamente costruito intorno ai personali bisogni clinici di ciascun paziente. Oltretutto, la gestione delle cronicità in ambiente ospedaliero rischia di creare negli specialisti ospedalieri confusione, sovrapposizione di ruoli, ritardi e difficoltà organizzative [20].
Altre analisi (Simet Lombardia) hanno visto nel progetto un tentativo di espropriazione dei MMG delle loro prerogative principali (la gestione del paziente in senso globale) e di privatizzazione delle prestazioni sanitarie [21].
Infine sono stati attribuiti al progetto una certa farraginosità burocratica e un carico eccessivo per gli ospedali ed è stato suggerito che solo la quota di pazienti che non aderiscono alle cure e non si sottopongono ai controlli avrebbe dovuto essere la destinataria del progetto [22].
La gestione multidisciplinare della malattia diabetica e delle comorbilità: l’esperienza dell’IRCCS MultiMedica
L’IRCCS MultiMedica ha nella sua mission principale lo studio e la cura delle malattie CV e metaboliche: pertanto la cura del diabete rappresenta una delle priorità del gruppo. Le strutture del gruppo prestano la loro opera a più di 10.000 soggetti con diabete in Lombardia con differenti livelli organizzativi a seconda della disponibilità di risorse.
Percorso dedicato al paziente diabetico
Il percorso dedicato al soggetto con diabete nell’IRCCS MultiMedica prevede differenti passaggi. Per tutti i pazienti che afferiscono al nostro ambulatorio è prevista una valutazione e prescrizione di terapia dietetica (spesso preceduta da esame calorimetrico) da personale qualificato, e a ogni visita una rivalutazione della terapia educazionale svolta dal personale infermieristico.
Inoltre sono stati creati dei flussi ad hoc per la valutazione delle complicanze con spazi dedicati presso gli ambulatori specialistici competenti: oculistica (studio fundus oculi per pazienti afferenti all’ambulatorio di diabetologia, con eventuale follow-up a discrezione dello specialista oculista), cardiologia (ambulatorio cardio-metabolico: spazio e cardiologo dedicato con elettrocardiogramma – ECG ed ecocardiogramma per soggetti ad alto rischio CV) e nefrologia (ambulatorio nefro-diabetologico per la condivisione della diagnosi e del trattamento della nefropatia diabetica) oltre che l’ampio spazio sia ambulatoriale sia in regime di ricovero per il trattamento del piede diabetico.
È imprescindibile la collaborazione con i colleghi medici di medicina generale (MMG), con i quali stiamo valutando diverse opzioni, tra cui la condivisione della cartella ambulatoriale specialistica e/o rapporto di telemedicina diretto.
Importanza del case manager
A fronte dei differenti flussi dedicati è fondamentale il “tirare le fila”.
Fermo restando che il case manager del paziente dovrebbe sempre rimanere il MMG, per quanto riguarda la componente “diabete” il ruolo spetta, ovviamente, allo specialista diabetologo. Questi, grazie al percorso effettuato dal paziente, può e deve prescrivere la terapia adeguata, e confrontandosi con il collega sul territorio, motivare e rinnovare un percorso diagnostico-terapeutico (PDT), rendendolo sempre più costruito e individualizzato rispetto alle esigenze e alle caratteristiche del soggetto con diabete.
Gestione attiva del paziente e ruolo della terapia educazionale
I due temi vanno di pari passo: ad ogni valutazione ambulatoriale la terapia educazionale (stili di vita, monitoraggio glicemico, aderenza alla terapia) viene ampiamente spiegata dal personale non medico (dietista, infermiere) e ancora ribadita in sede di visita medica-specialistica. Inoltre la riaffermazione di tali concetti da parte di MMG e specialisti di altra branca porta a un ulteriore rinforzo delle motivazioni.
In questo modo il paziente assume un ruolo attivo nella gestione della propria malattia. Questo può consentire di:
- migliorare fortemente il compenso metabolico;
- ridurre il rischio di sviluppo delle complicanze;
- aumentare la consapevolezza degli effetti collaterali della terapia farmacologica, permettendo di scegliere quella meglio tollerata e più efficace.
Utilizzo di piattaforme per il monitoraggio da remoto dei pazienti fragili
Infine, la nostra esperienza si è arricchita negli ultimi anni, e ancora di più in fase pandemica, grazie all’utilizzo della tecnologia. La cartella ambulatoriale specialistica condivisa nei differenti centri del nostro istituto permetteva già una gestione univoca dei soggetti, che potevano così afferire a centri diversi.
L’utilizzo di sensori e la raccolta dati di compenso metabolico grazie a piattaforme dedicate (es. LibreView) ha permesso la continuità di cure da remoto anche durante l’emergenza sanitaria. Infatti, i soggetti fragili in trattamento insulinico sono stati tenuti sotto controllo per mezzo di contatti telefonici, supporti telematici e grazie alla collaborazione dei caregiver.
Aspetti economici
I costi di malattia
L’aumento della prevalenza del diabete, dovuto all’invecchiamento della popolazione e al peggioramento degli stili di vita [23], impone di effettuare un’attenta analisi dei costi che il Servizio Sanitario Nazionale deve affrontare. La gestione delle complicanze è un importante driver dei costi totali diretti del diabete [23,24].
Due diversi studi condotti in Italia [25,26] hanno calcolato che le ospedalizzazioni (attribuibili per più di 1/3 a cause cardio- o cerebro-vascolari [25]) sono il principale driver di costo per la gestione del diabete, rappresentando circa il 50% dei costi diretti, mentre la spesa per farmaci ammonta a circa il 30% del totale.
Secondo l’osservatorio ARNO, nel 2018 l’88% dei pazienti diabetici è stato trattato con farmaci antidiabetici [1]. I dati OsMed del 2019 riportano che la spesa farmaceutica per i farmaci antidiabetici, dopo una stabile crescita registrata negli anni, ha raggiunto nel 2019 la considerevole cifra di € 1.010.000.000, pari al 4,4% della spesa farmaceutica sostenuta in quell’anno dal Servizio Sanitario Nazionale [27].
È stato calcolato che il costo sostenuto dal nostro Servizio Sanitario Nazionale per la cura del diabete è pari a circa € 10 miliardi/anno, ma occorre anche tenere presente che ammontano a € 3 miliardi le spese dirette sostenute dai pazienti e dalle loro famiglie e che altri € 10-12 miliardi costituiscono i costi indiretti, una parte consistente dei quali è sostenuta dallo stato (pre-pensionamenti e assenze dal lavoro) [23].
L’impatto farmacoeconomico dell’adozione di un modello multidisciplinare
Una review sistematica della letteratura [28] ha analizzato gli studi che hanno indagato gli effetti dell’adozione di un sistema di cura integrata per la gestione del diabete mellito di tipo 2. Il primo ostacolo incontrato ha riguardato la definizione di “cura integrata”: benché ne esista una fornita dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [29], l’applicazione pratica viene declinata in molti modi diversi. Parecchi studi si sono rifatti alla definizione di cura integrata nel modello di cura cronica, che prevede che vengano effettuate delle modifiche su quattro componenti [28]:
- supporto all’autogestione del paziente;
- progettazione del sistema di erogazione delle cure;
- supporto decisionale;
- sistema informativo clinico.
È stato evidenziato che maggiore è la quantità di componenti implementate, maggiori sono i benefici clinici [30]. Tale review sistematica [28] ha messo in luce che i sistemi integrati in tempi più recenti hanno aumentato il numero di componenti modificate, al punto che la maggior parte degli studi inclusi nella review avevano adottato un sistema integrato in cui tutte e quattro le componenti erano state implementate. Tuttavia, le misure di outcome adottate dai diversi studi erano troppo disomogenee per poter trarre delle conclusioni solide. Si è però potuto osservare che la maggior parte degli studi ha riportato benefici in termini di outcome dei pazienti (es. miglioramento nel controllo glicemico e pressorio, aumentata soddisfazione, ecc.) e del processo (es. maggior adesione alle visite di controllo, maggior efficienza nell’erogazione delle cure, ecc.) e nell’utilizzo dei servizi sanitari (es. minor numero di visite di emergenza, minor tasso di ospedalizzazione, ecc.). La scarsità e la disomogeneità nei risultati in merito all’effetto del sistema di cura integrato sui costi non hanno consentito di trarre conclusioni in questo senso.
Di seguito descriviamo gli studi a supporto dell’utilizzo di una gestione multidisciplinare e integrata per il monitoraggio e la cura del paziente affetto da diabete mellito di tipo 2, sempre ricordando che le disomogeneità nel tipo di intervento effettuato rendono i risultati poco confrontabili tra loro.
Il trial clinico randomizzato a gruppi paralleli descritto da Tourkmani e colleghi [31] ha confrontato pazienti con diabete di tipo 2 (n = 263) assegnati a un programma di cura standard con quelli che hanno partecipato a un programma di cura multidisciplinare che ha coinvolto un medico di famiglia senior, uno specialista in farmacia clinica, un dietista, un educatore per il diabete e uno per la salute e un assistente sociale. Il programma di cura multidisciplinare ha consentito di migliorare il controllo glicemico e diversi fattori di rischio cardiovascolare, quali colesterolo totale e LDL e pressione sistolica e diastolica.
La Dottoressa Torjesen [32] ha descritto un progetto implementato nel nord-ovest di Londra in cui i MMG condividevano in modo elettronico i piani di cura integrati con tutti i provider di cura. I casi più difficili venivano discussi mensilmente da gruppi multidisciplinari. A seguito dell’implementazione di tale progetto, è stata registrata una riduzione del 7% delle visite d’emergenza presso i MMG partecipanti.
Lim e colleghi [33] hanno condotto un’analisi di coorte retrospettiva per valutare gli esiti dell’implementazione di un programma di cura integrata applicato a più di 16.000 pazienti con diabete di tipo 2 a Hong Kong. Tale programma era gestito da infermieri e si applicava sia al settore sanitario pubblico sia a quello privato. Consisteva nella stesura di un report dopo la valutazione del rischio di complicanze seguita da un intervento educazionale e da un triage eseguito da MMG e internisti. La condivisione delle informazioni avveniva mediante un sistema informatizzato. Nel settore pubblico, il progetto ha fatto registrare una riduzione del 19-34% di eventi clinici, tra cui l’ospedalizzazione, rispetto al gruppo di controllo. Il settore privato, invece, in cui gli interventi educativi erano personalizzati e gli appuntamenti venivano ricordati telefonicamente, ha fatto registrare, rispetto al settore pubblico, una riduzione degli eventi clinici del 23-36%, tra cui ospedalizzazione e morte.
Uno studio di coorte retrospettivo con appaiamento mediante propensity score ha confrontato lo standard di cura con modelli di cura integrata in un ampio database svizzero [34]. Sono stati analizzati i pazienti con diabete mellito di tipo 2 (n = 12.526), malattie cardiovascolari (n = 71.778) e malattie respiratorie (17.498). I pazienti con diabete e i pazienti con malattie cardiovascolari gestiti mediante il programma integrato hanno fatto registrare tassi significativamente inferiori rispetto alle loro controparti trattate con standard di cura. I costi sanitari totali sono stati significativamente inferiori in tutti e tre i gruppi trattati con modello integrato, con un risparmio più accentuato nei pazienti diabetici.
Già uno studio scozzese pubblicato nel 1994 [35] aveva rilevato migliori outcome nei pazienti gestiti mediante un sistema integrato (n = 139) rispetto allo standard di cura (n = 135). Nel loro studio il modello integrato prevedeva visite presso il proprio MMG ogni 3-4 mesi, con indicazioni specifiche sugli aspetti da monitorare, e in ospedale una volta all’anno. I consulti presso gli specialisti erano a discrezione del MMG. Il sistema integrato aveva consentito di ridurre la quota di pazienti persi al follow up e i costi per i pazienti, facendo anche riscontrare un buon livello di soddisfazione per le cure ricevute, messo in luce dall’elevata quota di pazienti (88%) che hanno manifestato il desiderio di proseguire con tale sistema di gestione.
Siaw e colleghi [36] hanno condotto un trial clinico su 411 pazienti asiatici con diabete non controllato, politerapia e comorbilità che erano stati randomizzati a ricevere lo standard di cura o una gestione multidisciplinare. I pazienti che seguivano la gestione multidisciplinare venivano indirizzati a infermieri esperti nella gestione e formazione nella cura del diabete o dietologi, a seconda delle esigenze. Inoltre specialisti in farmacoterapia seguivano i pazienti, contattandoli telefonicamente o visitandoli ogni 4-6 settimane. In 6 mesi, il programma multidisciplinare ha permesso di raggiungere un miglior controllo glicemico, un minor livello di stress correlato al diabete (misurato mediante il questionario Problem Areas in Diabetes – PAID), un miglior livello di soddisfazione per la terapia in corso, una maggior riduzione del carico di lavoro per i medici e un risparmio di US$ 91,01 per paziente. Tale trial clinico è stato poi oggetto di una valutazione economica [37]. L’analisi è stata condotta nella prospettiva del servizio sanitario. Nel gruppo trattato con gestione multidisciplinare, oltre a un miglior controllo glicemico, sono anche stati registrati costi totali diretti ambulatoriali inferiori rispetto al gruppo di controllo. La gestione multidisciplinare è risultata costo-efficace a diversi livelli basali di controllo glicemico e ha mostrato un’elevata probabilità di essere costo-efficace anche tra i pazienti con i più alti livelli di glicemia non controllata, specialmente considerando le più alte soglie di disponibilità a pagare (WTP).
Un’altra analisi di costo-efficacia è stata condotta dal gruppo di McRae [38], che ha valutato in 74 pazienti con diabete di tipo 2 un programma di cure integrate in funzione in Australia. Tale programma prevedeva l’utilizzo di un database centralizzato che raccoglieva tutte le informazioni sul paziente inserite dal MMG: il database era in grado di inviare dei promemoria al MMG e allertarlo in caso di elevato rischio di complicanze. A ciò di aggiungevano programmi educazionali sul diabete, programmi di esercizio fisico, servizi di dietologia e di podologia. È stato calcolato che in un orizzonte temporale di 40 anni ci saranno dei miglioramenti negli anni di vita attesi e nella Quality Adjusted Life Expectancy (QALE), con un rapporto di costo-efficacia incrementale di $A 8.106 per anno di vita guadagnato e di $A 9.730 per anno di QALE guadagnato. Gli Autori concludevano che è altamente probabile che tale programma sia costo-efficace nonostante i costi netti in positivo.
Conclusioni
In Italia il Ministero della Salute ha riconosciuto la crucialità della gestione integrata del paziente cronico e ha messo a punto il Piano Nazionale della Cronicità, che mira a potenziare anche l’integrazione delle cure tra MMG e specialisti, la continuità assistenziale, le cure domiciliari e i piani di cura personalizzati [40].
Come sottolineato da Domenico Mannino, Presidente dell’Associazione Medici Diabetologi, l’applicazione del modello di gestione integrata in Italia è ostacolata da alcuni fattori, tra cui le differenze inter- e talora intraregionali nei modelli di assistenza, le difficoltà organizzative e la disponibilità di risorse e di personale [41]. Il Dottor Giorgio Sesti, ex Presidente della Società Italiana di Diabetologia (attuale Presidente Prof. Agostino Consoli), ha sottolineato che la mortalità per diabete è in aumento e che un grosso problema è rappresentato dal ritardo nella diagnosi: molti pazienti si presentano per la prima volta dal diabetologo quando ormai le complicanze si sono già manifestate [42].
Marcellusi e colleghi [43] hanno evidenziato il notevole aumento di costi in presenza di patologie concomitanti (da € 341/paziente/anno in caso di solo diabete a € 7085/paziente/anno in caso di diabete e 4 comorbilità). Inoltre hanno sottolineato, mediante un’analisi di scenario, che un miglior monitoraggio del paziente, che comprenda anche l’integrazione tra sistema di assistenza primario e di assistenza specialistica, la prevenzione di complicanze e comorbilità e la diagnosi tempestiva, comporterebbe un notevole risparmio di costi per il Servizio Sanitario Nazionale e un miglioramento nella sostenibilità e della qualità di vita dei pazienti [44].
Le conclusioni di questo lavoro sono in linea con quanto emerge dalla letteratura anche internazionale, ovvero come l’appropriatezza terapeutica, ottenibile più facilmente con una programmazione individualizzata del piano di cura all’interno di percorsi chiari e prestabiliti, sia la chiave in grado di coniugare il miglioramento degli esiti clinici con i criteri di buona gestione del budget sanitario.
L’esperienza dell’IRCCS MultiMedica si inserisce, pertanto, in questo contesto: la gestione integrata multidisciplinare, come riportato da diversi studi della letteratura, consente di migliorare gli outcome clinici e la soddisfazione dei pazienti, soprattutto se nasce come decisione condivisa tra gli attori coinvolti, evitando gli errori di esperienze pregresse. Si auspica anche che l’intervento di diversi specialisti consenta di prevenire o ridurre le complicanze tipiche del diabete, che così tanto pesano sulla qualità di vita dei pazienti e sulle casse dello stato. Infine, l’uso di piattaforme per il monitoraggio da remoto, soprattutto nel periodo pandemico che ancora stiamo vivendo, consente di garantire la continuità delle cure.
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