Farmeco 2012;13(4)155-157.html

Farmeconomia. Health economics and therapeutic pathways 2012; 13(4): 155-157

Editorial

Valore del farmaco o farmaco di valore: questione di punti di vista

Value of drug or valuable drug: a point of view issue

Francesca Patarnello 1

1 Payers and Evidence Solution Director, Access to Medicine. GlaxoSmithKline Spa – Pharmaceuticals, Verona, Italy

Corresponding author

francesca.r.patarnello@gsk.com

Disclosure

L’autrice è Payers and Evidence Solution Director presso GlaxoSmithKline

Introduzione

Perché la discussione sul valore del farmaco è così complessa e delicata, e, tutto sommato, così conservativa? Perché parliamo così timidamente di valore del farmaco, peggio ancora del nuovo farmaco? Certamente l’argomento è reso critico dal fatto che dal valore dovrebbe discendere più o meno direttamente il prezzo e, dal prezzo, anche la possibilità di rendere il nuovo farmaco disponibile in relazione al bisogno di salute cui esso è indirizzato.

In quanti casi ci sembra che la domanda di salute sia invece generata dall’offerta stessa di tecnologie? In letteratura si chiama disease mongering ed è l’enfatizzazione di malattie o problemi di salute a seguito della scoperta e sviluppo di tecnologie indirizzate a risolverli.

Come valutare i trattamenti add on o le linee di trattamento successive al fallimento dei trattamenti esistenti, considerato dai più un “problema” di budget piuttosto che un’opportunità di salute? Come può essere correlato ogni trattamento aggiunto ai trattamenti esistenti, se efficace e sicuro, a un miglioramento della salute stessa, anche se con outcome marginali?

Quanto vale il miglioramento della qualità della vita, la semplificazione della cura della propria malattia, la riduzione dei tempi di convalescenza, o la sua qualità, e facilità di somministrazione? Chi ne deve tenere conto nella valutazione di un nuovo farmaco o tecnologia sanitaria? Il sistema sanitario, il cittadino, l’operatore sanitario stesso? E chi lo deve pagare, o rimborsare?

Valgono di più gli ultimi mesi della vita o la prevenzione nell’infanzia delle malattie? Le malattie che derivano da comportamenti e stili di vita scorretti (ad esempio, il fumo) dovrebbero assorbire meno risorse di quelle che colpiscono “a caso” la popolazione? Quelle acute più delle croniche? Quelle rare più delle prevalenti? L’adozione di stili di vita sani può rappresentare un “credito” positivo per ottenere prestazioni sanitarie migliori, come è nel caso delle case automobilistiche quando si eseguono i tagliandi programmati e si allunga la garanzia?

E infine, che collegamento deve essere garantito tra Ricerca & Sviluppo (R&S), innovazione, valore? Qual è il ruolo dell’industria del farmaco in questi processi? È di per sé l’innovazione un processo che produce valore aggiunto? Come assicurare che attraverso il technology transfer le organizzazioni di ricerca, l’accademia e l’industria massimizzino l’accessibilità dell’innovazione, ne minimizzino i costi, e facilitino l’indirizzo della ricerca verso le aree di maggiore interesse per la popolazione, collegando le organizzazioni pubbliche e private?

Molti di questi interrogativi sono certamente piuttosto datati, ma in pochi mesi hanno assunto un profilo e un impatto molto meno “filosofico” e molto più concreto. L’evoluzione ci porta a una minore disponibilità di risorse economiche, a una maggiore accessibilità delle informazioni, e a una potenziale e ancora teorica scelta tra servizi offerti da diverse organizzazioni oggi regionali, domani europee.

In questo contesto si renderebbe raccomandabile l’adozione di criteri generali e prevedibili e la trasparenza nelle valutazioni e nelle scelte di politica sanitaria, incluse quelle sull’adozione delle tecnologie innovative e, mentre noi siamo concentrati su dettagli relativi agli strumenti di “misura” o “classificazione” del valore, nei Paesi emergenti probabilmente stanno percorrendo a velocità incredibile gli ultimi 20 anni della nostra storia farmaceutica evitando, forse, gli errori occidentali.

La funzione del valore

Il valore può essere, in generale, definito attraverso una funzione di diversi fattori:

Valore = f (bisogno relativo/residuale, qualità, valore intrinseco, valore percepito, prezzo, condizioni, esperienze, conoscenze, caso)

Questa funzione è diversa se il bisogno è riferito a un singolo individuo, ed è quindi ben preciso (ad esempio il bisogno di un paziente con una malattia grave senza possibilità di cura), o se il bisogno è espresso come bisogno (potenziale) di una comunità che intende massimizzare il beneficio collettivo e quindi in qualche modo “diversificare” l’acquisizione di strumenti che consentano di rispondere nel modo migliore ai bisogni individuali, o addirittura, come nel caso dei vaccini, prevenirli.

Avete preso un trattamento che prometteva di funzionare nel 70% dei pazienti. Su di voi non ha funzionato (pay for performance): chi lo deve pagare? Come si comporterebbe un Istituto di Assicurazione se vi assicuraste quando avete appena subito il furto?

Il concetto di valore può assumere caratteristiche diverse da diverse prospettive e diventa ancor più difficile attribuire valore ad ogni singola “offerta” di tecnologia (ad esempio un nuovo farmaco) che si “stratifica” sopra le alternative esistenti. I benefici dimostrati sono in questo panorama incrementale individualmente marginali e in qualche caso difficilmente posizionabili in una scala ordinale (ad esempio, stessa efficacia ma diversa via di somministrazione, oppure maggiore efficacia e minore sicurezza).

Del resto aspettarsi che incrementi di valore significativi si presentino con frequenza nelle pipeline degli attuali sistemi di R&S è come aspettarsi che alle prossime Olimpiadi il record dei 100 m sia migliorato del 26%. Ebbene: se osserviamo i record maschili dei 100 m questi dal 2000 ad oggi sono migliorati proprio del 26%.

Nel caso dei nuovi farmaci il trade off tra l’investimento in innovazione e la minimizzazione dei rischi e costi della scoperta e sviluppo è una delle scelte più importanti che le big pharma, e i loro azionisti, devono bilanciare. In parte sono guidati dai sistemi di regolazione stessi che, soprattutto in paesi come US e UK, determinano tali scelte sia con incentivi che con comportamenti e norme.

A livello globale gli indirizzi di R&S e le scelte di pricing sono oggi ancora solo in parte determinate in modo consapevole dai Paesi ad economia emergente, i cui sistemi regolatori e di rimborso sono ancora immaturi e alla ricerca di modelli da copiare. Intanto oggi questi Paesi godono dei grossi investimenti in ricerca e in produzione che si stanno spostando velocemente dai Paesi ad economia matura. Tuttavia probabilmente i nuovi assetti industriali evolveranno molto rapidamente spostando definitivamente il baricentro strategico delle compagnie.

In questo contesto il ruolo dell’Europa risulta sempre più marginale sia nel determinare le modalità con le quali affrontare il processo registrativo (EMA) che in termini di rimborso viste le differenze di tempi e di modalità di ingresso che l’Europa presenta (dal NICE, National Institute for Health and Clinical Excellence, all’IQWIG, Institute for Quality and Efficiency in Healthcare, al HAS, Haute Autorité en Santé, e AIFA, Agenzia Italiana del Farmaco) e addirittura la presenza di sistemi di accesso regionali (Spagna e Italia).

Oggi i nuovi farmaci, così come i nuovi dispositivi, sono studiati per entrare nel mercato per soddisfare bisogni di nicchie di pazienti e hanno una durata in termini di brevetto complessivamente limitata anche a causa dei ritardi nell’accesso che “mangiano” quasi il dieci per cento della durata del brevetto.

I prezzi con i quali vengono lanciati sono quasi sempre basati sullo standard del mercato e fortemente influenzati dai prezzi ottenibili in Paesi nei quali i sistemi di rimborso adottano criteri oggettivi e rapidi, condizionando l’intera sequenza di ingresso dei prodotti. Ad oggi la costo/efficacia, per quanto non sia adottata formalmente da molti Paesi, resta uno dei pochi criteri utilizzabili per allocare in modo razionale le risorse a disposizione.

Il valore, in conclusione, va progettato e il sistema (industria, ricerca, sistemi di erogazione delle prestazioni sanitarie) possono avere obiettivi diversi in termini di valore e tararsi su “livelli attesi di soddisfazione” bassi, medi o alti.

L’accesso al “nuovo”

Un esempio tratto dall’ambito della tecnologia informatica, della telefonia o dei computer, aiuta a trasferire nella vita quotidiana il problema del valore e a comprenderlo meglio. Quando ognuno di noi come singolo individuo sceglie il proprio telefono valorizza le proprie determinanti del valore (l’aspetto, i tasti, le funzioni, il peso, il fatto di aver bisogno urgentemente di un nuovo telefono, ecc.) e le considera in rapporto con il prezzo.

Quando sceglie, anche se condizionato dalla pubblicità (informazione?), ciascuno di noi ha in genere ben presenti le sue possibilità e in parte anche i suoi bisogni e valuta in base al rapporto tra bisogno, qualità e prezzo, incluse le condizioni di acquisto come ad esempio la presenza di finanziamenti o di garanzie illimitate. Come consumatore prioritarizza le sue scelte in funzione della sostenibilità e delle altre spese che deve affrontare.

Se un’azienda sceglie il telefono per i propri dipendenti usa un approccio simile nella sostanza, ma include variabili diverse nella funzione di valore, e le pondera in modo differente.

Se si analizza il problema dal punto di vista del produttore è facile comprendere che per soddisfare il bisogno del singolo consumatore attraverso un approccio industriale e non artigianale è necessario che la R&S studi prodotti innovativi in relazione ai bisogni della popolazione, e che, per soddisfare le esigenze di comunità di consumatori, debba assicurare prodotti che offrano “benefici incrementali” commisurati ai costi incrementali. Nei processi di acquisto di beni e servizi di molte grandi compagnie i processi di selezione e acquisto sono quindi effettuati in modo tale da rendere efficienti le scelte (costo/efficacia), soddisfare i criteri di sostenibilità economica (impatto sul budget) e garantire accordi di servizio (manutenzione, disponibilità, gestione dei guasti, garanzia) adeguati alle esigenze del cliente.

Quindi chi compra per sé usa criteri diversi da chi compra per gli altri, anche se non è sempre detto che tali criteri siano razionali. Il procurement dei grandi gruppi industriali “massimizza” parti diverse del valore e probabilmente potrà lasciare scoperte aree più o meno importanti del bisogno individuale. Quindi, così come il manager della multinazionale preferirà acquistare un telefonino privato della marca e modello che preferisce, in aggiunta o al posto di quello acquistato dall’azienda, si potrebbe presentare in modo sempre più frequente la richiesta di acquisto di farmaci e tecnologie non rimborsate ma considerate più utili per le loro caratteristiche (ad esempio la riduzione dei tempi di convalescenza, la prevenzione di effetti collaterali o altro) sia da parte del cittadino stesso che dell’operatore sanitario.

È con lo stesso approccio che deve quindi essere affrontato, ai fini della sanità pubblica, il problema del valore dei nuovi farmaci e compresa l’importanza di una “politica dell’innovazione”. Quest’ultima deve partire dallo studio delle determinanti dei bisogni e del valore e dalla loro percezione da parte della popolazione e degli operatori sanitari, e definire gli indirizzi da dare alla ricerca e sviluppo, tenendo conto si tratta per la maggior parte un attività globale e non nazionale. Infine essa deve fornire la metodologia per la misura del valore e associarla ai sistemi di rewarding sia in termini di prezzo che di velocità di accesso.

Una politica del valore

Se si vuole affrontare il tema del valore (e non del beneficio terapeutico o dell’innovazione) ci si deve concentrare per forza sul consumatore, per massimizzarne la soddisfazione (efficacia, sicurezza, qualità, accessibilità e preferenza) e sull’operatore sanitario. Il primo in generale non ha un giudizio relativo a­l farmaco se non limitatamente alla sua esperienza prima-dopo, mentre il secondo ha per definizione un giudizio relativo, grazie alla sua osservazione diretta su diversi casi (se è un clinico) o grazie alla revisione di evidenze sperabilmente evidence based e al suo giudizio scientifico (se è un “decisore” o uno “studioso” o un “esperto”).

Il valore può essere espresso a priori (valore potenziale, o aspettativa) e in questo caso è fortemente correlato al bisogno o al rischio percepito, o a posteriori (ha funzionato, non ha funzionato).

La politica del valore deve partire dalla scelta strategica di quali sono i destinatari finali del valore e quali dimensioni sono incluse (a prio­ri) nelle determinanti del valore.

Si deve dotare di strumenti di misura, di criteri premianti, di garanzie per l’equità allocativa delle risorse per finanziarne l’accesso, o definire altri criteri non equi che privilegino ad esempio i bambini o le persone affette da malattie rare. Deve anche verificare quanto, in un sistema di R&S globale, la politica locale si armonizzi con i processi di scoperta e sviluppo, ed eventualmente intervenire a modificarle con degli input affidabili ed efficaci o a integrarli attraverso programmi locali di ricerca.

Per fare ciò sarebbe preferibile che la “politica del valore” fosse un tema “centrale” e non “locale” o regionale, a garanzia dell’univocità e armonia degli sforzi e della soddisfazione dei destinatari.

Posto che non tutto ciò che è nuovo è di valore, non si deve arrivare al paradosso secondo cui tutto ciò che è nuovo non è di valore. Una maggiore stabilità nelle valutazioni permetterà all’enorme e lenta macchina della R&S di definire un nuovo punto di equilibrio, agli azionisti delle big pharma di avere più fiducia, ai prezzi di scendere per incontrare la reale sostenibilità dei sistemi economici di popolazioni e nazioni in costante comunicazione e tutt’altro che simili, ai decisori e pagatori di finanziare il nuovo disinvestendo sul vecchio, agli operatori sanitari di utilizzare le tecnologie a disposizione in modo razionale, ai consumatori finali di essere maggiormente responsabili nella co-gestione di beni preziosi e costosi, da usare con attenzione e con consapevolezza per massimizzarne le prestazioni, ed infine ai ricercatori di “sperimentare” in setting vicini a loro e non lontani migliaia di chilometri gli effetti delle nuove tecnologie.

Gli ingredienti di una politica del valore sono quindi inclusione delle parti interessate, chiarezza nelle regole, verifica degli effetti, bilanciamento tra medio e lungo termine, stabilità e rigore nel giudizio, in parte elementi già presenti nei principi e nelle norme del nostro sistema, ma ancora largamente migliorabili nella loro piena adozione.

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