Comunicazione sanitaria e social media: rischi e opportunità
Giuseppe Croari 1, Pietro Giurdanella 2, Pio Lattarulo 3, Rita Maricchio 4, Luigi Pais dei Mori 5, Claudio Torbinio 6
1 Avvocato, fondatore della rivista telematica www.dirittodellinformatica.it
2 Infermiere coordinatore, AOU “Sant’Orsola-Malpighi” di Bologna, Presidente del Collegio IPASVI della Provincia di Bologna
3 Dirigente del servizio delle professioni sanitarie, Polo ospedaliero orientale, ASL Taranto
4 Direttore direzione professioni sanitarie, AOU “Arcispedale Sant’Anna” di Ferrara, Responsabile Social Network FNC Ipasvi
5 Fondatore dello studio di infermieristica legale e forense LPdM di Belluno, Presidente del Collegio IPASVI della Provincia di Belluno
6 Infermiere, Trauma Center AOU “Ospedali Riuniti” di Ancona, blogger fondatore di Mysalute.biz
Abstract
Social networks represent one of the most common ways of communication in the world. Learning its wise use, and knowing the alphabet, it is one of the essential steps to be pursued with greater tenacity in health, because of the risks and benefits that these powerful tools offer.
Social media have become a powerful vehicle that you have to learn to drive carefully, otherwise it could get out of hand with all the attendant risks. The risks are civil, penal, ethical, and are widely considered in the public administration codes of conduct.
Still in Italy there is no trace of social networks in the codes of ethics of the health professions, however there are a number of references to the benefits that are derived from the well-set communication.
Keywords: Communication; Social networks; Ehealth; Code of ethics
Healthcare communication and social media: risks and opportunities
Pratica Medica & Aspetti Legali 2016; 10(3): 71-78
http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v10i3.1259
Disclosure
Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo
Di profilo: un nuovo volto per la comunicazione
Il termine “social network” pervade gran parte delle nostre vite. Milioni di persone interagiscono con altre, per centinaia di volte al giorno, spesso senza essersi mai conosciute e a distanze tra loro talvolta siderali. Non appaia strano che alcuni addirittura preferiscano comunicare attraverso questo nuovo canale, anteponendolo alla più tradizionale parola.
I social network sono diventati il nuovo mezzo per fare “amicizia” e coinvolgere le persone, con il vantaggio (?) di far circolare in maniera pressoché istantanea le notizie. La semplicità dell’utilizzo e soprattutto i costi molto bassi hanno permesso una vera e propria “esplosione” di tali mezzi comunicativi. Un fenomeno neppure ipotizzabile sino a pochi anni fa, che al momento diventa quasi imprescindibile, per il fatto che offre possibilità di comunicazione diretta senza limiti, in tutti i sensi.
Condividere l’indirizzo di un sito, un link, un pensiero (definito «stato») su Facebook o lanciare un tweet (solo per citare i due social network di punta) può esitare nel coinvolgimento di migliaia di persone spesso sconosciute a chi origina la comunicazione.
Affermare che i social network hanno cambiato il modo di comunicare tra la gente e che possiedono la capacità d’influenzare azioni e comportamenti degli utenti, al loro “ritorno nel mondo reale”, è tutt’altro che utopico. Assistiamo al movimento di una sorta di massa, che si sposta quasi simultaneamente alle azioni del social network e che diventa significativamente potente quando dal web si trasporta nel reale.
Il social network più celebre, la Facebook Inc. nasce il 4 Febbraio 2004. In una decina d’anni questo aspetto della nostra vita ha determinato cambiamenti nel linguaggio, nei gesti, nel tempo che dedichiamo a renderci “vivi e vitali” nel mondo del web. Fiumi d’inchiostro virtuale sono scorsi nel tentativo di dare senso e significato al fenomeno, cercando di analizzarlo, misurarlo, comprenderlo. Possiamo solo affermare con certezza che il fenomeno “social” è divenuto parte di noi, difficilmente riusciamo ad esserne estranei, fosse anche soltanto nel ruolo genitoriale, magari “agnostici virtuali”, ma tangenzialmente inseriti nel sistema globale per il tramite dei nostri figli. Inevitabilmente, si genera una vita impalpabile, reale e realmente vissuta, tanto quanto quella vera, forse specchio di una vita diversa, apparentemente scevra dai problemi quotidiani, che può apparire migliore, o può essere soltanto lo specchio che ci riflette, quando tentiamo vanamente di parlare al nostro IO.
In buona sostanza, il social network che è stato pensato come una rete sociale finalizzata a connettere persone affini a legami sociali, con l’andar del tempo si è trasformato in un canale fatto per comunicazioni di massa, proprio come lo furono i media tradizionali. Tutto questo però con una differenza sostanziale: la comunicazione è interattiva, più similare a una vera e propria conversazione tra diverse persone.
Nell’iperuranio dei social network il singolo utente crede di non essere vincolato, ha la facoltà di partecipare e interagire direttamente in una qualsivoglia discussione, nell’ambito della quale può rilasciare commenti istantanei. È come se fosse un luogo sospeso, tra il mondo reale e quello digitale. Chiunque può avere un profilo su uno o più social network. Ciò non di meno, i fatti hanno dimostrato che non tutti gli utenti dei social hanno compreso a pieno l’influenza che ne potranno ricevere. I social network disponibili in rete sono in continua proliferazione: ce ne sono di tutti i tipi e possono essere generalisti o centrati su un particolare argomento (musica, lavoro, attualità, ecc.), e conseguentemente nel web aumenta il numero di soggetti e fonti circa i quali bisogna valutare credibilità e a cui eventualmente accordare fiducia.
Un curioso e allo stesso tempo pericoloso fenomeno che si sta verificando è la creazione di un ambiente digitale povero di “utile contraddittorio” e ricco di “opinioni deboli”. Molti utenti, magari non ferratissimi su un argomento, saranno portati a trarre conclusioni errate perché colpiti da notizie prive di fondamento, spesso incautamente rilanciate, frutto di pareri e che avranno quale fine ultimo il far passare come verità quelli che sono castelli di opinioni. L’immaturità dei social network è favorita da uno scarso atteggiamento critico degli utenti che tende a confermare l’umana tendenza di saltare subito alle conclusioni.
Nell’era dei social e dell’informazione liquida, frammentata e velocissima, la comunicazione passa come si è detto attraverso molteplici canali, segue nuove regole, salta diversi ostacoli, cerca nuove strategie e differenti obiettivi di comunicazione. Ne deriva una modalità inconsueta di percepire il tempo, radicalmente mutato, rispetto al passato.
Qualche nota sulla comunicazione digitale
Analizzato quello che nei fatti si presenta come un “nuovo mondo”, si vuole offrire qualche spunto di riflessione per “maneggiare” la comunicazione tramite i social network sia con le persone assistite o coloro che sono ritenuti significativi, o i semplici fruitori “occasionali” di prestazioni erogate dal Servizio Sanitario Nazionale o in regime libero-professionale.
Intanto occorre sfatare una leggenda metropolitana. Spesso, i giovanissimi vengono “incasellati” in una macro categoria, quella dei nativi digitali. Rientrerebbero in questa enclave i giovani uomini tecnologici, perfetti conoscitori dello strumento, ma non in grado poi di utilizzarlo nella realtà. Proviamo ad esemplificare. Ad un nostro figlio, magari pre-adolescente, bravissimo pilota alla consolle, affideremmo la nostra autovettura? Deponiamo la risposta nelle capaci mani del Marchese de La Palisse. Il mercato degli oggetti connessi è guidato dal consumatore, i nostri figli pre-adolescenti per l’appunto, e i dispositivi che sono progettati per i consumatori vengono utilizzati come strumenti professionali. Tuttavia, non hanno gli stessi protocolli di sicurezza che la tecnologia sanitaria deve necessariamente prevedere, e senza un’accurata conoscenza del linguaggio, il rischio concreto di effetti catastrofici è dietro l’angolo. Questi dispositivi operano quasi sempre su reti non protette e trasmettono ai produttori un’ampia varietà di dati. Con buona pace del Garante per la privacy, possono accaparrarseli i creatori di app o terzi ancora, per una varietà di scopi. L’organizzazione ospedaliera per antonomasia non prevede al momento un adeguato livello di sicurezza informatica, il che aumenta la possibilità di creare nocumento. Inoltre, i dispositivi mobili non sempre sono crittografati dagli utenti, che nei fatti sono nativi digitali soltanto sulla carta. Se questi dispositivi dovessero andare persi o in qualche modo sottratti, sarebbero a rischio tutta una serie di informazioni in essi contenuti. È fondamentale, per le ragioni sin qui esposte, che i nostri giovani, famigliari, studenti o persone che in qualche modo giungano alla nostra attenzione, siano guidati ed educati all’uso dei dispositivi e dei social media, con le regole centenarie della comunicazione, certamente da loro non possedute. Il vero locomotore diviene il fattore culturale.
Oltre a ciò si rende opportuno indicare i canali di comunicazione adeguati. Pertanto, prima di twittare, o condividere una foto o qualsiasi messaggio socialmente connesso, sarà necessario valutare il canale migliore per comunicare con la persona assistita. Egli dev’essere informato anche di un singolo “status” che lo dovesse riguardare. Prima di distribuire qualsiasi messaggio che contenga foto o riferimenti ad una persona assistita sarà opportuno considerare il proprio pubblico e lo scopo della comunicazione. Si tratta di una comunicazione informale, una consultazione elettronica con la persona assistita o con un collega? Tanto lo scopo della comunicazione quanto il contenuto del messaggio da trasmettere vanno considerati al momento della decisione circa il canale appropriato di consegna. Ad esempio, se si tratta di una questione delicata e complessa, il modo più appropriato resta sempre il dialogo de visu. Per ragioni simili, è buona prassi che le persone assistite rilascino, a latere o come parte integrante del consenso informato, istruzioni sulle disposizioni del trattamento social di ogni bit riguardante il proprio stato di salute. Ricevere il consenso informato esteso ai social dovrebbe essere intesa come una pratica standard in ambito clinico. Il consenso non va inteso come una semplice formalità, com’è ancora nella quasi totalità degli ambiti di cura, ma va articolato prevedendo una chiara informazione sui benefici e rischi associati a tale intervento. Vanno chiaramente elusi tutti i fattori di rischio per la compromissione della privacy della persona assistita. Particolarmente l’opera educativa va improntata in maniera accurata; quando forniremo informazioni la cui pseudo validazione verrà poi cercata su internet, chi ne fruirà dovrà porre poi attenzione nel non condividere involontariamente le risultanze delle ricerche con terze parti, che possono utilizzarli a scopo di marketing, di analisi per le imprese, o scopi malvagi. Anche quest’opera permette di concretizzare l’approccio patient-centered, educando una persona nel momento di più grande fragilità.
Questo approccio proattivo permetterebbe ai sanitari di sfruttare i possibili vantaggi di questo metodo di comunicazione, nonché di gestire al meglio gli aspetti connessi alla responsabilità professionale.
Un’ulteriore possibilità operativa è colmare il gap dell’analfabetismo digitale che, secondo alcuni dati, in Sanità ha proporzioni epidemiche. Esiste un divario tra possibilità offerte dal mondo digitale e informazioni offerte. Le cause? Certamente la carenza di tecnologie disponibili, la scarsa accessibilità alle informazioni sanitarie, la scadente conoscenza della lingua inglese e un po’ troppa affidabilità soltanto alla propria esperienza. Necessaria l’alfabetizzazione nella eHealth e il superamento del Digital Divide al regno della Health Information. Comunicare informazioni non è sufficiente; le persone assistite, i loro familiari, i gruppi, la comunità, necessitano di formazione per renderle significative e d’influenza positiva per il proprio stato di salute. I provider ospedalieri e di qualsiasi luogo di cura devono essere consapevoli delle piattaforme che utilizzano, nonché delle modalità e qualità delle informazioni reperite. Non sono più ammissibili perdite di controllo sulle informazioni social, che attraversano in entrata e uscita i nostri luoghi di cura.
Anche gli Ordini e le Associazioni professionali possono essere di aiuto per tutti coloro che navigano queste acque perigliose. Devono offrire una guida per l’uso dei social network, promuovendo al contempo il dibattito e la formazione continua. La tecnologia, in fondo, continua nella sua avanzata, astenersi significa soltanto porsi dei limiti di competenza.
Professionisti della salute e social media: la parola al giurista!
I social media hanno ormai pervaso le nostre esistenze. Purtroppo, spesso se ne sottovalutano i rischi come accade quando ciascuno si trova dinanzi alle nuove tecnologie. La immaterialità che le caratterizza agevola la nascita di un senso di deresponsabilizzazione che può tuttavia avere conseguenze molto gravi, sia in ambito civile sia in ambito penale [1].
Con il passaggio al Web 2.0 e al social Web, il navigatore, da mero recettore passivo con poche possibilità di interazione, diviene sempre più protagonista e provvede a fornire contenuti di varia tipologia e in vari formati (c.d. user-generated content, UGC): lo stesso utente si assume, volente o nolente, la responsabilità di ciò. Ma sin troppo spesso l’utente medesimo ne è inconsapevole [2-5]. Come osserva Ugo Pagallo in relazione alla responsabilità in Rete [2], mentre le nozioni di “colpa” e “danno” sono cruciali per i giuristi esperti in responsabilità extra-contrattuale, esse sbiadiscono spesso nelle menti dei nativi digitali: «uno dei maggiori motivi di preoccupazione che accompagnano l’evolvere del Web 2.0 e, in specie, dei social network, riguarda infatti la consapevolezza dei giovani, nel momento di caricare (o permettere l’accesso a) dati e immagini personali, anche di terzi» [2]. Frequentemente questi contenuti sono ospitati sui social network, che sono caratterizzati da una viralità per alcuni quasi impossibile da controllare, nonostante ciascun prestatore abbia il controllo sulla propria piattaforma e, dunque, sui contenuti in essa ospitati: ogni utente sarà libero di controllare i propri contenuti sino alla condivisione con altri utenti; una volta avvenuta la condivisione, gli altri utenti potranno utilizzare strumenti social e non, che potrebbero sfuggire al controllo del proprietario originale. Ciò significa che in numerosi casi un illecito commesso on line, in modo “digitale”, è addirittura più grave di un illecito commesso in modo “tradizionale”: basti pensare alla diffamazione a mezzo Internet, che per il Codice Penale è ovviamente più grave di una diffamazione “ordinaria”, come si può evincere dall’aggravante prevista dall’articolo 595 comma 3 del Codice Penale.
I soggetti e il regime di responsabilità
Dal punto di vista giuridico, ciò che è sovente chiamato “social network” è invece un prestatore di servizi della Società dell’informazione; nella specie, il servizio fornito è, per l’appunto, quello di social network.
La normativa vigente è di derivazione comunitaria, per cui nell’Unione europea vi è un framework di tutela minimo e condiviso. Ciascun Stato membro ha infatti implementato, con propria legge nazionale, la direttiva 2000/31/CE e l’Italia lo ha fatto con il D. Lgs. 70/2003 [6]. Questo decreto legislativo prevede delle figure tipiche di prestatori (o provider) che possono godere di un invidiabile regime di esenzione da responsabilità. Nel caso dei social network, ci troviamo dinanzi, come pacificamente riconosciuto da dottrina e giurisprudenza, a degli “hosting provider”, ossia soggetti che memorizzano delle informazioni che vengono fornite dall’utente (detto “destinatario del servizio” nel predetto d.lgs.).
In sostanza (e molto in breve), un hosting provider (come Facebook, Twitter, LinkedIn, ecc.) è responsabile solo se è a conoscenza di un’attività o di un’informazione illecita e non appena a conoscenza di tali fatti non agisce immediatamente per rimuovere le informazioni o disabilitarne l’accesso (art. 16) [6]. Tuttavia, come dispone l’art. 17, c. 2, d.lgs. 70/2003, deve informare le autorità qualora sia a conoscenza di presunte attività o informazioni illecite riguardanti un suo utente e deve fornire senza indugio, a richiesta delle autorità competenti, le informazioni in suo possesso che consentano l’identificazione dell’utente medesimo per individuare e prevenire attività illecite. In caso contrario, il fornitore sarà responsabile civilmente. Ma vi è di più. Sempre l’art. 17 D. Lgs. 70/2003 [6] prevede espressamente che il provider (nel nostro caso, il social network) non ha un obbligo generale di sorveglianza né deve ricercare attivamente fatti o circostanze indicanti la presenza di attività illecite.
In pratica, se un illecito viene compiuto su un social network, nella prassi chi lo ha commesso potrà essere perseguito molto più facilmente di chi fornisce il servizio (che oltretutto ha spesso sede in paesi esteri, oltre a godere della suddetta normativa che lo pone in una posizione privilegiata). Bisogna infatti ricordarsi che il prestatore fornisce solo la piattaforma che viene utilizzata dagli utenti: dunque bisogna essere molto cauti quando si opera on line. Pertanto, chi è danneggiato potrà più facilmente rifarsi verso il danneggiante (purché riesca ad identificarlo e con l’augurio che non si trovi in un paese estero, con relativo aumento di costi e di difficoltà), ma più difficilmente verso il gestore della piattaforma.
Si consideri, infine, che il rapporto fra l’utente e il social network è regolamentato dal contratto che conclude con esso (normalmente denominato “Termini del servizio”), oltre che dalle norme dell’ordinamento giuridico di riferimento [7]. È bene ricordare che per la sottoscrizione del contratto non è necessaria una sottoscrizione tradizionale: generalmente viene accettato mediante la selezione di una o più caselle in modo tale da formare comunque un contratto perfettamente vincolante. Tali termini di servizio in molti casi non vengono letti e conosciuti dall’utente “consumatore” con le conseguenze che ne derivano. Infatti i social appaiono solo apparentemente gratuiti1. Facebook, ad esempio, prevede ai propri termini di servizio l’obbligo per l’utilizzatore di rilasciare una licenza non esclusiva, trasferibile e liberada royalty secondo i propri termini di servizio2. Tali circostanze si rispecchiano notevolmente negli aspetti della comunicazione che riguardano i professionisti sanitari.
La comunicazione sanitaria sui social media
Se una comunicazione riguarda dati sanitari, essa è già di per sé molto delicata. Com’è noto, i dati sanitari sono considerati “dati sensibili” dalla normativa sulla privacy (D. Lgs. 196/2003) [8].
Bisogna inoltre considerare che le interazioni digitali possono assumere un rilievo giuridico anche quando sembrano banali e innocenti: da un semplice “mi piace” (che può invero costituire apprezzamento a un contenuto altrui che potrebbe essere illecito, come nel caso di parole diffamatorie o di immagini lesive della dignità di una terza parte) a commenti che possono superare i limiti del diritto alla libera manifestazione del pensiero (diritto protetto dall’art. 21 Cost., ma che come tutti i diritti incontra dei limiti che variano comunque in base al contesto considerato in tutti i suoi elementi soggettivi e oggettivi) alla condivisione di contenuti.
Una particolare cautela deve essere adoperata anche per ciò che concerne le immagini relative all’esercizio della propria attività lavorativa, per cui non possono essere acquisite senza consenso o comunque in contrasto con le regolamentazioni previste nella struttura in cui si opera e facendo attenzione a non acquisire dati sanitari in tali casi. Le criticità più elevante si hanno nei seguenti casi:
- la struttura sanitaria o il sanitario utilizzano il social network per farsi pubblicità;
- il sanitario utilizza il social network per comunicazioni di servizio;
- il sanitario utilizza il social network per ragioni personali che coinvolgono le attività della propria professione;
- gli utenti delle strutture sanitarie coinvolgono i sanitari in servizio.
Per tali ragioni, sempre più le strutture sanitarie stanno adottando regolamenti specifici in tema di privacy che coinvolgono non solo il personale sanitario ma anche gli utenti delle strutture stesse.
Infatti la comunicazione sui social network ha profonde conseguenze nell’ambito del rapporto di lavoro, dal momento che talune condotte potrebbero risultare illecite: ad esempio, affermazioni che possono ledere l’onore o la reputazione professionale del proprio datore di lavoro o dei pazienti. Di qui, ove dette condotte vengano lecitamente conosciute dal datore medesimo, la possibilità di irrogazione di sanzioni disciplinari che, nei casi più gravi, può giungere sino al licenziamento [9,10]. In ogni caso, gli obblighi del lavoratore (come la diligenza, l’obbedienza e la fedeltà) non vengono meno sul Web: tutt’altro.
Le strutture sanitarie sono ormai dotate di strumenti tecnologici diventati imprescindibili per una corretta diagnosi, quali ad esempio i computer e gli applicativi sanitari. Anche in tal senso, nel rispetto del D.P.R. 62/2013 [11], il dipendente deve utilizzare il materiale o le attrezzature di cui dispone per ragioni di ufficio e i servizi telematici e telefonici nel rispetto dei vincoli posti dall’amministrazione.
I social network sono un importante strumento per fini sia personali sia professionali. Possono essere utilizzati allo stesso modo per manifestare liberamente il proprio pensiero, i diritti sindacali e per farsi pubblicità, anche se in tutti questi casi non vengono meno gli obblighi deontologici, gli obblighi regolamentari e quelli normativi. Infatti i principi deontologici verso cui si deve conformare il sanitario si rispecchiano anche sul web, basti pensare quanto previsto per il decoro personale e la salvaguardia del prestigio della professione. A norma del predetto D.P.R. 62/2013 [11] e fermo restando che l’organizzazione sindacale è libera «Il dipendente opera con spirito di servizio, correttezza, cortesia e disponibilità» e «Salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali, si astiene da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell’amministrazione […] osserva il segreto d’ufficio e la normativa in materia di tutela e trattamento dei dati personale». In tal senso, come sempre accade, il sanitario ha il diritto di esprimere e manifestare i propri diritti costituzionalmente protetti anche attraverso i social network.
Professionisti sanitari e social network: rischi o benefici?
Per tutti i professionisti della salute, i social network rappresentano una vera e propria sfida da cogliere: gli aspetti relazionali, soprattutto quelli legati alla dimensione educativa dell’assistenza, fino ad oggi quasi esclusivamente contenuti nell’atto di cura, si modificano profondamente grazie ai social e all’utilizzo in senso più ampio della rete internet. Un’interazione “di cura ed educativa” che ha la possibilità di utilizzare forme e linguaggi di facile utilizzo per i cittadini. Brevi filmati, cartoon, slide e foto che spiegano come prevenire talune malattie e semplicemente come riconoscerne alcuni segni e sintomi. Per non dire delle tante forme di sensibilizzazione su comportamenti e stili di vita corretti.
Sussiste tuttavia la necessità di maturare una consapevolezza, nell’utilizzo di tali strumenti, cogliendo le tante opportunità offerte e riducendo al minimo i numerosi rischi connessi. Una rete capace di mettere sullo stesso piano comunicativo Aziende Sanitarie/Professionisti/Persone Assistite/Cittadini, può dar luogo a fenomeni a volte molto critici. Prova ne sono le tante e discutibili immagini che illustrano momenti di vita quotidiana negli ospedali o sugli scenari di soccorso che giungono direttamente dall’interno di sale operatorie o di camere di degenza degli ospedali. I professionisti sanitari non sono esenti dal fascino del web iperconnesso, in fondo sono persone comuni, a volte sottoposte a stress importanti, derivanti primariamente dal contatto quotidiano con la sofferenza e la morte. Mentre però, dal paleolitico all’era internet questi agguati generati dallo stress professionale venivano gestiti con sani rapporti interprofessionali, al tempo odierno, la trasposizione del fenomeno ha alzato il livello dello scontro, moltiplicandolo esponenzialmente. La trasposizione nel virtuale porta in sé l’assenza del rapporto personale, palpabile; con esso si annullano tutti gli aspetti della comunicazione non verbale, quella “vera”, non mediata e difficile da nascondere; l’assenza del rapporto reale rende il tutto apparentemente “più lecito”, meno grave, quasi come se non appartenesse realmente all’autore del post. Quindi si concretizzano gli aspetti di responsabilità sui quali si è discusso nel paragrafo precedente.
Di contro, una rete capace di diffondere notizie, emozioni, interazioni in tempi molto rapidi può favorire momenti di aggregazione difficilmente raggiungibili con altri mezzi comunicativi. Basti pensare, solo in ordine di tempo, all’imponente condivisione sui social network, che ha favorito – in poche ore – la donazione di migliaia di sacche di sangue necessarie per fronteggiare le emergenze scaturite dal drammatico incidente ferroviario occorso di recente in provincia di Bari. Un’altra emozione positiva, nel senso di veloce scambio proficuo d’intenti, che si vuol condividere in questa sede è quella del #noisiamopronti. L’hashtag nel linguaggio dei social network, universalmente condiviso, permette la viralizzazione, la propagazione come una vera e propria epidemia digitale. Nuove parole per un mondo nuovo. #noisiamopronti è una frase, che in realtà comunica un’emozione, che diventa virale su Facebook, Twitter e nel web nel mese di novembre 2015 (come reazione alla sospensione da parte dell’Ordine dei Medici di Bologna per un gruppo di medici del 118) e che ha coinvolto migliaia di infermieri prima e professionisti sanitari in senso più ampio successivamente. Una meravigliosa pagina di storia infermieristica scritta e voluta dagli infermieri per ribadire: #noisiamopronti per le competenze specialistiche, #noisiamopronti per rispondere ai bisogni del cittadino, #noisiamopronti per sostenere il cambiamento. L’idea di una manifestazione silenziosa, ma assai significativa, come la pubblicazione di una foto in divisa con l’hashtag #noisiamoprontiDay, nella centralissima Piazza Maggiore di Bologna, e il gruppo Facebook che al ritmo di 1.000 iscrizioni al giorno, raggiunge l’impressionante adesione di quasi 25.000 iscritti in un mese. Questo vuol dire dare piena solidarietà ai colleghi del 118, ma dar voce anche ad una comunità professionale, multidisciplinare, che non vuole arretrare di un passo nel lungo percorso di evoluzione avviato per rispondere sempre più compiutamente ai bisogni dei cittadini.
Note di etica
Immaginereste lo Stagirita dotato di un tablet in connessione 4G? Ebbene no, anche perché, prescindendo dall’evoluzione tecnologica, lettura e scrittura, al tempo cui facciamo riferimento, erano riservate a pochi eletti. Privilegiavano la narrazione, fenomeno che peraltro in medicina si sta cercando di ravvivare, probabilmente perché si è compresa l’importanza di analizzare le piccole storie, delle persone assistite e dei professionisti che poi inevitabilmente confluiscono nella Storia. Esperti di informatizzazione, di viralizzazione o qualche youtuber sarebbero stati però di buon ausilio, se collocati nel peripato aristotelico. Avrebbero permesso di riportare ai giorni nostri le discussioni più autentiche sulle virtù etiche e dianoetiche, sulla eudaimonia, la compiuta ricerca della felicità, vero fine ultimo dell’uomo sulla terra. Certo, Aristotele dotato di una potente connessione potrebbe immediatamente lanciare un tweet o aggiornare il suo stato, sconfessando anche il successore Kierkegaard che afferma l’impossibilità di parlare di etica. Chissà, se su qualche nuvola sono lì a dissertare sui massimi sistemi, certamente in buona compagnia e ormai col dubbio chiarito circa l’esistenza o meno di Dio.
L’atteggiamento utilizzato da un professionista sanitario sul suo profilo o nell’interazione nei gruppi è chiaro segno distintivo della sua identità personale e professionale. Il suo habitus non si dismette alla sera e rimane fedelmente adeso al suo proprietario in forza dell’orientamento alla riflessione etica e all’agire deontologico che deve contraddistinguerlo. Garante dell’adeguatezza dell’essere e dell’agire del professionista sanitario rimane il proprio Ordine Professionale, nella sua primaria funzione di tutore nei confronti del cittadino. Nel Codice Deontologico di Infermieristica 2009 [12] non vi sono riferimenti specifici ai social media, per il semplice fatto che l’esplosione del fenomeno riguarda questi ultimi anni. Neppure in altri documenti di analoga natura riguardanti le altre professioni sanitarie si trova traccia di riferimento in tal senso. È possibile però, dalla lettura e analisi del predetto Codice, ricavare una serie di riferimenti che permettono di affrontare le questioni legate alla correttezza nella comunicazione:
- Articolo 23: «L’infermiere riconosce il valore dell’informazione integrata multiprofessionale e si adopera affinché l’assistito disponga di tutte le informazioni necessarie ai suoi bisogni di vita»;
- Articolo 24: «L’infermiere aiuta e sostiene l’assistito nelle scelte, fornendo informazioni di natura assistenziale in relazione ai progetti diagnostico-terapeutici e adeguando la comunicazione alla sua capacità di comprendere»;
- Articolo 26 : «L’infermiere assicura e tutela la riservatezza nel trattamento dei dati relativi all’assistito. Nella raccolta, nella gestione e nel passaggio di dati, si limita a ciò che è attinente all’assistenza»;
- Articolo 27: «L’infermiere garantisce la continuità assistenziale anche contribuendo alla realizzazione di una rete di rapporti interprofessionali e di una efficace gestione degli strumenti informativi»;
- Articolo 46: «L’infermiere si ispira a trasparenza e veridicità nei messaggi pubblicitari, nel rispetto delle indicazioni del Collegio professionale».
Particolarmente significativo il cenno che il Code of Ethics del Nursing and Midwifery Council (versione 2015) dedica alla questione: «20.10 use all forms of spoken, written and digital communication (including social media and networking sites) responsibly, respecting the right to privacy of others at all times» [13].
Stante la descritta imponenza del fenomeno, la Federazione Nazionale Infermieri nel 2013 ha emanato uno statement con indicazioni di “buon senso” per tutti gli iscritti [14].
- «prima di postare informazioni online considerare la solidità delle ragioni per farlo, assicurarsi di avere il consenso dell’assistito, che la sua identità sia protetta e che le informazioni pubblicate online non ne permettano l’identificazione»;
- non diffondere mai attraverso i social media immagini o informazioni relative all’assistito che possano violare i suoi diritti di privacy e riservatezza;
- «non pubblicare, condividere o diffondere immagini, dati o informazioni dell’assistito acquisite nella relazione infermiere – paziente»;
- «non esprimere commenti sugli assistiti anche quando gli stessi non possono essere identificati»;
- «non acquisire immagini (fotografie, video) utilizzando dispositivi personali ivi inclusi i telefoni cellulari».
Oltreoceano, l’American Nurses Association, che conta 3,6 milioni di iscritti, ha proposto nel 2011 alcuni principi [15] di buon uso dei social media e dei suggerimenti di base rivolti agli infermieri per non commettere errori o illeciti nell’utilizzare questi strumenti. Secondo tali principi, gli infermieri devono:
- evitare di trasmettere o mettere online informazioni che possono favorire l’identificazione del paziente;
- osservare i principi deontologici e rispettare i confini professionali;
- essere consapevoli che i pazienti, i colleghi, le istituzioni e i datori di lavoro possono visualizzare i loro messaggi;
- impostare correttamente le opzioni dei social media relative alla privacy e mantenere separate le informazioni personali da quelle professionali;
- segnalare alle autorità competenti eventuali contenuti presenti sui social media che possono danneggiare la privacy, il benessere, i diritti degli assistiti o dei colleghi;
- partecipare allo sviluppo di politiche istituzionali che disciplinino la condotta online.
I suggerimenti sono i seguenti [15]:
- far valere gli standard professionali anche per la condotta online o in qualsiasi altra circostanza;
- non condividere o pubblicare informazioni o immagini ottenute attraverso la relazione tra l’infermiere e il paziente;
- non fotografare o girare video di pazienti utilizzando dispositivi personali compresi i telefoni cellulari;
- mantenere i confini professionali;
- non fare commenti su pazienti, colleghi o datori di lavoro anche se non sono direttamente identificati.
In estrema sintesi, è possibile esprimere il senso dell’assistenza e della vicinanza anche in un luogo virtuale. Per tale ragione l’incontro tra l’infermiere e la persona assistita, che spesso si concretizza in un gesto, deve diventare un “luogo di senso” per chi lo effettua e per chi lo riceve, nel segno dell’etica del gesto assistenziale. In un mondo sempre più veloce e fugace, la grande sfida per i professionisti sanitari (e non) consisterà nella capacità di ri-adattarsi con invidiabile plasticità sia al mondo circostante, sia a quello composto da byte, nella storica ma quanto mai attuale logica del saper divenire.
Bibliografia
- Picotti L. I diritti fondamentali nell’uso ed abuso dei “social network”: aspetti penali. Giurisprudenza di merito 2012; 12: 2522-47
- Pagallo U. Sul principio di responsabilità giuridica in rete. Il diritto dell’informazione e dell’informatica 2009; 3: 705-734
- Falletti E. I “social network”: i primi orientamenti giurisprudenziali. Il Corriere giuridico 2015; 7: 992-9
- Sartor G. “Social networks” e responsabilità del “provider”. AIDA 2011; 1: 39-56
- Scalzini S. I servizi di “online social network” tra “privacy”, regole di utilizzo e violazione dei diritti dei terzi. Giurisprudenza di merito 2012; 12: 2569-90
- Decreto legislativo 9 aprile 2003, n. 70. «Attuazione della direttiva 2000/31/CE relativa a taluni aspetti giuridici dei servizi della società dell’informazione, in particolare il commercio elettronico, nel mercato interno». Gazzetta Ufficiale del 14 aprile 2003, Suppl. Ordinario n. 61
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1 Si veda l’art. 9 dei termini di servizio di Facebook (revisione: 30 gennaio 2015) su https://www.facebook.com/terms. Viene riportato che «il nostro obiettivo è fornire pubblicità e altri contenuti commerciali o sponsorizzati di valore a utenti e inserzionisti. A tal fine, gli utenti accettano quanto segue: Gli utenti forniscono a Facebook l’autorizzazione a utilizzare il loro nome, l’immagine del profilo, i contenuti e le informazioni in relazione a contenuti commerciali, sponsorizzati o correlati (ad esempio i marchi preferiti) pubblicati o supportati da Facebook. Tale affermazione implica, ad esempio, che l’utente consenta a un’azienda o a un’altra entità di offrire un compenso in denaro a Facebook per mostrare il nome e/o l’immagine del profilo di Facebook dell’utente con i suoi contenuti o le sue informazioni senza ricevere nessuna compensazione»
2 Si veda l’art. 2 dei termini di servizio di Facebook (revisione: 30 gennaio 2015) su https://www.facebook.com/terms
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