Limitazione della responsabilità sanitaria durante l’emergenza da COVID-19
Jacopo Giammatteo 1, Lorenzo Sebastianelli 2, Michele Treglia 1, Luigi Tonino Marsella 3
1 Dottorato di Ricerca in Scienze Forensi, Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
2 Avvocato, Foro di Velletri (Roma)
3 Dipartimento di Biomedicina e Prevenzione, Università degli studi di Roma “Tor Vergata”
Keywords: medical liability; COVID-19; emergency
Limiting health liability during the COVID-19 emergency
Pratica Medica & Aspetti Legali 2020; 14(1): -4
https://doi.org/10.7175/pmeal.v14i1.1473
Disclosure
Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse in merito agli argomenti trattati nel presente articolo
Ricevuto: 8 aprile 2020
Accettato: 10 aprile 2020
Pubblicato: 14 aprile 2020
Introduzione
Nell’odierno contesto storico, gravato da un’emergenza sanitaria senza precedenti, ci si domanda sotto quali forme la responsabilità medica debba essere inquadrata e quali siano le singole responsabilità che possano essere addebitate all’esercente la professione sanitaria, di cui all’art. 7 della legge 8 marzo 2017, n. 24, e alla struttura sanitaria.
In altri termini, bisogna domandarsi se in casi di situazione epidemiologica di portata internazionale gli operatori e le strutture sanitarie debbano essere ritenuti responsabili oppure se possano essere individuate delle ipotesi di limitazione della responsabilità in considerazione del carattere eccezionale e straordinario dell’evento.
D’altronde, è noto che alcuni studi legali si stiano già attivando per proporre giudizi al fine di tutelare i diritti dei familiari delle vittime decedute per COVID-19, che gli stessi assumono essere stati lesi per cause collegate al comportamento dei professionisti e alle strutture sanitarie. È altrettanto risaputo che, per contrastare tale fenomeno, tutti gli attori politici stanno discutendo sull’opportunità di prevedere delle forme di limitazione della responsabilità professionale medica.
È indubbio che l’intervento del Legislatore debba al contempo tutelare gli esercenti la professione sanitaria e i diritti dei pazienti, individuando quelle zone grigie in cui non è manifesta la grave responsabilità del sanitario e della struttura sanitaria.
Al fine di proseguire la discussione, occorre necessariamente introdurre in breve la nozione di responsabilità medica e indicare qual è la disciplina normativa che la regola.
Brevi cenni sulla responsabilità medica
In via generale, la responsabilità medica è quel tipo di responsabilità che grava sugli esercenti l’attività sanitaria e che si riconduce all’insieme di azioni, errori od omissioni che hanno determinato un danno all’integrità psico-fisica del singolo paziente.
Tale responsabilità può ricondursi, quindi, alla colpa del singolo medico, ad una insufficienza o mala gestio dei mezzi e/o degli strumenti della struttura sanitaria o ancora all’assenza di un idoneo consenso informato del paziente.
Occorre rilevare che l’attività sanitaria sia di per sé complessa, in quanto sono molteplici le variabili con cui l’operatore sanitario si deve confrontare: si pensi all’epidemia del COVID-19 ove ogni persona presenta diversi sintomi, da quelli più lievi (febbre) a quelli più acuti (difficoltà respiratorie) e che ad oggi ancora non vi è un protocollo di cura da poter seguire. Da questa complessità si comprende il motivo per cui i sanitari sono sottoposti, in misura maggiore rispetto ad altre professioni, a domande di risarcimento dei danni da parte dei propri pazienti.
Andando al punto, l’ultimo intervento normativo che ha definito i connotati della responsabilità medica è la c.d. Legge Gelli-Bianco (Legge n. 24/2017). Senza scendere nel dettaglio normativo, essendovi copiosa dottrina al riguardo [1-2], la Legge n. 24 del 8 marzo 2017:
- in riferimento alla responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria, ha escluso tale responsabilità qualora lo stesso dimostri di essersi attenuto alle linee guida vistate e pubblicate dall’Istituto Superiore di Sanità, o, in loro assenza, alle buone pratiche, richiedendo in tale circostanza l’adeguatezza al caso concreto clinico-assistenziale, rispondendo, quindi, per le sole ipotesi di dolo e colpa grave1;
- in riferimento alla responsabilità civile, dirimendo un ampio e corposo contrasto dottrinario e giurisprudenziale2, ha ricondotto la responsabilità del singolo medico che opera a qualsiasi titolo all’interno di una struttura sanitaria all’interno dell’alveo della responsabilità extracontrattuale di cui art. 2043 del codice civile, salvo che non vi sia un vincolo negoziale tra medico e paziente;
- in riferimento alla responsabilità attribuita alle strutture sanitarie, invece, non ha previsto alcun cambiamento rispetto al passato, in quanto queste rispondono a titolo di responsabilità contrattuale ai sensi degli artt.1218 e 1228 del c.c.
In sostanza il testo normativo in esame ha preso a fondamento il c.d. diritto alla sicurezza delle cure che, essendo stato estrapolato esplicitamente dal diritto alla salute previsto dall’art. 32 della Costituzione, assume portata di rilievo costituzionale [3].
La tutela del predetto bene giuridico deve essere assicurata attraverso mezzi di prevenzione e gestione del rischio sanitario e un adeguato uso delle risorse tecnologiche e di personale a disposizione di ogni singola struttura.
La Legge n. 24/2017, combinata con la normativa vigente in materia professioni sanitarie, riconosce tra gli esercenti la professione sanitaria il farmacista ex d.lgs. 258/199, il medico chirurgo ex d.lgs. 368/1999, l’odontoiatra ex l.409/1985, il veterinario ex l. 750/1984, lo psicologo ex l. 56/1989, l’infermiere ex l. 905/1980, le ostetriche ex l. 296/1985, i professionisti operanti in ambito riabilitativo sanitario, nonché professionisti tecnico-sanitari (di area tecnico-diagnostica e tecnicoassistenziale) [4].
La ratio sottesa alla Legge Gelli-Bianco, quindi, è quella di responsabilizzare ogni singola persona e struttura sanitaria, sia pubblica che privata, esercente la professione sanitaria, estendendo, quindi, il concetto di responsabilità ad ogni figura dotata di un profilo professionale sanitario.
Limitazione della responsabilità sanitaria in tempi di emergenza da COVID-19
Inquadrata la responsabilità medica, è doveroso capire se, in un contesto caratterizzato dall’epidemia da COVID-19, tale responsabilità professionale si applica nei confronti dell’esercente la professione sanitaria, di cui all’art. 7 della Legge 8 marzo 2017, n. 24.
Da più parti si è evidenziata l’esigenza di salvaguardare gli operatori sanitari da possibili azioni legali che, in alcuni casi, potrebbero essere connotate da uno scopo speculativo, più che di giustizia, e che si inserirebbero in un contesto sanitario straordinario caratterizzato dall’impossibilità di operare con quelle che, in condizioni ordinarie, sono considerate condizioni minime.
Oggi gli operatori sanitari svolgono le loro attività in un contesto “stressato” che, nonostante dati in diminuzione, rileva 132.547 contagi totali da inizio epidemia, con 93.187 infezioni in corso, 22.837 guarigioni e 16.523 deceduti (dati aggiornati al 6 aprile 2020). Inoltre, l’alta facilità di trasmissione del virus ha esposto gli esercenti la professione sanitaria ad una elevata probabilità di contagio, aumentando il rischio collegato al naturale svolgimento delle arti mediche.
Davanti a questo scenario appare necessario riflettere sugli elementi che meritano di essere rafforzati e introdotti nell’ordinamento giuridico, al fine di evitare che l’affannosa lotta al COVID-19 si tramuti in un inopportuno scontro tra esercenti la professione sanitaria e pazienti.
Innanzitutto, il primo elemento su cui bisogna ragionare è il concetto di emergenza, che è dato da un’attenta analisi della realtà che “può consentire di cogliere le contingenze nelle quali vi è una particolare difficoltà della diagnosi, sovente accresciuta dall’urgenza; e di distinguere tale situazione da quelle in cui, invece, il medico è malaccorto, non si adopera per fronteggiare adeguatamente l’urgenza o tiene comportamenti semplicemente omissivi, tanto più quando la sua specializzazione gli impone di agire tempestivamente proprio in emergenza […]. In breve, quindi, la colpa del terapeuta ed in genere dell’esercente una professione di elevata qualificazione va parametrata alla difficoltà tecnico-scientifica dell’intervento richiestogli ed al contesto in cui esso si è svolto” [5].
È nell’emergenza che l’esercente la professione sanitaria agisce, di conseguenza è tenendo conto della stessa che deve essere valutata la sua responsabilità professionale. È possibile, pertanto, l’applicazione dell’art. 2236 c.c., per il quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, l’esercente la professione sanitaria (in questo caso prestatore d’opera) non risponde dei danni, se non in caso di dolo o di colpa grave. Tale disposizione normativa inserisce all’interno dell’ordinamento giuridico “una regola logica ed esperienziale che sta nell’ordine stesso delle cose” e che richiede di ponderare tutte le difficoltà con cui il professionista ha dovuto confrontarsi [5].
Tale norma, pertanto, dispone che, in condizioni di emergenza come quella odierna, l’esercente la professione sanitaria non è responsabile dei danni causati ai pazienti, se non per dolo o colpa grave.
Qualora, quindi, il Legislatore volesse predisporre una norma ad hoc [6], per tutelare in modo specifico gli operatori sanitari, dovrebbe seguire la linea tracciata dall’art. 2236 c.c., circoscrivendo la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria alle situazioni di emergenza in cui l’operatore avesse agito in violazione dei protocolli, delle linee guida e delle buone prassi mediche.
Di conseguenza, è importante individuare coloro che potranno giovare di questa limitazione normativa. Se da un lato non vi è discussione sul fatto che tutti gli esercenti la professione sanitaria, di cui all’art. 7 della Legge 8 marzo 2017, n. 24, debbano essere compresi tra destinatari di una norma siffatta, più complessa è la posizione delle strutture sanitarie. Su quest’ultime, infatti, ricade l’obbligo della gestione amministrativa e organizzativa dell’emergenza sanitaria e saranno esentate dalla responsabilità solo qualora dimostrino che abbiano posto in essere tutte le azioni necessarie al fine di evitare il contagio, essendo al contrario esclusivamente responsabili dei danni cagionati ai pazienti all’interno della struttura. A tal proposito, considerando che la natura dell’infezione da COVID-19 è di matrice prevalentemente non ospedaliera, bisogna comprendere quali possano essere le specifiche misure organizzative volte a impedire che l’infezione si diffonda nell’ospedale [7]. Ipotizzando che la struttura sanitaria svolga tutte le necessarie sanificazioni e predisponga protocolli interni specifici di isolamento dei contagiati e di prevenzione dell’infezione (ad esempio percorsi alternativi per infettati e altri pazienti), nulla potrebbe fare rispetto ad atteggiamenti irresponsabili dei singoli soggetti, risultando in tal caso esente da responsabilità [7]. Invece, per definire il grado di responsabilità da contagio, nella circostanza in cui il nosocomio non sia stato tempestivo nell’adottare misure organizzative specifiche, si deve tener conto delle difficoltà derivanti dall’emergenza e dello stato strutturale del nosocomio stesso.
Sotto il profilo del singolo esercente la professione sanitaria, la norma di cui stiamo discutendo deve limitarne la responsabilità ai casi in cui l’evento-danno sia riconducibile solo a comportamenti caratterizzati da dolo o colpa grave, intesa come la palese e ingiustificata violazione dei principi basilari che disciplinano la professione sanitaria, nonché dei protocolli disposti per affrontare la condizione di emergenza. Anche con riferimento alla responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario ex art. 590-sexies c.p., la punibilità, in presenza di circostanze quali l’emergenza da COVID-19 o eventi causati dallo stesso, dovrebbe essere limitata ai soli casi di colpa grave.
In ogni caso, la valutazione sul comportamento dell’esercente la professione sanitaria dovrà sempre tenere in considerazione il rapporto tra la situazione organizzativa e logistica della struttura sanitaria, l’eccezionalità dell’ambiente in stato di emergenza, il numero di pazienti su cui è necessario intervenire e la gravità delle loro condizioni, la disponibilità di attrezzature e di personale, il livello di esperienza e di specializzazione del singolo operatore (di tale tenore era l’emendamento A.S. 1766 al decreto Cura Italia 2020, a prima firma Marcucci, ridefinito quale “Disposizioni in materia di responsabilità per eventi dannosi che abbiano trovato causa nella situazione di emergenza da COVID-19”, ritirato il 5 aprile 2020).
In conclusione, la limitazione della responsabilità medica oggi può già ricondursi nell’alveo dell’art. 2236 c.c, che, in condizioni di emergenza, esclude la responsabilità dell’esercente la professione sanitaria. Non può escludersi, tuttavia, un intervento del Legislatore, il quale dovrà prevedere una norma che salvaguardi in modo più specifico, alle determinate condizioni indicate, l’attività dell’operatore sanitario e lo tuteli da future possibili azioni legali.
Buon senso vorrebbe che tale delicata attività legislativa fosse accompagnata dalla presa di coscienza secondo cui l’avversario da battere non è l’esercente la professione sanitaria, ma il COVID-19: l’unico modo per vincere è quello che trovi l’esercente la professione sanitaria e il cittadino comune dalla stessa parte.
Bibliografia
- Palmieri A. La riforma della responsabilità medica. La responsabilità del medico. Questione Giustizia 2018; 1. Disponibile online su http://questionegiustizia.it/rivista/2018/1/la-riforma-della-responsabilita-medica-la-responsabilita-del-medico_525.php (ultimo accesso 09/04/2020)
- Pascale G. Responsabilità del medico e risarcimento del danno dopo la riforma Gelli-Bianco. Maggioli Editore, 2017
- Zorzit D. Il diritto alla sicurezza delle cure nella legge “Gelli”: (verso) una nuova responsabilità civile in sanità. Responsabilità Medica. Diritto e Pratica clinica 2017; 4
- Viola L. Schema: chi sono gli esercenti la professione sanitarie ex L. 24/2017 (riforma Gelli-Bianco)? La Nuova Procedura Civile 2017; 3
- Cassazione, Sent. N. 24528 del 10.06.2014
- Frittelli T, Hazan M. Coronavirus e responsabilità professionale. Serve una norma che “metta in sicurezza” operatori e Asl da richieste di risarcimenti e conflitti giurisdizionali. Quotidianosanità.it 10/03/2020. Disponibile online su https://www.quotidianosanita.it/scienza-e-farmaci/articolo.php?articolo_id=82385 (ultimo accesso 09/04/2020)
- Hazan M, Zorzit D. Corona Virus e Responsabilità (medica e sociale). RIDARE – Risarcimento Danno Responsabilità, 10/03/2020. Disponibile online su http://ridare.it/articoli/focus/corona-virus-e-responsabilit-medica-e-sociale (ultimo accesso 09/04/2020)
1 L’articolo 590-sexies c.p. nel prevedere una tipica responsabilità penale dei medici per omicidio colposo o lesioni cagionati nell’esercizio della professione sanitaria esclude la predetta responsabilità per imperizia nel caso in cui il sanitario si sia attenuto, nell’esecuzione della sua attività professionale, alle linee guida o, in mancanza, alle buone prassi clinico-assistenziali
2 Si pensi all’ascesa del c.d. contatto sociale dal quale si desumeva, anche in assenza di un contratto tra le parti, la natura contrattuale della responsabilità del medico ospedaliero dipendente
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