PM&AL 2012;6(1)21-29.html

Storia e campi di applicazione della Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute

Pasqua Scelfo 1, Carmela Sapuppo 2

1 Dirigente Medico Legale I livello Inail, sede di Palermo

2 Oculista Specialista Ambulatoriale Interno Inail, sede di Palermo e ASP6, Palermo

Abstract

Discussion and considerations about the concepts of health and disability and related cultural movements began at the beginning of 1900, leading to the publication, in 2001, of the International Classification of Functioning Disability and Health (ICF). In this article, the authors, through the examination of various models that have been developed over time, highlight how we have come to this very important cultural revolution, concluding with an overview of fields of application of the ICF, in part the result of their personal experience.

Keywords: ICF; Inail; Rehabilitation; Functional diagnosis; Assessment of residual work capacity; Return to work; Health surveillance; Disability; Aging

History and applications of the International Classification of Functioning Disability and Health

Pratica Medica & Aspetti Legali 2012; 6(1): 21-29

Introduzione

La pubblicazione nel maggio 2001 da parte della Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) della nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento Disabilità e Salute (ICF) [1-3] ha dato inizio a una delle più importanti e fondamentali rivoluzioni culturali a livello mondiale sul concetto di salute e disabilità. L’ICF è stata proposta dall’OMS come modello di riferimento standard e unificato per descrivere la salute e gli stati ad essa correlati [1,4], è stata riconosciuta da 191 Paesi, che si sono impegnati a diffonderla al loro interno [2].

Dalla malattia alle condizioni di salute

La salute, che è alla base dello sviluppo di una nazione, deve essere misurata e descritta.

Per questo motivo, nel tempo, si è cercato di mettere a punto modelli di riferimento che utilizzassero un linguaggio comune e condivisibile, al fine di orientare la ricerca, le politiche e gli interventi socio-sanitari per un impiego adeguato ed efficace delle risorse.

Nel 1893, con l’approvazione da parte della Conferenza dell’Istituto Internazionale di Statistica della Classificazione delle Cause di Morte (International Classification of Causes of Death) [5], l’indicatore ritenuto idoneo per valutare la salute è stato la causa di morte (l’Italia ha adottato questa classificazione a partire dal 1924).

Successivamente, nel 1946 con la Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD, International Classification of Diseases) [6] da parte dell’OMS, subentra un nuovo rilevatore rappresentato dalla malattia.

In questa classificazione le malattie sono ordinate per finalità statistiche e in gruppi tra loro correlati; i termini medici in cui sono formulate le diagnosi di malattia e le procedure diagnostiche e terapeutiche sono indicati con codici alfanumerici.

L’ICD è una classificazione che è sottoposta periodicamente a revisione; attualmente è in uso l’ICD-10 [6,7] ed è in corso l’ultima revisione ICD-11 [7] che dovrebbe entrare in vigore tra il 2014 e il 2015.

Il sistema ICD, è basato esclusivamente sulla malattia e la diagnosi secondo la sequenza eziologia-patologia-manifestazione clinica.

A partire dagli anni ‘50 ha avuto inizio a livello mondiale un’importante riflessione teorica sulla salute e la malattia, che cominciava a dare maggior rilievo alle conseguenze di quest’ultima sulla vita delle persone. Ciò era dovuto principalmente al cambiamento dello scenario sanitario, segnato dal passaggio dalle patologie acute, infettive, a patologie a evoluzione cronica [4]. Si delineavano necessità di ordine economico e sanitario, che richiedevano una migliore allocazione delle risorse, al fine di colmare il divario tra ciò che i servizi sanitari effettivamente offrivano e i bisogni emergenti (ability-capability gap) [8]. Per questi motivi si elaboravano diversi modelli concettuali, che avevano come punto di arrivo comune il concetto di disablement o il “crearsi della disabilità” [9].

Su queste basi si è giunti all’approvazione, nel maggio del 1976 da parte della XXIX Assemblea Mondiale della Sanità, della Classificazione delle Menomazioni, Disabilità e Handicap (International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap. A manual of classification relating to the consequences of disease ICIDH) [10], pubblicata nel 1980 con il nome di International Classification of Impairments, Disabilities and Handicap (ICIDH-1 o ICIDH-80) [10,11]. Fu ideata dal medico britannico Philip Wood1, non per sostituire, ma per affiancare la classificazione ICD.

L’ICIDH-80 è stata la prima elaborazione di un sistema di classificazione internazionale basato sulle conseguenze delle malattie condivisa a livello internazionale e tradotta in 13 lingue.

Questo abbinamento costituisce di fatto un superamento concettuale, in quanto diviene possibile integrare i dati sulla malattia con le informazioni sulle conseguenze che la stessa produce sulla vita quotidiana e di relazione.

La sequenza fenomenologica dell’ICD eziologia-patologia-manifestazione clinica si integra con la sequenza della ICIDH menomazione-disabilità-handicap.

In questa classificazione (Tabella I) [11]:

Macrocategorie

Menomazioni (m)

  1. m. della capacità intellettiva
  2. altre m. psicologiche
  3. m. del linguaggio
  4. m. auricolari
  5. m. oculari
  6. m. viscerali
  7. m. scheletriche
  8. m. deturpanti
  9. m. generalizzate, sensoriali e di altro tipo

Disabilità (d)

  1. d. nel comportamento
  2. d. nella comunicazione
  3. d. nella cura della propria persona
  4. d. locomotoria
  5. d. dovuta all’assetto corporeo
  6. d. nella destrezza
  7. d. circostanziali
  8. d. in particolari attitudini
  9. altre limitazioni

Handicap (h)

  1. h. nell’orientamento
  2. h. nell’indipendenza fisica
  3. h. nella mobilità
  4. h. occupazionali
  5. h. nella integrazione sociale
  6. h. nell’autosufficienza economica
  7. altri handicap

Tabella I. Composizione della classificazione ICIDH [11]

  • la menomazione è definita come «qualsiasi perdita o anormalità a carico di una struttura o di una funzione psicologica, fisiologica o anatomica»;
  • la disabilità è data da «qualsiasi limitazione o perdita (conseguente a menomazione) delle capacità di compiere un’attività nel modo o nell’ampiezza considerati normali per un essere umano»;
  • l’handicap è invece «la situazione di svantaggio, conseguente a una menomazione o a una disabilità, che in un soggetto limita o impedisce l’adempimento del ruolo normale in relazione all’età, sesso e fattori socioculturali».

L’elaborazione concettuale dell’ICIDH, sicuramente, servì a mettere ordine in un settore in cui perlomeno in termini classificativi vigeva un’assoluta anarchia semantica [4].

Si prestava però a delle critiche riguardanti in particolare:

  • la logica lineare della sequenza menomazione-disabilità-handicap;
  • il collegamento assoluto tra i tre livelli. La sequenza, infatti, non è sempre così lineare, una menomazione può dare origine a dei problemi nei rapporti sociali; l’handicap può determinarsi senza la mediazione della disabilità (ad esempio, una cicatrice deturpante che non determina disabilità può causare handicap);
  • l’ambiguità che nell’ICIDH si associa alla definizione di handicap, che gli stessi Autori descrivono nel modo seguente: «Sia la stessa consapevolezza, o il comportamento alterato o la performance che questo attiva, possono porre l’individuo in una posizione di svantaggio rispetto agli altri, questa è la socializzazione dell’esperienza. Questo piano riflette la risposta della società all’esperienza dell’individuo, espressa in atteggiamenti, come l’attivazione dello stigma, o in comportamenti che possono includere specifici strumenti come la legislazione. Queste esperienze rappresentano l’handicap risultante dalla menomazione e dalla disabilità» [9].

Se quindi da una parte l’handicap è visto come uno svantaggio derivante dalla menomazione e dalla disabilità, non si può negare che in questa classificazione vi sia un riferimento chiaro alla società “ambiente”. Infatti, la stessa società risponde alla persona svantaggiata sia con atteggiamenti e comportamenti positivi rappresentati da interventi legislativi, di sostegno economico e sociale, sia negativi come l’istituzionalizzazione, l’emarginazione, fino all’attivazione dello “stigma”2.

Nello stesso periodo a livello internazionale prendeva corpo un forte dibattito stimolato principalmente dalle persone con disabilità, che cominciavano a prendere coscienza del fatto che, per le loro condizioni, venivano escluse dal riconoscimento dei diritti umani sociali e lavorativi [9].

In Inghilterra, dove forte era la tendenza alla istituzionalizzazione, nacque la Disabled Peoples’ International (DPI) cui corrispose negli anni ‘80 in America la Society for Disability Studies (DPS), che diede luogo all’Union of the Physically Impaired Against Segregation (UPIAS) [9].

L’UPIAS osteggiò l’ICIDH giudicando l’approccio troppo individualista e su base prettamente medica. Infatti, affermava che solamente sulla base di decisioni mediche e sanitarie le persone con menomazioni erano esautorate e relegate a ruoli secondari all’interno della società [8].

L’UPIAS, con la pubblicazione di un documento ufficiale dal titolo Fundamental Principles of Disability, contrappose al “modello medico” fino ad allora prevalente, un “modello sociale della disabilità, attribuendo una grande responsabilità alla società, che «rende disabili le persone che hanno delle menomazioni […] la disabilità è qualcosa che viene imposta sulle nostre menomazioni mediante il modo in cui noi siamo isolati ed esclusi, in una maniera non necessaria dalla piena partecipazione alla società» [9].

Si introduceva così un nuovo concetto, il disablement, ovvero la “creazione della disabilità”. Fu utilizzato il termine di disabled, che normalmente in italiano è tradotto come “disabile”, ma che nell’accezione del modello sociale della disabilità dovrebbe più correttamente essere tradotto come “disabilitato” [8,9].

Sulla scia di queste idee nascevano in tutto il mondo organizzazioni e movimenti con il fine di superare la segregazione sociale e promuovere l’integrazione delle persone con disabilità3.

Sotto questa spinta l’OMS nel 1996 cominciò la revisione dell’ICIDH 80, con l’aiuto dello stesso Wood.

Il nuovo modello doveva fornire un linguaggio standard e unificato di riferimento per la descrizione del funzionamento e della disabilità; sostituire i termini negativi di menomazione, disabilità e handicap con espressioni più neutre e positive; considerare la disabilità come espressione dell’interazione tra la persona e l’ambiente intesa come restrizione della partecipazione in tutte le aree e gli aspetti della vita umana.

Si arrivò a queste considerazioni perché nel tempo vari Autori che avevano cercato di impostare dei modelli di disablement cominciarono a pensare che quest’ultimo processo non era ineluttabile e irreversibile, ma al contrario si poteva rompere questo circolo vizioso e attivare un circolo virtuoso di enablement, equilibrando e adattando gli stessi fattori ambientali, che così acquisivano un’importanza fondamentale [8,9].

Nel percorso di revisione dal 1996 al 1999 venivano stilate le bozze Alfa, Beta 1 e Beta 2 della nuova ICIDH, esiti di sperimentazioni sul campo da parte di centri internazionali.

L’ultima versione dell’ICIDH-2, la Beta 2 draft version, fu pubblicata nel 1999 con nome di Classificazione Internazionale delle Menomazioni delle Attività e della Partecipazione [15] e doveva aveva valenza sperimentale ed essere poi revisionata nel 2001.

L’ICIDH-2 è strutturata in tre dimensioni [2,9,15]:

  • funzioni e strutture del corpo (ex menomazioni): perdita o anormalità della struttura corporea o di una funzione fisiologica psicologica;
  • attività (ex disabilità): qualunque cosa un persona compia a qualsiasi livello di complessità, ovvero attività più o meno semplici che possono subire limitazioni inerenti la natura, la durata e la qualità;
  • partecipazione (ex handicap): interazione tra le alterazioni delle funzioni e strutture del corpo, le attività e i fattori contestuali in tutte le aree e gli aspetti della vita umana, che possono subire restrizioni inerenti la natura, la durata e la qualità.

Le tre dimensioni subiscono l’influenza:

  • dei fattori ambientali: fisici, sociali o inerenti gli atteggiamenti; organizzati secondo un ordine che va dall’ambiente più vicino alla persona a quello più generale;
  • dei fattori personali che sono correlati alla personalità e alle caratteristiche individuali.

Viene pertanto presentato un modello di funzionamento delle disabilità i cui elementi costitutivi sono tutti in interazione dinamica e in grado di influenzarsi reciprocamente.

Questo strumento, conservando la sua valenza diagnostica e assegnando sempre maggiore risalto ai fattori ambientali, prospetta il “modello biopsicosociale”.

La sperimentazione della ICIDH-2 Beta 2 draft version da parte di vari centri internazionali si concluse nel settembre del 2000. Nel maggio 2001 la World Health Assembly approvò il testo finale con il nome di Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabilità e della Salute (ICF) [16,17].

L’ICF

Nel maggio del 2001 la World Health Assembly approva e ratifica la nuova Classificazione Internazionale del Funzionamento della Disabiltà e della Salute (ICF) [1,2]: ne raccomanda l’uso negli Stati membri per quanto riguarda la ricerca, la sorveglianza e la statistica, ne raccomanda l’uso con l’ICD-10 e ne prevede revisioni periodiche.

Dopo l’approvazione è entrata a far parte, insieme alla ICD-10, della Famiglia delle Classificazioni dell’OMS (WHO Family of International Classifications, WHO-Fic). Le due classificazioni sono complementari e l’OMS ne raccomanda l’uso congiunto ove possibile.

I principi che stanno alla base della classificazione ICF sono: universalismo, approccio integrato, modello interattivo e multidimensionale del funzionamento e della disabilità [2].

L’ICF propone il modello biopsicosociale” integrando il modello esclusivamente medico con quello sociale di disabilità. Permette la correlazione tra stato di salute e ambiente, definendo la disabilità come una condizione di salute in un ambiente sfavorevole. In quest’ottica rappresenta un capovolgimento di logica in quanto propone come centrale la qualità della vita. L’ICD-10 descrive la mortalità e morbilità, mentre l’ICF descrive la gamma completa delle condizioni di salute (Figura 1).

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Figura 1. Modello biopsicosociale dell’ICF

L’ICF è strutturata in due parti, ciascuna delle quali è a sua volta divisa in due componenti [1,2]:

  • funzionamento e disabilità:
    • funzioni e strutture corporee;
    • attività e partecipazione;
  • fattori contestuali:
    • fattori ambientali;
    • fattori personali4.

Le funzioni corporee sono le funzioni fisiologiche dei sistemi corporei incluse le funzioni psicologiche, mentre le strutture corporee sono le parti anatomiche del corpo, come gli organi, gli arti e le loro componenti.

In questo ambito il termine “menomazione” delle precedenti classificazioni è da interpretarsi come un problema (dalla limitazione o alterazione fino alla perdita) di una funzione o di una struttura corporea.

Attività è l’esecuzione di un compito o di una azione da parte di un individuo, partecipazione è il coinvolgimento in una situazione di vita.

I fattori ambientali sono costituiti dagli atteggiamenti, dall’ambiente fisico e sociale in cui le persone vivono e conducono la loro esistenza.

Esistono due versioni dell’ICF: la versione completa per la codifica fino a quattro livelli e la versione breve per la codifica a due livelli.

La codifica

L’ICF utilizza per la codifica un sistema alfanumerico. Le varie componenti raggruppate in capitoli sono contrassegnate da una lettera: b (body) per le funzioni corporee, s (structure) per le strutture corporee, d (domain) per attività e partecipazione, cioè l’intera gamma delle aree di vita, e (enviroment) per i fattori ambientali. I capitoli presentano sottocapitoli detti livelli.

Le lettere, che indicano le componenti, sono seguite da un codice numerico. Questo inizia con il numero del capitolo (una cifra) seguito dal secondo livello (due cifre) e dal terzo e quarto livello (ciascuno segnalato con una cifra).

I livelli permettono una classificazione più o meno approfondita: dalla più semplice a due livelli alla più dettagliata a quattro livelli.

I codici sono completati dai qualificatori espressi da una scala numerica, che si collocano dopo un “punto separatore” e sono diversi a seconda della componente cui ci si riferisce.

Le funzioni vengono codificate con un solo qualificatore che indica l’estensione o la gravità della menomazione.

Le strutture corporee sono codificate con tre qualificatori: il primo descrive l’estensione o la gravità della menomazione, il secondo viene usato per indicare la natura del cambiamento, il terzo indica la collocazione della menomazione.

La componente attività e partecipazione viene codificata con due qualificatori: il qualificatore “performance” occupa la prima posizione dopo il punto separatore, il qualificatore “capacità” la seconda posizione.

La performance descrive quello che la persona fa nel suo ambiente attuale o effettivo, ivi compreso qualsivoglia strumento assistenziale o di altro tipo che venga utilizzato nell’esecuzione di un compito o un’azione. Il qualificatore “capacità” identifica le capacità proprie di una persona in assenza di facilitazioni o ostacoli ambientali espliciti, quindi al fine della misurazione ciò presuppone un contesto valutativo standardizzato. La correlazione tra questi due qualificatori permette di identificare meglio l’influenza dei fattori ambientali. Se la performance è maggiore della capacità, l’ambiente effettivo ha realizzato un contributo positivo, in caso contrario sono presenti barriere da rimuovere.

Nei fattori ambientali il qualificatore indica il grado in cui un fattore rappresenta un facilitatore o una barriera, si specifica con un numero, che preceduto da un “.” indica una barriera, da un “+” un facilitatore.

Per descrivere le condizioni di salute, che si devono sempre riferire agli ultimi trenta giorni, si utilizza lo strumento dell’ICF che si chiama check-list.

Si tratta di una scheda dove è possibile inserire nella pagina iniziale i dati anagrafici e la diagnosi con i codici della classificazione ICD-10; di seguito sono elencati i capitoli principali delle quattro componenti, mentre la descrizione dello stato di salute si può approfondire scendendo di livello. Infine è presente una sezione per ulteriori informazioni.

Riportiamo di seguito alcuni esempi di codifica che possono risultare utili per chiarire i meccanismi di classificazione.

Primo esempio di codifica: da uno a quattro livelli

Partendo dal capitolo b = funzioni corporee è possibile individuare, ad esempio, i seguenti quattro livelli:

  • b1 = funzioni mentali (primo livello);
  • b167 = funzioni mentali e del linguaggio (secondo livello);
  • b1670 = recepire il linguaggio (terzo livello);
  • b16700 = recepire il linguaggio verbale (quarto livello).

Oppure:

  • b2 = funzioni sensoriali e del dolore (primo livello);
  • b210 = funzioni della vista (secondo livello);
  • b2100 = funzioni dell’acuità visiva (terzo livello);
  • b21000 = acuità binoculare nella visione a distanza (quarto livello).

Si usa poi il qualificatore della componente funzione (indicante l’estensione della menomazione): si contrassegna con un numero che va da “0” nessun problema a “4” problema completo (si passa poi al numero “8” che indica “non specificato” e al numero “9” indica “non applicabile”) da porre dopo il punto. Ad esempio, b2100.2 corrisponde a “lieve problema dell’acuità visiva”.

Secondo esempio: codifica della componente attività e partecipazione

Prendiamo in esame un caso specifico, ad esempio quello di una persona con amputazione all’arto inferiore destro, che presenta un problema completo nel camminare in ambiente standard. Nel suo ambiente non presenta problemi perché indossa una protesi adeguata; mostra invece una media difficoltà quando deve camminare per lunghe distanze. In questo caso, il capitolo e i livelli da scegliere sono:

  • d4 capitolo mobilità (primo livello)
  • d450 camminare (secondo livello)
  • d4501 camminare per lunghe distanze (terzo livello)

I qualificatori della componente attività sono performance (quello che la persona fa nel suo ambiente con i facilitatori) e capacità (quello che la persona fa in un ambiente standard senza facilitatore). Si indicano con un numero che va da “0” (nessun problema) a “4” (problema completo).

La condizione di salute descritta si codifica pertanto con:

  • d450.04, dove: performance “0”, nessun problema (nel suo ambiente si avvale dell’uso di un congruo facilitatore, ossia la protesi); capacità “4”, problema completo (la funzione camminare in ambiente standard si deve considerare senza assistenza/facilitatore);
  • d4501.24, dove: performance “2”, medio problema (quando cammina nel suo ambiente per lunghe distanze con il facilitatore); capacità “4”, problema completo (quando deve camminare senza facilitatore).

Campi d’applicazionE dell’ICF

In questa seconda parte desideriamo menzionare alcuni progetti, sperimentazioni, esperienze, in diverse aree che hanno adottato l’ICF, in modo da potere cogliere l’aspetto pratico e la maneggevolezza della classificazione. È necessario però ricordare il Disability Italian Network (DIN) [2], associazione no-profit incaricata dall’OMS per la diffusione in Italia dell’ICF attraverso corsi di formazione e ricerca.

Politiche del Lavoro

Un primo esempio è dato dal Progetto del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali (2003): “Progetto ICF in Italia: progetto pilota e politiche del lavoro” affidato all’Agenzia Italia-Lavoro e al DIN (l’Italia è stato il primo Paese che ha usato l’ICF in un progetto ministeriale) [18,19].

Questo progetto, ancora in corso, ha come base la legge 68/99 (articolo 1 comma 4) sul collocamento mirato della persona con disabilità.

Gli intenti sono:

  • utilizzare l’ICF per l’accertamento delle condizioni della persona disabile che intende essere inserita nell’ambito lavorativo;
  • creare una rete tra tutti gli attori della filiera del Collocamento Mirato (ASL, Provincia, Regione, Aziende, ecc).

Citiamo inoltre il Progetto 1491 del Ministero del Lavoro Salute e Politiche Sociali (i risultati dello studio durato due anni sono stati presentati nel 2009) “Approccio metodologico alla progettazione e messa in sicurezza dei luoghi di lavoro per le persone disabili”5.

L’uso dell’ICF in questo caso era finalizzato sia alla descrizione delle condizioni di salute, sia alla ricerca delle barriere presenti nell’ambiente di lavoro che, rimosse, migliorando la performance, potevano garantire l’inserimento o il reinserimento lavorativo.

Riabilitazione

Il Progetto “Azioni Integrate in ambito riabilitativo secondo la classificazione ICF” (2006-07), ideato da un gruppo di lavoro composto da formatori ICF (DIN) e medici e operatori del Montecatone Rehabilitation Institute (Imola), è stato realizzato per la valutazione dei percorsi riabilitativi e dell’efficacia degli ausili6.

L’importanza dell’ICF nel’ambito riabilitativo è stata sottolineata nel “Piano di indirizzo per la riabilitazione” (ottobre 2010) del Ministro della Salute F. Fazio che ha voluto raccomandare l’uso del modello biopsicosociale per realizzare il progetto riabilitativo individuale attraverso un approccio interdisciplinare, per l’appropriatezza dei percorsi e una migliore distribuzione delle risorse.

Politiche Sanitarie

Il Progetto MHADIE (Measuring Health And Disability in Europe), attualmente in corso, è stato organizzato nel 2005 dall’Istituto Nazionale Neurologico C. Besta di Milano. Vi partecipano ricercatori e scienziati di 14 Paesi dell’Unione Europea ed è diretto dalla Dott.ssa Matilde Leonardi.

È nato per sviluppare il paradigma per orientare e supportare, attraverso la ricerca statistica, clinica e sperimentale, lo sviluppo di linee guida politiche europee sulla disabilità attraverso l’uso dell’ICF come base culturale e pratica di lavoro.

Istruzione

Nell’ambito dell’istruzione, l’ICF è stata adottata come strumento per l’integrazione e l’inclusione scolastica, per il profilo funzionale al fine di migliorare la qualità del progetto educativo personalizzato7. In questa area un passo avanti è stato fatto con la pubblicazione nel 2007 dell’adattamento per i bambini dell’ICF: la ICF-CY. Questa classificazione è stata sviluppata per essere sensibile ai cambiamenti associati alla crescita e allo sviluppo del bambino, in relazione al contesto di vita di appartenenza. Il sistema di codifica coinvolge genitori, clinici, educatori, ecc.8.

Medicina legale

Il “Libro Bianco sull’invalidità civile in Italia” (2009) è una ricerca sul campo condotta attraverso interviste. L’uso dell’ICF, in questo caso, ha fatto emergere numerosi elementi che possono aiutare a comprendere le reali esigenze degli invalidi civili [20].

Di recente, inoltre, si stanno avviando ricerche per adoperare l’ICF per definire criteri di personalizzazione del danno biologico che contribuiscano al raggiungimento di valutazioni tecnicamente motivate del decremento della capacità lavorativa [21,22].

Le nostre esperienze

Le nostre esperienze si riferiscono all’uso sperimentale dell’ICF all’interno di alcune attività istituzionali dell’Inail9 (Istituto Nazionale Assicurazioni Infortuni sul Lavoro) presso la sede Palermo Fante, in particolare nella valutazione delle capacità lavorative residue10 (VCLR) e nella prevenzione sotto l’aspetto della sorveglianza sanitaria11.

Per quanto riguarda la VCLR abbiamo sviluppato due lavori sperimentali.

Nel primo [23] ci proponevamo, attraverso un approccio basato sul modello biopsicosociale, di organizzare un lavoro organico e multidisciplinare, sfruttando le risorse presenti all’interno dell’Inail, e di scegliere test e strumenti idonei per osservare le quattro componenti dell’ICF. Questo lavoro è stato molto impegnativo: era la prima volta che ci cimentavamo con l’ICF, inoltre tutto il gruppo di lavoro, per aderire al modello scelto, ha dovuto cambiare il modo di pensare rispetto all’approccio valutativo per dare maggiore importanza allo studio delle funzioni. Alla fine gli obiettivi sono stati raggiunti e siamo riusciti a realizzare un nuovo assetto metodologico per la diagnosi funzionale, secondo il modello biopsicosociale, attraverso un approccio multidisciplinare.

Nel secondo [24] ci eravamo proposte di paragonare la VCLR eseguita con il modello tradizionale ai sensi della normativa vigente con quella effettuata secondo il modello ICF attraverso la check-list, e di studiare gli eventuali vantaggi.

Questa sperimentazione ci ha permesso di vedere che il modello ICF presentava numerosi vantaggi rispetto al tradizionale. Con l’ICF la descrizione globale della persona permetteva di evidenziare funzioni che con l’altro metodo non era possibile analizzare, di evidenziare l’efficacia dei facilitatori e delle barriere, in maniera semplice e condivisibile.

Tutto questo ci ha indotto a considerare che l’espressione “valutazione delle capacità lavorative residue” era, in effetti, anacronistica, e che sarebbe stato più opportuno parlare di “valutazione delle capacità e delle performance”.

Nell’ultimo lavoro [25] abbiamo affrontato invece la problematica della sorveglianza sanitaria. Le attività lavorative che contemplano l’uso di attrezzature munite di videoterminali (VDT) comportano, come è noto, rischi per l’apparato visivo, problemi legati alla postura, nonché rischi determinati dalle condizioni di igiene ambientale. È importante, quindi, un’adeguata progettazione delle postazioni e delle modalità di lavoro al VDT. Abbiamo impostato una sperimentazione su 46 lavoratori che ci consentisse di rilevare attraverso l’ICF la compliance lavorativa del gruppo in osservazione. In altri termini, si trattava di descrivere le condizioni di salute, ma soprattutto il rapporto del lavoratore con l’ambiente (microclima, suoni, illuminazione, rapporti interpersonali) al fine di valutare la sostenibilità dei fattori ambientali o la necessità di apportare delle modifiche/rimozione di eventuali barriere. I risultati hanno dimostrato che tale metodo, sicuramente da perfezionare, è riproducibile, monitorabile nel tempo e sicuramente utile per il medico competente.

Attualità

Ci preme porre l’attenzione su un ultimo argomento di grande importanza e attualità: l’invecchiamento della popolazione, importante soprattutto per i suoi risvolti socio-economici.

Da tempo numerosi studi [26,27] sono dedicati a questa problematica. La strategia è duplice: volta da una parte al miglioramento delle condizioni di salute ai fini lavorativi e dall’altra a incoraggiare la partecipazione dei cittadini, in età avanzata, al mondo del lavoro. Tutto ciò presuppone una rimodulazione del concetto di abilità al lavoro. Infatti, la possibilità di rallentare la diminuzione della capacità lavorativa tramite interventi di ordine riabilitativo o di riqualificazione professionale ha un limite, perché l’invecchiamento comporta un cambiamento biologico naturale che in parte sfugge a qualsiasi tipo d’intervento. Su un altro fattore meta-temporale si può, invece, certamente agire: l’ambiente di lavoro. Questo è il fattore che, se rimodulato, individuando barriere o facilitatori, può consentire il proseguimento dell’attività lavorativa anche in età avanzata. Dal momento che il processo d’invecchiamento non è uguale per tutti, se si vuole aumentare l’età lavorativa o pensionabile, si deve prevedere necessariamente un adeguamento dell’ambiente di lavoro (adeguamento strutturale, flessibilità di orario, rotazione nelle mansioni, formazione, ecc.), in modo tale che la persona possa esprimere al meglio la propria performance lavorativa. In definitiva si tende a sostituire il concetto di capacità lavorativa con quello di compatibilità lavorativa.

Da queste considerazione si deduce l’importanza strategica dell’ICF. Infatti, con l’ICF è possibile analizzare l’ambiente di lavoro attraverso lo studio del divario tra performance e capacità, valutare la sostenibilità dei costi e l’efficacia degli interventi.

Conclusioni

Si ritiene che l’ICF sia un modello estremamente valido, perché permette in una visione olistica e sinottica di esprimere con un linguaggio universale i reali bisogni delle persone.

In ultima analisi l’ICF costituisce un riferimento essenziale poiché permette di tradurre nelle componenti, nei codici e nei qualificatori un insieme eterogeneo di informazioni sulla condizione di salute, rivelandosi uno strumento adeguato, condivisibile, monitorabile, sostenibile e compatibile con altri sistemi esistenti.

Gli autori precisano di essere coautori del presente lavoro.

Disclosure

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.

Bibliografia

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Corresponding author

Dott.ssa Pasqua Scelfo

p.scelfo@inail.it

Dott.ssa Carmela Sapuppo

c.sapuppo@inail.it

1 Wood, con Elizabeth Badley, faceva parte dell’Arthritis and Rheumatism Council Epidemiology Research Unit dell’Università di Manchester, e studiava la relazione tra patologia e limitazioni funzionali in generale e in particolare nel campo lavorativo. Durante la sua permanenza a Ginevra, come revisore dell’ICD-9, conobbe un nuovo modello che l’OMS stava mettendo a punto per descrivere le conseguenze delle malattie e propose delle idee che originavano dai suoi lavori sull’artrite reumatoide e su precedenti studi. Per questo l’OMS gli diede l’incarico di revisionare la prima versione del nuovo modello, che fu presentato nella 29° Assemblea dell’Organizzazione Mondiale della Sanità nel maggio 1976, dove ne fu stabilita la pubblicazione a fini di ricerca. Nel 1980 l’OMS la pubblicò con il nome di International Classification of Impairments, Disabilities and Handicaps (ICIDH) [8]

2 Lo stigma è il marchio che rende le persone che si allontanano dagli standard di accettabilità condivisi “non proprio umane” [12]. Questo può condizionare pesantemente la loro vita, provocando una sofferenza maggiore della stessa disabilità, causando a volte comportamenti devianti da parte del soggetto stigmatizzato [13]. Questo concetto è stato nel tempo ripreso e analizzato da studi sociologici sulle reazioni delle persone disabili rispetto alle aspettative degli altri, che hanno dato luogo alla teoria “dell’etichettamento”, che tende a spiegare la “devianza” come effetto dell’etichettamento: una etichetta di deviante rende difficile l’accesso a ruoli rispettabili e può trascinare un individuo verso la devianza secondaria [14]

3 Vedi Convenzione delle Nazioni Unite sui diritti delle persone con disabilità, approvata dalla Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 13/12/2006 sottoscritta dall’Italia il 30/03/2007, ratificata dal Parlamento Italiano con legge 03/03/2009 n. 18

4 A tutt’oggi non sono classificati per la grande variabilità sociale e culturale a essi associata

5 portale.siva.it/.../PROGETTO%201491_Fondazione%20Don%20Gnocchi

6 Per un approfondimento sul progetto e sullo strumento consultare icf.integrazioni.it

7 Vedi “Progetto ICF. Dal modello dell’OMS alla progettazione per l’inclusione del Ministero dell’Istruzione Università e della ricerca a.s. 2010-2012

8 L’ICF-CY focalizza l’interesse sui bisogni reali del bambino coerentemente con i principi della Convenzione internazionale per la tutela dei diritti dei bambini e delle persone con disabilità del 1989

9 L’Inail non è un semplice Ente previdenziale erogatore di prestazioni economiche. A seguito di un lungo percorso legislativo e giurisprudenziale, si pone come Ente garante della tutela globale del disabile, comprendente gli infortuni e la malattie professionali. Questa tutela si estende, per una serie di disposizioni legislative:dalla prevenzione sui luoghi di lavoro, alle prime cure ambulatoriali, alla valutazione/indennizzo del danno biologico, all’erogazione di prestazioni riabilitative extraospedaliere, all’erogazione di ausili, fino al reinserimento socio-lavorativo (www.superabile.it)

10 La valutazione delle capacità lavorative residue segue le disposizioni del DPCM del 13 gennaio 2001, l’Inail è stato chiamato a questo compito con la circolare n.66 del 2001 del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali

11 L’Inail,uno dei principali attori del welfare nell’ambito della prevenzione,è chiamato a questo compito dalle norme legislative:Decreto legislativo 81/2008, Decreto legislativo 106/2009. In relazione al nostro lavoro, vedi decreto Ministeriale 02/10/2000 Linee guida d’uso dei VDT

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