CMI 2015;9(Suppl 1)3-5.html

L’infezione da C. difficile: dimensione del problema e costi associati

Laura Fascio Pecetto 1

1 Coordinamento editoriale Rivista CMI, SEEd Medical Publishers

 

C. difficile infection: extent of the problem and associated costs

CMI 2015; 9(Suppl 1): 3-5

http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v9i1s.1161

Editoriale

Corresponding author

Laura Fascio Pecetto

l.fasciopecetto@edizioniseed.it

Disclosure

Il presente supplemento è stato realizzato con il supporto di Astellas Pharma S.p.A.

Dimensione del problema

Il Clostridium difficile è la più importante causa infettiva di diarrea nosocomiale nei Paesi industrializzati. Benché i dati relativi all’incidenza varino molto da Paese a Paese, appare chiaro che sia aumentata negli ultimi dieci anni. In parallelo è stato registrato anche un incremento della gravità e della prevalenza del ribotipo ipervirulento 027 [1].

Il problema è anche più vasto di quanto potrebbe sembrare in quanto l’infezione da Clostridium difficile (CDI) è spesso sottodiagnosticata, come ha rivelato lo studio EUCLID, condotto su larga scala [1]. In questo studio prospettico multicentrico di prevalenza puntuale è stato chiesto a 482 ospedali di 20 Paesi europei di inviare al laboratorio nazionale di riferimento tutti i campioni di feci diarroiche raccolti nell’ospedale in due giornate specifiche a distanza di 6 mesi l’una dall’altra. Sono stati inoltre raccolti i dati relativi a incidenza di CDI e metodiche diagnostiche utilizzate dall’ospedale. I laboratori nazionali di riferimento hanno effettuato i test per la diagnosi di C. difficile secondo le metodiche raccomandate dalle linee guida ESCMID del 2009 [2], cioè effettuando sia il test per l’antigene, sia quello per le tossine A e B, ritestando i campioni negativi ed effettuando ulteriori test di conferma nei casi dubbi. In tutto nelle due giornate sono stati testati 7.297 campioni. I test dei laboratori nazionali di riferimento sono stati confrontati con quelli effettuati dagli ospedali partecipanti.

I risultati sono stati sorprendenti: il 23% dei campioni risultati positivi nei laboratori di riferimento non era stato testato per C. difficile nell’ospedale partecipante. Quasi un quarto delle diagnosi di infezioni da C. difficile, pertanto, non viene effettuata per assenza di sospetto clinico. Per avere una stima più accurata delle CDI non diagnosticate, a questa percentuale occorre aggiungere quella relativa ai falsi negativi, che ammonta a 1,5%.

I falsi positivi, invece, sono stati il 5,2% e l’adozione di metodiche diagnostiche conformi alle linee guida nel tempo intercorso tra la prima e la seconda giornata di campionamento ha consentito di diminuirne sensibilmente la percentuale (come avvenuto in Repubblica Ceca). In effetti tra la prima e la seconda giornata di test le percentuali di ospedali partecipanti che adottavano i test ottimali sono salite dal 32% al 48%.

Il Regno Unito, che ha la maggior diffusione di metodiche diagnostiche conformi alle linee guida, ha fatto rilevare bassi tassi di falsi positivi e di falsi negativi.

Variabilità notevoli sono state rilevate nell’incidenza di test per C. difficile effettuati e di diagnosi di CDI.

Estendendo l’orizzonte temporale di questi risultati relativi a 482 ospedali europei, si arrivano a calcolare 40.000 diagnosi mancate di CDI all’anno. Tale dato appare ancora più impressionante alla luce del fatto che gli ospedali partecipanti erano un piccola rappresentanza del totale degli ospedali presenti nella zona considerata, che ammonta a circa 8.000.

Inoltre i dati di incidenza dichiarati dagli ospedali partecipanti sono inferiori di 2,4-2,9 volte rispetto a quelli rilevati nelle due giornate di campionamento.

L’aspetto economico

L’incremento dell’incidenza e della gravità della CDI ha avuto anche un notevole impatto economico sui servizi sanitari nazionali e a livello di costi per la società. Tuttavia sono pochi gli studi che abbiano calcolato il costo di malattia della CDI, e sono stati effettuati principalmente nel contesto statunitense.

Magalini e colleghi hanno invece effettuato una valutazione economica dei costi sanitari diretti dell’infezione da C. difficile nella realtà italiana basandosi su un’analisi retrospettiva su 133 pazienti ricoverati nell’arco di 26 mesi al Policlinico Gemelli di Roma a cui è stata diagnosticata la CDI [3].

I costi medi per paziente sono stati di 15.029,21 € e il principale driver di costo è stato quello relativo alla degenza, pari a quasi il 93% del totale. Gli esami di laboratorio, i costi addizionali per l’isolamento e quelli per la degenza nel reparto di Terapia Intensiva hanno avuto un peso decisamente inferiore (di 2,28%, 2% e 1,67% rispettivamente), mentre gli altri elementi considerati, tra cui ad esempio i costi per il trattamento antibiotico (sono stati utilizzati principalmente vancomicina, metronidazolo e meropenem) e per quello chirurgico hanno pesato per meno dell’1% ciascuno.

In effetti la durata della degenza dei 133 pazienti che hanno sviluppato CDI è risultata significativamente più lunga rispetto alla degenza media dei pazienti ricoverati nello stesso reparto (40,13 giorni vs 15,49 giorni). Gli Autori concludono che i costi della CDI cambieranno sicuramente in futuro con l’introduzione di nuovi antibiotici che, benché più costosi, consentiranno probabilmente di ridurre la durata delle degenze, l’incidenza delle ricorrenze e la gravità della malattia.

L’uso del più recente antibiotico per la cura di CDI, fidaxomicina, è stato confrontato con vancomicina in un’analisi di costo-efficacia condotta nella realtà scozzese dalla prospettiva del servizio sanitario scozzese [4]. Lo studio è stato condotto mediante la progettazione di un modello markoviano con un orizzonte temporale di un anno che ha considerato i costi sanitari diretti per cicli di trattamento di 10 giorni, utilizzando i dati relativi all’efficacia clinica rilevati nei trial di fase III che hanno confrontato fidaxomicina con vancomicina [5,6].

Nel caso di pazienti gravi o alla prima ricorrenza i costi di acquisizione di fidaxomicina sono effettivamente risultati maggiori di quelli per vancomicina di 4,5 volte, ma sono stati compensati dai costi di ospedalizzazione, maggiori invece per vancomicina. I costi totali per i due trattamenti, pertanto, sono risultati simili sia nei pazienti con CDI grave (14.515£ per fidaxomicina vs 14.344£ per vancomicina) sia nei pazienti alla prima ricorrenza di infezione (16.535£ per fidaxomicina vs 16.926£ per vancomicina), ma fidaxomicina ha fatto registrare una quantità leggermente superiore di QALY (unità di misura che considera la durata di vita ponderata per la qualità di vita) in entrambi i setting, al punto che fidaxomicina è risultata costo-efficace rispetto a vancomicina nei soggetti con CDI grave (ICER di 16.529£/QALY) e dominante (più efficace e meno costosa) rispetto a vancomicina nei pazienti con ricorrenza di infezione (ICER di -21.079£/QALY).

Negli studi clinici di riferimento la somministrazione di fidaxomicina era stata associata per entrambe le tipologie di pazienti a riduzioni del numero di ricorrenze di infezioni in un anno.

La probabilità che fidaxomicina sia costo-efficace considerando una soglia di disponibilità di pagamento di 30.000£/QALY è del 60% per CDI gravi e del 68% per i soggetti alla prima ricorrenza di infezione da C. difficile.

L’approccio utilizzato nello studio, tuttavia, è stato probabilmente conservativo, in quanto dati recenti hanno rilevato un effetto maggiore da parte di fidaxomicina nella riduzione delle ricorrenze di infezione (nel modello maggiore era l’effetto di riduzione delle ricorrenze da parte di fidaxomicina, maggiore era la sua costo-efficacia), nonché incidenze maggiori di CDI gravi che richiedono ospedalizzazione. Inoltre non sono stati considerati i costi di chiusura e disinfezione dei reparti ed è stata utilizzata l’assunzione che i pazienti vengano trattati per CDI nei reparti, mentre circa il 30% è trattato nell’unità di isolamento del reparto di Malattie Infettive [4].

Conclusioni

Data la dimensione crescente del problema delle infezioni da C. difficile nei Paesi industrializzati, che risulta ancora peraltro parzialmente sommerso e la sua sempre maggiore gravità, appare cruciale lo studio di nuove soluzioni per una cura rapidamente efficace e in grado di prevenire le ricorrenze di infezione. Il problema clinico si riflette ampiamente anche sul versante economico, nel quale la malattia sembra avere un peso determinato principalmente dalla durata della degenza dei pazienti. L’uso del farmaco fidaxomicina, di recente approvazione, sembra essere una soluzione almeno costo-efficace rispetto al farmaco tradizionale vancomicina nei soggetti con CDI grave o che presentano la prima ricorrenza di infezione.

Bibliografia

1. Davies KA, Longshaw CM, Davis GL, et al. Underdiagnosis of Clostridium difficile across Europe: the European, multicentre, prospective, biannual, point-prevalence study of Clostridium difficile infection in hospitalised patients with diarrhoea (EUCLID). Lancet Infect Dis 2014; 14: 1208-19; http://dx.doi.org/10.1016/S1473-3099(14)70991-0

2. Crobach MJ, Dekkers OM, Wilcox MH, et al. European Society of Clinical Microbiology and Infectious Diseases (ESCMID): data review and recommendations for diagnosing Clostridium difficile-infection (CDI). Clin Microbiol Infect 2009; 15: 1053-66; http://dx.doi.org/10.1111/j.1469-0691.2009.03098.x

3. Magalini S, Pepe G, Panunzi S, et al. An economic evaluation of Clostridium difficile infection management in an Italian hospital environment. Eur Rev Med Pharmacol Sci 2012; 16: 2136-41

4. Nathwani D, Cornely OA, Van Engen AK, et al. Cost-effectiveness analysis of fidaxomicin versus vancomycin in Clostridium difficile infection. J Antimicrob Chemother 2014; 69: 2901-12; http://dx.doi.org/10.1093/jac/dku257

5. Cornely OA, Crook DW, Esposito R, et al; OPT-80-004 Clinical Study Group. Fidaxomicin versus vancomycin for infection with Clostridium difficile in Europe, Canada, and the USA: a double-blind, non-inferiority, randomised controlled trial. Lancet Infect Dis 2012 ;12: 281-9; http://dx.doi.org/10.1016/S1473-3099(11)70374-7

6. Louie TJ, Miller MA, Mullane KM, et al; OPT-80-003 Clinical Study Group. Fidaxomicin versus vancomycin for Clostridium difficile infection. N Engl J Med 2011; 364: 422-31; http://dx.doi.org/10.1056/NEJMoa0910812

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