Farmacogenetica del diabete mellito di tipo 2
Antonio Brunetti 1
1 Cattedra di Endocrinologia, Dipartimento di Scienze della Salute, Università “Magna Græcia”, Catanzaro
Editoriale
Introduzione
La farmacogenetica è la scienza che studia la variabilità interindividuale che esiste nella risposta ai farmaci. L’imponente passo in avanti della biologia molecolare e delle tecnologie correlate ha permesso di rilevare la presenza di variazioni di sequenza sparse nel nostro genoma che presentano una frequenza superiore all’1% e che rappresentano una caratteristica distintiva di ogni singolo individuo. Tali variazioni sono definite polimorfismi del DNA e sono costituite principalmente da mutazioni di singoli nucleotidi (SNPs, pronuncia “snips”). Un particolare aplotipo (combinazione di SNPs) può determinare o essere correlabile con uno specifico fenotipo in grado di influenzare non solo la predisposizione genetica a contrarre una malattia, ma anche la risposta individuale a un farmaco. Pertanto, lo studio della genetica molecolare delle malattie umane può consentire, da una parte, di comprendere meglio i fattori patogenetici responsabili della malattia, dall’altra di sviluppare nuove e più efficaci terapie.
Il diabete mellito di tipo 2, come altre patologie complesse, è il risultato dell’azione combinata di geni e fattori ambientali, questi ultimi riconducibili essenzialmente alla ridotta attività fisica e all’iperalimentazione, tipiche dei Paesi a più alto tenore di vita [1]. Negli individui con varianti alleliche “predisponenti”, il rischio di sviluppare la malattia diabetica è maggiore in presenza di condizioni ambientali “scatenanti”. La conoscenza delle varianti genetiche “predisponenti” è importante per la corretta individuazione dei differenti sottotipi della malattia ed è particolarmente utile nell’ambito della farmacogenetica, essendo teoricamente in grado di predire la migliore risposta terapeutica nell’individuo portatore di una specifica variante. Accanto alle forme poligeniche di diabete mellito, esistono forme monogeniche di questa malattia, quali il diabete mellito neonatale e il diabete mellito dell’adulto a insorgenza giovanile (MODY). Anche queste forme rare di diabete necessitano di essere classificate in sottotipi in base alle caratteristiche genetiche, in virtù delle quali sarà possibile applicare la terapia più appropriata. Oggi la terapia farmacologica per la cura del diabete mellito di tipo 2 dispone di un numero di opzioni assai più vasto rispetto al passato e per alcuni sottotipi di malattia è già possibile procedere alla scelta preferenziale di un farmaco o di una combinazione di farmaci ritenuti più idonei alle caratteristiche genetiche del paziente. Finora, tranne poche eccezioni, la terapia farmacologica non ha tenuto conto della variabilità genetica individuale, rappresentando – questo – il maggior limite della farmacogenetica. Pertanto, chiarire i meccanismi molecolari riconducibili alla variante genetica negli individui affetti rappresenta un punto di assoluta importanza per stabilire il ruolo eziopatogenetico della variante, ma anche per identificare nuovi bersagli terapeutici personalizzati. Ad esempio, nell’ambito del diabete mellito di tipo 2, sono state recentemente scoperte varianti funzionali del gene HMGA1 presenti in circa il 10% dei soggetti affetti [2]. In questi pazienti selezionati è possibile ipotizzare una futura applicazione della farmacogenetica nella cura “personalizzata” della malattia. Personalizzare la cura significherà, per esempio, prevedere e quindi evitare effetti collaterali indesiderati, garantendo una più mirata e più efficace azione del farmaco.
Cenni di farmacogenetica
Figura 1. Variante genetica. Il tipo di variante più frequente è il polimorfismo a singolo nucleotide (SNP), caratterizzato dal cambiamento di una singola base tra due individui
È evidente come la genetica del diabete mellito di tipo 2 si sia arricchita, in quest’ultimo decennio, di importanti elementi di novità che stanno contribuendo a chiarire alcuni interessanti aspetti non solo eziopatogenetici della malattia, ma anche clinici e terapeutici. Proprio in quest’ultimo ambito si colloca la farmacogenetica, una disciplina emergente che studia il ruolo dei fattori genetici nella risposta individuale al trattamento farmacologico, risposta intesa sia come efficacia terapeutica sia come manifestazione di effetti collaterali o reazioni avverse indesiderate. Essa nasce dall’osservazione clinica che individui con la stessa malattia non sempre rispondono in maniera univoca allo stesso trattamento farmacologico, alla stessa posologia. Tra le cause di questa variabilità individuale nella risposta al farmaco, oltre ad alcune considerazioni fisiologiche (età, sesso, peso corporeo), patologiche (malattie intercorrenti in grado di compromettere l’integrità funzionale epatica o renale) e abitudini voluttuarie (fumo, consumo di alcol, abuso di farmaci, uso di sostanze stupefacenti), assumono importanza i fattori genetici, che pur essendo già noti in passato per avere un ruolo in tal senso, in questi ultimi anni hanno subito un’importante rivalutazione.
Già sul finire degli anni ’50 il termine “farmacogenetica” veniva coniato da Friedrich Vogel per sottolineare l’importanza dei fattori ereditari nella risposta ai farmaci [3]. Tuttavia, elementi di farmacogenetica possono essere intravisti già ai tempi di Pitagora (510 a.C.), allorquando era già noto il rischio di crisi emolitica, in alcuni individui, in seguito all’ingestione di fave [4], fatto che in tempi più moderni veniva attribuito ad anomalie genetiche specifiche a carico dell’enzima glucosio-6-fosfato deidrogenasi. Non vi è dubbio che il maggior contributo alla farmacogenetica sia derivato dal completamento del sequenziamento dell’intero genoma umano avvenuto nel 2003. L’informazione derivata dalla decodificazione dell’intero genoma è che oltre il 99% dei tre miliardi di paia di basi è uguale nell’essere umano; sottintendendo che in meno dell’1% risiedono gli elementi genetici che stanno alla base delle differenze fenotipiche tra le razze, ma anche alla base della maggiore o minore suscettibilità alle malattie, nonché della variabilità interindividuale nella risposta ai farmaci. La variante o differenza genetica più frequente è il polimorfismo a singolo nucleotide, o SNP, caratterizzato dal cambiamento di una singola base tra due individui (Figura 1).
Il punto sugli SNPs
- 1-3 ogni 1000 basi
- 5-10 per gene
- 10 milioni nel genoma umano
- 1% significato biologico
In quale maniera la variante genetica possa condizionare la risposta farmacologica e l’efficacia terapeutica di un farmaco dipende dal ruolo che il gene polimorfo ha nell’espressione di proteine e/o enzimi coinvolti nella farmacocinetica, cioè nella biodisponibilità del farmaco, o nella farmacodinamica (per es. recettori, enzimi, canali ionici o proteine regolatrici che rappresentano il bersaglio terapeutico del farmaco).
Farmacogenetica degli ipoglicemizzanti orali (sulfaniluree e metformina)
Tra i polimorfismi che influenzano la farmacogenetica degli ipoglicemizzanti orali attraverso meccanismi farmacocinetici, vi sono quelli che coinvolgono il citocromo CYP2C9, un enzima del complesso del citocromo P450, deputato alla farmacometabolizzazione (Figura 2).
Figura 2. Polimorfismi che influenzano la farmacogenetica degli ipoglicemizzanti orali attraverso meccanismi farmacocinetici
Il 68% della popolazione presenta la forma wild-type *1*1 (non mutata) del gene CYP2C9, mentre varianti alleliche di questo gene, denominate *1*2 e *1*3, in grado di ridurre l’attività enzimatica di CYP2C9 del 30% e dell’80%, rispettivamente, sono riscontrabili nel 32% della popolazione. Una riduzione dell’attività catalitica nel metabolismo di varie sulfaniluree (da quelle di prima generazione a quelle di ultima generazione) è stata riportata in numerosi studi clinici [5-9], nei quali sono state valutate due varianti genetiche a livello dei codoni Arginina144Cisteina e Isoleucina359Leucina del gene CYP2C9 in grado di alterare la struttura aminoacidica della proteina enzimatica, con aumento della biodisponibilità di tali farmaci. In particolare, nei pazienti con variante genetica *2/*2, la clearance di tolbutamide era ridotta del 25%, mentre nei pazienti con variante genetica *3/*3 era ridotta dell’84% [5]. Risultati simili sono stati riportati in alcuni pazienti diabetici sottoposti a trattamento con glibenclamide [6]. Pertanto, varianti genetiche di CYP2C9 aumentano il rischio di ipoglicemia nei diabetici sottoposti a trattamento con sulfaniluree. D’altra parte, la genotipizzazione del gene CYP2C9 è utile per predire gli effetti negativi di tali farmaci e per aiutare il medico nella prescrizione degli ipoglicemizzanti orali.
Pur essendo metformina il farmaco di prima scelta nella terapia del diabete mellito di tipo 2, gli studi sulla sua farmacogenetica sono limitati. Questo perché, a differenza delle sulfaniluree, il meccanismo d’azione di metformina è ancora poco definito. L’acquisizione più interessante in questo ambito riguarda i cosiddetti trasportatori dei cationi organici (fattori OCT-1, OCT-2), proteine di trasporto di metformina, situate sulla membrana citoplasmatica di numerose cellule, in particolare intestinali, epatiche e renali, dove metformina viene riassorbita, coinvolta negli effetti ipoglicemizzanti ed eliminata in forma pressoché immodificata [10-12]. È stato dimostrato come i polimorfismi a livello dei geni che codificano per queste proteine siano in grado di alterare la biodisponibilità di metformina, influendo sull’efficacia terapeutica di questo farmaco [10-12]. In uno studio combinato in vitro e in vivo, è stato dimostrato che OCT-1 è necessario nell’azione di metformina, svolgendo un ruolo fondamentale nell’assorbimento cellulare del farmaco [13]. Utilizzando il topo oct1-knockout, gli Autori hanno dimostrato che OCT-1 è importante nella riduzione della gluconeogenesi epatica indotta da metformina. Nello stesso studio, gli Autori hanno dimostrato che alcune varianti genetiche di OCT-1 sono in grado di attenuare la risposta ipoglicemizzante di metformina in individui sani portatori di tali varianti, sottoposti a test da carico orale di glucosio [13]. In un altro studio combinato in vitro e in vivo, è stato dimostrato come varianti genetiche di OCT-2 riducano il trasporto di metformina nelle cellule renali umane embrionali HEK-293 indotte a iperesprimere una proteina OCT-2 mutagenizzata [14]. Nello stesso tempo, gli stessi Autori hanno dimostrato come la biodisponibilità di metformina aumenti in individui sani portatori di varianti del gene OCT-2 sottoposti a trattamento con metformina [14]. In definitiva, gli Autori dimostrano che varianti genetiche di OCT-2, essendo in grado di indurre un deficit funzionale della proteina OCT-2, riducono la clearance di metformina, aumentandone le concentrazioni plasmatiche. Pertanto, varianti genetiche di OCT-1 e OCT-2 sono importanti nell’azione terapeutica di metformina, potendo contribuire alla variazione interindividuale nella risposta al farmaco. Inoltre, la genotipizzazione di OCT-1 e OCT-2 è utile per predire l’efficacia terapeutica di metformina.
Figura 3. Immagine schematizzata del canale del potassio ATP-sensibile (K+-ATP) situato sulla membrana citoplasmatica della cellula β pancreatica
Per quanto riguarda i polimorfismi che influenzano la farmacogenetica degli ipoglicemizzanti orali attraverso meccanismi farmacodinamici, l’esempio più paradigmatico è quello che interessa il canale del potassio ATP-sensibile (K+-ATP), situato sulla membrana citoplasmatica della cellula β-pancreatica (Figura 3).
In condizioni fisiologiche, l’aumento di ATP che consegue all’ingresso di glucosio nella cellula β durante l’iperglicemia post-prandiale causa la chiusura di questi canali, bloccando la fuoriuscita di K+. Questo, attraverso la depolarizzazione della membrana citoplasmatica causa l’ingresso nella cellula β di ioni Ca2+, favorendo la fuoriuscita dei granuli secretori di insulina. Come mostrato nell’immagine ingrandita nel riquadro a destra della Figura 3, il canale del K+ appare formato da due unità concentriche, un’unità esterna (grigia) corrispondente alla proteina Kir6.2 inibita dall’ATP, e un’unità interna (rossa) corrispondente alla proteina SUR1 (acronimo di sulfanilurea recettore), inibita dalle sulfaniluree. La proteina Kir6.2 è codificata dal gene KCNJ11, mentre la proteina SUR1 è codificata dal gene ABCC8, due geni entrambi situati nel cromosoma 11, particolarmente polimorfi. In particolare, mutazioni con guadagno di funzione o con perdita di funzione sono state descritte per entrambe le proteine Kir6.2 e SUR1. Nel primo caso si assiste a un’apertura costitutiva dei canali del K+, cui fa seguito una riduzione della secrezione insulinica e diabete mellito neonatale; nel secondo caso, chiusura costitutiva dei canali del K+, iperinsulinismo e ipoglicemia neonatale. Come già riportato in letteratura [15], varianti genetiche di KCNJ11 sono presenti nel 30-58% dei neonati con diabete mellito, nei quali la genotipizzazione di KCNJ11 è utile nello screening e nella diagnosi del diabete mellito neonatale e può avere conseguenze terapeutiche importanti per trasferire i pazienti con mutazioni dei geni KCNJ11 e ABCC8 dalla terapia insulinica a quella con sulfaniluree.
Lo studio di Feng e colleghi [16] è probabilmente lo studio prospettico più ampio finora condotto sulla farmacogenetica delle sulfaniluree (Tabella I).
Genotipo |
N |
Basale |
Durata trattamento (57 giorni) |
Decremento (%) |
Regressione β (Se)* |
P |
|
FPG (mmol/l) |
Ser/Ser |
363 |
11,1 ± 2,9 |
7,9 ± 2,4 |
26,1 ± 20,2 |
- |
- |
Ser/Ala |
562 |
11,0 ± 2,9 |
7,6 ± 2,0 |
27,9 ± 18,9 |
2,8 (1,6) |
0,076 |
|
Ala/Ala |
224 |
11,5 ± 3,3 |
7,6 ± 2,5 |
31,6 ± 19,8 |
7,7 (1,9) |
< 0,001 |
|
2h-PG (mmol/l) |
Ser/Ser |
269 |
18,9 ± 4,7 |
15,2 ± 5,9 |
22,3 ± 22,8 |
- |
- |
Ser/Ala |
404 |
18,4 ± 4,7 |
14,0 ± 4,1 |
23,3 ± 23,4 |
10,8 (3,3) |
0,001 |
|
Ala/Ala |
157 |
18,8 ± 4,4 |
13,9 ± 4,4 |
27,6 ± 20,3 |
11,9 (4,1) |
0,003 |
|
HbA1c (%) |
Ser/Ser |
151 |
8,4 ± 1,9 |
7,0 ± 1,5 |
14,2 ± 17,6 |
- |
- |
Ser/Ala |
251 |
8,3 ± 2,0 |
6,8 ± 1,2 |
15,8 ± 15,3 |
1,9 (1,4) |
0,195 |
|
Ala/Ala |
106 |
8,7 ± 2,0 |
7,0 ± 1,4 |
17,4 ± 13,5 |
3,5 (1,8) |
0,060 |
Tabella I. La variante Serina1369Alanina a livello del gene ABCC8, che codifica per la subunità SUR1 del canale del potassio, è associata con l’efficacia terapeutica di gliclazide nei pazienti con diabete mellito di tipo 2
* Modello di regressione lineare multipla
2h-PG = 2 ore dopo il carico orale di glucosio; FPG = glicemia a digiuno
In 1.268 pazienti con diabete mellito di tipo 2, gli Autori hanno valutato 25 SNPs in 11 geni candidati, riscontrando un’associazione tra il polimorfismo del codone 1369 (al quale livello una serina viene sostituita da un’alanina nel gene ABCC8 che codifica per SUR1) e l’efficacia terapeutica di gliclazide, misurata in termini di glicemia a digiuno (FPG) e 2 ore dopo il carico orale di glucosio (2h-PG), dopo 8 settimane di trattamento. Nei pazienti con genotipo Alanina/Alanina gli Autori riportavano il 7,7% in più di decremento sulla FPG rispetto ai pazienti con genotipo Serina/Serina e un decremento di ~12% in più sulla glicemia a 2h-PG. Un miglioramento, nei pazienti Alanina/Alanina, veniva riscontrato anche nel compenso glicometabolico, come dimostrato dal decremento del 3,5% in più nei livelli di emoglobina glicosilata (HbA1c).
In altri due studi [17,18] sono stati presi in considerazione due polimorfismi di TCF7L2 (rs12255372, rs7903146), un gene che codifica per un fattore di trascrizione coinvolto nella funzione insulinica β-cellulare, le cui varianti genetiche, negli individui affetti, aumentano di circa 1,5 volte il rischio di malattia diabetica. In entrambi gli studi veniva valutato il fallimento terapeutico alle sulfaniluree (e a metformina), come definito dal valore di HbA1c > 7% nei 3-12 mesi successivi al trattamento. Come mostrato nella Tabella II, nessuna differenza significativa veniva riscontrata nei 945 pazienti trattati con metformina, a dimostrazione del fatto che tali varianti non hanno effetto su un farmaco che agisce migliorando l’azione periferica dell’insulina piuttosto che la secrezione insulinica β-cellulare.
rs12255372 (n = 901) |
rs7903146 (n = 901) |
|||||||
Fallimento terapeutico? HbA1c > 7% |
GG |
GT |
TT |
P value |
CC |
CT |
TT |
P value |
Sulfanilurea (n = 901) |
||||||||
No |
230 (60%) |
246 (59%) |
45 (43%) |
232 (60%) |
236 (58%) |
43 (47%) |
||
Sì |
152 (40%) |
169 (41%) |
59 (57%) |
0,006 |
148 (40%) |
173 (42%) |
59 (53%) |
0,035 |
Metformina (n = 945) |
||||||||
No |
225 (52%) |
213 (51%) |
42 (46%) |
0,61 |
229 (54%) |
207 (49%) |
44 (44%) |
0,12 |
Sì |
209 (48%) |
207 (49%) |
49 (54%) |
193 (46%) |
217 (51%) |
55 (56%) |
Tabella II. I pazienti diabetici carrier di varianti a livello del gene TCF7L2 rispondono meno alla terapia con sulfaniluree e sono a più alto rischio di fallimento terapeutico
Invece, nei 901 pazienti trattati con sulfaniluree, il 57% dei soggetti con genotipo TT andava incontro a fallimento terapeutico, contro il 40% dei pazienti con genotipo GG, nell’ambito della variante rs12255372 (Tabella II, SNP G-T). Risultati simili erano ottenuti nei pazienti con genotipo TT (53%), rispetto ai pazienti con genotipo CC (40%), nell’ambito della variante rs7903146 (Tabella II, SNP C-T). Pertanto, i pazienti portatori di varianti genetiche di TCF7L2 rispondono meno alla terapia con sulfaniluree e sono a più alto rischio di fallimento terapeutico.
Polimorfismi che influenzano la farmacogenetica degli ipoglicemizzanti orali, attraverso meccanismi farmacodinamici, sono stati valutati anche in individui in terapia con tiazolidinedioni (pioglitazone e rosiglitazone). In quanto agonisti del PPARγ, questi farmaci agiscono come insulino-sensibilizzanti, aumentando la captazione di glucosio nel muscolo e riducendo il rilascio epatico di glucosio. Una variante, Prolina/Alanina, a livello del codone 12 del gene PPARγ è stata valutata in alcuni studi prospettici [19-21], al fine di verificare una sua associazione con l’effetto terapeutico di pioglitazone e di rosiglitazone, considerando alcuni parametri quali l’FPG, l’HbA1c e l’indice di sensibilità insulinica. Come riportato nella Tabella III, nessuna associazione genotipo/fenotipo veniva riscontrata da Bluher [19] e Florez [20] in soggetti diabetici o a rischio di diabete (individui con alterata tolleranza glucidica o con alterata glicemia a digiuno), mentre una maggiore riduzione dell’FPG e dell’HbA1c veniva riportata in uno studio coreano di Kang [21], nei pazienti con genotipo Prolina/Alanina rispetto ai pazienti con genotipo Prolina/Prolina.
Studio prospettico |
Valutazione |
Polimorfismo genetico |
Risultato |
|
Bluher, 2003 [19] |
131 pazienti con diabete mellito di tipo 2, trattati con pioglitazone per oltre 26 settimane |
HbA1c e/o FPG a 12 e 26 settimane |
PPARγ Pro12Ala |
Nessuna associazione genotipo-fenotipo risultava statisticamente significativa |
Florez, 2007 [20] |
340 non diabetici con IGT* o IFG** |
Sensibilità insulinica |
PPARγ Pro12Ala |
Nessuna associazione genotipo-fenotipo risultava statisticamente significativa |
Kang, 2007 [21] |
198 pazienti diabetici trattati con rosiglitazone per 3 mesi |
FPG e HbA1c a 3 mesi |
PPARγ Pro12Ala |
Riduzione in FPG (p = 0,003) e riduzione in HbA1c (p = 0,012) maggiore nei pazienti con genotipo Pro/Ala rispetto ai pazienti con genotipo Pro/Pro |
Tabella III. Efficacia terapeutica dei tiazolidinedioni (pioglitazone e rosiglitazone) in pazienti diabetici e non, carrier della variante Prolina12Alanina del gene PPARγ
*alterata tolleranza glucidica; **alterata glicemia a digiuno
Le varianti genetiche del gene HMGA1 sono state recentemente riscontrate nel 10% degli individui affetti da diabete mellito di tipo 2 [2]. Di queste, una, la variante rs146052672, presenta una maggiore prevalenza (~8%) nella popolazione diabetica ed è in grado di aumentare di ben sedici volte il rischio di malattia [2]. Clinicamente, la presenza di mutazioni del gene HMGA1, oltre che condizionare un decorso clinico diverso rispetto ai pazienti diabetici senza la variante, potrebbe predire la risposta alla terapia, consentendo di identificare a priori i pazienti che potrebbero maggiormente beneficiare di un trattamento farmacologico più idoneo [22].
Prospettive future
Figura 4. Test farmacogenetico. Attraverso l’identificazione di SNPs individuali, il test farmacogenetico consente di selezionare i pazienti responsivi (responder) alla terapia e quelli non responsivi (non-responder), potendo avviare, nei responder, trattamenti terapeutici migliori e più efficaci
La possibilità di una terapia personalizzata, su misura, rappresenta senza dubbio una delle opportunità più auspicabili e affascinanti della medicina moderna. Attraverso l’identificazione di SNPs individuali, l’uso di test farmacogenetici permetterebbe di genotipizzare l’intera popolazione da trattare, consentendo di selezionare i pazienti responsivi (responder) alla terapia e quelli non responsivi (non-responder), avviando, nei responder, trattamenti terapeutici migliori e più efficaci (Figura 4).
D’altro canto, la mancata applicazione del test farmacogenetico, oltre che a favorire l’attuale empirismo terapeutico, contribuirebbe al fallimento farmacologico, favorendo l’aumento delle reazioni avverse di un farmaco, che ancora oggi costituiscono una delle principali cause di morte nei Paesi occidentali [23]. A fare da contraltare, vi sono una serie di resistenze in parte dipendenti da una carenza legislativa sulla farmacogenetica nel nostro e in altri Paesi, nei quali manca ancora un consensus sui criteri per l’introduzione e l’uso dei test farmacogenetici nella pratica clinica. D’altra parte, come già rilevato [24], la mancanza, allo stato attuale, di misure atte a evitare i rischi di stigmatizzazione sociale e discriminazione genetica rallenta la commercializzazione dei test farmacogenetici. A ciò si aggiungano alcuni aspetti di farmacoeconomia legati al mancato interessamento da parte degli investitori per la ricerca di soluzioni terapeutiche per piccoli gruppi di pazienti non-responder per caratteristiche genetiche meno frequenti, che possono favorire il rischio della “sindrome del farmaco orfano” (farmaci efficaci nel trattamento di alcune malattie, ma poco remunerativi per le aziende farmaceutiche).
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