Malnutrizione, cachessia e intervento nutrizionale: quando molto diviene troppo
Serena Rianda 1, Filippo Rossi Fanelli 1, Alessandro Laviano 1
1 Dipartimento di Medicina Clinica, Sapienza Università di Roma
Abstract
Disease-associated malnutrition, also defined as cachexia, is a complex syndrome characterised by the progressive deterioration of nutritional status resulting from the combined effects of reduced appetite and food intake, and profound changes in host metabolism. Cachexia has been repeatedly demonstrated to represent a negative prognostic factor for patients suffering from acute and chronic diseases, including cancer.
In oncological patients, early diagnosis of cachexia and timely nutritional intervention have been demonstrated not only to prevent further deterioration of nutritional status, but also to increase quality of life and survival when integrated in a multiprofessional and multidisciplinary approach. However, nutritional therapy is associated to the possible development of complications, which may be fatal.
Therefore, nutritional therapy in severely malnourished patients should be cautiously prescribed by experts in the field, who should develop a monitoring program to early detect complications and to maximise the clinical efficacy. Here we describe a cancer patient affected by refeeding syndrome, who was fortunately early diagnosed and properly treated.
Keywords: Malnutrition; Cachexia; Enteral nutrition; Refeeding syndrome
Malnutrition, cachexia and nutritional intervention: when much becomes too much
CMI 2013; 7(2): 63-69
Caso clinico
Disclosure
Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.
Perché descriviamo questo caso
La malnutrizione è una condizione clinica molto frequente anche se spesso non rilevata, nonostante rappresenti un fattore prognostico negativo, sia in termini di aumentata morbilità e mortalità, sia di aumentati costi per la collettività. La malnutrizione è una malattia nella malattia che, come tutte le patologie, è non solo diagnosticabile, ma anche prevenibile/trattabile. Tuttavia, la gestione del paziente gravemente malnutrito può facilmente esporre alla comparsa di complicanze, potenzialmente anche letali, legate a un inappropriato intervento nutrizionale
Introduzione
La nutrizione artificiale è un atto medico con il quale è possibile soddisfare i fabbisogni nutrizionali di pazienti non in grado di alimentarsi per la via naturale, e quindi a rischio di malnutrizione soprattutto in presenza di ipercatabolismo [1]. Molti sono gli stati morbosi associati a un deficit nutrizionale. Tra questi, la malattia neoplastica è forse la condizione clinica dove il deterioramento dello stato nutrizionale ha un’influenza estremamente negativa sulla prognosi del paziente in termini di risposta al trattamento (come ad esempio chirurgia, radio-chemioterapia), qualità di vita e sopravvivenza [2].
La riduzione dell’intake calorico e la perdita di peso corporeo sono una costante nel paziente neoplastico, con un’incidenza variabile in relazione al tipo e alla sede del tumore. In particolare, i soggetti con neoplasia testa-collo e del tratto gastroenterico presentano generalmente un calo ponderale più accentuato [3]. Un’accurata valutazione dello stato nutrizionale, alla diagnosi e durante ogni fase della malattia, permette di individuare precocemente il soggetto malnutrito o a rischio di sviluppare malnutrizione e di definire per esso la più adeguata terapia nutrizionale, con effetto positivo sulla prognosi clinica.
Descriviamo il caso di una paziente sottoposta a gastrectomia totale per adenocarcinoma gastrico, nella quale la corretta gestione dei protocolli nutrizionali ha permesso di recuperare un adeguato peso corporeo e un buon assetto metabolico.
Caso clinico
Una paziente di 56 anni è giunta alla nostra osservazione per la presenza di anoressia e calo ponderale (circa 6 kg), comparsi successivamente a intervento di gastrectomia totale per adenocarcinoma gastrico eseguito 2 mesi prima.
Domande da porsi
- Quali parametri ci consentono di porre diagnosi di malnutrizione?
- Come scegliere il protocollo più adeguato di intervento nutrizionale?
- Come valutare il rischio correlato all’intervento nutrizionale?
- Come predisporre un piano di monitoraggio per la precoce diagnosi di complicanze legate alla terapia nutrizionale?
Alla prima visita specialistica eseguita presso il nostro centro in data 13 luglio 2012, le misure antropometriche mostravano peso di 39 kg, altezza di 148 cm (Indice di Massa Corporea = 17,8). Gli esami ematochimici mostravano linfopenia (1.100/mm3), anemia macrocitica (Hb = 9,8 g%, MCV = 109), ipoalbuminemia (29 g/l) e un aumento degli indici infiammatori (VES, PCR). Veniva anche valutata la forza muscolare, con metodica dinamometrica (Handgrip test) che evidenziava forza di contrazione del pugno equivalente a circa 13 kg. I dati così raccolti (calo ponderale involontario, disprotidemia, riduzione dell’appetito, aumento degli indici infiammatori) permettevano la diagnosi di cachessia neoplastica.
Veniva pertanto stimato il fabbisogno calorico (25 kcal/kgBW/die) e proteico (1,5 gAA/KgBW/die) a regime, da raggiungere progressivamente in un periodo di circa 10 giorni, allo scopo di minimizzare il rischio di comparsa di sindrome da rialimentazione. In considerazione della anoressia riferita dalla paziente, che limitava la sua assunzione calorica spontanea a circa il 50% dei fabbisogni stimati (come accertato attraverso analisi del diario alimentare), si propendeva per l’instaurazione di nutrizione enterale. L’obiettivo era quello di compensare durante la notte la quantità di calorie e proteine che la paziente non era in grado di assumere autonomamente. Per tale motivo veniva posizionato sondino naso-intestinale del diametro di 8 French (circa 2,5 mm) e iniziata, in data 18 luglio 2012, nutrizione enterale notturna con dieta polimerica standard. In conseguenza dell’alto rischio di sindrome da rialimentazione presentato della paziente, si richiedeva un controllo degli elettroliti plasmatici (es. potassio, magnesio e fosforo) ogni 72 ore. La paziente iniziava la nutrizione enterale notturna con incrementi progressivi dell’apporto calorico e proteico, senza manifestare una sintomatologia gastroenterologica (diarrea, nausea, vomito). Tuttavia, si osservava sin dal primo controllo ematochimico una riduzione dei livelli circolanti di potassio e fosforo, confermato al successivo controllo dopo ulteriori 72 ore, seppur limitato al raggiungimento dei limiti inferiori di normalità per tali elettroliti. Nel fondato sospetto di incipiente sindrome da rialimentazione, veniva eseguito elettrocardiogramma d’urgenza che non evidenziava alterazioni del ritmo, della morfologia dei complessi QRS e della fase di ripolarizzazione. Veniva comunque dimezzata la velocità di infusione della nutrizione enterale e in data 27 luglio 2012 si avviava la paziente al più vicino pronto soccorso.
All’ingresso in pronto soccorso, si evidenziava potassiemia 3,4 mEq/l (valori normali: 3,5-5,0), magnesemia 1,9 mEq/l (valori normali: 1,8-3,0), fosforemia 2,3 mg/dl (valori normali: 2,5-4,5). Veniva pertanto iniziata una correzione per via endovenosa degli elettroliti con ripristino dei normali valori nelle successive 24 ore. Persistendo l’assenza di manifestazioni elettrocardiografiche, essendosi stabilizzato il profilo degli elettroliti circolanti ed essendo la nutrizione entrale tollerata bene (mantenuta a metà della velocità di infusione prevista a regime), la paziente veniva dimessa dopo 48 ore di ricovero.
Rientrata a domicilio, la paziente veniva sottoposta a una nuova rivalutazione nutrizionale in data 11 agosto 2012, dopo circa 10 giorni di nutrizione enterale. I dati raccolti evidenziavano un peso corporeo di 41 kg, linfocitemia 1.100/mm3 e forza muscolare di 18 kg. Non veniva dato troppo rilievo all’aumento ponderale, in quanto probabilmente frutto di un aumento della presenza di liquidi dei tessuti. Tuttavia, il miglioramento della funzione muscolare e il riferito miglioramento dello stato generale permetteva di considerare efficace il periodo di nutrizione enterale, ed essendosi ridotta la anoressia e sensazione di sazietà precoce, si decideva di sospendere la nutrizione enterale e sostituirla con integrazione della dieta con supplementi orali nutrizionali. In particolare, per il riscontro anamnestico di elevati indici infiammatori, si inserivano nella dieta (che veniva elaborata sulla base delle preferenze e abitudini della paziente) supplementi orali nutrizionali arricchiti in acidi grassi omega-3 [4].
Dopo 30 giorni dall’inizio del trattamento dietetico integrato dalla presenza di supplementi orali nutrizionali arricchiti in acidi grassi omega-3, la paziente veniva rivalutata e veniva messo in evidenza il progressivo recupero del peso corporeo fino al raggiungimento di 42 kg (IMC = 19,1) e un miglioramento del quadro metabolico e funzionale, con riduzione, ma non normalizzazione, degli indici infiammatori. È stata quindi modificata la dieta, erogando un piano dietetico da 1.200 kcal con pasti frazionati e senza l’integrazione con supplementi, che la paziente sta attualmente seguendo, con giovamento clinico.
Discussione
La cachessia rappresenta quella forma di malnutrizione a insorgenza in genere lenta e progressiva che risulta non solo da una riduzione dell’apporto calorico e proteico (da riduzione dell’appetito, da ostruzione meccanica, da riduzione delle capacità di digestione e assorbimento del tratto gastroenterico), ma anche dal sovvertimento del metabolismo dell’ospite indotto dalla malattia sottostante. In tal modo, il depauperamento nutrizionale non solo è più rapido perché l’organismo non è più in grado di porre in atto meccanismi di compenso per la riduzione dell’assunzione di cibo (quali riduzione del metabolismo basale, perdita preferenziale di massa grassa per preservare la massa muscolare, ecc.), ma anche l’intervento nutrizionale deve essere in grado di contrastare le alterazioni metaboliche che rendono non completamente efficace la terapia nutrizionale standard (utilizzo di nutrienti ad azione farmacologica per minimizzare la risposta infiammatoria indotta dalla malattia sottostante).
La comparsa di malnutrizione nel paziente neoplastico, o più precisamente di cachessia, è un evento in grado di influenzare negativamente la prognosi clinica, determinando un aumento della morbilità e mortalità e un peggioramento della qualità di vita, già compromessa dalla stessa diagnosi di malattia e dalle terapie necessarie a curarla [2]. Le cause del deterioramento dello stato nutrizionale sono molteplici e meritano di essere comprese al fine di sensibilizzare gli operatori sanitari sull’importanza dell’aspetto nutrizionale nel percorso di cura. Il caso clinico in esame descrive una paziente con tumore del tratto gastroenterico già candidata a sviluppare malnutrizione soltanto per le caratteristiche della sua patologia e dell’intervento subito. Nonostante questo, la paziente si è rivolta al nostro ambulatorio solo 2 mesi dopo la dimissione dal reparto di chirurgia, a dimostrazione di una mancata valutazione, da parte dei medici di reparto e del medico medicina generale che ha preso in carico la paziente dopo la dimissione, del rischio nutrizionale posto dalla malattia di base e dal trattamento seguito. I pazienti neoplastici sono ad elevato rischio di malnutrizione, spesso aggravato dal tipo di terapia antineoplastica ricevuta (es., chirurgia, chemioterapia, radioterapia) e dovrebbero essere sottoposti a regolari controlli nutrizionali, in grado di accertare la presenza di precoci segni di malnutrizione. Nel caso descritto, la continuità di cura è stata negata alla paziente esponendola a rilevanti rischi clinici. In effetti, la malattia neoplastica determina una risposta infiammatoria nell’ospite in grado di modificare il metabolismo intermedio [5]. È noto, infatti, che il paziente oncologico sviluppa spesso intolleranza ai carboidrati, aumento della lipolisi nonché della proteolisi muscolare, quest’ultima non compensata da un corrispondente aumento della protidosintesi muscolare. La conseguenza è un progressivo deterioramento della massa grassa e della massa muscolare, indipendentemente dall’assunzione di cibo, anch’essa spesso limitata dalla comparsa di appetito ridotto (anoressia). È questa la principale caratteristica che differenzia la malnutrizione da semplice ed esclusivo digiuno, durante la quale meccanismi di difesa del peso corporeo e soprattutto della massa muscolare vengono attivati, e la cachessia da malattia oncologica (ma anche da insufficienza renale cronica, epatopatia cronica, broncopneumopatia cronico-ostruttiva, ecc.), che rappresenta l’espressione fenotipica della mortale combinazione di ridotto apporto calorico e modificazioni del metabolismo. Nel paziente oncologico, inoltre, la perdita di peso può derivare anche dagli effetti indotti dalla terapia antitumorale ricevuta [6]. È noto, infatti, che la chirurgia oncologica, soprattutto se a carico del tratto gastrointestinale, può determinare maldigestione e/o malassorbimento. Nel nostro caso, la paziente aveva subìto una gastrectomia totale: considerando il ruolo dello stomaco nella generazione dei segnali di sazietà e di fame, e nel processo di digestione, è facile immaginare gli effetti della resezione chirurgica sul comportamento alimentare e sullo stato di nutrizione. In effetti, il paziente gastroresecato difficilmente recupera il peso originario, che si stabilizza in genere su un 5-10% in meno.
Nel caso descritto, la raccolta dei dati anamnestici e antropometrici già permetteva di evidenziare lo stato morboso. La perdita di peso corporeo, infatti, è un valido indicatore di malnutrizione, in quanto si accetta come significativo un calo ponderale involontario > 10% del peso abituale negli ultimi 6 mesi o > 5% nell’ultimo mese, come anche importante è il rilevamento dell’anoressia, spesso già significativa alla diagnosi [7]. L’indice di massa corporea (se < 18,5, malnutrizione) è nel nostro caso utile poiché unito ad altre informazioni: il singolo dato, infatti, non è valido in condizioni come la magrezza costituzionale o nei pazienti obesi che, pur dimagriti, rimangono in sovrappeso (indice di massa corporea > 25) [1]. Gli esami di laboratorio risultano utili per valutare l’entità dello stato di malnutrizione e per svelare stati morbosi ancora clinicamente silenti. L’ipoalbuminemia si associa a una prognosi negativa [8] e la sua lunga emivita (20 giorni) riflette stati carenziali prolungati, mentre è poco utile come marker di stato nutrizionale nelle patologie acute, essendo i suoi livelli molto influenzati dallo stato infiammatorio. Un semplice emocromo assume importanza sia per l’interazione tra malnutrizione e anemia sia per l’alterazione della risposta immunitaria, soprattutto cellulare, che espone i soggetti malnutriti anche a un rischio infettivo maggiore. Anche i parametri sierici devono tuttavia essere considerati non specifici dello stato di nutrizione, poiché influenzabili da altri stati morbosi concomitanti (es. tossicità midollare, epatopatie, ecc.).
L’intervento nutrizionale ha avuto inizialmente l’obiettivo di mantenere la fisiologica alimentazione e integrarla per raggiungere i fabbisogni quotidiani. Perciò è stato scelto di integrare la dieta con la nutrizione enterale, che veniva infusa durante le ore notturne per ridurre il disagio alla paziente. Tuttavia, lo stato nutrizionale della paziente gravemente defedato, nonché il riscontro di limitata assunzione calorica per molte settimane facevano stimare in molto alto il rischio di sviluppare una grave complicanza della nutrizione artificiale, la sindrome da rialimentazione [9].
La sindrome da rialimentazione è una grave complicanza della nutrizione artificiale, potenzialmente letale. Si instaura preferibilmente in pazienti in cui la malnutrizione è data da molto tempo o in cui il calo ponderale è particolarmente grave. Per tale motivo, il metabolismo di questi pazienti si è adattato all’utilizzo degli acidi grassi e dei corpi chetonici. Una rialimentazione troppo “aggressiva” (per esempio troppe calorie, soprattutto da carboidrati, infuse in breve tempo) determina un deficit di potassio, magnesio e fosforo, nonché di alcune vitamine idrosolubili con conseguenze cardiopolmonari e neurologiche. Nel paziente a rischio, la rialimentazione deve avvenire gradatamente e deve essere predisposto un piano di monitoraggio per evidenziare segni precoci di sindrome di rialimentazione. In tal senso, la gestione del paziente gravemente malnutrito dovrebbe essere appannaggio di specialisti con specifiche competenze in nutrizione clinica. Nel caso descritto, le condizioni cliniche della paziente evidenziavano ampiamente un elevato rischio di sindrome di rialimentazione. Tale rischio è stato da noi considerato, e infatti la paziente è stata sottoposta a controlli ematochimici ravvicinati, che hanno consentito di evidenziare precoci segnali di allarme che sono stati subito trattati efficacemente. Si ritiene pertanto opportuno ribadire che pur in presenza di ottimale conduzione della nutrizione enterale, è necessario sempre predisporre un accurato piano di monitoraggio clinico e ematochimico, soprattutto nei pazienti a rischio.
Anche se comunemente si ritiene che la nutrizione parenterale esponga a maggiori rischi di sindrome da rialimentazione, in realtà molti più casi si registrano durante nutrizione enterale, forse per un eccesso di confidenza verso quest’ultima tecnica. Per tale motivo, nel caso descritto, si programmava un progressivo e lento raggiungimento dei fabbisogni giornalieri. In considerazione del ruolo che gli squilibri elettrolitici hanno nella patogenesi della sindrome da rialimentazione, si predisponeva inoltre un programma di monitoraggio attento e ravvicinato degli stessi che, in effetti, permetteva di identificare precocemente i segni di incipiente sindrome. Per tale motivo, la paziente è stata precocemente trattata e non ha mai raggiunto un grado di criticità clinica tale da far temere per la sua sopravvivenza. Tuttavia, questo caso dimostra ancora una volta come la malnutrizione si debba trattare lentamente. Inoltre, dimostra come l’erogazione della nutrizione artificiale, sia essa enterale o parenterale, necessiti di specifiche competenze, che risultano assolutamente obbligatorie durante il trattamento nutrizionale di pazienti gravemente malnutriti.
Superata la fase della nutrizione enterale, la paziente si è notevolmente giovata di una dieta integrata con supplementi orali nutrizionali arricchiti con acidi grassi omega-3, elaborata tenendo in considerazione le preferenze e le abitudini della paziente stessa (counselling nutrizionale). Gli acidi grassi omega-3 sono acidi grassi polinsaturi con il primo doppio legame situato sul terzo atomo di carbonio a partire dal C-terminale. Come gli acidi grassi polinsaturi della classe omega-6, sono il substrato degli enzimi ciclo-ossigenasi e lipo-ossigenasi, che li trasformano in leucotrieni e trombossani, mediatori della risposta infiammatoria. Tuttavia, i leucotrieni e i trombossani che derivano dagli acidi grassi omega-3 hanno attività pro-algogena ridotta rispetto a quelli che derivano dagli acidi grassi omega-6. Di conseguenza, una dieta ricca in fonti naturali di acidi grassi omega-3 quali il pesce, o integrata con supplementi arricchiti in acidi grassi omega-3, determina un riduzione della risposta infiammatoria, e dunque contribuisce a migliorare il milieu metabolico. Il ruolo degli acidi grassi omega-3 in campo oncologico è oggi rafforzato da molti studi clinici. A partire dallo studio di Fearon et al. [10], che dimostrava un miglioramento della massa muscolare direttamente dipendente dalla dose di supplemento assunta, si sono succedute numerose pubblicazioni che hanno testato l’efficacia clinica in diverse condizioni. In particolare, si è passati da studi condotti in pazienti con neoplasia avanzata e in fase palliativa, a studi in pazienti durante trattamento attivo della neoplasia tramite chemioterapia [11]. I risultati ottenuti sono stati positivi e dimostrano un miglioramento della funzione muscolare [11] e della risposta alla chemioterapia [12]. Tuttavia, nonostante questi risultati positivi [13], la limitata numerosità campionaria degli studi pubblicati sul ruolo degli acidi grassi omega-3 in oncologia non consente ancora di trarre delle forti raccomandazioni cliniche [14].
I supplementi orali nutrizionali sono alimenti destinati a fini medici speciali in grado di rispondere alle richieste nutrizionali dei pazienti in modo semplice e non invasivo. Sono noti diversi studi che dimostrano l’efficacia di questi supplementi sul controllo della perdita di peso corporeo, tuttavia la ridotta compliance da parte dei pazienti può risultare un limite (per una ampia revisione della letteratura, si rimanda al dossier ESPEN [15]). Nel nostro caso, invece la comprensione da parte della paziente del ruolo del supplemento e soprattutto della composizione arricchita in acidi grassi omega-3 ha permesso di ottenere una buona aderenza al trattamento, che si è tradotto in un buon successo clinico, testimoniato dal miglioramento dello stato nutrizionale e della funzione muscolare.
La terapia nutrizionale sta progressivamente divenendo un importante presidio per migliorare l’efficacia clinica della terapia farmacologica e chirurgica, in diversi setting clinici. È pertanto opportuno che tutti i medici sappiano riconoscere precocemente la comparsa di malnutrizione, e che dunque implementino strategie di monitoraggio del peso corporeo nei pazienti ospedalizzati, in quelli ricoverati in comunità e in quelli residenti sul territorio. Il trattamento/prevenzione della malnutrizione inizia sempre con una modificazione della dieta per soddisfare le esigenze e le abitudini, talvolta mutate, del paziente. A tal fine l’utilizzo di supplementi orali nutrizionali, se resi necessari dalle condizioni del paziente, contribuisce a raggiungere i fabbisogni giornalieri. Ove necessario, la terapia nutrizionale si basa sull’utilizzo di tecniche più invasive come la nutrizione enterale e quella parenterale, che però rispondono a specifiche necessità del paziente. Come tutte le terapie, anche la nutrizione artificiale può esporre a rischi, potenzialmente letali. Questi vanno dalle complicanze gastroenterologiche (es. nausea, vomito, diarrea, ecc.), di solito appannaggio della nutrizione enterale, alle complicanze metaboliche e settiche, alcune delle quali anche letali. Ne deriva che la nutrizione artificiale deve essere prescritta, erogata e monitorata da team multidisciplinari esperti, che includano medici, dietisti, infermieri e farmacisti, allo scopo di minimizzare i rischi e massimizzare i risultati clinici.
Algoritmo diagnostico terapeutico della malnutrizione
Linee guida della European Society for Clinical Nutrition and Metabolism (ESPEN) [disponibili su www.espen.org]
ONS = supplemento orale nutrizionale
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