CMI 2013;7(2)39-40.html

Farmaci biosimilari in oncologia: peculiarità e spunti di riflessione

Stefano Cascinu 1

1 Presidente Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM)

Editoriale

Corresponding author

Prof. Stefano Cascinu

cascinu@yahoo.com

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.

 

I farmaci biotecnologici hanno rappresentato una vera e propria rivoluzione in oncologia, in particolare gli anticorpi monoclonali sono stati impiegati con successo nel trattamento di diverse patologie neoplastiche, con solide evidenze di beneficio dimostrate nel lungo periodo. L’arrivo nei prossimi anni dei biosimilari di anticorpi monoclonali (mAb) utilizzati in oncologia può porre interrogativi sulla loro efficacia e sicurezza per i pazienti.

Per verificare il livello di consapevolezza degli oncologi sui biosimilari l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) ha condotto recentemente un sondaggio, raccogliendo la partecipazione di oltre 500 medici, e ha avviato un vero e proprio tour di sensibilizzazione, con nove seminari dedicati ai “Biosimilari da anticorpi monoclonali” in altrettante regioni.

Dai risultati di questa indagine emerge il largo uso da parte degli oncologi italiani di farmaci biotecnologici (il 92% li prescrive ai propri pazienti), anche se solo il 24% dà una definizione corretta dei biosimilari, farmaci simili ma non uguali agli originali biotech. Positivo il parere degli oncologi sui biosimilari anche dal punto di vista economico: il 52% degli intervistati ritiene che i biosimilari possano favorire il contenimento dei costi, anche se per il 39% è più utile cercare margini di risparmio in altre voci di spesa. I risparmi generati dall’uso dei biosimilari potrebbero favorire l’accesso ai farmaci biotech innovativi per tutti i pazienti e contribuire alla sostenibilità finanziaria dei sistemi sanitari. Bisogna però stare in guardia affinché non passi una logica del risparmio a tutti i costi: le esigenze di contenimento della spesa non possono danneggiare i pazienti e l’obiettivo è ottimizzare l’uso delle risorse sempre più limitate, senza perdere in efficienza e, soprattutto, in efficacia.

L’attenzione al problema della sicurezza è molto alta: infatti il 65% ritiene che i biosimilari di anticorpi monoclonali siano più complessi di quelli attualmente disponibili, richiedano processi di vigilanza più accurati e appositi registri e studi clinici con endpoint validati.

Per il 62% degli oncologi le maggiori criticità legate all’uso dei biosimilari derivano dal fatto che possono funzionare in maniera differente rispetto al farmaco originatore. La difficoltà nel riprodurre i biotech cresce in maniera proporzionale alla complessità dell’originator. Per capire la differenza tra le due generazioni dei biotech basta considerare il diverso peso molecolare. Ad esempio, una eritropoietina di circa 30.000 dalton è molto più semplice per dimensioni, caratteristiche di produzione e meccanismo d’azione rispetto ad un anticorpo monoclonale che pesa oltre 145.000 dalton. È quindi necessaria una stretta farmacovigilanza per garantire la sicurezza dei pazienti. Il punto fondamentale è l’immunogenicità, cioè la capacità di indurre una reazione immunitaria nell’organismo, che ogni preparato biologico può scatenare. Questa caratteristica deve essere attentamente valutata mediante appositi studi e continuamente monitorata.

Un altro aspetto fondamentale è la non sostituibilità automatica dei biosimilari, che possono essere notevolmente diversi dai biologici originatori. Nel nostro Paese l’intercambiabilità fra due medicinali è ammessa se attuata tra prodotti compresi nelle cosiddette “liste di trasparenza”, predisposte dall’AIFA (Agenzia Italiana del Farmaco), relative ai generici e ai loro originatori, considerati a tutti gli effetti equivalenti terapeutici. Per quanto riguarda i biosimilari attualmente disponibili, nessuna norma sancisce il divieto esplicito di sostituzione, previsto invece in altri Paesi europei. Però l’AIFA non ha inserito alcun biosimilare nelle liste di trasparenza, bloccando, di fatto, la possibilità di sostituzione da parte del farmacista. Quindi questi prodotti non possono ritenersi automaticamente intercambiabili con gli originatori e la possibilità di utilizzarli al posto dei medicinali di riferimento è da ricondurre alla scelta terapeutica del medico.

Qual è la situazione a livello europeo? L’EMA ha sviluppato un approccio specifico per autorizzare l’immissione in commercio di questi prodotti. È richiesto un dossier di registrazione che, pur basandosi su quello del medicinale di riferimento, deve riportare studi comparativi preclinici e clinici, indicati con il termine di “esercizio di comparabilità”, per dimostrare che il farmaco che si intende registrare possiede un profilo sovrapponibile a quello dell’originatore, per quanto riguarda qualità, sicurezza ed efficacia. Il processo di registrazione di un biosimilare è dunque decisamente oneroso perché alcune parti del dossier non possono essere omesse e sostituite con uno studio di bioequivalenza, a differenza di quanto avviene per un generico. In considerazione delle specificità legate ai biosimilari degli anticorpi monoclonali, l’EMA ha stabilito Linee Guida apposite dal 1° dicembre 2012. L’ente regolatorio statunitense, la Food and Drug administration (FDA), ha emesso nel febbraio 2012 le direttive per l’industria farmaceutica (Draft guidance) per lo sviluppo e l’approvazione all’uso e al commercio dei biosimilari negli USA. L’FDA non esclude l’intercambiabilità, anche se afferma che per consentirla è necessario presentare studi clinici addizionali. In tal caso il medicinale potrà essere sostituito anche senza il parere del medico che ha prescritto il farmaco di riferimento.

La posizione dell’AIOM sui biosimilari già a disposizione è molto chiara ed è stata ribadita in un documento depositato presso la Commissione Igiene e Sanità del Senato nel novembre 2010. Il medico è legalmente responsabile di ciò che prescrive: pertanto può indicare il biosimilare oppure l’originatore. I nuovi pazienti possono essere trattati con un biosimilare, mentre per quelli già in cura con l’originatore andrebbe garantita la continuità terapeutica.

Resta però il problema della mancanza di una norma che regoli nel nostro Paese la materia. Nel 2010 è stato presentato un disegno di legge per non consentire la sostituzione automatica in farmacia del medicinale biologico di riferimento col corrispondente biosimilare. Attualmente il ddl è ancora fermo in Parlamento. Nel nostro Paese, a livello locale, si registrano realtà virtuose rappresentate da Regioni del Centro-Nord, dalla Toscana e dalla Campania dove negli anni passati sono stati definiti provvedimenti che promuovono l’utilizzo del biosimilare per favorire un impiego più razionale delle risorse economiche del sistema sanitario. L’obiettivo per il futuro è la convergenza verso un quadro coeso sul territorio nazionale che definisca chiaramente l’ambito di utilizzo più appropriato di questi farmaci.

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