Riduzione degli effetti di warfarin in un anziano con infezione ricorrente da Clostridium difficile in corso di trattamento con fidaxomicina: un caso clinico
Antonio Riccardo Buonomo 1, Maria Foggia 1, Emanuela Zappulo 1, Guglielmo Borgia 1, Ivan Gentile 1
1 Dipartimento Assistenziale Integrato di Medicina Clinica, Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive, Azienda Ospedaliera Universitaria Federico II – Napoli
Abstract
Clostridium difficile infection is a disease with increasing incidence, particularly in high-risk patients such as the elderly, immunocompromised patients, etc.
We report an unexpected decrease of International Normalized Ratio (INR) response to warfarin during a first recurrence of Clostridium difficile infection (CDI) treated with fidaxomicin. The patient, an old man who has prosthetic heart valves on anticoagulation therapy with warfarin, was treated with an association of vancomycin plus metronidazole for a first episode of CDI. Patient remained symptom-free for few days and then he presented with recurrent diarrhea. A retreatment with vancomycin and metronidazole didn’t resolve symptoms of CDI, therefore he underwent fidaxomicin treatment for 10 days, with rapid resolution of diarrhea. In the meantime, warfarin effects diminished, and only with increases of dosage INR therapeutic range was achieved few days after discontinuing fidaxomicin. According to product information, fidaxomicin doesn’t interfere with warfarin. The authors highlight the different plausible mechanisms to explain the association between the unexpected decreased effect of warfarin and factors that could have influenced such event.
The frequent update of product information through good pharmacovigilance practices could help clinicians in the management of unexpected events.
Keywords: Clostridium difficile infection; Warfarin; Fidaxomicin; Vitamin K
Decreased warfarin effects in elder with recurrent Clostridium difficile infection during fidaxomicin therapy: a case report
CMI 2015; 9(1): 7-12
http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v9i1.953
Caso clinico
Disclosure
Il presente articolo è stato realizzato con il supporto di Astellas Pharma S.p.A.
Perché descriviamo questo caso
La progressiva riduzione degli effetti di warfarin in corso di infezione ricorrente da Clostridium difficile trattata con fidaxomicina riportata in questo caso si può imputare a più fattori. In situazioni analoghe può risultare utile un monitoraggio più frequente dell’INR in modo da individuare rapidamente una fluttuazione di tale indice con conseguente aumento del rischio di complicanze e prolungamento del periodo di ospedalizzazione
Introduzione
In Italia, le infezioni da Clostridium difficile (CDI) risultano negli ultimi anni in progressivo aumento [1] e rappresentano la principale causa di diarrea nosocomiale [2], a cui si associa un più elevato rischio di mortalità [3]. È inoltre elevata la frequenza di recidive, anche multiple, dopo il trattamento con vancomicina o metronidazolo, pietra miliare della gestione terapeutica in prima linea delle CDI [4]. I fattori di rischio per la recidiva di CDI sono l’età (> 60 anni), l’uso di terapie antibiotiche protratte o combinate, l’assunzione di inibitori di pompa protonica o l’alimentazione con sondino naso-gastrico, l’ospedalizzazione, l’immunodepressione, il trapianto di midollo osseo e/o di organi solidi e le gravi patologie (fibrosi cistica, neoplasie ematologiche, malattia infiammatoria intestinale cronica, insufficienza renale cronica) [3].
Fidaxomicina, un antibiotico macrociclico, ha ricevuto di recente l’approvazione per il trattamento negli adulti delle CDI [5]. In Italia è commercializzata con il nome Dificlir® [5]. Studi registrativi hanno dimostrato per fidaxomicina un’efficacia pari a vancomicina nel trattamento della CDI in termini di guarigione clinica. Inoltre è risultata significativamente più efficace nel ridurre le recidive di CDI rispetto a vancomicina [6-8].
Fidaxomicina presenta un buon profilo di tollerabilità con minimo assorbimento sistemico [9,10]; come tutti i nuovi principi attivi approvati nell’Unione Europea dopo il 1° gennaio 2011, risulta attualmente compresa nella lista di medicinali sottoposti a monitoraggio addizionale da parte delle Autorità Regolatorie dell’Agenzia Europea per i Farmaci (EMA), al fine di consentire la rapida identificazione di nuove informazioni relative alla sicurezza e stabilire pertanto il rapporto beneficio/rischio del medicinale. Agli operatori sanitari è richiesta la segnalazione di qualsiasi reazione avversa sospetta tramite il sistema nazionale di segnalazione facente capo all’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA) [5]. Tra le interazioni farmacologiche di fidaxomicina con altri farmaci e altre forme di interazione descritte in scheda tecnica non vi è alcun riferimento ai dicumarolici, quali warfarin [5].
Caso clinico
Il caso clinico di seguito descritto si riferisce a un anziano di 77 anni giunto alla nostra osservazione nel dicembre 2013 per infezione ricorrente da Clostridium difficile.
Tra i dati salienti in anamnesi patologica remota, il paziente riferisce la febbre reumatica, insorta all’età di 20 anni, da cui residuava stenosi valvolare mitralica; una fibrillazione atriale permanente insorta nel 1976; un episodio di trombosi venosa profonda dell’albero vascolare dell’arto inferiore sinistro nel 1989, in occasione del quale veniva sottoposto a un intervento di sostituzione valvolare mitralica e aortica.
Nel 2012 presentava un leak periprotesico mitralico diagnosticato con ecocardiogramma transesofageo con evoluzione verso lo scompenso cardiaco con versamento pleurico e ricorso a due toracentesi evacuative.
Più recentemente, nell’ottobre 2013 veniva sottoposto a reintervento di sostituzione valvolare mitralica con protesi meccanica SJM 27 mm e anuloplastica tricuspidale in Gore-Tex® 7,5 cm, con decorso postoperatorio complicato da versamento pleurico, trattato con toracentesi e sindrome da bassa gittata, trattata con inotropi. Veniva quindi trasferito presso un centro per lungodegenti per la Riabilitazione Cardiopolmonare.
Nel corso del suddetto ricovero, comparivano diarrea e algie addominali. Risultava positiva la ricerca di tossina A/B di Clostridium difficile nelle feci, e veniva intrapresa una terapia di combinazione con vancomicina (500 mg × 3/die, per os) e metronidazolo (500 mg × 3/die, e.v.) per 10 giorni con risoluzione della sintomatologia. Veniva dimesso a fine novembre 2013.
A domicilio proseguiva il trattamento cardiologico con amiodarone 200 mg 1 compressa/die, furosemide 25 mg 1 compressa × 4/die, kanreonato di potassio 100 mg 1 compressa/die, warfarin 5 mg 2,5 mg/die 5 giorni la settimana e 3,75 mg 2 giorni a settimana.
Dopo circa 7 giorni dalla dimissione, ricomparivano diarrea e algie addominali. Il paziente si recava nuovamente presso l’Unità di Riabilitazione Cardiopolmonare il 4 dicembre 2013, ove veniva prescritta nuovamente l’associazione vancomicina (1 fl 500 mg × 3/die, p.o.) e metronidazolo (500 mg × 3/die, e.v.). Nonostante il trattamento, si osservava un progressivo peggioramento delle condizioni cliniche, con comparsa di feci muco-sanguinolente.
Sette giorni dopo viene ricoverato presso la nostra Unità Operativa Complessa di Malattie Infettive per il persistere della diarrea muco-sanguinolenta con emissione di 6-8 scariche al giorno, in assenza di disturbi quali nausea, vomito, febbre, calo ponderale.
All’atto del ricovero, il paziente risulta orientato nel tempo e nello spazio. All’esame obiettivo si riscontrano ipotonia e ipotrofia muscolare con edemi declivi. L’attività cardiaca risulta aritmica con toni rinforzati sul focolaio mitralico e soffio sistolico di intensità 2/6 su focolaio aortico. Il murmure vescicolare è aspro su tutto l’ambito polmonare e ridotto in campo medio-basale destro e basale sinistro, ove si rinviene un’area di ottusità alla percussione. All’esame obiettivo dell’addome è presente un meteorismo diffuso con moderata dolorabilità alla palpazione profonda in fossa iliaca sinistra, con peristalsi presente; il fegato risulta palpabile a circa 2 cm dall’arcata costale con milza palpabile all’arco costale.
Tra gli esami strumentali l’elettrocardiogramma mostra fibrillazione atriale a risposta ventricolare media di 100 battiti/minuto. Il radiogramma toracico evidenzia una diffusa velatura verosimilmente pleurogena in medio campo polmonare e in basale destra con obliterazione del seno costofrenico omolaterale, stria di disventilazione parenchimale in medio campo polmonare omolateralmente, nonché esiti di sternotomia mediana con sostituzione valvolare cardiaca e aumento di volume dell’ombra cardiaca.
I valori dei principali parametri ematici monitorati nel corso del ricovero sono riassunti nella Tabella I.
Range |
11/12 |
12/12 |
16/12 |
19/12 |
20/12 |
21/12 |
22/12 |
23/12 |
24/12 |
25/12 |
26/12 |
27/12 |
28/12 |
29/12 |
|
WBC (n/ml) |
4.800-10.800 |
9.000 |
11.860 |
4.860 |
4.600 |
4.300 |
5.400 |
4.620 |
7.400 |
5.300 |
4.300 |
||||
RBC (x 106/ml) |
4,2-5,6 |
3,64 |
3,67 |
3,31 |
3,1 |
3,3 |
3,07 |
3,28 |
3,1 |
2,88 |
3 |
||||
PLT (x 103/ml) |
130-400 |
411 |
433 |
308 |
232 |
217 |
191 |
200 |
163 |
147 |
149 |
||||
HB (g/dl) |
12,0-17,5 |
11,4 |
11,3 |
10,7 |
9,6 |
10,4 |
10,3 |
10,1 |
10,1 |
10,1 |
9,9 |
||||
NEU (%) |
40-70 |
82,5 |
81,3 |
71,5 |
64,2 |
65,8 |
64,6 |
60 |
74,3 |
69,5 |
61,4 |
||||
ALB (g/dl) |
3,6-5,2 |
2,9 |
3 |
2,9 |
3 |
3 |
2,9 |
3,1 |
|||||||
PT (%) |
70-130 |
20,8 |
21,2 |
17,9 |
38,7 |
43,6 |
43,9 |
68,2 |
53,7 |
45 |
34,3 |
31,1 |
32,6 |
27 |
24,1 |
INR |
2,0-3,0* |
3,22 |
3,15 |
3,69 |
1,89 |
1,7 |
1,69 |
1,27 |
1,41 |
1,65 |
2,08 |
2,23 |
2,16 |
2,48 |
2,71 |
FBR (mg/dl) |
160-350 |
510,7 |
483,5 |
495,9 |
478,8 |
495,9 |
434,6 |
212,9 |
413 |
470,1 |
464,2 |
524,5 |
423,7 |
402,6 |
Tabella I. Parametri ematici riscontrati in corso di ricovero. Nelle colonne in giallo sono riportati i parametri nel periodo in cui si è osservata la riduzione degli effetti di warfarin. In grassetto i parametri emocoagulativi PT e INR nel periodo di riduzione degli effetti di warfarin
ALB = albumina; FBR = fibrinogeno; HB = emoglobina; INR = International Normalized Ratio; NEU = neutrofili; PLT = piastrine; PT = tempo di protrombina; RBC = eritrociti; WBC = leucociti
*Valori raccomandati per pazienti in terapia con warfarin
Una valutazione cardiologica effettuata al ricovero pone indicazione, pur in presenza di diarrea muco-sanguinolenta, a continuare warfarin dato l’alto rischio trombotico connesso al tipo di protesi mitralica. Inoltre, amiodarone viene sospeso e sostituito con un digitalico.
Viene introdotta una dieta a basso contenuto di fibre e priva di legumi.
In considerazione dell’inefficacia dell’associazione metronidazolo e vancomicina assunta per 12 giorni, si decide di intraprendere immediatamente il trattamento con fidaxomicina (Dificlir®), alla posologia standard di 2 compresse da 200 mg/die per 10 giorni (dal 14/12/13 al 23/12/13).
Il quadro clinico evolve verso un rapido miglioramento con drastica riduzione delle scariche diarroiche (1/die) e scomparsa dell’ematochezia in 2 giorni, fino allo switch verso uno stato di costipazione (in ottava giornata di trattamento con fidaxomicina si ricorre a clistere evacuativo).
Contestualmente al miglioramento delle manifestazioni intestinali, si riscontra una progressiva compromissione dello status emocoaugulativo. I controlli seriati di attività protrombinica e INR mostrano un graduale trend in senso ipercoagulativo, da cui la necessità di adeguamento della terapia anticoagulante con incremento del dosaggio di warfarin e, in attesa del raggiungimento di un INR di 3, con l’introduzione di eparina a basso peso molecolare (nadroparina calcica 0,6 mg 1 fl ev) (Figura 1).
Figura 1. Dose giornaliera di warfarin e International Normalized Ratio (INR)
Alla sospensione del trattamento con fidaxomicina, il monitoraggio dei parametri emocoagulativi rivela un progressivo incremento dei valori di INR sino al raggiungimento dei valori target. Vengono ripristinati i dosaggi iniziali di warfarin e sospesa l’eparina.
Il 30 dicembre 2013 il paziente viene dimesso. Nel corso di controlli ambulatoriali nei 3 mesi successivi alla dimissione il paziente non ha segnalato ricomparsa di diarrea né di altro disturbo gastrointestinale; l’INR è risultato nel range terapeutico e il paziente ha proseguito il trattamento con warfarin senza alcuna variazione della posologia.
Domande da porsi di fronte a questo caso
- Quali sono i possibili fattori che hanno determinato una reversione dell’effetto anticoagulante di warfarin?
- È possibile correggerli?
Discussione
Il caso clinico segnalato, che si riferisce a un paziente con varie comorbilità e in terapia con numerosi farmaci, sembrerebbe a una prima analisi evidenziare un’inattesa relazione causale tra assunzione di fidaxomicina e reversione dell’effetto anticoagulante di warfarin, quest’ultimo assunto dal paziente da mesi con target terapeutico stabilmente mantenuto con i dosaggi prescritti. Il fenomeno osservato ha avuto inizio in quarta giornata di terapia con fidaxomicina e si è protratto sino a 4 giorni dalla fine del ciclo di trattamento con tale farmaco, con il ricorso a vari aggiustamenti posologici del dicumarolico e l’introduzione in terapia di nadroparina calcica per 4 giorni.
In letteratura e nella scheda tecnica di fidaxomicina non è tuttavia segnalata alcuna interazione tra i due farmaci tale da consentire di ricondurre l’effetto osservato a un’interazione fidaxomicina/dicumarolico.
È noto che sono molteplici i fattori che possono influire sull’azione degli anticoagulanti dicumarolici quali warfarin [11]. Tra questi giocano un ruolo determinante l’assorbimento e il metabolismo del farmaco, funzione peraltro sia dell’integrità della superficie epiteliale del tratto digerente impegnato nell’assorbimento di warfarin sia dell’assorbimento e sintesi della vitamina K.
L’inattesa riduzione degli effetti di warfarin può essere imputabile a un malassorbimento del farmaco, secondario alla concomitante e prolungata infezione intestinale dominata da diarrea profusa. È noto infatti che molte sindromi da malassorbimento (ad es. morbo di Crohn, dissenteria, colite ulcerosa) possono accompagnarsi a un ridotto assorbimento del farmaco. Il miglioramento clinico osservato dopo introduzione di fidaxomicina può aver determinato una rapida ripresa dell’assorbimento del dicumarolico con raggiungimento in tempi brevi del target terapeutico, dando l’erronea impressione di un effetto collaterale indotto da fidaxomicina e risoltosi dopo la sua sospensione.
Si può considerare il legame farmacoproteico di warfarin che si lega quasi completamente alle proteine plasmatiche, specialmente all’albumina, distribuendosi rapidamente in un volume equivalente allo spazio dell’albumina. Nella Tabella I sono riportati i valori di albuminemia, che risultano inferiori al valore minimo normale. Tale condizione, verosimilmente secondaria a un periodo di malnutrizione, può aver comportato una più breve emivita del farmaco con riduzione dell’effetto anticoagulante. Ciononostante i valori di INR si sono in seguito progressivamente ripristinati nonostante l’albuminemia non abbia subìto variazioni.
Si può speculare anche su un possibile ruolo dei livelli di vitamina K, di cui warfarin è antagonista, nel fenomeno osservato. La risposta ipoprotrombinemica ai dicumarolici è influenzata dai livelli di vitamina K, in parte proveniente dalla dieta e in parte sintetizzata da batteri intestinali. I pazienti in trattamento con dicumarolici ricevono indicazioni ben precise sui cibi da evitare poiché ricchi di vitamina K. È noto che le principali fonti alimentari di vitamina K sono i vegetali a foglie verdi (broccoli, cavolo, spinaci, verza), che nel caso segnalato non erano previsti nello schema dietetico adottato in corso di ricovero e non erano abitualmente consumati dal paziente.
Un ulteriore fattore da considerare è il ruolo della microflora batterica intestinale nei meccanismi di produzione della vitamina K. In condizioni di diarrea protratta a eziologia infettiva è frequente un’alterazione della flora batterica intestinale. Tale fenomeno è favorito peraltro, come nel caso descritto, dal trattamento prolungato con antibiotici che possono alterare l’equilibrio tra le specie batteriche normali commensali dell’intestino.
A supporto di ciò, a distanza di qualche mese dal ricovero del paziente (aprile 2014), è stato pubblicato un caso clinico relativo a un paziente sottoposto a intervento cardiochirugico al quale è stato prescritto un probiotico contenente Clostridium butyricum. Contemporaneamente all’assunzione del probiotico, il paziente iniziava una terapia con warfarin, senza però ottenere un sufficiente effetto anticoagulante nonostante gli alti dosaggi di dicumarolico, fintanto che non è stato sospeso il probiotico. Sempre in ambito speculativo, gli Autori concludono che il Clostridium potrebbe aver modificato la produzione di vitamina K nella flora batterica intestinale attenuando in tal modo l’effetto anticoagulante di warfarin [12].
Tra le possibili interazioni farmacologiche di warfarin, va considerato il trattamento con amiodarone per l’aritmia cardiaca, sospeso circa 2 giorni prima dell’inizio della terapia con fidaxomicina, nonché il trattamento ripetuto con metronidazolo per la diarrea da Clostridium. In entrambi i casi si sarebbe dovuto assistere a un potenziamento degli effetti del dicumarolico, come descritto in entrambe le schede tecniche.
Il caso descritto è stato segnalato al Servizio di Farmacovigilanza Aziendale e, da qui, all’AIFA. La rapida acquisizione di notizie relative alla tollerabilità di farmaci di recente introduzione può fornire al clinico gli strumenti necessari a una migliore interpretazione e gestione di eventi inattesi e potenzialmente rischiosi per il paziente.
Conclusioni
Essendo molteplici i fattori che hanno potuto concorrere nel determinare la reversione dell’effetto del dicumarolico (diarrea protratta con malassorbimento, terapia antibiotica protratta con alterazione della flora batterica intestinale, alterazione nella produzione di vitamina K, interazioni farmacologiche, etc.), non è possibile ricondurre il fenomeno osservato a un’interazione warfarin/fidaxomicina.
Poiché il trattamento con dicumarolici può essere di comune riscontro tra i pazienti più a rischio di CDI, quali gli anziani, suggeriamo un monitoraggio più frequente dell’INR in caso di prima infezione o recidiva da Clostridium difficile, in modo da individuare rapidamente una fluttuazione di tale indice con conseguente aumento del rischio di complicanze e prolungamento del periodo di ospedalizzazione.
Punti chiave
- La riduzione degli effetti di warfarin osservata in concomitanza con il trattamento con fidaxomicina per infezione ricorrente da Clostridium difficile è verosimilmente imputabile a più fattori, non essendo note interazioni warfarin/fidaxomicina
- Le interazioni tra Clostridium difficile e flora batterica intestinale nonché l’alterazione nell’assorbimento di farmaci in corso di diarrea protratta possono aver concorso nel determinare la reversione dell’effetto del dicumarolico
- In considerazione del sempre più frequente riscontro di infezioni e recidive da Clostridium difficile in soggetti fragili, è auspicabile effettuare un monitoraggio più frequente di INR in pazienti trattati con dicumarolici
- Indipendentemente dal caso descritto e dalle ipotesi formulate, la farmacovigilanza rappresenta un utilissimo strumento per acquisire rapidamente informazioni relative alla sicurezza dei farmaci di recente introduzione
- L’acquisizione di notizie relative alla tollerabilità di farmaci di recente introduzione può fornire gli strumenti necessari a una migliore gestione di eventi inattesi e potenzialmente rischiosi per il paziente
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