Fidaxomicina nel trattamento delle coliti da Clostridium difficile: risultati preliminari
Francesco Cortese 1,2, Marcello Meledandri 3, Milva Ballardini 3, Anna Ferrari 2,4
1 U.O.C. di Chirurgia d’urgenza (Dir f.f. Ugo Alonzo), A.C.O. San Filippo Neri, Roma
2 Team infettivologico aziendale, A.C.O. San Filippo Neri, Roma
3 U.O.C. di Microbiologia e Virologia clinica (Dir. M. Meledandri), A.C.O. San Filippo Neri, Roma
4 U.O.S.D. Terapia Intensiva Post-Operatoria (Dir. Carlo Monaco), A.C.O. San Filippo Neri, Roma
Abstract
The incidence of Clostridium difficile infections (CDI) and Clostridium difficile-Associated Diarrhea (CDAD) is increasing in Canada, USA, and Europe and represents a considerable clinical problem. Both naïve and hypervirulent strains can be considered as opportunistic bacteria affecting immunocompromised, antibiotic-treated, critical, or subcritical patients with a microbiota disruption. CDI arising is strictly related to antibiotic, single or combined, and/or proton pump inhibitor treatment. CDI can cause a syndrome with systemic involvement and complex treatment, sometimes requiring surgical interventions (e.g. colectomy in fulminant colitis). Antibiotic treatment with metronidazole by mouth is the first choice and generally vancomycin is administered in case of lack of effectiveness. Fidaxomicin is a new macrocyclic antibiotic for C. difficile with microflora-sparing properties. This paper reports our initial experience in 11 patients with non-responder or relapsing CDIs. Fidaxomicin was effective in 10 cases (91%). Only one patient with an active ulcerative colitis did not respond and was treated with fecal-microbiota transplantation. In two patients diarrhea persisted, but just the ulcerative colitis one was C. difficile-related. No adverse events were experienced.
Keywords: Clostridium difficile; Fidaxomicin; Microbiota; Diarrhea; Nosocomial infections
Fidaxomicin in the treatment of colitis due to Clostridium difficile: preliminary results
CMI 2014; 8(Suppl 1): 5-12
http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v8i1s.956
Case series
Disclosure
Il presente supplemento è stato realizzato con il supporto di Astellas Pharma S.p.A..
Introduzione
Clostridium difficile è un bacillo Gram-positivo, anaerobio e sporigeno. La sua azione patogena si esplica nel 99% dei casi nella colite [1], che configura la Clostridium difficile Infection (CDI) [2-4]. Questa condizione rappresenta una vera e propria sindrome in costante e importante incremento in tutto il mondo occidentale [5-9]. Le CDI sono:
- nella stragrande maggioranza dei casi infezioni nosocomiali di pazienti complessi nei quali aumentano morbilità e mortalità [10-15];
- causa di sindromi differenti con coefficienti di gravità diversi [16-20];
- sostenute, anche nello stesso ambito ospedaliero, da ceppi batterici differenti anche con diversa virulenza [21-25];
- complicanze di percorsi clinici intensivi, chirurgici, internistici spesso combinati tra loro [26-32];
- caratterizzate dalla necessità di intraprendere misure ospedaliere logistiche articolate come l’isolamento dei pazienti [33,34];
- causa di incremento dei costi di ricovero [35,36].
La CDI non è quasi mai un’infezione de novo, ma colpisce soggetti con patologie attive o nel decorso di procedure diagnostico-operative spesso articolate. Sono stati individuati numerosi fattori di rischio quali età [37,38], impegno clinico [2,4,10,38,39], durata del ricovero [40,41], assetto nutrizionale e soprattutto terapia antibiotica [42-46], impiego degli inibitori di pompa protonica [47-50] (Proton Pump Inhibitors – PPI), ricovero in strutture sanitarie riabilitative o per lungodegenti [51].
La storia naturale dell’infezione intestinale da C. difficile è ben conosciuta [52-54]. C. difficile sotto forma di spore è saprofita umano, diventa virulento in condizioni particolari (riduzione delle difese immunitarie, patologie attive, traumi) con la trasformazione delle spore in forme batteriche attive che producono tossine capaci di determinare il quadro clinico, determinato da:
- status immunitario del paziente [55,56];
- microbiota intestinale del paziente [2,4,14,57].
I pazienti portatori anche di forma attiva del C. difficile con assetto immunitario competente e normale microbiota intestinale non sviluppano la malattia, ma rimangono nello stato di colonizzati [31,38,39].
Malgrado la conoscenza di tale percorso fisiopatologico, le CDI rappresentano oggi un’infezione emergente sia per frequenza sia per gravità insieme a Enterobacteriaceae, Staphylococcus aureus, Klebsiella pneumoniae, Acinetobacter baumannii, Pseudomonas aeruginosa ed Enterococcus faecium. Peterson [58] suggerisce quindi di modificare il celebre acronimo ESKAPE, creato da Boucher e collaboratori nel 2009 [59], in ESCAPE.
Il trattamento della CDI è complesso e strettamente correlato al quadro clinico. L’infezione “semplice” nel paziente immunocompetente si avvale di una terapia “semplice” con metronidazolo. Le CDI sono però caratterizzate da quadri clinici articolati e differenti [54,60] in rapporto a fattori quali la primitività o meno dell’infezione, le condizioni fisiche e cliniche del paziente, il tipo di ceppo batterico. Ogni paziente quindi presenta una propria sindrome [60-69] per la quale esiste un trattamento che può consistere in:
- modifica e/o reiterazione delle terapie mediche antibatteriche [60-69];
- immunoglobuline;
- trapianto di feci [70,71];
- opzioni chirurgiche [67,68].
Ultima nata, inserita nella farmacopea italiana nel novembre 2013, fidaxomicina [61,72-78] rappresenta la molecola antibatterica oggi più avanzata e moderna. La sua farmacodinamica è caratterizzata da un’azione diretta e mirata sul C. difficile con un ridotto impianto sul resto del microbiota intestinale, che pertanto ne risulta risparmiato e protetto. Questa azione rappresenta un grande vantaggio rispetto a metronidazolo e a vancomicina [61], che invece presentano una farmacodinamica più aggressiva nei confronti del microbiota intestinale, importantissimo sistema del nostro organismo, vero momento biologico fondamentale per una corretta omeostasi nell’uomo in generale e nel paziente in particolare.
Metodologia e risultati
Nel periodo gennaio/settembre 2014 presso l’Azienda Complesso Ospedaliero San Filippo Neri (Presidio ospedale San Filippo Neri per acuti, presidio riabilitativo Salus Infirmorum) abbiamo trattato con fidaxomicina secondo lo schema classico 200 mg bis/die per os per 10 giorni 11 pazienti (6 M/5 F) (Tabella I), pari al 9,73% di tutti (n = 113) quelli trattati per un’infezione da C. difficile.
ID pz |
Sesso |
Età (anni) |
Reparto |
Comorbilità |
Persistenza/Ripresa |
Stop diarrea (giorni) |
Guarigione |
1 |
M |
67 |
U |
Morbo di Parkinson |
P |
3 |
Sì |
2* |
M |
71 |
CR |
BPCO, malnutrizione, PMK, DMNID |
P |
5 |
Sì/exitus |
3 |
M |
63 |
RNM |
Amputazione della coscia |
R |
5 |
Sì |
4* |
F |
83 |
CU |
Infezione intestinale, DMID, cardiopatia |
P |
No |
Sì/exitus |
5 |
M |
71 |
G |
Miocardiopatia |
P |
3 |
Sì |
6 |
F |
65 |
MI |
Polivasculopatia, cardiopatia |
P |
5 |
Sì |
7 |
M |
88 |
MI |
Polivasculopatia, cardiopatia |
R |
6 |
Sì |
8* |
M |
29 |
G |
RCU |
P |
4 |
No |
9 |
F |
74 |
MU |
FAC, PMK |
R |
4 |
Sì |
10 |
F |
92 |
RNM |
Anemia, chirurgia ortopedica |
P |
6 |
Sì |
11* |
F |
86 |
RNM |
Cardiopatia, FAC, chirurgia ortopedica |
P |
10 |
Sì |
Tabella I. Caratteristiche dei pazienti trattati con fidaxomicina per infezione da C. difficile
BPCO = broncopneumopatia cronica ostruttiva; CR = Centro di rianimazione; CU = Chirurgia d’urgenza; DMID = diabete mellito insulino-dipendente; DMNID = diabete mellito non insulino-dipendente; FAC = fibrillazione atriale cronica; G = Gastroenterologia; MI = Medicina interna; MU = Medicina d’urgenza; P = persistenza; PMK = pacemaker; R = ripresa; RCU = rettocolite ulcerosa; RNM = Riabilitazione neuromotoria; U = Urologia
*Per questi pazienti l’infezione è stata considerata più grave e quindi il dosaggio di vancomicina somministrato, anziché di 125 mg per 4 volte al giorno, è stato di 250 mg per 4 volte al giorno
L’età media è risultata di 79,3 anni, 64,8 per gli uomini, 80 anni per le donne. Il paziente tracheostomizzato (paziente 2) ha assunto la terapia previa chiusura della cannula. La classificazione delle infezioni nel nostro ospedale è stata attuata secondo il seguente schema:
- primitiva: infezione de novo da C. difficile con diarrea (Bristol Stool Grade 7-5);
- persistenza: nessuna soluzione di continuità sintomatologica, né clinica, né microbiologica;
- ripresa o riattivazione: ripresa della sintomatologia e della positività dopo soluzione di continuità nelle otto settimane seguenti alla diagnosi primitiva;
- recidiva: ripresa della sintomatologia e della positività microbiologica dopo otto settimane dalla guarigione.
La nostra indicazione al trattamento con fidaxomicina è stata persistenza della malattia in 8 pazienti (72,7%) e ripresa in 3 (27,3%). Non abbiamo trattato pazienti con recidiva perché non giunti alla nostra osservazione.
Le infezioni da Clostridium difficile sono state trattate con i seguenti antibiotici in successione:
- metronidazolo 500 mg per os ter/die per 10 giorni per le infezioni primitive;
- vancomicina per altri 10 giorni, dal momento che in nessuno di questi pazienti il trattamento con metronidazolo è stato efficace per persistenza o ripresa di malattia; vancomicina è stata somministrata al dosaggio di 125 mg per os/quater/die nelle infezioni lievi e 250 mg per os/quater/die nelle forme cliniche più gravi (nei 4 pazienti contrassegnati dall’asterisco nella Tabella I);
- fidaxomicina 200 mg bis/die per ulteriori 10 giorni, poiché in nessuno di questi pazienti vancomicina ha avuto successo (a causa sempre di persistenza o ripresa di malattia).
I reparti di provenienza sono stati nella maggior parte dei casi la Riabilitazione neuromotoria, la Medicina interna e la Gastroenterologia (Tabella I). Sei pazienti (54,5%) erano stati sottoposti a interventi chirurgici (1 paziente è stata sottoposta a 2 interventi addominali, 2 pazienti hanno subìto l’amputazione della coscia, 1 paziente la resezione endoscopica vescicale e 2 pazienti l’impianto della protesi d’anca) nei trenta giorni precedenti l’insorgenza della CDI. Solo in tre pazienti è stato ricercato il ribotipo ipervirulento 027, con risultato negativo. Tutti i pazienti nei 45 giorni precedenti l’insorgenza de novo della CDI erano stati in trattamento antinfettivo, antibatterico e/o antifungino; in particolare erano stati utilizzati: amoxicillina clavulanato (6 pazienti), tigeciclina (1 paziente), fluconazolo (5 pazienti), chinolonici (6 pazienti), piperacillina-tazobactam (6 pazienti), aminoglicoside (2 pazienti). Tutti i pazienti erano in trattamento continuato da > 35 giorni con inibitori di pompa protonica.
La guarigione dall’infezione è avvenuta in 10 pazienti, cioè nel 91% dei soggetti in esame. La diarrea è stata controllata in 9 casi su 11 (81,8%) in 5,1 giorni (range = 3-10 giorni). Dei due pazienti con diarrea persistente al termine del ciclo standard di terapia (10 giorni) una è risultata comunque negativa per C. difficile. L’altro, affetto da rettocolite ulcerosa in fase attiva in trattamento steroideo e successivamente con infliximab, ha sviluppato l’infezione dopo 4 giorni dalla fine di tale terapia. Trattato con doppio ciclo di terapia a dosaggio pieno (10 gg + 10 gg) non ha risposto ed è stato pertanto avviato a un centro specializzato in trapianto di feci, dove è stato trattato con successo e riavviato al trattamento biologico. Questo paziente è stato anche valutato, visto il trattamento biologico, per HIV, HCV, HBV e tubercolosi con risultati negativi. È risultata anche negativa la ricerca del ribotipo 027.
Si sono verificati due decessi (18,2%). La paziente 4 è deceduta per sindrome da insufficienza multiorgano a 25 giorni dalla risoluzione dell’infezione, mentre il paziente 2, affetto da broncopneumopatia cronica ostruttiva, diabete mellito non insulino-dipendente, gravemente malnutrito, tracheostomizzato e con insufficienza cardiaca cronica è andato incontro a exitus a sei giorni dalla risoluzione della diarrea. Nessuno dei due pazienti è deceduto per cause correlabili alla CDI o all’impiego del farmaco.
Discussione
La colite da C. difficile nei vari quadri clinici [79-82] costituisce, insieme alla colecistite acuta e all’ischemia intestinale acuta, una vera catastrofe addominale [5,7,83] nel paziente critico. La sua insorgenza in qualsiasi forma o gravità è in ogni caso un problema clinico cui prestare la massima attenzione per la potenziale evoluzione. Costituisce un danno per il paziente, spesso critico prima dell’insorgenza della CDI, nel quale incrementa morbilità e mortalità. Rappresenta un problema clinico per la struttura di ricovero, che deve occuparsi della gestione di spazi e dell’ubicazione di un paziente complesso. Infine è di fatto anche un problema economico per l’incremento dei costi e per il protrarsi del periodo di ricovero.
La letteratura è univoca nel considerare le CDI sequele del trattamento antibiotico [2,4,10,38,39,42-46,52-54] e antisecretivo gastrico [47-50,52-54], singoli o associati, e dello status nutrizionale-immunologico del paziente [55,56].
Per quanto concerne l’antibioticoterapia, il problema mondiale delle resistenze agli antibiotici ha spinto l’Organizzazione Mondiale della Sanità e la stessa Casa Bianca a pubblicare due documenti [84,85] di avvertimento e quantificazione del problema. Tale problema si evidenzia in due dati: il 50% delle terapie antibiotiche non ha indicazione clinica [86] e circa il 40% delle stesse terapie nelle aree critiche è inadeguato [87]. Queste percentuali originano dalle prescrizioni di terapie con più di un antibiotico, con molecole “non routinarie”, per periodi prolungati e quasi sempre associate agli inibitori di pompa protonica. La metanalisi di Kwok e collaboratori [47] quantifica un odds ratio di 1,98 per CDI nel paziente trattato con soli PPI a fronte di un odds ratio di 3,87 in caso di associazione di PPI e antibiotici.
Le CDI sono infezioni nosocomiali a evoluzione non univoca. Possono rispondere subito alla terapia specifica oppure possono persistere, riprendere o recidivare. Possono passare da forme lievi a forme moderate fino ai quadri più gravi, dove può persino essere necessario ricorrere a un intervento chirurgico demolitivo come la colectomia totale. In questa patologia c’è un’assoluta necessità di trattare i pazienti in tempi rapidi e nella maniera adeguata per evitare la progressione clinica: si consideri la pericolosità della sindrome diarroica da C. difficile nei pazienti in aree intensive con device esterni quali drenaggi, stabilizzatori ossei esterni, cateteri endovascolari, ecc. Sono quindi importanti, oltre alle terapie mediche, quelle igieniche (diversore fecale, informazione del paziente e dei familiari, attuazione delle procedure medico-infermieristiche previste dalle linee guida) finalizzate alla delimitazione dell’area di contagio da disseminazione delle spore presenti nelle feci, il veicolo dell’infezione.
In quest’ottica l’introduzione nella pratica clinica di fidaxomicina rappresenta un’interessante novità per il trattamento nei casi di mancata risposta alla terapia iniziale con metronidazolo e/o vancomicina. Nella nostra esperienza, pur limitata e preliminare, fidaxomicina ha risolto il problema di CDI che non hanno risposto alla terapia con metronidazolo e vancomicina nel 91% dei casi. L’unico caso di non risoluzione si è verificato in un paziente caratterizzato da una rettocolite ulcerosa in fase attiva trattato con metronidazolo e vancomicina subito dopo infliximab. Rappresenta quindi un “modello biologico” del tutto particolare con un microbiota coinvolto in una patologia cronica completamente sovvertito e sofferente per una sovrapposizione di patologia acuta.
Fidaxomicina costituisce un’importante opzione terapeutica anche alla luce della sua farmacodinamica molto meno impattante sul microbiota rispetto alle molecole standard. È stata ben accettata dai pazienti, in rapporto al dosaggio e alla somministrazione, in modo decisamente migliore rispetto a metronidazolo e vancomicina. Non abbiamo avuto in nessun caso nausea o eruttazioni. Sarà necessario valutarne la possibilità e l’impatto via sondino nasogastrico per quei pazienti in aree intensive o comunque non in grado di deglutire. Fidaxomicina rappresenta oggi un’opzione terapeutica di assoluta importanza anche in termini economici. A fronte di un costo in assoluto non ridotto permette comunque un grande risparmio perché è in grado di risolvere quelle CDI che altrimenti porrebbero indicazioni terapeutiche molto più complesse, traumatizzanti e costose sia in termini economici sia sociali, come il trapianto di feci o una chirurgia aggressiva con esiti anatomici e funzionali talvolta definitivi e di difficilissima gestione.
Punti chiave
- L’infezione da Clostridium difficile (CDI) causa principalmente colite ed è in aumento nei Paesi Occidentali
- Nella maggior parte dei casi la CDI si acquisisce in ospedale e colpisce pazienti critici, aumentandone morbilità e mortalità
- L’uso di antibiotici e di inibitori di pompa protonica costituisce un fattore di rischio per l’insorgenza della CDI
- La CDI si cura con:
- antibiotici;
- immunoglobuline;
- trapianto di feci;
- opzioni chirurgiche
- L’antibiotico di più recente introduzione sul mercato è fidaxomicina, che agisce su C. difficile preservando il microbiota intestinale in misura maggiore rispetto a metronidazolo e vancomicina
- Fidaxomicina in questo caso si è rivelata utile in pazienti che non avevano risposto al trattamento iniziale con metronidazolo e vancomicina
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