CMI 2014;8(Suppl 1)17-20.html

Megacolon tossico associato alla ricorrenza dell’infezione da Clostridium difficile: un caso clinico complicato da infezioni batteriche multiple ed efficacemente trattato con fidaxomicina per via orale

Addolorata Masiello 1, Mario Magliocca 1, Giuseppina Dell’Aquila 1, Patrizia Maio 1, Sergio Giglio 1, Nicola Acone 1

1 U.O.C. Malattie Infettive, A.O.R.N. “S.G. Moscati”, Avellino

Abstract

Toxic megacolon is a severe complication of Clostridium difficile infection (CDI) with a high percentage of mortality. The mainstay of treatment is currently represented by medical management, while surgical intervention is indicated in patients not improving after 2-3 days of antibiotic therapy. Generally metronidazole and vancomycin are administered as first-line treatment, but recently several cases of refractory C. difficile have made the treatment of this infection more difficult. Fidaxomicin is a narrow-spectrum oral macrocyclic antibiotic with excellent in vitro activity against C. difficile strains. We report the case of a woman admitted with a diagnosis of toxic megacolon complicating a C. difficile colitis not responding to standard antibiotic therapy.

Keywords: Toxic megacolon; Clostridium difficile; Fidaxomicin

Toxic megacolon associated with Clostridium difficile infection recurrence: a case report complicated by multiple bacterial infections and successfully treated with oral fidaxomicin

CMI 2014; 8(Suppl 1): 17-20

http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v8i1s.957

Caso clinico

Corresponding author

Dott.ssa Addolorata Masiello

U.O. C. Malattie Infettive

A.O.R.N. “S.G. Moscati”

Avellino

Tel/Fax +390825203967

dora.80@live.it

Disclosure

Il presente supplemento è stato realizzato con il supporto di Astellas Pharma S.p.A.

Perché descriviamo questo caso

Questo caso mostra non solo l’infezione da Clostridium difficile e le sue recidive nonostante trattamenti antibiotici approvati dalle principali linee guida, ma anche le complicanze d’organo che tale batterio può determinare se non correttamente debellato

Caso clinico

Viene descritto il caso clinico di una donna di 78 anni, giunta in Pronto Soccorso da un’altra residenza sanitaria, dove la paziente era ricoverata per riabilitazione motoria a seguito di intervento ortopedico per posizionamento di protesi al ginocchio destro. In tale sede la paziente, a seguito di un ciclo di antibioticoterapia praticato dopo l’intervento chirurgico, aveva iniziato a presentare diarrea acquosa associata a dolenzia addominale e febbre di tipo continuo-remittente. La ricerca dell’enterotossina di C. difficile mediante test immunoenzimatico (EIA) aveva dato esito positivo, pertanto la paziente aveva praticato un ciclo di terapia con metronidazolo orale al dosaggio di 500 mg × 3/die per 14 giorni che non aveva sortito alcun effetto in quanto persisteva la diarrea profusa e la dolenzia addominale. La ricerca di tossine di C. difficile risultava, infatti, ancora positiva; veniva perciò effettuato un nuovo ciclo di terapia con vancomicina per os al dosaggio di 125 mg × 4/die per 14 giorni. A causa della persistenza del quadro clinico, la paziente veniva inviata in Pronto Soccorso.

All’atto del ricovero in Unità Operativa di Malattie Infettive, la paziente si presenta lucida e ben orientata nel tempo e nello spazio. All’esame obiettivo l’addome risulta trattabile e lievemente dolente in ipocondrio destro. All’auscultazione del torace si nota la presenza di sibili inspiratori ed espiratori e di rari ronchi alle basi bilateralmente. Dal punto di vista cardiologico si rileva un’accentuazione del II tono sul focolaio di auscultazione aortica. In anamnesi non vengono rilevate patologie degne di nota, eccetto un’ipertensione arteriosa in buon compenso farmacologico e un quadro clinico e radiologico di broncopneumopatia cronica ostruttiva. Gli esami ematochimici all’ingresso mostrano una leucocitosi neutrofila e una grave anemia, tale da richiedere emotrasfusioni; si osserva contemporaneamente un incremento degli indici di flogosi (VES e PCR) (Tabella I).

Valore riscontrato

Valori normali

Leucociti (n × 103/mm3)

10

5-9

Neutrofili (%)

80

39,9-73

Hb (g/dl)

6,1

12-15

VES (mm)

80

< 22

PCR (mg/l)

75

< 5

Tabella I. Risultati degli esami ematochimici della paziente all’ingresso in Pronto Soccorso

Hb = emoglobina; PCR = proteina-C reattiva; VES = velocità di eritrosedimentazione

A due giorni dall’arrivo in ospedale, viene effettuato un esame tomografico dell’addome, da cui si evidenzia una marcata distensione intestinale con diametro massimo del lume di 7 cm a livello del cieco associata a piccola falda di versamento ascitico; tale reperto all’imaging risulta compatibile con un quadro di megacolon tossico. Nonostante sia di norma controindicato per l’ingente distensione del viscere e il conseguente rischio di perforazione, viene praticato un esame colonscopico che conferma il quadro di distensione delle anse coliche, ma rileva la normoelasticità dell’organo senza segni di sofferenza mucosale.

Viene prontamente avviata una terapia di associazione con metronidazolo e.v. e vancomicina per os, che determina un iniziale miglioramento della sindrome diarroica e un abbassamento della temperatura corporea fino alla completa apiressia. Inoltre gli esami ematochimici risultano in via di normalizzazione. La ricerca delle tossine riporta un esito negativo. Viene richiesta una valutazione chirurgica del megacolon che consiglia, anche sulla scorta del referto colonscopico, una terapia conservativa (antibiotici e nutrizione parenterale totale) prima di decidere per un’eventuale emicolectomia. A 13 giorni dall’ingresso in ospedale la paziente presenta ripresa febbrile con acme a 39°C, gli esami ematochimici rilevano una leucocitosi neutrofila e un nuovo incremento degli indici di flogosi (Tabella II); all’emocoltura si riscontra la presenza di Stafilococcus saprophyticus oxacillino-resistente su tre set emocolturali.

Valore riscontrato

Valori normali

Leucociti (n × 103/mm3)

18

5-9

Neutrofili (%)

83

39,9-73

VES (mm)

90

< 22

PCR (mg/l)

136

< 5

Tabella II. Risultati degli esami ematochimici della paziente a 13 giorni dall’ingresso in Pronto Soccorso

Hb = emoglobina; PCR = proteina-C reattiva; VES = velocità di eritrosedimentazione

La paziente viene quindi posta in terapia con teicoplanina e.v. Al termine dei 14 giorni di terapia, nonostante un miglioramento clinico generale, la paziente inizia a presentare nuovamente diarrea acquosa, per cui viene ripetuta la ricerca di tossine di C. difficile, che dà esito positivo.

Si decide pertanto di intraprendere un trattamento con fidaxomicina al dosaggio di 200 mg due volte al giorno, che determina un rapido miglioramento del quadro clinico e laboratoristico (a partire da 6 giorni dopo la somministrazione). Al termine dei 10 giorni di terapia, la paziente presenta nuovamente un quadro febbrile, un incremento degli indici di flogosi (VES = 70 mm, PCR = 140 mg/l) e una grave insufficienza respiratoria, tale da richiedere la ventilazione meccanica assistita. Alle emocolture si riscontra positività per Serratia marcescens sensibile a diverse classi di antibiotici; viene pertanto iniziata una terapia con levofloxacina e.v., che viene proseguita per 7 giorni dopo l’ultima emocoltura negativa. Risolto l’episodio di sepsi e in assenza di diarrea, dopo la valutazione colonscopica che conferma l’integrità anatomica del viscere che risulta ridotto di calibro (5,3 cm), viene cautamente reintrodotta l’alimentazione orale, che risulta discretamente tollerata. La paziente viene dimessa dopo 70 giorni di degenza, in buone condizioni generali, apiretica, senza alterazioni dell’alvo, con indici di flogosi in via di normalizzazione (VES = 27 mm, PCR = 16,9 mg/l). La dimissione è avvenuta a 14 giorni dall’ultima emocoltura negativa per Serratia marcescens.

In seguito la paziente è stata valutata ambulatoriamente e non ha più presentato recidive da Clostridium difficile.

La Tabella III mostra le risposte cliniche della paziente limitatamente alle terapie utilizzate per l’infezione da Clostridium difficile.

Farmaco usato

Tempo in terapia

Risoluzione diarrea

Prima infezione

Metronidazolo

14 giorni

No

Vancomicina

14 giorni

No

Metronidazolo + vancomicina

11 giorni

Iniziale miglioramento, poi di nuovo diarrea

Recidiva (dopo 14 giorni)

Fidaxomicina

10 giorni

Sì, dopo 6 giorni

Tabella III. Risposte cliniche da parte della paziente rispetto alle terapie utilizzate per l’infezione da Clostridium difficile

Discussione

Clostridium difficile causa un’enterite attraverso la produzione di due enterotossine, A e B, con sintomi che vanno da una forma lieve e autolimitantesi di diarrea fino a un’enterocolite fulminante e potenzialmente fatale associata a complicanze gravi [1-6]. Tra queste, il megacolon tossico si verifica in una percentuale compresa tra 0,4% e 3% dei casi. Pare che esso derivi dalle alterazioni infiammatorie che interessano il viscere a tutto spessore spingendosi sino alla lamina propria con conseguente alterata motilità e dilatazione [7-9]. Il grado di dilatazione necessario affinché si possa porre diagnosi di megacolon risulta ancora controverso, ma si attesta intorno a valori > 6 cm. La diagnosi risulta essenzialmente strumentale (radiologica) ed endoscopica [10]. Quest’ultima metodica diagnostica, rischiosa nei casi di ingente dilatazione dell’organo, viene in genere utilizzata a conferma del quadro tomografico e in alcuni specifici casi (in caso di ripetuta negatività alla ricerca di endotossine ma forte sospetto per enterite da Clostridium difficile, in pazienti che non rispondono alla terapia antibiotica praticata o nei casi a presentazione anomala, ad esempio con quadri di addome acuto e leucocitosi neutrofila ma senza diarrea).

La prima linea di trattamento antibiotico si è per diversi anni basata esclusivamente su metronidazolo e vancomicina utilizzati singolarmente o in associazione [11-13]. L’esigenza di nuove opzioni terapeutiche è nata dalla maggior incidenza e dalle modalità di presentazione sempre più gravi che si sono registrate nell’ultimo decennio in Europa e negli Stati Uniti. Le attuali linee guida europee consigliano nei pazienti con primo episodio, con segni di malattia lieve-moderata l’utilizzo di metronidazolo, mentre nei pazienti con manifestazioni gravi dovrebbe essere somministrata vancomicina [14-16].

Fidaxomicina è un nuovo antibiotico disponibile in formulazione orale, appartenente alla classe degli antibatterici macrociclici, raccomandato nei pazienti con enterite grave sia al primo episodio sia nelle recidive in quanto si è mostrato capace di ridurre in maniera significativa l’incidenza di recidive e quella di complicanze che talvolta risultano fatali (megacolon tossico, colite pseudomembranosa) [17-21].

Il caso descritto è un esempio di come in presenza di fattori predisponenti a un maggior rischio di recidive di enterite da Clostridium difficile (età > 65 anni, patologia iniziale grave, necessità di dover utilizzare antibiotici anche dopo la diagnosi di infezione da Clostridium difficile) possa essere consigliabile adoperare la terapia con fidaxomicina ab initio evitando così il ritrattamento con i farmaci tradizionali, che spesso non si mostrano efficaci negli episodi successivi al primo, come osservato in tutte le più recenti linee guida nazionali e internazionali; infatti solo il trattamento finale con fidaxomicina ha evitato ulteriori episodi di recidive e non ha pertanto reso necessario l’intervento di colectomia. La paziente ha presentato, oltre all’infezione di base, gravi quadri di sepsi, di cui l’ultimo è stato senza dubbio il più grave, al punto da richiedere un trattamento subintensivo e l’ausilio di riespansione plasmatica. Resta tuttavia da chiedersi se tali gravi complicanze, di certo correlate alla prolungata degenza ospedaliera, alla presenza di cateteri intravascolari, alle manovre diagnostiche su una paziente già defedata, avrebbero potuto essere evitate mediante l’utilizzo di fidaxomicina sin dal primo episodio.

Punti chiave

  • In casi di enterite da Clostridium difficile bisogna effettuare una valutazione della gravità clinica del paziente e dell’eventuale rischio di recidive per effettuare la scelta terapeutica più corretta (v. linee guida ESCMID [14])
  • Nelle enteriti che non rispondono alla terapia medica e nei casi di megacolon tossico spesso ci si avvale della chirurgia
  • Le tecniche endoscopiche, quando utilizzabili, consentono, come nel caso descritto, di valutare l’elasticità e il trofismo del viscere evitando o rimandando metodiche demolitive

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