CMI 2015;9(4)89-94.html

La felicità nelle organizzazioni: perché no in sanità?

Anna Ercoli 1

1 Consulente aziendale per lo sviluppo delle risorse umane, formatrice ad approccio integrato. Fondatrice del Centro Studi BodyMindSoul

 

Happiness in organizations: why not in healthcare?

CMI 2015; 9(4): 89-94

http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v9i4.1204

Editoriale

Corresponding author

Anna Ercoli

anna.ercoli@hotmail.it

Disclosure

L’autrice dichiara di non avere conflitti di interesse in merito alla pubblicazione del presente articolo

Introduzione

Il titolo di questo articolo può richiamare alla nostra mente, visti i tempi che corrono nei contesti organizzativi sanitari, pensieri che possono celebrare la “follia”, non certo quella decantata da Erasmo da Rotterdam nel suo “Elogio della Follia”, satira scintillante e bonaria che alla demenza del mondo, avido di cose effimere, contrappone la “superiore follia” [1].

La storia del Servizio Sanitario Nazionale Italiano

Così, prima di entrare nel cuore dell’articolo, ricordiamo come nacque il Servizio Sanitario Nazionale Italiano, il quale ha una storia che affonda le sue radici in un sistema assistenziale-sanitario basato su numerosi “enti mutualistici” o “casse mutue”, tra cui ricordiamo l’INAM (Istituto Nazionale per l’Assicurazione contro le Malattie).

La legge 3 marzo 1958, n°296 [2] emanata durante il Governo Fanfani, istituì per la prima volta il Ministero della Sanità, scorporandolo dal Ministero dell’Interno. La legge 17 agosto 1974, n° 386 [3] estinse i debiti accumulati dagli enti mutualistici degli enti ospedalieri, sciolse i consigli di amministrazione dei primi e ne dispose il commissariamento, trasferendo i compiti in materia di assistenza ospedaliera alle regioni. La legge del 23 dicembre 1978, n° 833 [4], infine, soppresse definitivamente il sistema mutualistico e istituì il Servizio Sanitario Nazionale.

All’interno di questo Servizio Sanitario Nazionale, si sono poi susseguiti diversi cambiamenti allo scopo di regolamentare una Sanità che potesse funzionare sia per il cittadino, fruitore dei servizi, sia per l’azienda stessa, affinché costi, benefici e bilanci potessero quadrare. Diversi cambiamenti sono avvenuti nel tempo all’interno delle aziende sanitarie, legati in particolare allo sviluppo di piani regionali, all’introduzione del sistema DRG (Diagnosis Related Groups), alla costituzione di distretti sanitari, alle fusioni tra università e ospedali, allo studio dei sistemi di risk management, all’introduzione dei capi dipartimento, ecc.

La ragione di ogni modifica effettuata non risiede solo nell’intento di migliorare l’organizzazione sanitaria, ma anche nei limiti imposti dal sistema sociale economico, gravato da crisi, difficoltà, mancanza di risorse e recessione.

La crisi nella Sanità

Oggi, la parola “crisi” viene reiterata in tutti i contesti: sociali, politici, economici, accademici e sanitari. Come ha affermato il Dottor Carmelo Scarcella, direttore generale dell’ASL di Brescia, in un documento dal titolo: “La gestione della Crisi in Sanità pubblica” [5], «La crisi, intesa come evento che minaccia il funzionamento di una organizzazione interferendo con le normali attività e compromettendo il benessere e la sicurezza della comunità, costituisce un problema di notevole rilevanza per ogni settore di attività, ma assume particolare importanza per le aziende sanitarie, garanti della tutela della salute dei cittadini […] Sono molti i fattori da considerare per costruire un sistema di risposta alla crisi: la gestione delle emergenze è un processo complesso, la cui preparazione deve avvenire in “tempi ordinari”, definendo assetti organizzativi e procedure da attuare. Una corretta sinergia tra questi due elementi rappresenta il punto nevralgico che influenza l’effettiva capacità di una azienda nell’affrontare con successo ogni circostanza critica».

Nelle aziende sanitarie quindi, la richiesta di cambiamento è necessaria, anche se spesso i programmi pianificati falliscono penalizzando il clima organizzativo: ciò, a sua volta, incide fortemente su percezione, motivazione, operatività e ben-essere degli operatori sanitari, aumentando stress e burn-out.

Il burn-out

Se i cambiamenti non possono fermarsi, i disagi non devono essere ignorati, anche perché, come affermano gli esperti in psicologia sociale e burn-out Christina Maslach e Michael Leiter: «Sino a quando non ci si rende conto che le “questioni umane” incidono sui valori economici delle imprese, queste non riserveranno mai adeguate attenzioni alla valorizzazione delle persone» [6].

Un altro esperto in psicologia sociale, Nicola Alberto De Carlo, definisce il “disagio organizzativo” come «qualsiasi dinamica, di natura personale, sociale o istituzionale, che impedisca sistematicamente, anche se per un periodo di tempo limitato, il raggiungimento degli obiettivi organizzativi e/o incrini la salute psico-fisica dei collaboratori all’organizzazione» [7].

La crisi economica e la crisi di valori

Recuperando parole chiave espresse, come crisi, stress, burn-out, cambiamenti organizzativi, recessione economica con relative trasformazioni, l’esperto in filosofia della scienza e della teoria dei sistemi Ervin Laszlo, afferma che l’unica vera crisi che impera in questo periodo è la crisi di valori, cioè la perdita, da parte degli individui, del contatto con se stessi e con ciò che essenzialmente caratterizza l’essere umano [8].

Si potrebbe pertanto pensare che i cambiamenti organizzativi potrebbero avere successo se le persone cominciassero a scegliere di cambiare se stesse. In effetti sono proprio ciò che l’organizzazione definisce “risorse umane” quelle che potrebbero fare la differenza sui processi aziendali, sia tecnici, sia relazionali e comportamentali. “Fare”, oggi più che mai, non è l’unica cosa che conta. È possibile pensare a un modo diverso di “essere” per giungere a un modo diverso di “fare”. Tutte le persone sono chiamate a una nuova metamorfosi culturale in cui l’ego possa lasciare più spazio al sé o essenza [9].

L’ego e l’essenza

Volendo semplificare, l’ego è quella parte delle persone in cui spesso si attivano i “valori deboli”, legati, cioè, all’effimero, all’immagine di sé per una propria autocelebrazione, sviluppando una visione parziale, facendo crescere il conflitto e la competizione fine a se stessa o finalizzata al raggiungimento di interessi personali. Le convinzioni che ne stanno alla base sono limitanti, cioè negano la flessibilità e le strade alternative. Le azioni dipendenti dall’ego vengono guidate da paure irrazionali, rabbia, risentimento, ecc. Tali emozioni risultano ben poco funzionali per il contesto aziendale.

L’essenza, invece, ha altre radici, «è una zona invisibile, che quando si decide di lasciarle la guida, imprime la direzione, il senso, la motivazione ai nostri comportamenti» [9]. In questa parte sono radicati valori forti, come la condivisione, l’onore, il rispetto o l’onestà. Una consapevole presa di contatto con questa parte della persona consentirebbe di rispondere agli eventi, organizzativi e non, con più assertività e con una maggiore respons-abilità.

Secondo lo psichiatra Raffaele Morelli «gli alchimisti ritenevano che non ci fosse niente di più significativo del tuorlo dell’uovo. Rosso come il sole, nascosto come la vita che si genera da lui. C’è un “sole rosso” dentro di noi che non vediamo, eppure crea il nostro essere, come il pulcino che nasce dall’uovo. […] Sotto la superficie c’è uno stato profondo di noi che vive in una dimensione diversa, quella del senza tempo. Lì c’è l’energia della vita, c’è il benessere, ci sono le soluzioni che stiamo cercando» [10].

L’ego, secondo la psicanalista Anna Freud, è quell’istanza psichica che gestisce i meccanismi di difesa deputati alla protezione dell’io [11]. L’ego può essere paragonato alla maglia che le persone hanno indossato in tenera età per proteggersi da esperienze poco gradevoli in cui non si sono sentite sufficientemente riparate dalle paure e dalle angosce che potevano assalirle. È costituito, quindi, dai meccanismi di difesa che sono necessari per affrontare la vita. L’istituzione di tali meccanismi ha comportato, però, un allontanamento dallo stato di ben-essere, al quale è subentrato uno stato di mal-essere, che può essere di tipo fisico, psichico o sociale. Ricordiamo che l’Organizzazione Mondiale della Sanità definisce lo stato di salute come stato di completo benessere fisico, psichico e sociale, e non come la semplice assenza di malattia.

L’ego non deve essere negato, ma «va conosciuto, compreso, accettato affinché non sottragga energia, flessibilità nei movimenti mentali, emotivi e fisici, togliendo sapore alla vita e all’affermazione di sé, come un fiume che non raggiunge il mare a causa delle acque stagnanti che soffocano la vitalità della sua risorgiva» [9].

Alla luce di tutto ciò, è possibile comprendere l’importanza che potrebbe avere la decisione da parte di ogni individuo, indipendentemente dal ruolo rivestito nell’azienda, di realizzare una crescita personale, sciogliendo quelle convinzioni generate da aspettative non realizzate, che solitamente generano sentimenti avversi al proprio dialogo interno, generando paura, delusione, disagio, rabbia. Queste emozioni si ripercuotono, a loro volta, sulla prassi quotidiana, sulle decisioni da prendere e sugli obiettivi da raggiungere.

Mediante un serio lavoro su stessi si potrebbe arrivare a una profonda comprensione dei meccanismi che sono alla base dei propri comportamenti: da qui è breve il passo sino al recupero di una visione sistemica dell’organizzazione per cui si lavora. Si potrebbe, pertanto, risvegliare quella sensibilità orientata verso un collettivo che si impegna insieme orientandosi al vero servizio, pur con obiettivi economici da raggiungere, con un’attenzione consapevole alla qualità delle prestazioni, sia in termini qualitativi, sia quantitativi. Un lavoro di questo genere comporta una maggior connessione con la propria essenza, in grado di attivare emozioni come il coraggio, la passione e l’amore.

Lo scrittore Neale Walsch afferma: «L’essere o il sé è qualcosa che tutti hanno, indipendentemente dal livello di istruzione, dal gruppo etnico o culturale di appartenenza, dal ceto sociale» [12].

La scritta “Conosci te stesso” campeggiava sul pronao del Tempio di Apollo a Delfi e per molti secoli ha influenzato i più importanti pensatori dell’epoca della cultura occidentale, da Socrate a Platone, da S. Agostino a Kant [9].

Persino il generale e filosofo cinese Sun Tzu circa 2500 anni fa asseriva: «Se non conosci né il nemico, né te stesso, ogni battaglia significherà per te sconfitta certa. Se non conosci il nemico ma conosci te stesso, le tue possibilità di vittoria saranno pari a quelle di una sconfitta. Se conosci il nemico e conosci te stesso, nemmeno in cento battaglie troverai il nemico» [13].

La crescita personale e il Business Management

Si auspica, pertanto, che gli operatori sanitari, ma soprattutto coloro che hanno in carico la gestione delle aziende sanitarie, ricreino un nuovo equilibrio innanzitutto con se stessi, e in seguito con l’organizzazione, i colleghi, i pazienti e le loro famiglie.

Questo concetto è ormai chiaro anche alle maggiori scuole di Business Management, che non si accontentano più di impartire ai loro allievi lezioni di economia, ma provvedono a integrare gli studi con nozioni riguardanti l’etica, la responsabilità sociale e la giustizia.

La Escuela Superior de Administracion y Direccion de Empresas (ESADE), oltre a prendere parte al Global Compact delle Nazioni Unite, è firmataria dei principi di Responsible Education Management (PRME), una rete globale di Università e di Business School impegnata a integrare la responsabilità sociale, l’etica e la sostenibilità nell’istruzione [14]. Il congresso mondiale che ESADE ha tenuto quest’anno a Barcellona si intitolava “Spiritualità e creatività del Management”.

Le Business School più famose al mondo, pertanto, dichiarano la necessità di integrare la carriera professionale con la propria vita interiore. Personalmente ritengo che questa sia la modalità corretta per cercare di non ripetere gli errori commessi nel passato, accettando in modo fluido i cambiamenti con le relative trasformazioni personali e collettive. Al posto di formare persone votate al successo e al denaro, si sta quindi cercando di plasmare individui capaci di amare, che agiscono per una visione sistemica ed evolutiva.

Fra le abilità che vengono richieste ai nuovi responsabili, vi sono le capacità di:

  • rimanere connessi ai più alti valori della vita;
  • non anteporre il profitto personale al benessere collettivo;
  • comprendere che il proposito etico che l’impresa stabilisce è più importante dell’autocelebrazione dell’ego.

Con questo tipo di rinnovata visione, al congresso organizzato dall’ESADE si è discusso della spiritualità in termini di modalità di insegnamento all’interno dell’educazione manageriale e delle imprese, rivoluzione che potrebbe influire sui sistemi di relazione, sulla performance lavorativa e su quella decisionale [14].

La servant leadership

La crescita interiore nella formazione di un bravo leader si rifà ampiamente al concetto di servant leadership, coniato da Robert K. Greenleaf in “The Servant as Leader”, nel quale affermava: «La prima e la più importante scelta che un leader fa è quella di servire, senza la quale la capacità di guidare è fortemente limitata» [15]. Greenleaf ha evidenziato sette pilastri che caratterizzano questa tipologia di leadership, divulgata in Italia da Lucia Giovannini, formatrice internazionale per una crescita evoluta in azienda “Tutta un’altra azienda” [16], che sono:

  • il carattere: prendere decisioni coscienziose, etiche, fondate sui valori, dimostrando umiltà e devozione al servizio, puntando sempre a uno scopo più alto;
  • le persone al primo posto: aiutare gli individui a soddisfare i maggiori bisogni per il loro sviluppo con cura e attenzione; la mentalità è quella del mentore;
  • una comunicazione chiara ed etica: ascoltare con interesse e parlare in modo efficace, dimostrare empatia, invitare a dare feedback, comunicare in modo persuasivo;
  • la collaborazione: rafforzare le relazioni, valorizzare le diversità creando senso di appartenenza, costruendo squadre e comunità, negoziando i conflitti;
  • la visione: immaginare le possibilità, anticipare il futuro, procedere con chiarezza di scopo, dimostrare creatività agendo con coraggio e determinazione;
  • il pensiero sistemico: pensare e agire in maniera strategica, guidare il cambiamento con efficacia, equilibrare il tutto con la somma delle diverse parti, trovarsi a proprio agio con le complessità dimostrando adattabilità e tenendo sempre in considerazione “il bene più grande”;
  • l’autorità morale: essere meritevoli di rispetto, ispirare fiducia e sicurezza stabilendo standard di qualità e di performance, accettare e delegare le responsabilità, condividere il potere e il controllo, creare la cultura della respons-abilità, facendo rispondere i collaboratori mediante l’uso di abilità per reagire agli eventi o ai cambiamenti che possono avvenire in un’azienda.

Ken Blanchard, il padre della leadership situazionale, conosciuto prevalentemente da chi gestisce collaboratori, domanda: «Perché siete leader? Per servire o essere serviti? Rispondere in modo sincero a questa domanda è della massima importanza. Fingere di essere un servant leader è impossibile. Siamo convinti che per diventarlo sia indispensabile possedere il giusto spirito.

La barriera che maggiormente ostacola la nascita del servant leader è uno spirito motivato solo dall’interesse personale, che si propone di dar poco e di prendere molto. I leader motivati esclusivamente dall’interesse personale pongono i propri programmi, la propria sicurezza, lo status e la gratificazione al di sopra di tutti coloro che sono condizionati dai loro pensieri e dalle loro azioni» [17].

Una trasformazione individuale e collettiva

Va inoltre messo in evidenza che la Global University Network for Innovation (GUNI) dell’Unesco ha selezionato 73 autori da tutto il mondo per contribuire al report più esteso mai realizzato sull’Educazione Superiore [14]. Sono stati identificati tre indicatori significativi che possono rappresentare questa trasformazione individuale e collettiva, cioè:

  • consapevolezza: una cultura basata su esseri sempre più consapevoli di se stessi e dei loro automatismi;
  • responsabilità: individui capaci di assumersi la piena responsabilità, con abilità per rispondere alle sfide della vita;
  • felicità: l’acquisizione della capacità di vivere e di creare la propria felicità indipendentemente dagli avvenimenti esterni.

Oggi, noi siamo testimoni e parte attiva di una nuova presa di coscienza, possiamo comprendere profondamente che il mondo esterno è un semplice riflesso della propria condizione interiore. È inutile cambiarlo reagendo ai suoi stimoli, poiché il mondo esterno cambia quanto più l’individuo lavora sulla propria coscienza [14].

Conclusioni

In conclusione, nelle organizzazioni sanitarie pubbliche e private, oltre alla crisi economica, è presente anche una profonda crisi di valori. Un elemento fondamentale per il successo dei cambiamenti organizzativi aziendali volti al superamento delle crisi è la crescita interiore dei singoli individui, che consiste sostanzialmente nella riscoperta della propria essenza come guida delle proprie azioni, al posto dell’ego, troppo spesso dominante.

Questa chiave per il superamento delle crisi è stata anche recentemente scoperta e valorizzata dalle Scuole di Business Management, che hanno inserito nella formazione dei leader anche la crescita interiore e l’etica. La servant leadership, che parte dal concetto del leader come guida al servizio dell’organizzazione, è il concetto alla base dei nuovi corsi che formano i leader di domani.

L’UNESCO, attraverso il GUNI, ha identificato tre indicatori che possono garantire la trasformazione individuale e collettiva, che sono: consapevolezza, responsabilità e felicità.

E come ricordava un anonimo saggio: «C’è un viaggio che attende ciascuno di noi: è il viaggio nella conoscenza di sé, l’unico che valga la pena di essere intrapreso, sempre».

Bibliografia

1. Erasmo da Rotterdam. Elogio della follia. Torino: Einaudi, 2005

2. Legge 13 marzo 1958, n. 296. Costituzione del Ministero della sanità. Gazzetta Ufficiale n. 90 del 14-4-1958

3. Legge 17 agosto 1974, n. 386. Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 8 luglio 1974, n. 264, recante norme per l’estinzione dei debiti degli enti mutualistici nei confronti degli enti ospedalieri, il finanziamento della spesa ospedaliera e l’avvio della riforma sanitaria. Gazzetta Ufficiale n. 225 del 29-8-1974

4. Legge 23 dicembre 1978, n. 833. Istituzione del servizio sanitario nazionale. Gazzetta Ufficiale n.360 del 28-12-1978 – Suppl. Ordinario

5. Direzione Generale dell’ASL della provincia di Brescia. La gestione della crisi in Sanità Pubblica. Disponibile all’indirizzo http://www.aslbrescia.it/media/pdf/pubblicazioni/gestione_della_crisi2007.pdf (ultimo accesso settembre 2015)

6. Maslach C, Leiter MP. Burnout e organizzazione. Trento: Erikson, 2000

7. De Carlo NA (a cura di). Teorie e strumenti per lo psicologo del lavoro e delle organizzazioni. Milano: Franco Angeli, 2004

8. Laszlo E, Grof S, Russel P. La rivoluzione della coscienza. Milano: Spazio Interiore, 2015

9. Ercoli A, Cortese V. Tutta un’altra vita nella Sanità. Il benessere degli operatori sanitari. Napoli: Idelson Gnocchi, 2015

10. Morelli R. La formula della felicità. La gioia di vivere non dipende dagli altri. Milano: Edizioni Riza, 2003

11. Freud A. L’io e i meccanismi di difesa. Milano: Giunti Editore, 2012

12. Walsch ND. Felici più di Dio. Come trasformare la propria vita in un’esperienza straordinaria. Segrate (MI): Sperling & Kupfer Editori, 2013

13. Sun Tzu. L’arte della guerra. Segrate (MI): Mondadori, 2003

14. Lumera D. Personal transformation and the consciousness revolution. Conscious life design in the holistic-biocentric evolutive model. Intervento al 5th GUNi World Report, 2013: Knowledge, Engagement and Higher Education: Contributing to Social Change

15. Greenleaf RK. The servant as leader. Atlanta, GA: Greenleaf R.K Center For Servant Leadership, 1982

16. Giovannini L, Riva N. Tutta un’altra azienda TUAZ®, corso formativo Metodo Lucia Giovannini 13 ottobre 2014 – Dozza

17. Blanchard K. La leadership per l’eccellenza. Segrate (MI): Sperling & Kupfer Editori, 2007

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