CMI 2014;8(3)67-74.html

Cefalee: nuova classificazione, criteri clinici e diagnostici per il medico di medicina generale

Linda Iurato 1

1 Specialista in Neurologia, Palermo

Abstract

The classification system of headaches is one of the oldest in medicine, and includes a huge amount of types and causes. The International Headache Society has listed two broad categories for headache disorders: primary headache disorders, which lack a clear underlying causative pathology, and secondary headache disorders, that have a known cause. This is an overview addressed to general practitioners to help making a first-line headache diagnosis basing on the most common types of headache listed in the 2013 International Classification of Headache disorder 3rd edition (beta version). Although headache diagnosis and treatment have made substantial gains in the last decade, the disease is still underdiagnosed and undertreated: improvements in several areas are required, especially in General Medicine.

Keywords: Primary headache; Secondary headache; Migraine; New classification of headache

Headaches: new classification, clinical and diagnostic criteria in General Medicine

CMI 2014; 8(3): 67-74

http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v8i3.899

Gestione clinica

Corresponding author

Dott.ssa Linda Iurato

Via Vincenzo di Marco 1/E

90143 Palermo

Cell.: 3318474301; Tel.: 091300826

lindaiurato@yahoo.it

Disclosure

L’autrice dichiara di non avere alcun conflitto di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

Il termine “cefalea” identifica un sintomo, non una diagnosi. Poiché sono noti più di 200 tipi diversi di cefalee, è utile classificarle e organizzarle in maniera razionale. La prima distinzione fondamentale è quella tra le cefalee primarie e secondarie.

Per cefalea primaria (o primitiva o essenziale o idiopatica) si intende una cefalea ricorrente che non è dovuta a una patologia organica, ma è essa stessa la malattia.

Per cefalea secondaria (o sintomatica) si intende una cefalea che costituisce il sintomo, il segnale di una patologia sottostante, che va attentamente ricercata e individuata. Grazie al trattamento specifico della patologia, si potrà ottenere la risoluzione del mal di testa.

Il primo tentativo di catalogare la complessa nomenclatura delle cefalee risale al 1962. Tuttavia la prima classificazione sistematica è del 1988 [1]; nel 2004 è stata pubblicata la seconda edizione [2]. La versione attualmente in vigore è la terza, che è stata però pubblicata in versione beta, cioè è provvisoria [3]. Infatti rimarrà in vigore per circa due anni e potrà essere modificata in base ai dati scientifici che chiunque potrà segnalare; infine sarà sostituita dalla versione definitiva alfa.

Le cefalee sono divise in 217 forme: le più frequenti sono le primarie, ma anche le cefalee secondarie sono numerosissime. Il primo passo per il medico di medicina generale (MMG) è decidere a quale gruppo diagnostico appartiene il paziente che riferisce cefalea durante la visita medica.

Utilità della nuova classificazione delle cefalee in medicina generale

La nuova classificazione delle cefalee è l’occasione per un miglioramento dell’accuratezza diagnostica da parte dei medici di medicina generale. Si tratta di una classificazione molto dettagliata che comprende tutte le possibili formulazioni diagnostiche. Una sua implementazione in medicina generale richiede innanzitutto la definizione del ruolo e dei compiti del MMG nell’approccio al paziente con cefalea [4]. Il MMG deve sostanzialmente essere in grado di:

  • valutare in modo mirato anamnesi e obiettività clinica;
  • riconoscere le principali cefalee primarie;
  • sospettare le cefalee secondarie;
  • inviare a consulenza specialistica i casi dubbi o che richiedono una diagnosi di livello più avanzato (cefalee primarie a bassa prevalenza e rare, presenza di complicanze).

Principali caratteristiche cliniche della nuova classificazione

La terza edizione della classificazione internazionale delle cefalee è frutto del lavoro, durato circa tre anni, delle diverse commissioni istituite dalla International Headache Society (IHS). Si tratta di uno strumento, indispensabile sia per il clinico sia per il ricercatore, strutturato con un’impostazione gerarchica che si estende sino a cinque livelli, consentendo così di effettuare inizialmente una diagnosi più generica (cefalea primaria, secondaria o altro), e successivamente individuare lo specifico sottotipo di cefalea, potendo così procedere all’impostazione di una terapia più adeguata: ad esempio l’emicrania emiplegica familiare di tipo I (diagnosi di quinto livello) appartiene alla categoria delle emicranie emiplegiche familiari, un sottotipo di emicranie emiplegiche, che a loro volta fanno parte delle emicranie con aura, un sottotipo di emicrania, patologia classificabile come cefalea primaria.

L’utilizzo di questa classificazione è importante per il medico di medicina generale, soprattutto nel caso in cui il paziente soffra di più di un tipo di cefalea: ad esempio il paziente può presentare attacchi di emicrania con aura ed episodi di emicrania senz’aura, unitamente a una cefalea da uso eccessivo di farmaci. I criteri diagnostici formulati nella classificazione permettono al MMG di effettuare una diagnosi di primo e secondo livello, utili soprattutto per rispondere alla domanda più importante in medicina generale: è una cefalea primaria o secondaria? Gli strumenti a disposizione del medico per la valutazione clinica delle cefalee primarie sono l’anamnesi, la visita medica con l’esame neurologico e l’uso del diario [5,6]. È bene puntualizzare che quando un paziente presenta per la prima volta cefalea in stretta relazione temporale a una patologia che notoriamente causa cefalea, la cefalea in questione è definita secondaria e attribuita alla principale patologia clinica responsabile della cefalea. Tale definizione clinica rimane vera perfino quando la cefalea di nuova insorgenza ha le caratteristiche cliniche delle cefalee primarie. Si può presentare anche il caso di una cefalea primaria preesistente che si cronicizza in seguito a una patologia clinica riconosciuta come causa di cefalea. In quest’ultimo caso coesistono le due diagnosi: il paziente è affetto sia da cefalea primaria sia da cefalea secondaria.

È bene ricordare che la sintomatologia clinica delle patologie cefalalgiche di alcuni pazienti non soddisfa tutti i criteri diagnostici riportati dalla classificazione in oggetto; questo aspetto può essere dovuto al fatto che gli attacchi vengono trattati farmacologicamente oppure al fatto che il paziente ha difficoltà a ricordare l’esatta sintomatologia degli attacchi e le condizioni scatenanti. A questo proposito è stato introdotto il termine “probabile” per le cefalee primarie, già dal 2004, per indicare la non completa adesione a tutti i criteri diagnostici elencati nella classificazione in esame.

La compilazione di un diario da parte del paziente è utile per ottimizzare l’utilizzo corretto dei criteri diagnostici della classificazione e, in seguito, per la gestione della patologia. Nel diario il paziente deve annotare: le caratteristiche cliniche degli attacchi di cefalea, i fattori scatenanti e attenuanti, i farmaci assunti, l’alimentazione e lo stile di vita.

La nuova classificazione IHS 2013 [3] risulta uno strumento utile allo scopo di uniformare i criteri diagnostici e ridurre, così, la variabilità diagnostica tra i neurologi. È importante che il medico di medicina generale conosca il primo e il secondo livello diagnostico della classificazione.

Nel primo livello diagnostico sono elencati 14 gruppi: i primi 4 riguardano le cefalee primarie, i gruppi dal 5 al 12 riguardano le cefalee secondarie, il gruppo 13 è formato dalle nevralgie craniche e dalle algie facciali centrali, e infine il gruppo 14 comprende le forme di cefalee e nevralgie non classificabili.

Le cefalee primarie

Le cefalee primarie a maggior prevalenza di interesse in medicina generale sono: l’emicrania senz’aura, l’emicrania con aura, le sindromi episodiche dell’infanzia possibili precursori di emicrania (vomito ciclico, emicrania addominale, vertigine parossistica), l’emicrania cronica, la cefalea di tipo tensivo e la cefalea a grappolo.

Rispetto alla classificazione del 2004, nella classificazione IHS 2013 delle cefalee primarie è rimasto invariato il settore delle complicanze dell’emicrania che comprende: lo stato di male emicranico (cefalea > 72 ore), l’aura persistente senza infarto (durata superiore a 7 giorni), l’infarto emicranico e le crisi epilettiche indotte dall’aura emicranica.

La cefalea di tipo tensivo è stata suddivisa, nella classificazione 2013, in tre sottotipi: cefalea di tipo tensivo episodica infrequente, cefalea di tipo tensivo episodica frequente, cefalea di tipo tensivo episodica cronica. Fanno parte delle TAC (Trigeminal Autonomic Cephalalgias – Cefalee autonomico-trigeminali): la cefalea a grappolo, l’emicrania parossistica, l’emicrania continua e SUNCT e SUNA. La SUNCT (Short lasting Unilateral Neuralgiform headache with Conjuntival injection and Tearing) è caratterizzata da attacchi di dolore di durata minore rispetto alla cefalea a grappolo (10-120 secondi), di maggiore frequenza (3-200 al giorno) e di minore intensità, mentre la SUNA (Short lasting Unilateral Neuralgiform headache attacks with cranial Autonomic symptoms), introdotta nello stesso gruppo nella classificazione 2013, presenta sintomi autonomici di minore entità rispetto alla SUNCT.

L’emicrania è una cefalea primaria molto comune in Italia: ha un’alta prevalenza e un notevole impatto socioeconomico nella società di oggi [7]. È di due tipi fondamentali: l’emicrania senz’aura e l’emicrania con aura.

L’emicrania senz’aura esordisce generalmente in età adolescenziale o nell’età giovanile adulta, ma può insorgere anche nell’infanzia, mentre è poco probabile un esordio dopo i 40-50 anni. È una cefalea ricorrente in cui spesso è presente familiarità.

Nella pratica clinica gli elementi utili per la diagnosi dell’emicrania senz’aura sono:

  • familiarità positiva;
  • età d’esordio giovanile;
  • insorgenza delle crisi al risveglio;
  • ricorrenza perimestruale e nel fine settimana;
  • ulteriori sintomi associati (osmofobia, senso di freddo, brividi, pallore);
  • fattori scatenanti (v. oltre);
  • fattori allevianti (compressione e applicazione di freddo in corrispondenza della zona dolente);
  • miglioramento in gravidanza;
  • risposta ai triptani.

Tali elementi non sono criteri diagnostici ufficiali, ma dati clinici di ausilio alla diagnosi assieme ai criteri diagnostici notoriamente accreditati.

Durante gli attacchi, i soggetti emicranici tendono a stare a letto, preferibilmente al buio e istintivamente cercano di comprimere e raffreddare la parte dolente. I fattori che più spesso sono responsabili dello scatenamento di una crisi di emicrania senz’aura sono: fattori psicologici (emozionali nel 67% dei casi, situazioni conflittuali nel 58%), cambiamenti di routine, fattori alimentari (cioccolato, aspartame, vino rosso, sodio monoglutammato, digiuno), fattori ambientali (fumo, cambiamenti di tempo), fattori farmacologici, sostanze chimiche e ambiente di lavoro (piombo, monossido di carbonio, nitrocomposti, derivati aromatici degli idrocarburi, diluenti e solventi, rumori, vibrazioni), fattori ormonali.

Neurologiche

  • Epilessia
  • Ictus

Psichiatriche

  • Depressione
  • Ansia
  • Disturbo di attacco di panico
  • Mania

Altro

  • Ipertensione arteriosa
  • Angina/infarto miocardico
  • Sindrome di Raynaud
  • Asma
  • Allergie
  • Ulcera
  • Colite
  • Mastopatia fibrocistica
  • Cisti ovariche

Tabella I. Possibili comorbilità dell’emicrania senz’aura

Meritano un cenno specifico le fluttuazioni ormonali mensili, fisiologiche dell’età riproduttiva femminile [8], per cui gli attacchi si manifestano più facilmente nei giorni perimestruali e nel giorno dell’ovulazione. In alcune donne i contraccettivi orali possono provocare un’accentuazione della gravità degli attacchi perimestruali [9]. La gravidanza nel 70% dei casi comporta una netta attenuazione o una scomparsa dell’emicrania senz’aura, che si ripresenterà dopo il parto o al termine del periodo di allattamento [10]. Nella storia naturale dell’emicrania senz’aura si assiste a un netto miglioramento delle crisi dopo i 50-55 anni di età. Una minoranza di pazienti, invece, va incontro a un peggioramento delle crisi, che può comportare la trasformazione dell’emicrania in una “cefalea cronica quotidiana” [11]. Le possibili comorbilità dell’emicrania sono elencate nella Tabella I: la più studiata in letteratura è la depressione [12].

Gli studi epidemiologici hanno dimostrato che l’influenza tra emicrania senz’aura e depressione è bidirezionale, in quanto gli emicranici originariamente non depressi e i depressi originariamente non emicranici hanno nel corso della vita un rischio triplo, rispetto ai controlli, non emicranici e non depressi, di sviluppare rispettivamente depressione ed emicrania.

L’emicrania con aura, invece, interessa circa il 3-5% della popolazione generale, con un rapporto femmine:maschi pari a circa 2:1 [13]. In quasi il 90% dei casi esordisce entro i 30 anni d’età. L’elemento distintivo è appunto l’aura, che usualmente precede la cefalea: infatti l’aura emicranica raramente inizia assieme alla cefalea, ed è costituita da una serie di sintomi neurologici, dovuti a disfunzione focale encefalica. I sintomi che costituiscono l’aura sono: sintomi visivi, sensoriali, motori, retinici, alterazioni della parola e del linguaggio, sintomi di disfunzione del tronco encefalico.

La più frequente è l’aura visiva, che consiste in sintomi visivi positivi e negativi, che hanno la tendenza a ingrandirsi e spostarsi, usualmente nel giro di 20-30 minuti, da una parte all’altra del campo visivo. In alcuni casi l’aura visiva assume un aspetto che ricorda un arco luminoso o un lampo o un arcobaleno, che Fothergill alla fine del XVIII secolo, chiamò “spettro di fortificazione” [14]. Fanno parte dell’aura visiva gli scotomi scintillanti, cioè punti o cerchi o semicerchi luminosi o scintillanti che il paziente vede nel proprio campo visivo. Al termine della fase dell’aura (che usualmente dura circa 20 minuti, mai meno di 5 minuti e in genere non supera l’ora), compare la fase algica dell’emicrania. In alcuni pazienti la cefalea può mancare del tutto, si avrà allora “un’aura emicranica senza cefalea”. È evidente che per porre diagnosi di aura emicranica si deve escludere clinicamente l’attacco ischemico transitorio e la crisi epilettica [15]. In una certa percentuale di pazienti al termine di un attacco di emicrania con aura vi è una fase post-critica, della durata di ore o di qualche giorno, in cui il paziente accusa difficoltà di attenzione e concentrazione. Un’attenzione nosografica a se stante ha avuto, nella classificazione, l’emicrania emiplegica, in cui la fisiopatologia dell’emiparesi transitoria è totalmente diversa dalla cortical spreading depression dell’aura emicranica: nell’aura emicranica la cortical spreading depression è un’onda di depolarizzazione che si propaga di solito nella corteccia visiva. L’emicrania emiplegica, invece, oggi è considerata una canalopatia, una patologia dovuta a una disfunzione di particolari canali di membrana presenti nei neuroni [16,17]. I pazienti possono presentare attacchi sia di emicrania senz’aura sia di emicrania con aura.

A differenza dell’emicrania senz’aura, l’emicrania con aura risente molto poco del ciclo mestruale. Al contrario l’assunzione di contraccettivi orali tende a peggiorare la frequenza e la durata degli attacchi [18]. La gravidanza, a differenza dell’emicrania senz’aura, non comporta alcuna riduzione della frequenza delle crisi. Le comorbilità dell’emicrania con aura sono: i disturbi d’ansia (in particolare gli attacchi di panico), la pervietà del forame ovale, l’ictus (che è oggi ancora oggetto di dibattito) [19].

L’emicrania cronica è dovuta a una trasformazione dell’emicrania senz’aura da una forma accessuale, con alternanza di attacchi e giorni liberi, a una forma di tipo cronico, con rarità o mancanza di giorni liberi da cefalea. L’ipertensione arteriosa e la depressione sono due patologie che contribuiscono a cronicizzare l’emicrania. Nella maggior parte dei casi le cefalee croniche sono dovute a uso eccessivo di farmaci, che si definisce come l’utilizzo per almeno tre mesi, e per circa 15 giorni/mese di un singolo FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei), o per 10 giorni/mese di analgesici, ergotaminici, triptani, oppioidi o loro prodotti di combinazione. L’uso quotidiano o quasi quotidiano per vari mesi consecutivi di alcuni dei farmaci utilizzati per bloccare gli attacchi di emicrania è in grado di innescare un circolo vizioso che porta a una cefalea continua [20]. Spesso coesistono nello stesso paziente la diagnosi di cefalea cronica e la diagnosi di cefalea da uso eccessivo di farmaci.

La cefalea di tipo tensivo può essere infrequente, frequente o cronica.

È senza dubbio la forma di cefalea di più comune riscontro nella popolazione generale. Possono essere colpite tutte le fasce d’età; il rapporto maschi:femmine è pari a 1:2 circa. I fattori psicologici e fisici sembrano svolgere un ruolo non secondario e “un accumulo di tensione psico-fisica” è quasi costantemente presente. Gli elementi utili nella pratica clinica nella valutazione della cefalea di tipo tensivo sono:

  • modalità d’esordio;
  • andamento periodico;
  • distribuzione del dolore (a cappa, a casco);
  • ruolo di stress, postura, sedentarietà, attenzione, studio;
  • ulteriori sintomi associati (senso di testa confusa, senso di instabilità);
  • profilo psicologico.

Quelli sopra riportati non sono criteri diagnostici ufficiali, ma elementi clinici di ausilio nella valutazione specifica della diagnosi.

Fanno parte del gruppo delle cefalee autonomiche trigeminali: la cefalea a grappolo, l’emicrania parossistica, l’emicrania continua, la SUNCT e la SUNA.

La cefalea a grappolo deve il suo nome alla particolare modalità di ricorrenza degli attacchi, che tendono a raggrupparsi in periodi delimitati di tempo. Questo tipo di cefalea interessa 2-3 persone su 1.000, colpisce più gli uomini che le donne e interessa soprattutto l’età adulta media [21].

Una caratteristica distintiva se non addirittura diagnostica è il comportamento durante l’attacco: contrariamente all’emicranico, che durante la crisi tipicamente si corica al buio e rimane immobile, il paziente con cefalea a grappolo sembra nell’impossibilità di mantenere una posizione fissa, è in continuo movimento e si presenta agitato e irritabile.

Le altre cefalee primarie, presenti nella classificazione, costituiscono un gruppo eterogeneo e spesso all’esordio sono valutate in Pronto Soccorso, pertanto è necessario escludere sempre patologie secondarie importanti, tramite le neuroimmagini. Queste ulteriori cefalee primarie possono essere raggruppate in 4 categorie: cefalee associate a trazione fisica (che include la cefalea da tosse, la cefalea da esercizio fisico, la cefalea da attività sessuale, la cefalea a rombo di tuono), cefalee attribuite a stimoli fisici diretti (in questo gruppo sono incluse la cefalea da freddo, la cefalea da pressione esterna), cefalee epicraniche (ne fanno parte la cefalea a stilettata e la cefalea nummulare) e infine l’ultimo gruppo comprende cefalea indotta dal sonno e cefalea persistente di nuova insorgenza.

Le cefalee secondarie

Si parla di cefalee secondarie quando la causa del dolore cefalalgico è riconducibile a una particolare patologia, di conseguenza è necessario uno stretto rapporto temporale e causale tra la patologia in oggetto e la cefalea, che si riduce o guarisce in seguito all’opportuno trattamento terapeutico della patologia responsabile. Alcuni pazienti che soffrono di cefalee primarie possono presentare cefalee secondarie. In quest’ultimo caso la cefalea primaria viene trasformata o modificata da un preciso evento o malattia. I sintomi di allarme per le cefalee da cause gravi sono: l’insorgenza dopo i 50 anni, l’esordio improvviso, l’intensità notevole (il paziente descrive il mal di testa come il peggiore mai provato), l’improvviso e sostanziale aumento della frequenza degli attacchi, l’improvviso cambiamento delle caratteristiche della cefalea, l’associazione con lo sforzo fisico (colpi di tosse, sternuti), l’aura sempre dallo stesso lato, la durata dell’aura molto breve (< 5 minuti) oppure molto lunga (> 60 minuti), la cefalea di recente insorgenza in pazienti con patologia neoplastica già diagnosticata o affetti da HIV [22]. I sintomi di allarme appena descritti si riscontrano nelle forme paucisintomatiche o atipiche. Il cambiamento improvviso delle caratteristiche di una cefalea ricorrente richiede sempre un’attenta valutazione da parte del medico. Infatti le lesioni endocraniche (tumori, emorragia subaracnoidea, infezioni) di solito danno origine a sintomi e storie cliniche tali da indurre nel medico il sospetto diagnostico [23].

La più frequente causa di errore nella diagnosi di patologie gravi è la non completa stesura dell’anamnesi. L’anamnesi deve essere specifica e strutturata su domande inerenti i parametri temporali, le caratteristiche, i fattori scatenanti la cefalea, la qualità di vita del paziente e lo stato di salute tra gli attacchi cefalalgici. Gli strumenti a disposizione del medico di medicina generale per la valutazione delle cefalee secondarie sono: l’anamnesi, l’esame neurologico, l’uso del diario e la conoscenza delle poche patologie gravi responsabili di cefalea. Nelle cefalee acute di nuova insorgenza la probabilità di individuare una causa potenzialmente grave è considerevolmente più elevata rispetto alla cefalea ricorrente. In Pronto Soccorso nelle situazioni di emergenza, circa il 5% dei pazienti con cefalea presenta una grave malattia neurologica di base [24]. L’esame obiettivo neurologico rappresenta il primo passo essenziale nella valutazione del paziente: qualunque anomalia neurologica dovrebbe portare all’esecuzione di una TAC o di una RM encefalo. La valutazione medica generale comprende: valutazione dello status cardiovascolare e renale, mediante misurazione della pressione arteriosa ed esame delle urine, esame del fundus oculi (importante nelle sindromi da ipertensione endocranica), misurazione della pressione intraoculare e della rifrazione. Dopo la visita medica generale sono importanti gli esami di laboratorio e la diagnostica per immagini. Nel sospetto di un’arterite temporale è fondamentale la ricerca di un ispessimento delle arterie craniche mediante palpazione, mentre nel sospetto di un eventuale meningismo è importante la valutazione della mobilizzazione passiva del collo. Naturalmente è prioritario distinguere le eziologie gravi da quelle benigne attraverso l’attenta valutazione di qualità, sede, durata, decorso temporale della cefalea e condizioni che esacerbano o mitigano la sintomatologia cefalalgica [25]. Quindi la raccolta dell’anamnesi risulta, in medicina generale, l’aspetto fondamentale per la costruzione dell’ipotesi diagnostica. La Tabella II elenca le domande che occorre formulare per la raccolta dell’anamnesi.

Domande sui parametri temporali della cefalea

  • Perché una consulenza adesso?
  • A quando risale l’insorgenza dell’attacco?
  • Qual è la durata?
  • Quali sono la frequenza e il profilo temporale dell’attacco?

Domande sulle caratteristiche della cefalea

  • Intensità del dolore
  • Tipo di dolore
  • Sede di insorgenza e diffusione
  • Sintomi associati

Domande sulle cause della cefalea

  • Storia familiare di cefalea simile
  • Fattori predisponenti e/o scatenanti
  • Fattori che aggravano e/o migliorano l’attacco

Domande sulle reazioni del paziente

  • In che misura la sua attività è limitata o impedita?
  • Come si comporta durante l’attacco?
  • Quali farmaci sta usando o ha usato e in che modo?

Domande sullo stato di salute tra gli attacchi

  • Risoluzione completa, sintomi residui
  • Ansia, paura di attacchi ricorrenti

Tabella II. Domande per la raccolta dell’anamnesi

Un primo importante orientamento diagnostico consiste nell’accertare se l’episodio di “dolore alla testa” che porta il paziente all’osservazione del medico sia una situazione acuta, completamente nuova per il paziente, completamente diversa da eventuali cefalee precedenti, e quindi potenzialmente sintomatica di una precisa situazione patologica (ad esempio un’emorragia subaracnoidea o un tumore cerebrale) oppure sia una cefalea di cui il paziente ha sofferto in precedenza, in forma episodica, ricorrente o continua. A questo proposito è utile l’analisi dell’andamento nel tempo del dolore: la cefalea da lesione occupante spazio ha una sua massima intensità al risveglio e generalmente ha un andamento progressivo [26]. Un altro elemento diagnostico importante è determinare come è iniziato il dolore (traumi, coito, sforzi fisici) e ricercare segni e sintomi di accompagnamento quali segni meningei, compromissione dello stato di coscienza, vomito, febbre o grave ipertensione arteriosa. La presenza di segni neurologici a focolaio deve sempre far sospettare una causa primitiva, di cui la cefalea è sintomo secondario [27].

Le cefalee secondarie possono essere distinte in cefalee attribuite a traumi cranici e del collo, cefalee attribuite a patologie vascolari, cefalee attribuite a tossici esogeni, cefalee attribuite a malattie non vascolari intracraniche, cefalee da uso eccessivo di farmaci, cefalee attribuite a malattie infettive, cefalee attribuite ad alterazione dell’omeostasi e infine cefalee attribuite a cause locali e cefalee attribuite a malattie psichiatriche.

La cefalea attribuita a trauma cranico è frequentemente accompagnata da un corteo sintomatologico noto come sindrome post-traumatica, identificata da: incertezza posturale, difficoltà a concentrarsi, nervosismo, alterazioni dell’umore, insonnia. Questo tipo di cefalea in circa l’80% dei casi è di tipo tensivo. Un ruolo importante è giocato dai meccanismi legati all’indennizzo: nei Paesi dove l’indennizzo non esiste la frequenza della cefalea post-traumatica è minore.

La cefalea attribuita a malattie vascolari del cranio e del collo ha il suo esordio in coincidenza temporale con un evento vascolare, quale uno ictus (o ischemico o emorragico), un attacco ischemico transitorio, un’emorragia subaracnoidea, o in seguito al riscontro anatomico alle neuroimmagini di una malformazione vascolare (come un’aneurisma, una malformazione artero-venosa, una fistola artero-venosa, un angioma cavernoso) o in seguito a una patologia delle arterie (come un’arterite a cellule giganti, un’angite), a una trombosi delle vene o dei seni venosi cerebrali o in seguito a una sindrome complessa quale il CADASIL (Cerebral Autosomal Dominant Arteriopathy with Subcortical Infarcts and Leucoencephalopathy) [28] o la MELAS (Mitochondrial Encephalopathy, Lactic Acidosis and Stroke-like episodes) [29].

Un cenno particolare merita la dissecazione dei vasi sopra-aortici, che spesso si manifesta con un dolore al collo come sintomo di esordio; il dolore può precedere di diverse ore l’insorgenza del deficit neurologico.

Le cefalee attribuite a malattie non vascolari intracraniche originano da modificazioni della pressione intracranica, che può aumentare (come nell’idrocefalo idiopatico, secondario e nell’ipertensione endocranica benigna) o diminuire (come nella sottrazione di liquor in seguito a puntura lombare o nell’ipotensione liquorale idiopatica).

Le cefalee attribuite a tossici esogeni possono presentarsi sia per l’uso o l’esposizione a determinate sostanze, sia per la sospensione della loro assunzione. Una forma caratteristica è la cefalea da ossido nitrico (NO), indotta da molte sostanze donatrici di NO, in particolare la nitroglicerina, capace di indurre cefalea sia in soggetti emicranici sia in non emicranici, ma anche dipiridamolo e sildenafil (Viagra®), ad esempio, possono indurre cefalea.

Una forma molto frequente e di notevole importanza socio-sanitaria è la cefalea da uso eccessivo di farmaci, nei casi in cui il paziente assuma farmaci sintomatici per più di 10-15 giorni al mese [30].

Le cefalee attribuite a malattie infettive sono molto comuni: la cefalea si associa di solito sia alla banale influenza sia alle forme gravi di sepsi generalizzata. Nelle forme infettive intracraniche la cefalea è in genere il sintomo più precoce e più frequente.

Le cefalee attribuite a un’alterazione dell’omeostasi comprendono ad esempio: le cefalee indotte dall’altitudine elevata, dall’esercizio di attività subacquee, dalle apnee da sonno, dal trattamento dialitico, dall’ipertensione arteriosa, dall’encefalopatia ipertensiva, dal feocromocitoma, dal digiuno.

Infine ci sono le cefalee attribuite a cause locali indotte, ad esempio dal glaucoma, dalle pulpiti, dalle sinusiti, ecc.

Conclusioni

La nuova classificazione IHS 2013 può essere l’occasione per migliorare l’accuratezza della diagnosi dei MMG. Il primo compito del medico è quello di escludere le cefalee secondarie a cause gravi. Gli errori diagnostici possono essere evitati con una procedura standard centrata sull’anamnesi strutturata specificatamente, accompagnata da un completo esame obiettivo.

Nell’ambito della medicina generale dovrebbero essere gestite le cefalee più frequenti con sintomatologia tipica, soprattutto emicrania e cefalea di tipo tensivo. Inoltre è possibile migliorare l’implementazione della nuova classificazione ridefinendo i compiti specifici del medico generico nella gestione delle cefalee.

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