CMI 2014;8(2)29-35.html

Diabete e Ramadan: necessità di un intervento culturalmente orientato

Natalia Visalli 1, Simone Casucci 2, Laura Cipolloni 3, Miryam Ciotola4, Alessio Lai 5, Giovanni Careddu 6, Giuseppe Fatati 7, Lucia Fontana 8, Maria Altomare 8, Santina Abbruzzese 8, Silvia Carletti 8, Sergio Leotta 8

1 UOC Diabetologia e Dietologia – Ospedale S. Spirito – Roma

2 Dipartimento Medicina Interna e Scienze endocrine e metaboliche – Università Perugia

3 Sovrano Ordine Militare Cavalieri di Malta, CAD Palmiro Togliatti – Roma

4 Centro Assistenza Diabetici CAD – Napoli

5 Presidio Ospedaliero SS. Trinità Servizio di Diabetologia Cagliari

6 SC Malattie Endocrine Nutrizione e Ricambio. Asl 3 – Genova

7 UOC di Diabetologia, Dietologia e Nutrizione Clinica, Az. Osp. S. Maria Terni

8 UOC Dietologia, Diabetologia e Malattie Metaboliche Osp. Sandro Pertini – Roma

 

Diabetes and Ramadan: need for a cultural action

CMI 2014; 8(2): 29-35

http://dx.doi.org/10.7175/cmi.v8i2.921

Editoriale

Corresponding author

Dott.ssa Laura Cipolloni

l.cipolloni@hotmail.it

Disclosure

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

La multietnia è una realtà in continua crescita. Le culture d’origine rivestono molta importanza nel condizionare le condotte, le richieste di cura e la disponibilità a determinate terapie. In Italia, il 33% dei cittadini non comunitari è di fede islamica, numero raddoppiato negli ultimi 10 anni [1].

Le differenze religiose/culturali hanno un ruolo importante nella gestione del diabete; il digiuno per i musulmani durante il Ramadan rappresenta un caso emblematico, vero e proprio banco di prova in termini terapeutici e alimentari per gli operatori sanitari [2-4].

Ramadan: inquadramento culturale

Il mese di Ramadan è il nono del calendario islamico, è sacro all’Islàm perché è «il mese in cui fu rivelato il Corano come guida per gli uomini e prova chiara di retta direzione e salvezza» (Sura II, v. 185). Si tratta di un mese di purificazione, ricco di grazie, durante il quale, in una delle sue ultime notti dispari, la “notte del destino”, le porte del cielo sono più dischiuse.

Il Corano stabilisce l’obbligo del digiuno (Sura II, v. 183) come atto basilare di culto per tutti i musulmani. Nella prova del digiuno è più importante il significato spirituale di quello materiale: l’uomo obbedisce a un ordine divino, impara a tenere sotto controllo i suoi desideri fisici e supera la sua natura umana. Si abitua alla moderazione: abbandonarsi senza freni anche a bisogni leciti, come il cibo e i rapporti sessuali, rende l’uomo schiavo di abitudini e voglie.

Nel digiuno, il ricco prova le ristrettezze che il povero ha quotidianamente e tutta la comunità vive una comunione di spirito che aumenta il senso di fratellanza, di pazienza e di disciplina fra i musulmani. Tutti i musulmani che abitano l’emisfero nord e quello sud hanno la possibilità, nel corso della loro esistenza, di digiunare in stagioni diverse, perché i mesi lunari sono alternativamente di 29 e 30 giorni e l’anno lunare in tutto è di 354 giorni, undici giorni in meno rispetto a quello solare. Il Ramadan cade così in diverse stagioni. In certi Paesi, durante l’inverno, le giornate sono corte e fredde e il digiuno di Ramadan è certamente meno impegnativo da rispettare che nella stagione estiva. In tutto questo, il credente intravede la saggezza, la giustizia e la misericordia di Dio. Il digiuno deve essere preceduto dalla niyyah (intenzione). Dopo la pronuncia dell’intenzione, si incomincia a digiunare, all’aurora.

Il pasto iftar, consumato al tramonto, rappresenta il momento della rottura del digiuno. È caratterizzato da 3 portate. La prima è un numero dispari di datteri, come vuole la tradizione, perché così faceva il Profeta. La seconda è una zuppa (tipica in Marocco, ad esempio, la zuppa di carote e arance) e la terza, consumata dopo una pausa dedicata alla preghiera, è la portata principale ed è simile a quello che solitamente viene consumato a pranzo; vengono servite anche bevande fredde, in grande quantità, come karkadè, tamarindo, datteri con latte, carruba. Si consumano molte insalate, si sceglie verdura a elevata concentrazione di acqua (cetrioli). Alcune ricette sono tipiche di questo periodo, come quella del katayef dolce o salato, una sorta di pancake riempito con frutta secca o formaggi e verdura.

I grandi ristoranti durante il Ramadan hanno menù speciali per questo periodo, altri locali prevedono delle grandi tavolate dove viene offerto cibo ai meno abbienti pagato da offerte anonime.

Il suhur è un pasto che viene consumato prima del sorgere del sole; si ritiene che fortifichi il digiunatore e ne faciliti il digiuno; fa riferimento alle parole del Corano «mangiate e bevete finché, all’alba, possiate distinguere il filo bianco dal filo nero» (Corano II. Al-Baqara, 187).

Per legge sono esenti dal digiuno i minorenni non ancora puberi, gli anziani, i disabili, i malati cronici, i viaggiatori, le donne in stato di gravidanza o che allattano, nel caso che il digiuno possa comportare un rischio per loro. Inoltre è proibito alle donne musulmane mestruate e in puerperio.

Oltre all’astensione da ogni cibo e bevanda, non è permesso alcun contatto sessuale o cattivo pensiero o azione durante l’intera giornata fino al tramonto. Non bisogna litigare, né mentire, né calunniare. Il Ramadan è un mese di carità, durante il quale il credente deve dividere i suoi beni con coloro che ne hanno bisogno. La rottura involontaria del digiuno non comporta nessuna sanzione, purché si riprenda subito dopo aver preso coscienza di tale rottura. In caso di interruzione consapevole, bisogna rimediare con l’offerta di un pasto a sessanta musulmani bisognosi, oppure dare l’equivalente in denaro; diversamente bisogna digiunare per sessanta giorni.

Con il sorgere della luna nuova del mese di Shawwal ha termine il mese di Ramadan e con esso finisce l’astinenza e inizia la “festa della rottura”. Per la cena si preparano tutti i piatti tipici della tradizione. La mattina successiva si fa colazione con vari tipi di tè e dolci a base di burro, latte, miele.

Fisiopatologia del digiuno

Il termine “digiuno” indica una temporanea sospensione dell’apporto alimentare che comporta una mobilitazione da parte dell’organismo delle proprie riserve.

Quando il digiuno si protrae oltre le 4 ore, il tasso insulinemico diminuisce notevolmente e diventano preminenti gli effetti degli ormoni antagonisti che stimolano la produzione di glucosio da parte del fegato attivando la glicogenolisi e la gluconeogenesi. Nella situazione di digiuno protratto, il 60% circa del glucosio prodotto dal fegato serve al metabolismo cerebrale, mentre il rimanente viene utilizzato dagli eritrociti e dai muscoli. L’altro effetto degli ormoni antagonisti, glucocorticoidi e GH (somatotropina), è rappresentato dallo stimolo della lipolisi, con aumento in circolo degli acidi grassi liberi che vengono utilizzati a scopo energetico soprattutto dal tessuto muscolare, con risparmio di glucosio. L’ossidazione dei grassi determina inoltre la produzione di corpi chetonici, utilizzati a livello del muscolo cardiaco e del sistema nervoso centrale dove forniscono energia e contribuiscono alla comparsa del senso di sazietà.

In caso di ipoglicemia entra in funzione un meccanismo di emergenza addizionale costituito dalla secrezione di adrenalina, che attiva ulteriormente la glicogenolisi e stimola la produzione di ACTH (ormone adrenocorticotropo), con successivo aumento degli ormoni corticosteroidei e attivazione della gluconeogenesi. Si può affermare che una funzionalità corretta e bilanciata delle isole del Langerhans, dell’adenoipofisi, della corteccia e della midollare del surrene consenta di mantenere l’omeostasi glicemica in modo rapido ed efficiente.

Rischi associati al digiuno

La religione musulmana non obbliga i diabetici a rispettare il digiuno, ma molti lo scelgono esponendosi a rischi.

Le raccomandazioni nutrizionali 2013-2014 del gruppo di studio ADI-AMD-SID “Nutrizione e diabete” nel capitolo dedicato al Ramadan sottolineano l’importanza, per il medico diabetologo che ha in cura pazienti di religione islamica, di conoscere le regole nutrizionali relative al periodo rituale, di saper programmare le conseguenti modifiche terapeutiche e formulare un piano di gestione individualizzato, con educazione terapeutica strutturata e intensificazione dell’autocontrollo finalizzati a minimizzare i rischi del digiuno [5].

Ipoglicemia

La riduzione dell’introito di cibo è una causa nota di ipoglicemia [6,7]. Nei pazienti con diabete di tipo 1 è causa di morte nel 2-4% dei casi [8]. Non è nota la mortalità associata a ipoglicemia nei pazienti con diabete di tipo 2.

Lo studio EPIDIAR [9], condotto in 13 Paesi di popolazione musulmana, ha studiato gli effetti del digiuno durante il Ramadan su 12.243 soggetti diabetici, di cui 8,7% affetti da diabete di tipo 1. Nel periodo del digiuno meno del 50% ha modificato la terapia farmacologica in atto. Il numero delle ipoglicemie riferite è stato basso. Le ragioni possono essere ricercate in ipoglicemie inavvertite, riduzione dell’attività fisica, riduzione dei farmaci, riduzione del monitoraggio glicemico. Al contrario si è registrato un numero di ipoglicemie gravi, con necessità di ricovero ospedaliero, significativamente aumentato rispetto agli altri mesi dell’anno, soprattutto in coloro che spontaneamente hanno modificato la terapia, senza un precedente percorso educativo. Nei pazienti con diabete di tipo 1 e di tipo 2 l’incremento del numero di ipoglicemie gravi è stato di 4,7 e di 7,5 volte maggiore rispetto agli altri mesi dell’anno, rispettivamente.

Iperglicemia e chetoacidosi

Sebbene importanti studi come DCCT [7] e UKPDS [10] abbiano dimostrato una stretta correlazione tra iperglicemie e complicanze macro- e microvascolari del diabete, nessuno studio è stato condotto sull’influenza che episodi di iperglicemia ripetuti in un periodo ristretto di 4 settimane possano avere sullo sviluppo o sulla progressione delle complicanze [11]. Certamente lo studio EPIDIAR [9] ha dimostrato il significativo incremento di iperglicemie gravi con o senza chetoacidosi, con necessità di ricovero, durante il Ramadan, nella misura di 1:5 per il diabete di tipo 1 e di 1:3 per il diabete di tipo 2. Le cause sono da ricercare nell’incremento della glicogenolisi e della gluconeogenesi, nella riduzione non controllata del trattamento farmacologico, giustificata da una riduzione dell’introito alimentare e nel cattivo controllo metabolico nel periodo precedente il Ramadan. Recentemente sono stati studiati pazienti con diabete di tipo 2 con monitoraggio continuo della glicemia durante il Ramadan [12]. Sebbene non ci siano stati episodi di ipo- o iperglicemia grave, sono state registrate importanti escursioni glicemiche con una notevole variabilità intra- e interindividuale, che confermano l’importanza di un percorso educativo nel periodo che precede il Ramadan.

Disidratazione

La limitazione dell’introito di liquidi, se prolungata, associata a un incremento della sudorazione, in persone che vivono in ambienti caldi e umidi o che fanno una importante attività fisica, può portare a disidratazione. La diuresi osmotica, tipica dell’iperglicemia, inoltre, comporta deplezione elettrolitica con possibile ipotensione ortostatica, soprattutto in soggetti con neuropatia autonomica. Il rischio di sincopi e cadute è notevolmente aumentato. La disidratazione può associarsi a ipercoagulabilità e trombosi.

In letteratura non è riferito un incremento di accidenti cardiovascolari durante il Ramadan; tuttavia un report pubblicato nel 1993 riferisce un’incidenza aumentata di occlusione della vena retinica durante il Ramadan in Arabia Saudita [13]. Alla luce dei rischi associati al digiuno del Ramadan, correlati a stato della malattia, presenza di complicanze e controllo metabolico, sono state definite diverse categorie di rischio, che sono riportate nella Tabella I [6].

Molto alto

Alto

Moderato

Basso

  • Paziente che ha avuto ipoglicemia grave 3 mesi prima del Ramadan
  • Paziente con ipoglicemie ricorrenti
  • Paziente con scompenso glicemico
  • Paziente che ha avuto chetoacidosi 3 mesi prima del Ramadan
  • Paziente con diabete di tipo 1
  • Paziente che ha avuto un evento acuto
  • Paziente che è stato in coma iperglicemico iperosmolare 3 mesi prima del Ramadan
  • Paziente che svolge un’intensa attività lavorativa
  • Donna in gravidanza
  • Paziente che si sottopone a dialisi
  • Paziente con iperglicemia moderata (glicemia media 150-300 mg/dl o HbA1c 7,5-9%)
  • Paziente con insufficienza renale
  • Paziente con complicanze cardiovascolari avanzate
  • Paziente solo in terapia con insulina o sulfaniluree
  • Paziente con comorbilità
  • Anziano fragile
  • Paziente che assume farmaci che alterano lo stato cognitivo
  • Paziente con diabete ben controllato in trattamento con secretagoghi ad azione rapida (es. repaglinide)
  • Paziente con diabete ben controllato in trattamento con dieta specifica, acarbose, insulino-sensibilizzanti, incretine

Tabella I. Rischio associato al digiuno del Ramadan [6]

Raccomandazioni nutrizionali

Molti studi hanno dimostrato che il 50-60% dei soggetti che digiunano mantiene il proprio peso corporeo durante il mese del Ramadan, mentre il 20-25% subisce un calo ponderale.

La dieta durante il Ramadan nei soggetti diabetici non dovrebbe differire significativamente da una dieta bilanciata e adeguata, con cibi appartenenti a tutti i gruppi [5]. È importante non eccedere con l’assunzione di cibo al termine del digiuno. Inoltre si raccomanda di assumere cibi ad alto contenuto di fibre, orzo, frumento, avena, semolino, fagioli, lenticchie, farina integrale e riso non raffinato, verdura, frutta con la buccia soprattutto durante il suhur. È necessario, inoltre, compensare la mancata assunzione di acqua durante il giorno (10-12 bicchieri al giorno) bevendo anche succhi di frutta o consumando frutta ad alto contenuto d’acqua (ad esempio l’anguria).

Terapia farmacologica

Pazienti con diabete di tipo 1 o con diabete di tipo 2 insulino-trattato

Per i pazienti con diabete di tipo 1, specialmente se instabile o in cattivo compenso, o ancora nei soggetti che presentano difficoltà a eseguire un automonitoraggio intensivo, o nei pazienti con diabete di tipo 2 insulino-trattati è fortemente sconsigliato il digiuno nel Ramadan, in quanto appartenenti a una classe di rischio particolarmente elevata. È molto esiguo il numero di studi che hanno documentato la sicurezza e l’efficacia dei diversi schemi di trattamento insulinico durante il Ramadan.

Lo schema che prevede l’utilizzo di insulina intermedia NPH (Neutral Protamin Hagedorn) o l’insulina ultralenta in doppia somministrazione con l’aggiunta di insulina ad azione rapida prima dei 2 pasti è rischioso perché la possibilità di ipoglicemia è molto alta. Attualmente si ritiene che lo schema basal-bolus sia il migliore per stabilizzare la glicemia ed evitare ipo- o iperglicemie gravi. Gli analoghi a lunga o intermedia durata (glargine o detemir) [14] devono essere somministrati di sera. La dose deve essere ridotta, se la glicemia è ben controllata. I boli devono utilizzare preferenzialmente analoghi dell’insulina [15], per una minore presenza di ipoglicemie postprandiali e minori escursioni glicemiche postprandiali.

Le unità devono essere calcolate in relazione alla quantità di cibo e al contenuto degli zuccheri. Il dosaggio dei boli deve essere ridotto al suhur (mattino) se la glicemia è ben controllata.

Qualora si preferisca uno schema che utilizza le insuline premiscelate è necessaria una dose maggiore all’iftar (sera) e inferiore al suhur (mattino). Se la glicemia è ben controllata occorre ridurre la dose al suhur. Nella scelta dell’insulina miscelata si deve tenere conto della quantità di alimenti assunti al pasto. Recenti studi hanno dimostrato che la combinazione mix 50/50 all’iftar e mix 30/70 al suhur è migliore rispetto a mix 30/70 a entrambi i pasti [16]. L’uso del microinfusore è una procedura molto avanzata, ma costosa e richiede un monitoraggio intensivo della glicemia.

Pazienti con diabete di tipo 2 trattato con ipoglicemizzanti orali

Occorre suddividere questi pazienti sulla base degli ipoglicemizzanti assunti:

  • insulinosensibilizzanti (metformina e pioglitazone): non inducono ipoglicemia, pertanto il dosaggio non deve essere modificato. Si suggerisce di distribuire il dosaggio di metformina per i 2/3 all’iftar (sera) e la dose rimanente, inferiore, al suhur (mattino);
  • sulfaniluree: sono da utilizzare con cautela a causa delle possibili ipoglicemie. Glimepiride e glicazide sono più sicure, ma il dosaggio deve comunque essere ridotto;
  • repaglinide: non sono state registrate ipoglicemie gravi con l’utilizzo di questo farmaco [17];
  • incretine: sono tra i farmaci meglio tollerati. Non necessitano di titolazione come gli analoghi del GLP1, riguardo ai quali mancano studi durante il digiuno del Ramadan. Non inducono ipoglicemie, ma, se associati a sulfaniluree o insulina, possono potenziarne l’effetto ipoglicemizzante. Vildagliptin, in particolare, ha dimostrato una significativa riduzione delle ipoglicemie rispetto alle sulfaniluree (studi VECTOR e VIRTUE) [18,19].

Approccio educazionale

In un’ottica sistemica, la gestione del diabete durante il Ramadan per il paziente affetto da diabete e per la sua famiglia deve essere preparata in collaborazione con il diabetologo, il medico di medicina generale e la comunità islamica di riferimento. L’importanza di un percorso di educazione terapeutica strutturata in preparazione del periodo di digiuno è stata dimostrata dallo studio READ, nel quale il gruppo sottoposto a intervento educazionale strutturato ha presentato una riduzione del 50% del numero delle ipoglicemie rispetto al gruppo di controllo, in cui è stato registrato un incremento di 4 volte degli episodi ipoglicemici nel mese del Ramadan rispetto agli altri mesi [20].

Il percorso educazionale è un lavoro di équipe in cui tutti gli attori svolgono un’azione importante. La formazione culturale rispetto al Ramadan deve diventare parte del background degli operatori sanitari coinvolti, soprattutto nei Paesi non islamici, dove si deve realizzare un giusto compromesso tra il forte desiderio del digiuno, la conoscenza del suo significato nel contesto religioso e comunitario, i rischi potenziali e le opzioni terapeutiche più adeguate per renderlo possibile e sicuro. È in altre parole, fondamentale garantire ai pazienti e ai loro familiari un approccio interculturale alla terapia per far sì che il diabete non sia un limite al Ramadan, ma che, anzi, il Ramadan diventi opportunità e stimolo per una gestione ottimale del diabete.

Come prepararsi al Ramadan

La preparazione al Ramadan dovrebbe prevedere almeno un mese prima del suo inizio una valutazione globale del paziente, seguita da almeno tre incontri educazionali, con andamento settimanale, individuali o di gruppo, in cui si coinvolge il paziente e la sua famiglia per approfondire e ribadire le tematiche specifiche. La consegna di materiale cartaceo, durante il digiuno del Ramadan, può essere utile per la gestione delle problematiche che si potrebbero presentare.

Gli aspetti che devono essere curati negli incontri educazionali sono legati a:

  • alimentazione, con attenzione alla scelta, preparazione e somministrazione dei pasti (quantità e frequenza): occorre avere una dieta salutare e bilanciata, che preveda l’assunzione di alimenti con zuccheri a lento assorbimento e con fibre e di scarsi quantitativi di alimenti a elevato contenuto di grassi saturi;
  • attività fisica raccomandata [21], che deve essere lieve o moderata. Occorre fornire schemi che identifichino la tipologia di sforzi possibili e che includano nello schema giornaliero i movimenti della preghiera del Tarawaih (preghiera straordinaria e volontaria recitata da un’ora e mezzo dopo il tramonto a poco prima dell’alba, accompagnata da molti movimenti);
  • autocontrollo: il controllo della glicemia non costituisce rottura del digiuno [22]. Il paziente deve conoscere l’importanza del controllo della glicemia capillare, che deve essere effettuato quando si sospetta ipoglicemia: se confermata, il digiuno deve essere interrotto. Il controllo è importante in caso di malattie intercorrenti. Se il paziente assume una terapia ipoglicemizzante (sulfaniluree o insulina) il controllo della glicemia capillare è utile nell’adattamento della terapia farmacologica;
  • complicanze: il paziente deve essere in grado di gestire le emergenze, in particolare di riconoscere precocemente i sintomi di disidratazione, ipoglicemia, iperglicemia, e di identificarle come situazioni di rischio, interrompendo il digiuno.

Infine può essere utile un incontro con l’associazione o la comunità islamica dove verrà celebrato il Ramadan [22], affinché si possano coinvolgere più persone possibili nella gestione comunitaria della persona con diabete. Nel corso di tale incontro occorre spiegare la patologia diabetica, come funziona l’organismo con e senza il digiuno, cercando di puntare l’attenzione sul ruolo della comunità nel sostenere i soggetti diabetici in questo momento sacro, affinché la patologia non discrimini e non limiti.

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