RHC 2012;3(Suppl 1)27-40.html

Reviews in Health Care 2012; 3(Suppl 1): 27-40

Congress report

Profilassi e terapia delle IFI in ematologia

Prophylaxis and treatment of invasive fungal infections in hematological patients

Alessandro Busca 1, Anna Candoni 2, Livio Pagano 3, Francesco Scaglione 4, Claudio Viscoli 5

1 U.O.A. Ematologia, Azienda Ospedaliera San Giovanni Battista, Torino

2 Clinica di Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo, Università degli Studi di Udine

3 Malattie del sangue, Università Cattolica del Sacro Cuore, Roma

4 Dipartimento di Farmacologia, Chemioterapia e Tossicologia Medica, Università degli Studi di Milano

5 Clinica di Malattie Infettive, Università degli Studi di Genova

Abstract

The evidence from the literature strongly support antifungal prophylaxis in high risk haematological patients, such as patients with AML during remission induction chemotherapy and alloHSCT patients. Current antifungal prophylaxis guidelines for high risk patients recommend azoles (fluconazole, posaconazole, voriconazole) and echinocandins (micafungin) with the strongest level of evidence. In terms of treatment, the choice between empiric therapy (or fever driven) and pre-emptive therapy (or diagnostic driven) is still debated. Not a single therapeutic strategy is appropriate in every patients, in particular empirical antifungal therapy may be recommended in patients at very high risk, while a pre-emptive approach may be advised for those at standard risk. In order to exploit the synergistic and/or additive effect of two antifungal drugs it’s possible to combine two agents that work with different mechanisms of action (e.g. echinocandins + azoles or polyenes). Once the treatment has been initiated we should consider the therapeutic drug monitoring (TDM) of the drugs, especially when the pharmacokinetic variability is high and the dose-concentration effect relationships is not predictable (e.g. for itraconazole, voriconazole and posaconazole).

Keywords

Prophylaxis, Therapy, Invasive fungal disease

Corresponding author

Alessandro Busca

abusca@molinette.piemonte.it

Disclosure

Il presente Congress Report è stato supportato da Astellas Pharma SpA.

La profilassi delle IFI in ematologia

In generale la profilassi delle infezioni, e a maggior ragione la profilassi delle IFI, presuppone che vengano soddisfatti almeno 3 requisiti: innanzitutto, la malattia deve avere un’alta mortalità, e le IFI sono tutt’oggi gravate da una mortalità che può variare tra il 30% e l’80% [1,2]; in secondo luogo devono essere selezionati i pazienti ad alto rischio per limitare l’esposizione ai farmaci solo a coloro che ne beneficiano maggiormente. Nel caso delle IFI, sulla base dei dati epidemiologici italiani [1], i pazienti affetti da leucemia mieloide acuta (LAM) hanno la più alta incidenza (12%), soprattutto durante la fase di induzione (60% delle IFI), insieme ai pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali (6-8%) [3]. Infine, i farmaci impiegati nella profilassi devono essere efficaci e possedere un adeguato profilo di tollerabilità.

Antifungini utilizzati in profilassi

Azoli

Nonostante il numero di studi pubblicati sia consistente, soltanto due sono quelli che hanno dimostrato un vantaggio della profilassi antifungina con azoli in termini di sopravvivenza.

Il primo studio è su fluconazolo, che negli anni ’90 ha ricevuto l’approvazione per la profilassi delle IFI nei pazienti ad alto rischio: lo studio di Marr e colleghi [4] dimostrò che la profilassi con fluconazolo, somministrato alla dose di 400 mg fino al giorno 75, riduceva la mortalità dei pazienti allotrapiantati. A 8 anni dal trapianto la mortalità passava dal 55% al 28%, inoltre l’effetto protettivo di fluconazolo persisteva nei confronti delle infezioni da Candida tardive (oltre i 110 giorni post-trapianto) e questo effetto veniva attribuito a una significativa riduzione della GvHD intestinale, presente nei pazienti profilassati con fluconazolo. I recenti cambiamenti epidemiologici, che hanno comportato un progressivo aumento dei funghi filamentosi rispetto ai lieviti, ha spostato l’interesse verso i farmaci potenzialmente attivi sulle muffe e, tra questi, posaconazolo e voriconazolo sono i farmaci antifungini più studiati.

Il secondo studio che ha evidenziato un vantaggio nella sopravvivenza è uno studio prospettico, multicentrico, randomizzato in aperto, che confrontava una profilassi con itraconazolo/fluconazolo, rispetto a posaconazolo, nei pazienti con LAM [5]. I risultati hanno evidenziato, nei pazienti arruolati nel braccio posaconazolo, una ridotta probabilità di sviluppare IFI (2% vs 8%) e aspergillosi invasive (1% vs 7%). In contemporanea allo studio sui pazienti affetti da leucemia mieloide acuta venivano pubblicati i risultati dello studio su posaconazolo impiegato nella profilassi delle IFI nei pazienti con GvHD acuta di grado II-IV o GvHD cronica in trattamento immunosoppressivo [6]. Lo studio, prospettico, randomizzato in doppio cieco confrontava posaconazolo 200 mg TID a fluconazolo 400 mg/die: l’incidenza delle IFI provate e probabili non era significativamente diversa nei gruppi di studio, ma vi era una riduzione significativa delle aspergillosi; la mortalità non era differente, ma posaconazolo aveva ridotto in modo significativo la mortalità per IFI.

Voriconazolo (200 mg BID) è stato confrontato, in uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco, a fluconazolo (400 mg/die) fino al giorno +100 post-trapianto o fino al giorno +180 nel caso di trattamento con steroide > 1 mg/kg/die o nel caso di un trapianto T-depleto [7]. L’incidenza di IFI non è risultata significativamente differente tra voriconazolo (10%) e fluconazolo (14%), mentre vi è stato un trend non significativo per una ridotta incidenza di aspergillosi con voriconazolo, sebbene la sopravvivenza globale non sia risultata differente con i due tipi di profilassi.

Un altro studio prospettico randomizzato open label ha confrontato itraconazolo e voriconazolo, somministrati dal giorno del trapianto per almeno 100 giorni [8]. Il successo terapeutico è stato valutato sulla base di un composite end point: il paziente doveva essere vivo a 180 giorni, senza evidenza di IFI e senza aver sospeso la profilassi per più di 14 giorni. L’incidenza di IFI non è stata significativamente diversa nei due gruppi: 3 nel gruppo voriconazolo (1,3%) e 6 nel gruppo itraconazolo (2%). Allo stesso modo anche la sopravvivenza non è stata significativamente diversa nei due gruppi, mentre i pazienti trattati con itraconazolo hanno avuto almeno 30 giorni di trattamento profilattico in meno rispetto ai pazienti in profilassi con voriconazolo. Sulla base del composite end point, voriconazolo è risultato superiore a itraconazolo, ma è chiaro che il vantaggio risieda perlopiù in una migliore tollerabilità del voriconazolo.

Echinocandine

Tra i farmaci antifungini appartenenti alla classe delle echinocandine studiati nella profilassi delle IFI, micafungina, l’unica echinocandina che, a oggi, ha ricevuto l’indicazione per l’utilizzo in profilassi, è stata confrontata in uno studio prospettico randomizzato multicentrico in doppio cieco a fluconazolo [9]. I pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali, autologo o allogenico, erano randomizzati a ricevere profilassi con micafungina 50 mg o fluconazolo 400 mg per 42 giorni dopo il trapianto. L’end point primario era lo sviluppo di un’infezione provata, probabile o sospetta (definita come una febbre per più di 96 h, nonostante una terapia antibiotica ad ampio spettro che aveva richiesto un trattamento antifungino): 425 pazienti sono stati inclusi nel braccio micafungina e 457 nel braccio fluconazolo. Globalmente il successo terapeutico è stato superiore per i pazienti in profilassi con micafungina (80% vs 73,5%; p = 0,03), l’incidenza di IFI provate e probabili è stata inferiore nel gruppo micafungina (1,6% vs 2,4%, p = NS) e vi è stato un trend a favore di una ridotta percentuale di aspergillosi invasive con micafungina (1 caso vs 7 casi); la bassa incidenza di IFI in entrambi i bracci può essere spiegata dal fatto che circa la metà dei pazienti aveva fatto un trapianto autologo. Da sottolineare come vi sia stato un significativo ridotto impiego di terapia empirica con la profilassi a base di micafungina (15,1% vs 21,4%; p = 0,024). La sopravvivenza è risultata sovrapponibile nei due bracci.

Caspofungina è stata studiata retrospettivamente con lo scopo di valutare l’efficacia della profilassi in pazienti non eleggibili al trattamento con triazoli o amfotericine (AmB) protette per insufficienza renale o epatica [10]. 123 pazienti hanno ricevuto la profilassi con caspofungina alla dose di 35 mg (19 pazienti) o 50 mg fino al gg+100 post-trapianto; 9 pazienti hanno sviluppato un IFI: 2 da Candida e 7 da funghi filamentosi.

Polieni

AmB desossicolato a basse dosi (0,2 mg/kg/die) è stata confrontata a fluconazolo in uno studio prospettico randomizzato in pazienti sottoposti a trapianto di cellule staminali [11]; sono stati arruolati 186 pazienti, ma non è emersa alcuna differenza significativa nè in termini di probabilità di sviluppare IFI provate o sospette nè in termini di sopravvivenza. Per quanto riguarda le AmB protette, 42 pazienti con GvHD acuta o cronica, in trattamento con steroidi ad alte dosi, hanno ricevuto una profilassi con AmB liposomiale (AmB-L) (7,5 mg/kg/sett); questi pazienti sono stati confrontati a un gruppo di controllo di 83 pazienti che avevano ricevuto differenti tipi di profilassi: fluconazolo (71% dei casi), itraconazolo, posaconazolo, caspofungina, voriconazolo [12]. I pazienti in profilassi con AmB-L hanno avuto una ridotta incidenza di IFI (16% vs 48%) e una ridotta mortalità per IFI (0% vs 19%).

Un approccio completamente differente è quello della profilassi mediante areosol. In uno studio prospettico randomizzato in doppio cieco [13], 271 pazienti sottoposti a chemioterapia, trapianto autologo o allogenico hanno ricevuto una profilassi con AmB-L (12,5 mg per due giorni/settimana) o placebo; entrambi i bracci ricevevano in aggiunta fluconazolo. Tre pazienti nel gruppo AmB-L e 17 nel gruppo placebo hanno sviluppato un’aspergillosi invasiva ed anche la comparsa di eventi avversi è risultata simile nei due gruppi (35% AmB-L vs 27% placebo).

Linee guida

In questi ultimi anni sono state pubblicate numerose linee guida per la profilassi e il trattamento delle IFI in ematologia e trapianto di cellule staminali. Tra queste, le linee guida europee ECIL [14] hanno valutato la profilassi delle IFI suddividendo i pazienti in tre categorie:

  • pazienti con leucemia acuta in fase di induzione, dove il miglior livello di evidenza (A1) viene attribuito a posaconazolo;
  • pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali in fase di neutropenia pre-attecchimento, dove il miglior livello di evidenza viene dato a fluconazolo (A1) e voriconazolo (A1 provvisorio);
  • pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali con GvHD, dove il miglior livello di evidenza viene dato a posaconazolo (AI) e voriconazolo (AI provvisorio).

Indicazioni simili a quelle dell’ECIL sono state formulate anche dall’IDSA [15], dal National Comprehensive Cancer Network (NCCN) [16] e dall’American Society for Blood and Marrow Transplantation (ASBMT) [17], come riassunto in Tabella I.

Organizzazione

Raccomandazioni con il più alto livello di evidenza

ECIL-3

  • Allo-HSCT, fase di neutropenia: fluconazolo (AI), voriconazolo (AI, provvisorio)
  • Allo-HSCT, GvHD: posaconazolo (AI), voriconazolo (AI provvisorio)
  • Leucemia acuta in fase di induzione: posaconazolo (AI)

NCCN

  • AML/MDS: posaconazolo (I)
  • Auto-HSCT con mucosite: fluconazolo (I)/micafungina (I)
  • Allo-HSCT con neutropenia: fluconazolo (I)/micafungina (I)
  • Allo HSCT con GvHD: posaconazolo (I)

IDSA

  • AML/MDS: posaconazolo (BI)

ASBMT

  • Allo-HSCT rischio standard: fluconazolo (AI)
  • Allo-HSCT neutropenia prolungata: micafungina (BI)
  • GvHD: posaconazolo (BI)

Tabella I. Raccomandazioni delle principali linee guida internazionali sull’utilizzo dei farmaci antifungini in profilassi

Conclusioni

I dati della letteratura e gli studi di metanalisi evidenziano un’efficacia della profilassi antifungina nei pazienti ematologici ad alto rischio, ovvero i pazienti con LAM in fase di induzione e i pazienti sottoposti a trapianto allogenico di cellule staminali. L’uso non ponderato degli antifungini in profilassi può associarsi al rischio di indurre resistenze e modificare l’epidemiologia delle IFI. In questo senso, è di assoluta importanza conoscere l’epidemiologia locale del centro in cui si opera. I farmaci antifungini attivi sulle muffe possono potenzialmente attenuare l’efficacia dei marker sierologici di IFI, quali il galattomannano, determinando un ritardo nella diagnosi dell’infezione. È importante conoscere non solo lo spettro d’azione degli antifungini ma anche i possibili effetti collaterali e le interazioni farmacologiche.

Terapia empirica vs terapia pre-emptive

Il punto di vista del Prof. Livio Pagano

Nel paziente neutropenico spesso non sono presenti i segni tipici dell’infiammazione e l’unica manifestazione che può aiutare nella diagnosi di IFI, in quanto rappresenta un campanello d’allarme, è la presenza di febbre. Tuttavia, dai dati epidemiologici del registro Hema e-Chart [18] emerge che, nonostante gli strumenti diagnostici a disposizione, nel 44% degli eventi febbrili nei pazienti ematologici non sia possibile identificare l’agente eziologico. Prendendo spunto da un editoriale pubblicato nel 2002 [19], che evidenziava come il 45% delle FUO (febbre di origine sconosciuta) possa avere un’origine fungina, in particolare in presenza di febbre recidivante, appare chiara l’importanza di un approccio terapeutico antifungino anche in assenza di un’evidenza microbiologica.

Definizioni

  • Terapia empirica, oggi definita fever driven: approccio terapeutico sulla base dell’evidenza di febbre nel paziente neutropenico.
  • Terapia pre-emptive, oggi definita diagnostic driven: approccio terapeutico in seguito a work up diagnostico, quindi non solo evidenza di febbre, ma anche riscontro microbiologico o TC.
  • Terapia targeted: identificazione del fungo e terapia mirata.

Terapia empirica

La terapia empirica non ha una vera base scientifica, ma è basata su osservazioni. In particolare, l’alta incidenza dei tassi di mortalità per IFI, l’insensibilità delle culture, il ritardo nella diagnosi e la riduzione dei tassi di successo del trattamento tardivo, rappresentano il razionale su cui si basa la terapia empirica. Per primo lo studio di Pizzo del 1982 [20], in cui una casistica di 50 pazienti neutropenici con FUO è stata stratificata in 3 gruppi di trattamento (solo antibiotici, solo antifungini, antibiotici + antifungini), ha evidenziato il vantaggio della somministrazione di una terapia antifungina empirica in questa tipologia di pazienti. In seguito è fiorita la letteratura sulla terapia empirica e in 20 anni sono stati studiati tutti i farmaci (Tabella II), ma solo alcuni di essi sono stati approvati per uso empirico dalla FDA. In Tabella III sono riportati i livelli di raccomandazione dell’ECIL-3 [14] per l’utilizzo dei farmaci antifungini in terapia empirica.

Autore, anno

Pazienti (n.)

Antifungini

End point primario

Risultati

Pizzo, 1982 [20]

AmB vs placebo

Infezione

> AmB

Viscoli, 1996 [21]

112

AmB vs fluco

Defervescenza

> AmB

Prentice, 1997 [22]

338

AmB vs L-AmB

Tossicità severa

> L-AmB

Malik, 1998 [23]

106

AmB vs fluco

Efficacia equivalente (± 10%)

=

White, 1998 [24]

196

AmB vs ABCD

Nefrotossicità

> ABCD

Walsh, 1999 [25]

687

AmB vs L-AmB

Efficacia equivalente (± 10%)

> L-AmB

Winston, 2000 [26]

317

AmB vs fluco

Efficacia equivalente (± 15%)

=

Wingard, 2000 [27]

244

L-AmB vs ABCD

Tossicità infusion-correlata

> L-AmB

Boogaerts, 2001 [28]

360

AmB vs itra

Efficacia equivalente (± 15%)

> Itra

Walsh, 2002 [29]

837

L-AmB vs vori

Efficacia non inferiore (± 10%)

> L-AmB

Walsh, 2003 [30]

1.085

L-AmB vs caspo

Efficacia non inferiore (± 10%)

=

Tabella II. Riassunto degli studi condotti sull’utilizzo dei farmaci in terapia empirica

ABCD = amfotericina B in dispersione colloidale; AmB = amfotericina B; caspo = caspofungina; L-AmB = amfotericina B liposomiale; fluco = fluconazolo; itra = itraconazolo; vori = voriconazolo

Antifungino

Dose giornaliera

Livello di raccomandazione

Evidenze per

Efficacia

Sicurezza

Amfotericina B liposomiale*

3 mg/kg

A

I

I

Caspofungina*

50 mg

A

I

I

ABLC

5 mg/kg

B

I

I

ABCD

4 mg/lg

B

I

I

Voriconazolo

2 x 3 mg/kg e.v.

B

I

I

Itraconazolo*

200 mg e.v.

B

I

I

Micafungina

100 mg

B

II

II

Amfotericina B deossicolato*

0,5-1 mg/kg

B/D°

I

I

Fluconazolo

400 mg e.v.

C

I

I

Tabella III. Raccomandazioni dell’ECIL-3 per l’utilizzo di antifungini in terapia empirica [13]

* farmaci approvati dall’FDA per la terapia empirica ° B in assenza di/D in presenza di fattori di rischio per tossicità renale

Confronto diretto terapia empirica vs pre-emptive

L’unico studio che ha cercato di confrontare in modo diretto un approccio empirico con uno pre-emptive è uno studio prospettico, randomizzato, condotto da Cordonnier nel 2009 [31] e criticato, sia per i criteri di randomizzazione utilizzati, sia per il cut off del GM di 1,5, valore molto elevato, rispetto ai valori soglia normalmente utilizzati (0,5-0,7). I risultati hanno evidenziato una maggiore incidenza di infezioni nel braccio pre-emptive (12% vs 3% su 293 pazienti) e le conclusioni dello studio sono che la terapia pre-emptive non ha efficacia inferiore, in termini di overall survivall, rispetto alla terapia empirica in generale e nei pazienti a basso rischio in particolare. Allo studio di Cordonnier è seguito uno studio osservazionale italiano [32], che presenta il bias della mancanza di randomizzazione in quanto i dati di 190 pazienti con febbre persistente, ai quali la somministrazione di antifungino è avvenuta senza riconoscimento della fonte di infezione e in seguito a fallimento della terapia antibatterica (approccio empirico), sono stati confrontati con i dati di 207 pazienti in cui l’antifungino è stato somministrato in seguito a positività radiologica o microbiologica (approccio pre-emptive). Le differenze principali tra i due gruppi riguardavano l’età (maggiore nei pazienti in terapia pre-emptive) e la differenza tra il giorno di esordio della febbre e l’inizio della terapia (5 giorni per la terapia empirica vs 7 giorni per la pre-emptive). La durata media del trattamento è stato di 8 giorni per la terapia empirica e di 11 per la pre-emptive, mentre l’incidenza di IFI nei due approcci è stata del 7% e del 25%, rispettivamente. Per quanto riguarda la mortalità è interessante notare che è stata significativamente più elevata nel braccio pre-emptive (22% vs 7%; p = 0,002).

La decisione se intraprendere l’approccio empirico o quello pre-emptive deve tener conto di diversi fattori: innanzitutto le caratteristiche del paziente, cioè se è da considerarsi ad alto rischio (leucemie, induzione, allotrapianto, mielodisplasie) e quindi richiede maggiore attenzione e un approccio più mirato oppure no, inoltre bisogna tenere in considerazione anche la tossicità dell’antifungino (Tabella IV) e degli esami diagnostici e, infine, bisogna valutare i costi della terapia. Secondo lo studio di Cordonnier [31], se vengono considerati solo i costi degli antifungini, i costi della terapia empirica sarebbero più elevati, ma considerando anche l’ospedalizzazione e tutti i costi legati al paziente la differenza di costo sembrerebbe più contenuta.

D-AmB

L-AmB

Itraconazolo

Caspofungina

Voriconazolo

Tossicità

Alta

Media

Bassa

Molto bassa

Bassa

Tabella IV. Tossicità degli antifungini utilizzati in terapia empirica e pre-emptive

Conclusioni

La terapia empirica ancora oggi ha il suo ruolo, soprattutto nei pazienti ad alto rischio, mentre la terapia pre-emptive ha un suo ruolo soprattutto nei rischi standard; in ogni caso anche nel caso in cui si cominci una terapia empirica bisogna comunque effettuare un work up diagnostico. La terapia empirica, infatti, è utile per “guadagnare tempo” fino ad arrivare alla diagnosi che permetterà di intraprendere l’intervento mirato.

Il punto di vista del Prof. Claudio Viscoli

Razionale della terapia empirica

Non c’è dubbio che ci siano due facce della medaglia: da un lato si sa che, se si ritarda la terapia finché la diagnosi è stabilita, c’è il rischio di arrivare tardi, quindi prima si comincia e meglio è, tuttavia non bisogna dimenticare che quando si disegnò la terapia empirica non si avevano a disposizione molti strumenti diagnostici se non la radiologia, che è stato visto servire a poco in questi casi, e il BAL. I due lavori che hanno valutato per la prima volta l’efficacia della terapia empirica risalgono agli anni ’80 e sono stati condotti su popolazioni di pazienti ridotte: quello di Pizzo, condotto su una popolazione pediatrica di 50 pazienti, che confrontava fluconazolo vs amfotericina B in cui l’unico parametro era lo sfebbramento [20] e quello delle EORTC condotto su circa 100 pazienti [33]. Entrambi avevano intervalli di confidenza grandi e, sebbene fossero pionieristici per l’epoca, con gli standard di oggi assumono scarso significato.

Il successo dei trial clinici condotti nel corso degli anni in terapia empirica era definito dalla presenza concomitante di 5 criteri: sopravvivenza, risoluzione della febbre, risoluzione di ogni IFI, nessuna IFI che si sviluppa durante la terapia empirica, assenza di tossicità.

Gli studi più importanti sono quelli di Walsh [25,34] nei quali la percentuale di successo era compresa tra il 26% e il 50%. In particolare, nello studio del 2003 [30] le IFI al baseline e quelle insorte nel corso dello studio sono circa 100, su un totale di più di 1.000 pazienti, il che significa che è stata somministrata una terapia non necessaria a 900 persone per trattarne 100 (solo il 10%). La terapia empirica ha valenza variabile nei vari Paesi: secondo gli americani è AI-AII, probabilmente perché negli Stati Uniti molti farmaci hanno l’indicazione alla terapia empirica, mentre in Europa l’indicazione è BII e in Inghilterra è fortemente scoraggiata.

Razionale della terapia pre-emptive

Il razionale della terapia pre-emptive risiede nei limiti della terapia empirica e cioè nel fatto che troppi pazienti ricevono una terapia antifungina non necessaria, che la febbre non è uno strumento diagnostico sensibile, ma soprattutto non si può ignorare che adesso ci sono a disposizione dei mezzi diagnostici efficaci che prima non erano disponibili. Il primo studio condotto sulla terapia pre-emptive è quello di Maertens del 2005 [35], che dimostra come la febbre sia un criterio diagnostico di IFI molto poco sensibile in quanto, nel gruppo di pazienti che non avrebbero ricevuto terapia empirica antifungina perché si erano sfebbrati, sono state diagnosticate 10 aspergillosi che altrimenti non sarebbe state diagnosticate.

Nel 2009 il lavoro di Cordonnier [31] ha dimostrato la non inferiorità dell’approccio pre-emptive, ma solo nei pazienti a basso rischio, in cui la sopravvivenza in consolidamento è stata del 100% nel gruppo terapia empirica e del 97% nel braccio pre-emptive. La sopravvivenza in induzione è risultata invece pari a 95% e 93%, rispettivamente. Nello studio di Cordonnier la non inferiorità era definita come una differenza tra i due trattamenti inferiore all’8% e, mentre nei consolidamenti tale differenza era al di sotto dell’8% (IC95%: -6-0,4), nelle induzioni l’intervallo di confidenza era al limite (IC95%: -8,0-4,6) e quindi la non inferiorità non era dimostrata.

Conclusioni

L’ECIL non si pronuncia in favore dell’uno o dell’altro approccio, in quanto la terapia empirica e la pre-emptive non sono mutualmente esclusive e possono essere usate in un singolo centro in differenti pazienti e addirittura nello stesso paziente in momenti diversi. Attualmente si hanno a disposizione mezzi diagnostici efficaci, che debbono essere utilizzati al meglio, dopo di che il “quando iniziare la terapia” è un problema relativamente minore, purché quando tutti gli esami risultano negativi la terapia antifungina venga conclusa.

Il ruolo del TDM (Therapeutic Drug Monitoring) degli antifungini

Il TDM (Therapeutic Drug Monitoring) non è un semplice dosaggio sierico, ma racchiude una serie di eventi tutti ugualmente importanti e la cui accuratezza è fondamentale per l’interpretazione del dato che si ottiene. Il TDM è utilissimo in caso di interazioni tra farmaci, nel controllo della compliance, nella variazione del dosaggio e nel caso di fallimento di terapia.

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Figura 1. Concentrazione plasmatica minima e tossicità di itraconazolo

Per quali farmaci fare TDM

Nel caso di un farmaco come fluconazolo, che ha una cinetica lineare e la concentrazione è prevedibile, non è necessario effettuare il TDM, mentre nel caso di itraconazolo, posaconazolo, voriconazolo, che presentano un’estrema variabilità e un rapporto dose-concentrazione non prevedibile, è necessario.

Itraconazolo

È disponibile in due formulazioni e c’è un’ampia variabilità tra capsule e sospensione, il coefficiente di variazione è infatti del 47% sui volontari sani e ciò significa che la concentrazione non è prevedibile. Esiste però una relazione concentrazione-effetto, che permette di affermare che in linea generale la concentrazione plasmatica deve essere al di sotto dei 5 mg/l, mentre valori compresi tra 5 e 17 mg/l devono essere valutati da paziente a paziente. Oltre i 17 mg/l si va invece incontro a effetti tossici.

Voriconazolo

È un farmaco di grande efficacia che però può presentare problemi di gestione, specialmente se somministrato con altri farmaci. Il problema principale è il metabolismo, in quanto viene metabolizzato su due citocromi (CYP2C19 o CYP3A4) per i quali esiste un’ampia variabilità genetica. Fortunatamente anche in questo caso c’è una correlazione diretta tra concentrazione ed effetto e, per quanto riguarda la tossicodinamica, si ha un ampio margine tra il limite dell’efficacia (1 mg/l) e il raggiungimento della tossicità (circa 5,5 mg/l).

Posaconazolo

È un farmaco che ha grande efficacia, ma ha anche alta variabilità e difficoltà di assorbimento, è infatti difficile trovare differenze tra i diversi dosaggi in termini di concentrazione plasmatica (400 BID, 600 BID e 800 QD). Anche in questo caso c’è una relazione tra concentrazione ed effetto. In generale, il livello plasmatico di 1 µg può essere considerato il limite per l’efficacia, mentre non ci sono dati sulla concentrazione tossica, che è probabilmente di 2,5 µg. Posaconazolo andrebbe misurato sia in profilassi che in terapia.

Raccomandazioni per la TDM di antifungini

È necessario effettuare il TDM per itraconazolo, voriconazolo, posaconazolo e flucitosina, mentre non è necessario per amfotericina B, che è molto lineare, per fluconazolo e per le echinocandine che non presentano variabilità legata a sesso, età, peso, razza.

In Tabella V sono riportate le indicazioni per l’esecuzione del TDM nei vari farmaci antifungini.

Farmaco

Indicazioni

Prima misurazione dopo l’inizio della terapia (gg)

Concentrazione plasmatica (μg/ml) target per

Efficacia

Sicurezza

Flucitosina

  • Di routine durante la prima settimana di terapia
  • Insufficienza renale
  • Mancata risposta alla terapia

3-5

Picco > 20

Picco < 50

Itraconazolo

  • Di routine durante la prima settimana di terapia
  • Mancata risposta
  • Disfunzioni gastrointestinali
  • Co-somministrazioni

4-7

  • In profilassi through level > 0,5
  • In terapia through level > 1-2

Through level 5-15

Voriconazolo

  • Mancata risposta
  • Disfunzioni gastrointestinali
  • Co-somministrazioni
  • Età pediatrica
  • Switch da somministrazione e.v. a orale
  • Epatopatia severa
  • Segni/sintomi neurologici inspiegabili

4-7

  • In profilassi through level > 0,5
  • In terapia through level > 1-2

Through level < 6

Posaconazolo

  • Mancata risposta
  • Disfunzione gastrointestinale
  • Terapia con inibitori di pompa protonica
  • Co-somministrazione

4-7

  • In profilassi through level > 0,5
  • In terapia through level > 0,5-1,5

NA

Tabella V. Raccomandazione per l’esecuzione del TDM nei vari antifungini

Terapia di combinazione nelle infezioni fungine

Le linee guida internazionali (ECIL, IDSA, ecc.) mostrano livelli di evidenza e grado di raccomandazione bassi per quanto riguarda la terapia antimicotica di combinazione nelle IFI, ciò è principalmente dovuto alla scarsità di studi clinici in letteratura e all’inadeguata potenza statistica di quelli pubblicati. Infatti, in prima linea, secondo le linee guida ECIL [36], la combinazione ha un livello di evidenza e raccomandazione solo DII; mentre, per quanto riguarda il salvataggio, ci sono dati un po’ più consistenti, che elevano il livello di evidenza e raccomandazione a CII per le combinazioni echinocandina + amfotericina protetta, oppure echinocandina + azolico. Anche le linee guida IDSA [15], pubblicate nel 2008 e relative all’aspergillosi, ribadiscono che, in assenza di studi ben controllati e di potenza adeguata, la somministrazione della terapia di combinazione come terapia primaria non è raccomandata. In questo caso il livello di evidenza/raccomandazione relativo ad aspergillosi invasiva è BII .

Il razionale della terapia di combinazione è quello di sfruttare un effetto sinergico e/o additivo dei farmaci [37]. Pertanto è fondamentale la scelta di combinare farmaci che agiscano su target differenti, come per esempio le echinocandine (che agiscono sulla parete fungina) associate ai polieni o agli azoli (che invece agiscono sulla membrana), mentre 5 fluoro-citosina (che agisce a livello intracitoplasmatico) viene ormai usata pochissimo in ambito ematologico.

La terapia di combinazione presenta ovviamente pro e contro (Tabella VI), che devono essere sempre presi in considerazione e la scelta di questa opzione deve essere sempre fatta sulla base delle caratteristiche del singolo paziente [38].

Possibili vantaggi

Possibili svantaggi

  • Effetto additivo e/o sinergico
  • Ampliamento dello spettro d’azione
  • Possibilità di ridurre l’insorgenza di resistenze
  • Possibilità di effetto antagonista usando farmaci che agiscono sullo steso substrato
  • Rischio di interazioni farmacologiche
  • Possibile aumento della tossicità
  • Incremento dei costi della terapia

Tabella VI. Pro e contro della terapia di combinazione

Evidenze sulla terapia di combinazione

Negli ultimi anni, su questo argomento, sono stati pubblicati molti lavori in vitro, un discreto numero di studi in vivo, ma nel solo nel modello animale, e pochissimi trial clinici.

Gli studi a oggi registrati sul portale Clinical Trials [39] sono una decina, alcuni terminati, altri ancora in fase di arruolamento. Sono soprattutto studi di trattamento combinato dell’aspergillosi invasiva, in prevalenza sono studi non comparativi e molti hanno come farmaco di riferimento voriconazolo. Le combinazioni più testate sono voriconazolo + echinocandina ed echinocandina + amfotericina protetta. Le casistiche di molti di questi studi sono comunque molto piccole e questo rappresenta un grosso limite. Per esempio, nello studio Combistrat [40] che è già completato, sono stati arruolati solo 15 pazienti per braccio. È una casistica troppo piccola e pertanto lo studio non ha potenza in termini numerici per essere significativo. In questo studio la terapia di combinazione sembra dare un vantaggio in termini di risposta, in particolare al giorno 14 e alla 12° settimana, mentre non c’è vantaggio significativo in termini di sopravvivenza.

Il SEIFEM-Combo Study

Si tratta di uno studio osservazionale retrospettivo, con tutti i limiti specifici di questo tipo di studi [41]. Sono stati raccolti, dal 2005 al 2009, in 20 Centri Ematologici Italiani che aderivano al gruppo SEIFEM, 84 casi di terapia antifungina di combinazione effettuata in pazienti oncoematologici. Tutti i pazienti valutati avevano una micosi invasiva provata o probabile. Nella casistica raccolta l’età media (35 ± 21) e mediana (34, range 1-73) erano piuttosto basse, in quanto erano inclusi nello studio anche 31 casi pediatrici su 84 totali. La maggior parte dei pazienti trattati con terapia di combinazione presentava una leucemia mieloide (53/84) o linfoide acuta (15/84). Per quanto riguarda lo status della malattia ematologica sottostante, 22 pazienti erano all’esordio, 18 in remissione completa e ben 44 (52%) avevano una malattia ricaduta o resistente. Inoltre, il 35% dei casi aveva ricevuto un precedente trapianto di midollo (allogenico nell’86% dei casi). Gli agenti eziologici delle micosi provate o probabili erano per la maggior parte Aspergillus (68), una piccola quota di miceti filamentosi non aspergillari (Mucor, Fusarium, ecc.) e solo 6 casi di candidiasi disseminata.

In questo studio osservazionale in 45 casi su 84 la terapia di combinazione è stata la terapia antifungina di prima linea, mentre 39 (46%) avevano ricevuto l’aggiunta di un secondo farmaco antifungino dopo una precedente monoterapia. La durata mediana della terapia di combinazione è stata di 31 giorni (range 3-180 giorni). Tra le diverse combinazioni quella più usata è risultata la combinazione caspofungina + voriconazolo (35/84 casi), con una risposta globale favorevole (risposte complete + risposte parziali) dell’80% (28/35 casi). Come riportato in Tabella VII, nell’intera casistica osservata, la risposta globale (ORR) è stata del 73%, con 35% di risposte complete e 38% di risposte parziali.

caspo + vori

L-AmB + caspo

L-AmB + vori

L-AmB + caspo + vori

L-AmB + posa

Abelcet + caspo (o vori)

caspo + posa

Totale

Casi totali

n.

35

20

15

5

4

2

3

84

%

41,7

23,8

17,8

5,9

4,8

2,4

3,6

100

ORR

n.

28

14

11

2

3

1

2

61

%

80

70

73

40

75

50

67

73

CR (n.)

14

10

2

1

1

0

1

29 (35%)

PR (n.)

14

4

9

1

2

1

1

32 (38%)

NR (n.)

7

6

4

3

1

1

1

23 (27%)

Tabella VII. Risposte alla terapia di combinazione nello studio SEIFEM-Combo

caspo = caspofungina; CR = risposta completa; L-AmB = amfotericina liposomiale; NR = nessuna risposta; ORR = risposta globale; Posa = posaconazolo; PR = risposta parziale; vori = voriconazolo

Analizzando i fattori che potevano condizionare la risposta è emersa l’importanza del recupero granulocitario. Infatti, i pazienti che avevano recuperato più di 500 neutrofili/mmc allo stop della terapia di combinazione erano quelli che avevano avuto un outcome significativamente più favorevole; gli altri parametri presi in considerazione (utilizzo di fattore di crescita granulocitario, tipo di combinazione, n° di granulociti all’inizio della terapia di combinazione, status della malattia ematologica, paziente adulto o pediatrico) non sono risultati significativi nell’influenzare l’outcome della micosi e della terapia.

Sono state inoltre rilevate alcune differenze tra i pazienti pediatrici e quelli adulti trattati con la terapia di combinazione. La differenza principale è il tipo di combinazione prevalentemente usata: nei pazienti pediatrici prevale l’associazione caspofungina + voriconazolo (19 su 31), mentre nell’adulto la combinazione amfotericina + voriconazolo (15 su 53). La durata del trattamento è stata significativamente più lunga nei pazienti pediatrici rispetto agli adulti; inoltre nei pediatrici la terapia farmacologica di combinazione è stata più spesso integrata con una terapia chirurgica delle lesioni fungine (spesso polmonari) per favorire la risoluzione dell’infezione. In generale, il profilo di tollerabilità delle associazioni è risultato molto buono a parte alcuni casi di lieve e transitoria ipopotassiemia e tossicità epatica. Sono stati rilevati solo 2 casi di tossicità neurologica (reversibile con la sospensione del trattamento), entrambi in pazienti adulti. Entrambi i pazienti assumevano voriconazolo e una volta interrotto il farmaco la tossicità è risultata reversibile. Infine, la mortalità globale della popolazione studiata è stata del 57% entro 120 giorni, ma solo nel 17% dei casi la mortalità era direttamente attribuibile all’IFI.

Conclusioni

Questo studio ha evidenziato, con i limiti di uno studio retrospettivo e osservazionale, che la terapia antifungina di combinazione non è frequentemente usata nei centri ematologici italiani; essa è comunque risultata ben tollerata sia nei pazienti ematologici adulti che pediatrici. Le risposte globali sono state pari al 73% (risposte complete + risposte parziali) con una mortalità IFI correlata del 17%. Le combinazioni più frequentemente usate sono risultate: caspofungina + voriconazolo e caspofungina + amfotericine protette. In analisi univariata e multivariata il recupero dei granulociti neutrofili durante la terapia di combinazione è risultato essere un fattore predittivo di outcome favorevole.

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