RHC 2013;4(3)159-173.html

Reviews in Health Care 2013; 4(3): 159-173

Hepatology

Narrative review

Utilizzo dell’albumina nelle complicanze della cirrosi: evidenze e nuove prospettive

The use of albumin in the complications of cirrhosis: evidence and future perspectives

Alessandra Tovoli 1, Giacomo Zaccherini 1, Lucia Napoli 1, Carmen Serena Ricci 1, Manuel Tufoni 1, Paolo Caraceni 1

1 Alma Mater Studiorum - University of Bologna Department of Medical and Surgical Sciences

Abstract

The therapeutic use of albumin in cirrhosis dates back to the 50s, when hypoalbuminemia was thought to play a crucial role in the pathophysiology of ascites. Today, while its efficacy in the treatment of ascites is still under investigation, it has been proved that albumin is able to improve patient outcome and survival in some specific complications of cirrhosis, such as the prevention of post-paracentesis circulatory dysfunction and the treatment of spontaneous bacterial peritonitis and hepatorenal syndrome. Beside its oncotic power, albumin carries other biological properties, the so called non-oncotic properties, including transportation and detoxification of several molecules, free radical scavenging, modulation of vascular permeability, activity on the immune system and on the haemostatic balance. Some experimental evidences indicate that not only albumin concentration but also its function is reduced in patients with cirrhosis. However, the clinical implications of such functional abnormalities is still unclear. We here present the available evidence on the use of albumin in cirrhosis and future perspectives.

Keywords

Albumin; Liver cirrhosis; Ascites

Corresponding author

Paolo Caraceni, MD

Associate Professor of Internal Medicine

Alma Mater Studiorum – University of Bologna

paolo.caraceni@unibo.it

Disclosure

The author has no conflict of interests or financial disclosures. Paolo Caraceni declares a speaker's bureau from Grifols

Introduzione

L’albumina è la più abbondante proteina presente nel siero e rappresenta circa la metà del contenuto proteico complessivo (3,5-5 g/l). È una proteina di 585 aminoacidi, con un peso molecolare di 65 kDa ed è codificata da un gene localizzato sul braccio lungo del cromosoma 4; la sua sintesi avviene esclusivamente a livello del parenchima epatico, le cui cellule rilasciano l’albumina direttamente nel torrente circolatorio senza immagazzinarla [1,2].

In condizioni basali, circa 9-12 g di albumina sono prodotti giornalmente e gli epatociti impiegati nella sua sintesi sono un terzo del totale; tuttavia, se necessario, il fegato possiede una riserva funzionale in grado di incrementare fino a 3-4 volte la propria capacità di sintesi. La produzione di albumina è regolata principalmente dall’osmolarità e della pressione oncotica del liquido presente nell’interstizio epatico, ma diversi fattori possono svolgere un ruolo in questo processo, sia con funzione di stimolo (è il caso di ormoni come l’insulina, il cortisolo e l’ormone della crescita) o di inibizione (l’interleuchina 6 – IL-6, e il Tumor Necrosis Factor-Alpha – TNF-alpha) [3,4].

A causa della scarsa diffusione transcapillare della molecola di albumina, essa rimane per la maggior parte nel torrente circolatorio e genera circa il 70% della pressione oncotica complessiva del plasma; ciò è spiegato in larga parte dall’effetto osmotico diretto della molecola proteica, ma per circa un terzo anche dal cosiddetto effetto Gibbs-Donnan, come risultato dell’interazione tra cariche negative, di cui è ricca l’albumina, e altre molecole cariche positivamente, che vengono trattenute nel plasma e contribuiscono alla pressione oncotica complessiva. L’albumina assume quindi a pieno titolo il ruolo di principale modulatore della distribuzione dei fluidi tra i vari compartimenti dell’organismo. Le suddette caratteristiche rappresentano il fondamento fisiopatologico dell’utilizzo di albumina come espansore plasmatico in molte condizioni cliniche [5]. Il suo uso effettivo, tuttavia, risulta spesso inappropriato, fondamentalmente a causa di una convinzione, non sempre evidence-based, della sua efficacia da parte dei clinici. È importante ricordare come molte indicazioni all’uso di albumina siano tutt’ora largamente dibattute tra gli esperti e alcune siano state perfino confutate dalle evidenze sperimentali. Inoltre, l’alto costo del farmaco e il rischio, per quanto teorico, della trasmissione di malattie a eziologia virale dovrebbero essere attentamente considerati nella prescrizione di albumina [6,7]. Appare quindi di fondamentale importanza una precisa definizione dei suoi ambiti di utilizzo e delle sue appropriate indicazioni. L’uso di albumina nelle principali complicanze della cirrosi epatica in stadio avanzato sarà l’oggetto della prima parte di questa trattazione.

Negli ultimi anni, si sta inoltre progressivamente rivelando il complesso capitolo delle proprietà non oncotiche dell’albumina, le quali ci spingono a superare il concetto di albumina come semplice espansore plasmatico: essa lega e trasporta una grande quantità di molecole idrofobe, metalli pesanti, farmaci (con importanti implicazioni nell’efficacia e nel metabolismo degli stessi), e contribuisce alla detossificazione di numerose molecole endogene ed esogene [8]. È inoltre il principale antiossidante del circolo plasmatico, in quanto principale riserva extracellulare di gruppi sulfidrilici ridotti, potenti scavenger delle specie reattive dell’ossigeno (ROS). Tale proprietà è principalmente dovuta a un residuo di cisteina (Cisteina 34 – Cys34), il cui gruppo sulfidrilico non è impegnato nella formazione di ponti disolfuro (a differenza degli altri residui di cisteina presenti nella molecola di albumina) e può quindi reagire con i ROS neutralizzandone l’azione dannosa [5]. Inoltre, numerose patologie croniche possono causare modificazioni strutturali della molecola di albumina, determinando una modificazione delle proprietà non oncotiche.

Questo tema, attualmente di grande interesse a livello sperimentale e molto promettente per l’ambito clinico, in particolare per quello della cirrosi e delle sue complicanze, sarà oggetto di discussione nella seconda parte della nostra trattazione.

Utilizzo dell’albumina nella cirrosi epatica

Albumina e cirrosi epatica

I pazienti affetti da cirrosi epatica manifestano spesso ipoalbuminemia, come risultato di diversi fattori, tra i quali la diminuita sintesi proteica epatocitaria, l’aumento della ritenzione di sodio e acqua, con diluizione del pool albuminico nello spazio extracellulare, e l’aumento della permeabilità transcapillare [9].

L’utilizzo terapeutico dell’albumina nella cirrosi epatica in fase avanzata risale agli anni ‘60, quando, sulla base di un supposto squilibrio tra le forze di Starling a livello dei sinusoidi epatici, all’ipoalbuminemia veniva attribuito un ruolo centrale nella patogenesi dell’ascite. Tali convinzioni derivavano dall’osservazione che i pazienti con cirrosi epatica e livelli plasmatici di albumina inferiori a 3 g/l manifestavano quasi costantemente ascite, la quale invece non si osservava quando i livelli di albumina si attestavano su valori superiori a 4 g/l [10]. Tuttavia, il flusso netto dei fluidi dal compartimento vascolare all’interstizio è regolato dal gradiente oncotico transcapillare, piuttosto che dalla sola concentrazione plasmatica di albumina. Quando infatti l’attenzione fu rivolta alla misurazione del gradiente oncotico tra plasma e interstizio, non furono trovate differenze significative tra i pazienti cirrotici con ascite e i controlli sani, così che l’ipoalbuminemia non appare in realtà ricoprire un ruolo patogenetico diretto nella formazione del liquido ascitico [11].

A partire dagli anni ‘90, a seguito di una migliore comprensione delle alterazioni emodinamiche osservate nei pazienti con cirrosi avanzata, l’utilizzo clinico di albumina subì una profonda rivalutazione. Le fasi avanzate della cirrosi epatica, infatti, si caratterizzano per una condizione definita sindrome circolatoria iperdinamica, caratterizzata dalla diminuzione delle resistenze vascolari periferiche, dall’aumento compensatorio della gittata cardiaca e da manifestazioni sistemiche, quali ipotensione arteriosa e tachicardia [12].

Il primum movens di tale quadro è rappresentato dalla vasodilatazione arteriolare, per lo più a carico del distretto splancnico, risultato dell’aumentata produzione di sostanze (quali per esempio l’ossido nitrico – NO, il monossido di carbonio – CO, gli endocannabinoidi) che provocano vasodilatazione, sia in maniera diretta, sia compromettendo la risposta dei vasi agli stimoli vasocostrittori. Tale vasodilatazione arteriolare determina una diminuzione della cosiddetta volemia efficace (ipovolemia relativa) ed evoca una risposta compensatoria caratterizzata dall’attivazione del sistema renina-angiotensina-aldosterone (RAAS), del sistema nervoso simpatico (SNS) e dalla secrezione di arginina-vasopressina. Questo esita nell’aumento della ritenzione renale di sodio e acqua con progressivo accumulo di liquido a livello addominale per la presenza di ipertensione portale [13-15].

Dal punto di vista funzionale, quindi, il paziente con cirrosi epatica avanzata presenta un’espansione della volemia totale, che a fronte di una marcata riduzione delle resistenze vascolari periferiche (soprattutto splancniche) determina una riduzione della volemia efficace. Negli stadi più avanzati della malattia, inoltre, si assiste a una diminuzione della gittata cardiaca, suggerendo la progressiva insorgenza di una disfunzione cardiaca (cardiomiopatia cirrotica) [15]. Accanto alla formazione di ascite, queste alterazioni del sistema cardiocircolatorio (esacerbate da eventi acuti intercorrenti, di cui i più importanti sono tipicamente le infezioni batteriche) costituiscono la base fisiopatologica per lo sviluppo di altre severe complicanze della cirrosi epatica, quali la sindrome epato-renale (SER), la disfunzione circolatoria post-paracentesi (DCPP) e l’insufficienza renale in corso di peritonite batterica spontanea (PBS) [16].

Sulla base delle suddette considerazioni, il mantenimento e l’eventuale ripristino della volemia efficace rappresentano i principali interventi terapeutici da intraprendere nei pazienti con cirrosi epatica avanzata. Oggi l’albumina, infatti, viene somministrata ai pazienti con cirrosi al fine di espandere la volemia efficace, piuttosto che di aumentarne i livelli plasmatici e il suo utilizzo si è dimostrato efficace in diverse condizioni [7]. Diversi trial clinici hanno chiaramente dimostrato l’efficacia dell’albumina nel contrastare le alterazioni emodinamiche in corso di cirrosi avanzata, con un effetto dovuto non solamente all’espansione volemica, ma anche alle complesse interazioni con numerose cellule e sostanze ad azione pro-infiammatoria e vasodilatante (cellule del sistema immunitario e dell’endotelio, citochine, fattori del complemento, ossido nitrico) [17].

Allo stato attuale delle evidenze disponibili, l’infusione endovenosa di albumina trova indicazione in specifiche complicanze della cirrosi epatica, quali la prevenzione dell’insufficienza renale in corso di PBS, la SER e la DCPP (Tabella I), mentre il suo utilizzo nel trattamento cronico dell’ascite non è ancora supportato da solide evidenze scientifiche [18,19].

Complicanze della cirrosi

Dosaggi di albumina

Sindrome epatorenale

Diagnosi: 1 g/kg di peso corporeo (massimo di 100 g al giorno) per 2 gg consecutivi. La mancata risposta a tale trattamento, intesa come riduzione dei valori di creatinina al di sotto di 1,5 mg/dl, è necessaria ai fini della diagnosi di sindrome epatorenale

Terapia: 1 g/kg di peso corporeo in prima giornata, seguiti da una dose di mantenimento di 20-40 g al giorno associata a terlipressina per un massimo di 15 gg

Prevenzione dell’insufficienza renale dopo peritonite batterica spontanea

1,5 g/kg di peso corporeo il primo giorno dalla diagnosi e 1 g/kg di peso corporeo il terzo giorno

Prevenzione della disfunzione circolatoria post-paracentesi

8 g/l di ascite rimossa in caso di paracentesi evacuative superiori a 5 l

Tabella I. Prospetto degli usi e dei dosaggi dell’albumina attualmente indicati dalle linee guida internazionali

Peritonite batterica spontanea (PBS)

La PBS è una complicanza grave e frequente nei pazienti cirrotici con ascite che sviluppano un’infezione batterica del liquido ascitico. La diagnosi viene posta quando la conta dei granulociti neutrofili nel liquido ascitico supera i 250/mmc, escludendo altre infezioni intra-addominali o neoplasie maligne [20]. Anche in assenza di shock settico, la PBS può precipitare la disfunzione cardiocircolatoria, con lo sviluppo di severa insufficienza epatica, encefalopatia epatica e SER. La PBS si associa approssimativamente a una mortalità ospedaliera del 20% nonostante la risoluzione dell’infezione con terapia antibiotica [21-24].

Uno studio prospettico randomizzato ha dimostrato che l’infusione di alte dosi di albumina umana (1,5 g/kg di peso corporeo al momento della diagnosi, seguiti da 1 g/kg in terza giornata dalla diagnosi) in associazione alla terapia antibiotica (cefotaxime) hanno permesso di ridurre significativamente sia l’incidenza di SER di tipo 1 (dal 30% al 10%) sia la mortalità (intra-ospedaliera e a 3 mesi), rispetto alla sola terapia con cefotaxime [24].

Tuttavia, mentre l’efficacia della somministrazione di albumina nei pazienti con cirrosi epatica avanzata, definita da livelli di bilirubina totale > 4 mg/dl e di creatinina > 1 mg/dl, è apparsa indiscutibile, minore efficacia è stata osservata nei pazienti con insufficienza epatica moderata e assenza di disfunzione renale al momento della diagnosi [24,25]. Questi dati sembrano suggerire che l’utilizzo dell’albumina nella PBS possa essere riservato ai soli pazienti a più alto rischio di insufficienza epatica e renale [19,26]. Due studi successivi hanno mostrato una mortalità molto ridotta nei pazienti con PBS considerati a basso rischio di complicanze [27,28]. Ulteriore punto di dibattito è rappresentato dalla dose precisa da utilizzare. Un recente trial ha infatti dimostrato che anche un regime terapeutico con un più basso dosaggio di albumina (1,0 g/kg di peso corporeo al momento della diagnosi, seguiti da 0,5 g/kg in terza giornata) possiede un’efficacia equivalente nel ridurre l’incidenza di insufficienza renale [29].

In uno studio comparativo, l’albumina umana, al contrario dell’idrossietil-amido, si è dimostrata in grado di aumentare la pressione arteriosa e di abbassare i livelli di attività plasmatica della renina e di antigene correlato al fattore di von Willebrand, indicatori di disfunzione endoteliale, mentre solamente nei pazienti trattati con idrossietil-amido si osservava un aumento dei nitriti e nitrati sierici [30]. Tali evidenze, che necessitano di più approfondite conferme, suggeriscono che l’infusione di albumina possiede un effetto benefico sulla funzione endoteliale e circolatoria, in prima ipotesi verosimilmente connesso alle complesse proprietà non oncotiche della proteina, piuttosto che esclusivamente all’attività di espansione volemica [7].

A fronte delle suddette considerazione, le ultime linee guida della European Association for the Study of the Liver (EASL) raccomandano che tutti i pazienti con diagnosi di PBS ricevano albumina umana alla dose di 1,5 g/kg di peso corporeo alla diagnosi, seguiti da 1 g/kg di peso corporeo in terza giornata, in aggiunta alla terapia antibiotica [18]. L’attuale raccomandazione è oggi ulteriormente supportata dai risultati di una recente metanalisi riguardante 4 trial randomizzati controllati (288 pazienti), la quale ha confermato che l’infusione di albumina è in grado di ridurre l’incidenza di insufficienza renale e di aumentare la sopravvivenza dei pazienti affetti PBS [31].

Sindrome epatorenale (SER)

La SER è una forma potenzialmente reversibile di insufficienza renale che occorre nei pazienti con cirrosi avanzata e ascite, associata a una marcata disfunzione cardiocircolatoria. Nel 2007 i membri dell’International Club of Ascites (ICA) hanno ridefinito i criteri diagnostici per la SER (Tabella II) [32].

Criteri diagnostici

Sindrome epatorenale

  • Cirrosi con ascite
  • Cr > 1,5 mg/dl
  • Assenza di shock
  • Assenza di patologia del parenchima renale, indicata da: proteinuria > 500 mg/die, microematuria e/o reperti anormali all’ecografia
  • Non recente assunzione di farmaci nefrotossici
  • Assenza di miglioramento della funzione renale (calo delle albumine di sotto di 1,5 mg/dl) dopo almeno 2 gg di sospensione dei diuretici (se assunti) ed espansione tramite somministrazione di albumina da 1 g/kg/die a un massimo di 100 g/die

Sindrome epatorenale tipo I

  • Aumento della creatininemia ≥ 100% rispetto al valore di partenza fino a un valore maggiore di 2,5 mg/dl in meno di 2 settimane
  • Frequentemente precipitata da infezione batterica

Sindrome epatorenale tipo II

  • Peggioramento progressivo della funzione renale nel corso di settimane o mesi
  • Generalmente associata ad ascite refrattaria

Tabella II. Criteri per la diagnosi di sindrome epatorenale di tipo I e di tipo II secondo l’International Club of Ascites [32]

Tali criteri richiedono un livello di creatinina superiore a 1,5 mg/dl e l’esclusione di altre cause di insufficienza renale. In particolare, è fondamentale escludere una situazione di ipovolemia, definita come assenza di miglioramento dei livelli di creatinina (fino a valori inferiori a 1,5 mg/dl) dopo almeno due giorni di espansione della volemia con infusione di albumina (1 g/kg al giorno, fino a un massimo di 100 g/die) [18,32]. I membri dell’ICA concordano sul fatto che l’albumina umana, piuttosto che i cristalloidi, debba essere utilizzata per l’espansione volemica [32].

La SER può essere considerata come l’estrema manifestazione delle alterazioni emodinamiche della cirrosi epatica avanzata (Figura 1).

Lo sviluppo di SER, infatti, è correlato a una severa riduzione della volemia efficace con diminuzione della pressione arteriosa media. Queste alterazioni sono il risultato della marcata vasodilatazione arteriosa, per lo più a livello splancnico, e della compromessa funzione cardiaca (cardiomiopatia cirrotica). In queste condizioni, l’iperattivazione dei meccanismi di compenso (SNS, RAAS) provoca una intesa vasocostrizione intrarenale e un’alterata risposta di autoregolazione del flusso ematico renale, rendendo il glomerulo estremamente sensibile agli effetti deleteri di un eccessivo calo della pressione arteriosa media [32].

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Figura 1. Patogenesi della sindrome epatorenale in corso di cirrosi

La SER è classificata in due differenti forme: la SER di tipo 2 è caratterizzata da una moderata insufficienza renale (creatinina 1,5-2,5 mg/dl) con decorso lentamente progressivo; spesso si verifica spontaneamente ed è associata allo sviluppo di ascite refrattria e iponatremia. La SER di tipo 1 è caratterizzata da una rapida e severa insufficienza renale, definita come raddoppio dei valori iniziali di creatinina fino a livelli superiori a 2,5 mg/dl in meno di due settimane; spesso si manifesta a seguito di un evento precipitante (di solito un’infezione batterica, in particolare la PBS) e presenta prognosi peggiore. I pazienti con SER di tipo 2 possono anche sviluppare una SER di tipo 1, sia spontaneamente sia in seguito a eventi precipitanti [32].

La SER di tipo 1 presenta una prognosi molto grave, tanto che, se non trattata, circa il 90% dei pazienti muore entro due settimane. La terapia di combinazione con vasocostrittori sistemici (soprattutto terlipressina) e l’infusione di albumina umana è stata largamente utilizzata nell’ultima decade e si è dimostrata in grado di risolvere l’insufficienza renale in circa la metà dei casi. Questo approccio terapeutico è stato ritenuto capace di migliorare la funzione cardiocircolatoria dei soggetti con SER, contrastando la vasodilatazione e l’ipovolemia efficace, aumentando in ultimo la perfusione renale [33]. Inoltre, in modelli sperimentali di cirrosi epatica nel ratto, l’infusione di albumina ha dimostrato anche un effetto benefico diretto sulla funzione cardiaca [34].

Terlipressina, un analogo della vasopressina, è il farmaco vasocostrittore più studiato e utilizzato: diversi trial clinici randomizzati hanno dimostrato la sua efficacia in associazione all’infusione di albumina umana (1 g/kg o 100 g in prima giornata, seguiti da 20-40 g/die) [35-38]. Tali risultati sono stati ulteriormente confermati da una revisione sistematica degli studi clinici randomizzati disponibili, la quale ha evidenziato come la terapia di combinazione con vasocostrittori e albumina sia capace di risolvere l’insufficienza renale ed aumentare la sopravvivenza dei pazienti con SER di tipo 1; inoltre, tra i vari farmaci vasocostrittori, la terlipressina è risultato essere il più efficace [39]. Sfortunatamente, non vi è ancora universale consenso sulla dose ottimale di terlipressina e albumina da utilizzare e futuri studi dose-finding sono necessari e auspicabili [18].

Durante il trattamento della SER, il compenso emodinamico e respiratorio dei pazienti dovrebbe essere strettamente monitorato, sebbene il monitoraggio invasivo della pressione venosa centrale non sia mandatorio; inoltre, l’infusione di albumina deve essere interrotta nell’evenienza, comunque rara, di insorgenza di edema polmonare [32].

Se da un lato l’utilizzo dell’albumina è largamente raccomandato in entrambe le forme di SER, bisogna evidenziare che, negli studi clinici finora effettuati, solo un bassissimo numero di soggetti con SER di tipo 2 sono stati inclusi, e pertanto la somministrazione di terlipressina e altri vasocostrittori nella SER di tipo 2 rimane ancora fortemente controverso [18].

Disfunzione circolatoria post-paracentesi

La paracentesi evacuativa è l’attuale trattamento di scelta nella gestione dei pazienti cirrotici con ascite massiva o refrattaria alla terapia medica [18,19]. Sebbene la paracentesi evacuativa sia sufficientemente sicura in termini di basso rischio di complicanze locali, quali emorragie e perforazioni intestinali, la rimozione di grandi quantità di liquido addominale (di solito superiori a 5 l) può favorire l’insorgenza della disfunzione circolatoria post-paracentesi (DCPP). La DCPP è caratterizzata da un’esacerbazione dell’ipovolemia efficace e definita dall’aumento (> 50%) dell’attività plasmatica della renina 4-6 giorni dopo la paracentesi. Tale disfunzione circolatoria espone il paziente a un aumentato rischio di complicanze, quali il rapido riaccumulo di liquido a livello addominale, iponatriemia da diluizione, insufficienza renale e SER, con il risultato ultimo di una riduzione della sopravvivenza [40-42].

In diversi trial clinici randomizzati, l’infusione di albumina (8 g/l di liquido rimosso) è stata in grado di ridurre l’incidenza della DCPP e, in particolare, l’albumina si è dimostrata superiore ad altri espansori plasmatici (destrano e poligelina) in caso di evacuazione di liquido superiore a 5 litri [40-43]. In questo contesto, inoltre, l’utilizzo dell’albumina è risultato maggiormente efficace in termini di costo/beneficio, seppur paragonato a espansori plasmatici più economici, a causa della più bassa incidenza di complicanze post-paracentesi a seguito del suo utilizzo [44].

A supporto dell’utilizzo di albumina, tuttavia, una recente metanalisi dei principali trial randomizzati a opera di Bernardi et al. ha confermato una riduzione di incidenza di DCPP in misura maggiore rispetto ad altri espansori plasmatici o vasocostrittori [45-48] e, in ultimo, la capacità di migliorare l’outcome del paziente in termini di sopravvivenza [49].

Sulla base di tali evidenze, la somministrazione di 8 g di albumina per litro di liquido rimosso viene raccomandata, quando vengono drenati più di 5 litri di liquido ascitico, nelle più recenti linee guida sia europee sia americane [18,19].

Nel contesto della DCPP, infine, è stata recentemente valutata la possibilità di somministrare dosi più basse di albumina. Uno studio clinico randomizzato, svolto su 70 pazienti con cirrosi e ascite, ha recentemente dimostrato che l’efficacia nella prevenzione della DCPP di una dose dimezzata di albumina (4 g/l di ascite rimossa) è sovrapponibile a quella della dose standard, sia in termini di complicanze a breve termine (insufficienza renale e iponatriemia) sia in termini di sopravvivenza a 6 mesi [50]. Se confermati, questi risultati potrebbero, in futuro, portare a un’ottimizzazione delle risorse economiche nella gestione del paziente sottoposto a paracentesi evacuativa.

Trattamento dell’ascite

L’ascite è la più frequente complicanza della cirrosi epatica e la sua formazione implica un’importante progressione nella storia naturale della malattia, associandosi a un significativo peggioramento della prognosi. A oggi, il trattamento dell’ascite prevede l’utilizzo di terapia diuretica (basata fondamentalmente sugli antagonisti dell’aldosterone e, in seconda battuta, sui diuretici dell’ansa) in associazione alla restrizione idrica e a una dieta moderatamente iposodica, con il supporto, quando necessario e indicato, di paracentesi evacuative [16].

Stante il ruolo centrale dell’ipovolemia efficace nella patogenesi dell’ascite, quando l’albumina divenne disponibile come farmaco, furono condotti i primi studi clinici volti a indagarne l’efficacia in questo contesto clinico. Questi primi piccoli studi, condotti negli anni ‘60, fallirono nel tentativo di dimostrare una qualche utilità dell’infusione di albumina per il trattamento dell’ascite [51,52]. Sebbene il suo utilizzo non fosse supportato da alcuna evidenza, negli anni successivi l’albumina venne comunque diffusamente utilizzata in associazione ai diuretici [7].

Nel 1999, Gentilini et al. pubblicarono i risultati di uno studio clinico su 126 pazienti ospedalizzati, con cirrosi epatica e ascite, randomizzati a ricevere o meno basse dosi giornaliere di albumina (12,5 g/die) durante il ricovero e successivamente una dose cronica a domicilio (25 g/settimana), per un periodo di follow-up, la cui media risultò essere di 20 mesi. I risultati mostrarono che l’infusione di albumina era in grado di migliorare la risposta alla terapia diuretica, riducendo così il tempo di ospedalizzazione, e di prevenire la ricomparsa di ascite; non fu trovato, tuttavia, alcuna efficacia in termini di sopravvivenza [53]. Dall’analisi dei dati, inoltre, emerse anche che i benefici menzionati si osservavano solamente in quei pazienti che richiedevano una bassa dose iniziale di diuretici (minore di 200 mg di antialdosteronico e 25 mg di furosemide al giorno) e che l’albumina non aveva effetto nei pazienti con ascite refrattaria alla terapia medica. Dal punto di vista farmacoeconomico, l’analisi costo-beneficio dell’infusione di albumina si dimostrò favorevole solamente per il periodo di infusione ospedaliera e non per quello di infusione domiciliare, che risultò al contrario assai dispendiosa [53].

Nel 2006, con uno studio randomizzato su 100 pazienti con cirrosi, ospedalizzati per il primo episodio di scompenso ascitico e seguiti successivamente per un tempo medio di follow-up di 84 mesi, lo stesso gruppo di ricerca ha mostrato come l’infusione protratta di albumina (25 g/settimana per il primo anno, seguiti da 25 g ogni due settimane) fosse in grado di aumentare la sopravvivenza dei pazienti e ridurre la ricorrenza di scompenso ascitico [54]. Tuttavia, il basso numero di pazienti inclusi nello studio non permette di trarre conclusioni definitive sulla reale efficacia della somministrazione cronica di albumina per il trattamento dell’ascite.

Da allora, nessun altro trial randomizzato è stato condotto per valutare l’efficacia della somministrazione prolungata di albumina nel trattamento dell’ascite. Allo stato attuale, probabilmente anche a causa degli elevati costi, tale provvedimento terapeutico non rientra in nessuna delle raccomandazioni nazionali e internazionali per la gestione dell’ascite [7,18,19].

In Italia, tuttavia, l’Agenzia Italiana del Farmaco (AIFA), con l’introduzione della Nota 15, ha concesso la rimborsabilità del farmaco albumina, oltre che in caso di paracentesi evacuativa, anche in caso di «grave ritenzione idrosalina nella cirrosi ascitica, nella sindrome nefrosica o nelle sindromi da malassorbimento (ad es. intestino corto postchirurgico o da proteino-dispersione), non responsiva a un trattamento diuretico appropriato, specie se associata ad ipoalbuminemia e in particolare a segni clinici di ipovolemia». Tale formulazione ha consentito un utilizzo dell’albumina molto eterogeneo e talvolta inappropriato.

Al fine di chiarire l’effettiva utilità della somministrazione prolungata di albumina nel trattamento dell’ascite, un trial clinico no-profit, sponsorizzato dall’AIFA, multicentrico randomizzato e controllato (Studio A.N.S.W.E.R.” [55]), è attualmente in corso in Italia. Sulla base della numerosità campionaria (si prevede l’arruolamento di più di 400 pazienti con cirrosi e ascite, a metà dei quali saranno somministrati 40 g di albumina/settimana, in associazione alla terapia diuretica), lo studio si propone di valutare la reale efficacia dell’albumina nel trattamento dell’ascite, sia in termini di riduzione delle complicanze sia di sopravvivenza dei pazienti, oltre che determinare il rapporto costo-beneficio del suo utilizzo a lungo termine.

Altre infezioni batteriche (non PBS)

Le infezioni batteriche sono una complicanza piuttosto comune in corso di cirrosi epatica e rappresentano oggi la causa più frequente di ospedalizzazione e morte nei pazienti con malattia avanzata [26]. Sebbene lo sviluppo di insufficienza renale, il cui tipo più temibile è la SER di tipo 1, sia maggiormente frequente nelle infezioni batteriche intra-addominali (in particolare la PBS), anche altri tipi di infezione sono state associate al rischio di disfunzione renale [56-58].

Recentemente, uno studio randomizzato svolto su 110 pazienti con cirrosi e un episodio intercorrente di infezione batterica, ha mostrato come l’infusione di albumina (1,5 g/kg di peso corporeo alla diagnosi, seguiti da 1 g/kg di peso corporeo in terza giornata) in associazione alla terapia antibiotica possa migliorare il compenso circolatorio sistemico e preservare la funzionalità renale. Probabilmente a causa della tipologia di pazienti arruolati (per lo più pazienti a basso rischio, con moderata insufficienza epatica e funzione renale nella norma), non si è osservato alcun beneficio della somministrazione di albumina sulla sopravvivenza a 3 mesi. Tuttavia, all’analisi multivariata, la somministrazione di albumina si è dimostrata un fattore predittivo indipendente di sopravvivenza, quando quest’ultima veniva aggiustata per i noti predittori di sopravvivenza [59]. Sulla base di questa evidenza, è in corso di realizzazione uno studio multicentrico europeo sull’utilizzo dell’albumina in pazienti con cirrosi epatica avanzata e infezione batterica severa.

Al momento, a causa delle poche evidenze finora raccolte, non è possibile trarre conclusioni definitive sul beneficio dell’uso di albumina umana nelle infezioni batteriche e non è ancora possibile affermare con sicurezza che le infezioni batteriche non PBS richiedano la somministrazione di albumina.

Nuove prospettive di utilizzo

Proprietà non oncotiche dell’albumina

Negli ultimi anni, l’attenzione dei ricercatori si è spostata in maniera importante sullo studio delle cosiddette “proprietà non oncotiche dell’albumina”, quel complesso e variegato insieme di funzioni svolte dalla molecola proteica, compiutamente formata e circolante, non compreso nel ruolo di regolazione della pressione oncotica plasmatica (Figura 2).

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Figura 2. Principali proprietà non oncotiche dell’albumina

L’albumina lega e trasporta un gran numero di molecole idrofobiche (metalli, acidi grassi, farmaci, prodotti metabolici) con implicazioni su solubilità, trasporto e metabolismo di molte sostanze endogene ed esogene. Inoltre, molti tossici sono neutralizzati e catabolizzati proprio grazie al loro legame con la molecola di albumina.

L’albumina è anche la principale fonte extracellulare di gruppi sulfidrilici ridotti (-SH), i quali agiscono come potenti scavenger delle specie reattive dell’ossigeno (ROS) e costituiscono quindi il principale sistema antiossidante dell’organismo [5]. Nell’individuo adulto sano, circa il 70-80% dell’albumina circolante possiede un gruppo sulfidrilico libero sul residuo aminoacidico cisteina 34 (Cys 34), e tale molecola prende il nome di mercaptoalbumina. Circa il 25%, invece, presenta il residuo Cys 34 impegnato nella formazione di ponti disolfuro con composti plasmatici che possiedono gruppi -SH (cisteina, omocisteina, glutatione), a formare la cosiddetta non-mercaptoalbumina 1. Infine, una piccola parte circola con il residuo Cys 34 ossidato, in maniera completa e irreversibile, ad acido sulfonico o sulfinico (non-mercaptoalbumina 2: albumina-SOH). In corso di patologie croniche come diabete, insufficienza renale e cardiopatia ischemica cronica, la frazione di albumina ossidata aumenta in maniera significativa, con il risultato di un’importante riduzione della quota disponibile per un’efficace detossificazione dei radicali liberi.

L’albumina possiede anche funzioni antinfiammatorie: è coinvolta infatti nella regolazione delle vie di segnalazione tra cellule infiammatorie, soprattutto granulociti neutrofili e cellule endoteliali, attraverso l’inibizione reversibile, secondo modalità ancora largamente oggetto di studio, di citochine come il TNF-alpha e i fattori del complemento [60-62].

È stato inoltre identificato un ruolo dell’albumina nei processi di coagulazione e di regolazione della funzione endoteliale. Tali proprietà sono attribuibili all’interazione tra i gruppi sulfidrilici della molecola proteica e l’ossido nitrico (NO), con la formazione di complessi stabili S-nitroso-tiolici. Tali composti, la cui esatta funzione è ancora oggetto di dibattito, sembrano svolgere un ruolo non secondario nella regolazione dell’aggregazione piastrinica e della vasodilatazione (impedendo una rapida inattivazione del NO) [62].

Infine, l’albumina è coinvolta nella regolazione dell’equilibrio acido-base: i 16 residui di istidina presenti nella sua struttura molecolare, con i relativi anelli imidazolici in grado di cedere o legare ioni H+ per piccole variazioni di pH, le conferiscono un ruolo di primaria importanza tra i sistemi tampone extra- cellulari [63].

L’identificazione di una correlazione clinica tra modificazioni patologiche dell’albumina e sviluppo di complicanze in corso cirrosi epatica potrebbe aprire scenari estremamente interessanti in campo terapeutico.

Sistemi di dialisi con albumina

L’azione detossificante dell’albumina può essere almeno parzialmente vicariata in modo artificiale, attraverso sistemi basati sulla dialisi con albumina [64,65]. Due procedure strumentali, in particolare, sono state sviluppate e sottoposte a valutazioni e studi: il Molecular Adsorbent Recirculating Systems (MARS) e il Fractionated Plasma Separation and Adsorption (Prometheus), basati entrambi sulla rimozione delle sostanze tossiche legate all’albumina. Essi combinano un circuito dialitico convenzionale con un secondo circuito riempito con una soluzione di albumina al 20% (nel caso del MARS) o con un secondo filtro contenente albumina (nel caso del sistema Prometheus) [7].

Entrambe le procedure sono state impiegate, presso centri specializzati, per pazienti con insufficienza epatica acuta, insufficienza epatica su epatopatia cronica (Acute-on-Chronic Liver Failure, ACLF), prurito intrattabile, insufficienza epatica post-resezione chirurgica, disfunzione primaria del fegato trapiantato. I due sistemi hanno mostrato una buona efficacia sull’emodinamica sistemica, sull’encefalopatia di grado severo e sulla rimozione di molecole tossiche, sebbene non siano per ora stati registrati impatti significativi sugli esiti maggiori, come per esempio la sopravvivenza [66,67]. Sono quindi necessari e altamente auspicabili ulteriori studi, principalmente orientati a identificare quei sottogruppi di pazienti che potrebbero maggiormente beneficiare di tali sistemi di detossificazione: pazienti con malattia epatica avanzata (MELD score 30) e SER di tipo 1, ad esempio, hanno presentato un miglioramento della sopravvivenza quando trattati con il sistema Prometheus [65].

Trattamento dell’encefalopatia

Le proprietà non oncotiche dell’albumina devono essere tenute in considerazione anche per spiegare gli effetti benefici arrecati dal suo utilizzo in caso di encefalopatia epatica, una condizione dalla fisiopatologia complessa, comprendente infiammazione, liberazione di ROS e disfunzione dell’endotelio e delle pareti dei vasi sanguigni.

Si ipotizza, infatti, che il ruolo detossificante e di scavenger della proteina possa in qualche modo agire sulla complessa fisiopatologia dell’encefalopatia [68]. Jalan et al. hanno suggerito per primi un possibile ruolo terapeutico dell’albumina in corso di encefalopatia epatica, studiando la risposta all’albumina in pazienti con encefalopatia indotta da diuretici. I soggetti studiati sono stati sottoposti a espansione volemica, gli uni tramite una soluzione contenente albumina, gli altri con colloidi. In entrambi i gruppi di pazienti si è ottenuto un beneficio clinico e laboratoristico, sebbene i pazienti a cui era stata infusa albumina mostrassero un più marcato miglioramento dell’encefalopatia epatica, accanto a una riduzione dei marcatori plasmatici di stress ossidativo [69].

Hassanein et al., invece, hanno utilizzato la dialisi con albumina, secondo il sistema MARS, associata alla terapia medica standard su pazienti affetti da encefalopatia epatica, con risultati che indicano un potenziale beneficio di questa innovativa tecnica [70].

Implicazioni per ulteriori ricerche

Nei prossimi anni, la ricerca nel campo dell’utilizzo dell’albumina nel paziente con cirrosi epatica dovrà essere volta a chiarire numerose problematiche ancora aperte:

  • efficacia e rapporto costo/beneficio nel trattamento dell’ascite;
  • utilità della somministrazione di albumina nella gestione delle infezioni batteriche diverse dalla peritonite batterica spontanea;
  • efficacia e rapporto costo/beneficio nel trattamento dell’encefalopatia epatica;
  • auspicabili dose-finding studies finalizzati alla ricerca della più bassa dose efficace e studi volti ad una migliore stratificazione prognostica dei pazienti anche nei contesti in cui l’utilizzo dell’albumina è già raccomandato.

La revisione in breve

Quesito clinico

In questa revisione ci proponiamo di trattare le problematiche legate al corretto impiego clinico dell’albumina nelle complicanze della cirrosi epatica, considerando anche le prospettive future del suo impiego

Tipo di revisione

Narrativa

Conclusioni

Le conoscenze fino a oggi acquisite indicano che l’efficacia terapeutica dell’albumina non è solamente legata alle sue proprietà oncotiche e di espansore volemico, ma possibilmente anche ad una serie di proprietà definite “non oncotiche”, quali trasporto e detossificazione di sostanze sia endogene che esogene, neutralizzazione di composti pro-ossidanti, regolazione della permeabilità vascolare, dell’equilibrio acido-base e dell’emostasi.

Nel contesto della cirrosi epatica scompensata, le linee guida internazionali sono concordi nel raccomandare l’utilizzo dell’albumina in caso di paracentesi evacuative con drenaggio di liquido addominale superiore a 5 litri, peritonite batterica spontanea ed sindrome epatorenale. Quando utilizzata correttamente seguendo le attuali evidenze, l’albumina ha mostrato un rapporto costo/beneficio favorevole. Accanto a tali indicazioni, l’efficacia dell’albumina è attualmente in studio nel trattamento dell’ascite, nelle infezioni batteriche differenti dalla peritonite batterica spontanea, nell’encefalopatia epatica e nell’ambito dei sistemi di dialisi con albumina.

Aree grigie

  • Nonostante sia stata utilizzata in questo contesto per oltre 50 anni, a causa dell’assenza di evidenze conclusive al riguardo, l’efficacia della somministrazione prolungata di albumina nel trattamento dell’ascite è ancora dibattuta
  • Sebbene l’efficacia dell’albumina complicanze della cirrosi epatica sopra descritte sia chiaramente dimostrata, la selezione dei pazienti ed i dosaggi utilizzati nei vari studi clinici sono state spesso scelti in maniera arbitraria
  • Non sono ancora disponibili analisi farmacoeconomiche che definiscano i contesti nei quali l’utilizzo dell’albumina risulti favorevole in termini di costo/beneficio
  • La sempre più profonda conoscenza dei meccanismi fisiopatologici alla base di alcune complicanze della cirrosi epatica, unitamente a quella delle proprietà non oncotiche dell’albumina, sta ponendo le basi per un più ampio utilizzo terapeutico dell’albumina

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