RHC 2013;4(Suppl 1)5-17.html

Reviews in Health Care 2013; 4(Suppl 1): 5-17

Congress report

Epidemiologia delle infezioni fungine e fattori di rischio in pazienti in età neonatale

Epidemiology of fungal infections and risk factors in newborn patients

Paolo Manzoni 1

1 Presidente, Academy of pediatric and neonatal fungal infections. SC Neonatologia e TIN, Ospedale S. Anna, Torino

Abstract

The incidence of fungal infections among newborn babies is increasing, owing mainly to the in­creased ability to care and make survive immature infants at higher specific risk for fungal infections. The risk is higher in infants with very low and extremely low birth weight, in babies receiving total parenteral nutrition, in neonates with limited barrier effect in the gut, or with central venous catheter or other devices where fungal biofilms can originate. Also neonates receiving broad spectrum antibiotics, born through caesarian section or non-breastfed can feature an increased, specific risk.

Most fungal infections in neonatology occur in premature children, are of nosocomial origin, and are due to Candida species. Colonization is a preliminary step, and some factors must be considered for the diagnosis and grading process: the iso­lation site, the number of colonized sites, the intensity of colonization, and the Candida subspecies. The most complicated patients are at greater risk of fungal infections, and prophylaxis or pre-emptive therapy should often be considered. A consistent decisional tree in neonatology is yet to be defined, but some efforts have been made in order to identify characteristics that should guide the prophylaxis or treatment choices. A negative blood culture and the absence of symptoms aren’t enough to rule out the diagnosis of fungal infections in newborn babies. Similarly, laboratory tests have been validated only for adults. The clinical judgement is of utmost importance in the diagnostic process, and should take into account the presence of clinical signs of infection, of a severe clinical deterioration, as well as changes in some laboratory tests, and also the presence and characteristics of a pre-existing fungal colonization.

Keywords

Fungal infections; Neonatology; Risk factors; Candida; Premature children; Colonization

Corresponding author

Paolo Manzoni

paolomanzoni@hotmail.com

Disclosure

Il presente Congress Report è stato supportato da Astellas Pharma SpA

Infezioni fungine in neonatologia

Epidemiologia

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Figura 1. Incidenza di infezioni fungine invasive nei neonati pretermine: trend storico. Modificato da [2]

L’inquadramento generale del problema delle infezioni da funghi (IF) non può prescindere dalla considerazione che occorre avere nozioni di epidemiologia di questo problema sia in pediatria sia in neonatologia. Bisogna, infatti, avere sempre ben presenti i fattori di rischio, perché nell’infezione fungina si instaura sempre un’interazione tra ospite e microorganismo patogeno: in questa interazione le condizioni dell’ospite giocano un ruolo decisivo poiché l’insorgenza dell’infezione è fortemente influenzata dalla presenza di fattori di rischio dell’ospite.

In letteratura le infezioni vengono suddivise in early onset o late onset, cioè precoci o tardive [1]. Le IF sono tipicamente tardive, sebbene alcune, piuttosto rare, siano precoci per trasmissione verticale. La maggioranza delle IF deriva da acquisizione nosocomiale, da un primo contatto con il fungo che evolve verso una colonizzazione e quindi verso l’infezione: tali infezioni si verificano dopo i 3 giorni di vita e prima dei 60-90 giorni, a seconda delle casistiche.

Il trend di incidenza è in aumento nel corso degli anni, come evidenziato dalla Figura 1: tali dati sono ormai storici perché relativi agli anni ’80 e ’90, periodo in cui la neonatologia ha conosciuto un notevole sviluppo, con l’acquisizione di capacità assistenziali anche per neonati che prima non venivano trattati [2].

Nella Figura 2 è possibile notare l’influenza del peso corporeo del neonato sull’incidenza di candidemia.

A livello epidemiologico l’incidenza delle IF in neonatologia è difficile da determinare, data la grande variabilità tra le diverse unità di terapia intensiva neonatale (NICU) attestata in letteratura. Ciò dipende innanzitutto dal fatto che gli studi quasi sempre riportano solo l’incidenza delle infezioni con emocoltura positiva (quindi delle infezioni del torrente sanguigno), sebbene debbano essere considerate come infezioni anche alcune situazioni diverse dal semplice isolamento all’emocoltura, come ad esempio le meningiti, le infezioni delle vie urinarie e l’isolamento da siti sterili come il liquido peritoneale o il lavaggio bronco-alveolare (BAL).

Inoltre gli studi spesso presentano elementi molto variabili, quali l’eventuale forma di profilassi effettuata (ad esempio con nistatina o con probiotici) e l’uso di antibiotici (alcuni favoriscono lo sviluppo di IF, mentre altri non influiscono su questo aspetto).

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Figura 2. Incidenza di candidemia nei neonati pretermine negli USA. Modificato da [3]

Un’altra criticità riguarda la popolazione in cura: secondo i dati pubblicati, in alcuni centri del nord-Europa il tasso di IF è quasi nullo, ma analizzando attentamente gli studi, si scopre che i prematuri di 26 settimane non vengono rianimati. Pertanto, escludendo dalle statistiche i soggetti più piccoli, che sono maggiormente a rischio, le incidenze risultano decisamente minori. Laddove invece si riscontri una grande frequenza di neonati con patologie complicate, ad esempio chirurgiche, l’incidenza può aumentare.

Nella pratica clinica è consigliabile considerare operativamente come IF nel neonato anche gli isolamenti urinari e la positività del catetere venoso centrale: benché diverse da un’emocoltura, si tratta comunque di situazioni che rappresentano una porta d’ingresso per l’infezione.

È utile, inoltre, mantenere una sorveglianza sull’ecologia praticando delle colture per verificare l’eventuale presenza di colonizzazioni, individuare la tipologia di paziente che ne è colpita e prendere i provvedimenti del caso.

Il gruppo di ricerca della SC di Neonatologia dell’Ospedale Sant’Anna di Torino [4] ha calcolato l’aumento di incidenza di candidemia comprendendo, oltre alla semplice positività dell’emocoltura, tutte le situazioni in cui è stato riscontrato un isolamento urinario, tutti i casi in cui è stato effettuato un trattamento antifungino empirico (ad esempio in conseguenza della somministrazione al paziente di diversi antibiotici) e le IF mascherate dall’uso di nistatina (Figura 3).

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Figura 3. Incidenza di candidemia a seconda del criterio di diagnosi adottato. Modificato da [4]

In base ai risultati di questo studio, il tasso di incidenza aumenta dal 2%, sino al 9%. Si conferma, quindi, la difficoltà nell’effettuare una corretta stima del reale peso delle IF, che rimangono almeno in parte sottodiagnosticate.

A livello epidemiologico, calcolando sia il tasso di incidenza presumibile in Europa (basato sulle nascite e sui prematuri stimati in UE), sia le conseguenze di un’IF, si stimano circa 8.000 casi/anno di IF nel neonato, con oltre 2.000 decessi e oltre 4.000 neonati che come conseguenza dell’infezione sviluppano tardivamente deficit neurocomportamentale o neurosensoriale di vario grado. Si tratta di cifre molto elevate, che corrispondono teoricamente al numero di nati annui del Lussemburgo.

Fattori di rischio

La presenza di pazienti nettamente più a rischio ha determinato un forte aumento delle IF. Il basso peso alla nascita è un fattore di rischio molto importante, come dimostra il fatto che oggi le IF sono particolarmente presenti nella categoria dei neonati più piccoli, cioè quelli con peso alla nascita < 1.000 g: in tali gruppi, l’incidenza, a seconda delle casistiche, è situabile tra 5% e 10% e dipende fortemente dall’età gestazionale e dal peso alla nascita (percentile). In effetti nei bambini con peso > 1.000 g l’incidenza è decisamente più bassa, intorno al 2-3% [3].

Il neonato è di per sé un paziente a rischio, perché ha una condizione di immunodepressione e di immaturità del sistema immunitario particolare. In realtà su alcuni aspetti risulta favorito, perché questa condizione è destinata a risolversi in tempi piuttosto brevi: nel momento in cui il bambino esce dalla fase di prematurità, non ha più – in genere – condizioni di rischio così gravi per l’infezione da Candida. In questo si differenzia da altri pazienti, che possono rimanere in tali condizioni di aumentato rischio anche per mesi.

Tuttavia il neonato presenta alcuni aspetti peculiari: uno di questi è la capacità di alimentarsi. Se il neonato non si alimenta per via orale ed è in Total Parenteral Nutrition (TPN), il rischio di insorgenza di IF è decisamente più elevato: infatti una serie di condizioni legata al dismicrobismo intestinale e alla mancanza di fattori trofici e nutritivi del latte materno influenza pesantemente la capacità dei funghi di colonizzare l’intestino. Vi è una grande frequenza delle localizzazioni d’organo e soprattutto del coinvolgimento del SNC, problema di grande rilievo.

Nei neonati è utile ricordare la regola del 90% [5-7]:

  • 90% delle infezioni da funghi avvengono in prematuri; il neonato a termine ne è praticamente esente a meno di situazioni peculiari;
  • 90% di IF sono causate da specie di Candida; le infezioni da Aspergillus possono presentarsi, ma sono rarissime, e le infezioni da altri funghi sono poco più che aneddotiche;
  • 90% originano da acquisizione nosocomiale e quindi non da trasmissione verticale.

Inoltre bisogna tenere presente che le infezioni da Candida albicans sono le predominanti (58%), quelle da C. parapsilosis hanno un ruolo importante (34%), mentre le altre hanno un ruolo decisamente più limitato [3]. La C. albicans, però, presenta la mortalità maggiore e dà più facilmente problemi sia nel breve sia nel lungo termine. La C. parapsilosis è molto meno letale, per quanto in certi ambiti il suo isolamento sia in incremento.

La corretta identificazione dei diversi fattori di rischio presenti nel singolo paziente a rischio deve guidare il medico nella scelta della strategia più corretta. A titolo esemplificativo si riportano di seguito i dati relativi a quattro diverse tipologie di pazienti a rischio.

Nel caso 1 il paziente ha 2 giorni di età ed è nato a 23 settimane. È intubato, ha dei cateteri ombelicali, è in nutrizione parenterale ed è sottoposto a terapia antibiotica. Si tratta di un neonato a rischio soprattutto per via della sua prematurità di 23 settimane.

Nel caso 2 il bambino ha 10 giorni di età, è nato a 28 settimane, ha la Necrotizing EnteroColitis (NEC), è intubato, ha un Peripherally Inserted Central Catheter (PICC), viene nutrito per via parenterale e gli vengono somministrati antibiotici. In questo caso il principale fattore di rischio è la NEC.

Il caso 3 riguarda un bambino di un giorno di età, nato di 30 settimane, con sepsi da E. coli, intubato, con catetere ombelicale e al quale vengono somministrati gentamicina e cefotaxime. Si tratta di un soggetto a rischio di IF perché ha già una sepsi batterica, che richiede antibiotici ad ampio spettro, e criticità generale.

Il caso 4 si riferisce a un bambino di 21 giorni, nato a 26 settimane, sottoposto a ventilazione meccanica a pressione positiva delle vie aeree (CPAP), con catetere PICC, nutrizione parenterale e affetto da batteriemia da stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS). Questo paziente è a rischio di IF perché ha un catetere venoso centrale (CVC), è in nutrizione parenterale totale e presenta una batteriemia da stafilococchi coagulasi-negativi (CoNS).

In tutti questi casi di pazienti a rischio, una profilassi sarebbe assolutamente necessaria.

Tanto più il neonato è critico, quanto più rischia di acquisire un’IF, cioè un evento che rende la sua condizione clinica ancora più critica. A conferma di ciò, esistono dati molto precisi che riguardano la relazione stretta tra un insulto ipossico e lo sviluppo di IF [8]: con un insulto ipossico, evento molto frequente nei neonati pretermine o in quelli a termine con sofferenza perinatale, si riscontra un incremento verticale della localizzazione nei linfonodi mesenterici (Figura 4), mentre rimane invariata la colonizzazione intestinale.

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Figura 4. Rapporto tra insulto ipossico e infezione fungina secondo quanto rilevato a livello di colonizzazione intestinale (A) e di localizzazione nei linfonodi mesenterici (B). Modificato da [8]

CAF2 = C. albicans wild type; HLC54 = C. albicans con mutazione del gene

Inoltre va considerato l’aspetto del dismicrobismo intestinale. Il serbatoio enterico è il principale reservoir per i funghi, da cui quasi sempre iniziano a colonizzare, e da cui disseminano, nel neonato, molto più frequentemente che da altri siti. Il neonato ha un suo progetto di colonizzazione intestinale, di eumicrobismo, che, in un sistema ideale, prevede determinati passaggi. Nel sistema reale, però, se il neonato nasce prematuro, se nasce da parto cesareo invece che da parto spontaneo, se, dopo la nascita, anziché essere allattato al seno nella sua stanza, è ricoverato in un reparto di terapia intensiva in un’incubatrice e se, ad esempio, viene esposto ad antibiotici ad ampio spettro, il progetto che la natura aveva previsto non può fare il suo corso. Ciò porta a inevitabili conseguenze sulla colonizzazione intestinale: quella naturale, fisiologica, prevedrebbe che dopo 2-3 giorni di assestamento si instaurasse una flora prevalentemente bifidogena e di lattobacilli, acquisita dal neonato sia con il passaggio nel canale vaginale con il parto spontaneo, sia con l’allattamento al seno (con il latte materno, che non è sterile, vengono acquisiti infatti bifidobatteri e lattobacilli, i cosiddetti “microorganismi buoni”), ma se ciò non avviene, il neonato va incontro a dismicrobismo.

I “microorganismi buoni”, probiotici, svolgono delle funzioni specifiche nell’intestino a tutte le età, e in modo particolare nel neonato: stimolano, per esempio, la produzione di IgA sieriche e di parete, svolgono un’azione di killing nei confronti di patogeni nel lume intestinale tramite la produzione di peptidi e riescono a competere per l’adesione agli enterociti con i patogeni, impedendo quindi che il patogeno vada a ledere l’enterocita e facilitando la dismissione, tramite le feci, del patogeno stesso. Ovviamente l’assenza di queste azioni crea un problema, tanto maggiore in considerazione del fatto che il passaggio chiave per la patologia fungina è proprio l’adesione agli enterociti da parte dei patogeni.

L’adesione alla mucosa enterica è infatti il primo step con il quale il fungo inizia a interferire con la salute dell’ospite. I passaggi sono:

  • adesione;
  • invasione;
  • formazione dei microascessi;
  • invasione dei tessuti profondi;
  • disseminazione [9].

Tale processo è regolato da fattori quali il numero e la virulenza degli organismi, ma soprattutto la risposta dell’ospite, in cui si include anche l’effetto barriera costituito dall’ecosistema intestinale “buono”: tutta la flora commensale enterica agisce nel suo complesso come una barriera che previene la colonizzazione e in seguito tutti i passaggi della patologia fungina [9].

Se tale effetto barriera manca, come avviene nel neonato prematuro, non è possibile bloccare la successione degli eventi (l’adesione e la successiva disseminazione). Per esempio neonati con gastroschisi, onfalocele, enterocolite necrotizzante o perforazione intestinale non hanno più un effetto barriera intestinale, ma attraverso queste lesioni presentano una contiguità tra flora saprofitica o patogena dell’intestino e torrente circolatorio, corrono quindi un altissimo rischio di infezioni da funghi. Si tratta di situazioni quasi estreme ma altamente paradigmatiche [10-12].

La barriera acida gastrica rappresenta un sistema primitivo di difesa naturale: quando al neonato, che ha una secrezione acida più bassa dell’adulto, viene impedita la secrezione acida con l’uso di H2-antagonisti, la barriera diventa ancora più debole: ciò correla con lo sviluppo di infezioni, anche fungine [13].

Come accennato in precedenza, una ulteriore variabile che interferisce con l’ecosistema intestinale e con lo sviluppo di funzioni enteriche normali è legata al latte materno, il nutrimento naturale che un neonato assumerebbe secondo il progetto di madre natura: esso è ricco di fattori trofici, difensivi e antinfiammatori, che hanno il loro bersaglio d’azione, almeno nelle prime fasi di vita, tipicamente nell’intestino. Grazie a questi fattori, l’intestino si sviluppa, gli enterociti acquisiscono le capacità di proliferazione e assorbimento e ricoprono la parete intestinale: il neonato possiede così, dopo qualche settimana, anche le capacità difensive.

Il latte materno contiene moltissime sostanze che hanno una vera e propria azione antinfettiva, come riportato nel box, ed esiste una documentata correlazione tra quantità di latte materno fresco ingerito e rischio infettivo: tanto più latte materno il neonato assume, quanto meno è soggetto a infezioni [17,18]. Ciò è dovuto a molti fattori: il latte materno fresco, per esempio, è ricco di sostanze antinfettive e di sostanze eutrofiche per l’intestino. In ultima analisi, quindi, il latte materno garantisce tutte le condizioni per determinare il normale sviluppo sia dell’ecosistema del bambino, sia della mucosa intestinale capace di prevenire l’adesione e la traslocazione, passaggio precedente alla disseminazione dei patogeni intestinali.

Sostanze antinfettive presenti nel latte materno [14-16]

  • Linfociti
  • Macrofagi
  • Neutrofili polimorfonucleati (PMN)
  • Lattoferrina
  • Lattoperossidasi
  • Lisozima
  • IgA, IgG e IgM
  • Citochine
  • Interferone
  • Oligosaccaridi
  • Fattore bifido
  • PAF AH (platelet-activating factor acetylhydrolase)
  • Vitamina E
  • Beta-carotene
  • Acido ascorbico

Perciò, qualora manchino le condizioni per uno sviluppo normale dell’intestino del neonato, sia come trofismo sia come ecosistema, il neonato va identificato come ad altissimo rischio di IF.

A proposito dell’ecosistema intestinale, occorre ricordare che l’antibioticoterapia, tanto più se usata in maniera massiccia, interferisce con l’ecosistema. Nel caso dei neonati pretermine, quasi il 50% riceve une terapia antibiotica nei primi giorni di vita [19]: non è strano, quindi, che molti di loro sviluppino una colonizzazione da funghi.

La colonizzazione, pur essendo uno step ancora lontano dall’infezione, rimane comunque un passaggio strettamente necessario nell’evoluzione verso la patologia infettiva. Anche in questo ambito gli studi riportano una discreta variabilità di cifre, ma il dato importante riguarda il trend, che dopo qualche settimana diventa molto chiaro, secondo il quale fino al 50% dei neonati con peso < 1.500 g può venire colonizzato da una specie fungina nelle prime settimane di vita [20-22]. La Figura 5 riflette tale andamento e presenta un picco intorno alle 3-4 settimane, sottolineando pertanto la possibilità che fino al 40-50% dei neonati pretermine entro 1 mese/1 mese e mezzo di vita rischi di presentare una colonizzazione da funghi.

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Figura 5. Trend di insorgenza di colonizzazione fungina nei neonati prematuri nelle NICU (naïves vs trattati con fluconazolo). Modificato da [20]

DOL = giorno di vita; DOR = giorno di ricovero

Infine un fattore di rischio importante è costituito dal biofilm. Il biofilm si forma sull’endotelio (es. nelle valvole cardiache o laddove ci siano anomalie anatomiche dell’albero vascolare), ma soprattutto nei device, cioè negli strumenti protesici (es. catetere, drenaggi, ecc.), specialmente a contatto con il torrente circolatorio o con il liquido peritoneale o il liquido pleurico, assimilabili al torrente circolatorio [23].

Il biofilm ha una tipica malignità, perché una volta formato è molto difficile da eradicare e può rimanere silente per diverso tempo: diventa un fattore condizionante la progressione della malattia fungina, e bisogna averne ben chiaro il sospetto diagnostico in determinate situazioni.

Fattori di rischio per la progressione dalla colonizzazione all’infezione

Fattori di rischio correlati al paziente

  • Condizioni cliniche sottostanti: APACHE, CRIB, APGAR score
  • Intervento chirurgico concomitante (soprattutto GA)
  • Concomitante profilassi antifungina
  • Rottura della pelle o delle mucose
  • Rottura della barriera intestinale
  • Medicazioni concomitanti
  • Device meccanici/manovre invasive

Fattori di rischio correlati all’organismo

  • Sito anatomico (tipo di sito)
  • Intensità (numero di siti)
  • Timing
  • Specie

Gestione e grading

Nella gestione del neonato con colonizzazione, sono stati elaborati alcuni concetti generali validi sia in neonatologia, sia in altri ambiti pediatrici o degli adulti.

La sede di isolamento è importante [24]: per esempio un isolamento cutaneo ha un peso diverso rispetto a un isolamento da catetere di drenaggio pleurico. Contano anche il numero di siti colonizzati [25], l’intensità della colonizzazione (non sempre facilmente misurabile) [26] e la tipologia di Candida coinvolta: C. albicans rimane la più temibile rispetto alle altre sottospecie.

I fattori che possono comportare una tipologia di rischio maggiore o minore di progressione verso l’infezione (v. box) costituiscono a tutt’oggi oggetto di dibattito: alcuni di questi fattori possono essere d’ausilio nell’identificazione del paziente maggiormente a rischio di progredire.

Per una corretta gestione del neonato con colonizzazione è opportuno ricordare che il paziente critico tende a progredire verso una condizione di maggiore criticità. Per esempio un neonato neutropenico in terapia con antibiotici ad ampio spettro e H2-antagonisti, intubato e con un catetere centrale, se colonizzato presenta un rischio decisamente maggiore del neonato nella sua stanza, nutrito con allattamento al seno, del peso di 1.600 g, con dimissione normalmente prevista entro una settimana al quale viene isolata una Candida dal tampone rettale. Mentre per il secondo neonato è sufficiente somministrare dei probiotici, al primo neonato, già in condizioni critiche, occorre monitorare in maniera molto assidua lo stato di colonizzazione e devono essere considerate la profilassi o la terapia pre-emptive.

Con l’identificazione delle varie tipologie di colonizzazione e del rischio legato a esse, è stato possibile quantificare (attribuendo degli odds ratio) il rischio di progressione legata alla colonizzazione di un certo tipo di device o di sito (Tabella I).

Autore

Setting

Siti

Magill, 2006 [21]

SICU

Urine (OR = 2,86)

Manzoni, 2006 [27]

NICU

CVC (OR = 10,8)

Sandford, 1980 [28]

BMT-leucemia

Secrezioni respiratorie (p < 0,01)

Rowen, 1994 [29]

NICU

Tubo endotracheale (OR = 3,5)

Tabella I. Siti anatomici di colonizzazione e predittività dell’invasività: alcuni esempi in letteratura

BMT = trapianto di midollo osseo; CVC = catetere venoso centrale; NICU = unità di terapia intensiva neonatale; SICU = unità di terapia intensiva chirurgica

In questo senso molto è stato fatto in ambiti intensivologici diversi dalla neonatologia (Tabella II): ad esempio nei lavori di Pittet su pazienti adulti in terapia intensiva chirurgica [30], si identificano i pazienti a rischio mediante l’attribuzione di un punteggio di colonizzazione, cioè un grading di gravità della colonizzazione stessa, che di per sé costituisce un elemento sufficiente per operare la scelta di intraprendere una terapia antifungina sistemica.

Autore

Setting

Indice di colonizzazione*

Agvald-Ohman, 2008 [22]

ICU

IC > 0,5 (OR = 2,95); IC > 0,8 (OR = 3,72)

Pittet, 1994 [30]

SICU

Valore predittivo compreso tra 66% e 100% (se > 3 siti colonizzati)

Safdar, 2002 [31]

BMT

OR = 4,1 (se > 3 siti colonizzati)

Manzoni, 2007 [25]

NICU

OR = 6,1 (se > 3 siti colonizzati)

El-Masry, 2002 [26]

NICU

OR = 12,1 (se > 4 siti colonizzati)

León, 2006 [32]

ICU

OR = 3,04 (“colonizzazione multifocale”)

Tabella II. Intensità di colonizzazione e predittività dell’invasività: alcuni esempi in letteratura

*L’indice di colonizzazione da Candida è il rapporto tra il numero di siti corporei distinti colonizzati con ceppi identici sul numero totale di siti corporei distinti testati

BMT = trapianto di midollo osseo; ICU = unità di terapia intensiva; NICU = unità di terapia intensiva neonatale; SICU = unità di terapia intensiva chirurgica

In neonatologia, purtroppo, non si è ancora giunti a questo livello di standardizzazione diagnostica in tema di colonizzazione e relativo grading.

La colonizzazione rappresenta un aspetto critico anche in relazione alla sua posizione: diventa, infatti, molto più complessa da gestire, rendendo necessario uno stretto monitoraggio, se avviene in sedi nelle quali esiste il rischio di formazione del biofilm.

Il lavoro pubblicato dal nostro gruppo pochi anni fa [27] mostra come il rischio maggiore di disseminazione, quindi di infezione, si presenti nei pazienti colonizzati “sul catetere” (dal quale, cioè, sia stato isolato un fungo), in quanto comporta la presenza di un biofilm, oppure in coloro che hanno almeno tre siti colonizzati concomitantemente. Quindi tale lavoro afferma che laddove la colonizzazione avvenga in siti a contatto con il torrente circolatorio (e in questo caso forse non si dovrebbe più definire colonizzazione ma già infezione) e laddove la colonizzazione sia massiva, cioè estesa a tutto l’organismo, i pazienti devono essere considerati estremamente prossimi all’infezione. Perciò un monitoraggio della colonizzazione, se interpretato con buon senso, può essere uno strumento decisivo per la NICU al fine di identificare correttamente la condizione clinica del paziente e il suo grado di rischio.

Manifestazioni cliniche e diagnosi

Le manifestazioni cliniche nel neonato con infezione fungina possono presentarsi in modo molto vario: non sempre hanno un decorso rapido o sono tali da richiedere attenzioni immediate; spesso si innesca un decorso con uno scadimento clinico progressivo e un deterioramento subdolo, con episodi poco specifici (quali bradiaritmia, sintomi vasomotori, distensione addominale, ristagno gastrico) che possono essere soggetti a molte interpretazioni. In queste condizioni deve porsi il sospetto di IF specialmente se il bambino è già sotto copertura antibiotica e non è in profilassi con fluconazolo. Inoltre bisogna documentare, o almeno escludere in prima battuta, il coinvolgimento di altri organi, perché il coinvolgimento di organi bersaglio derivante da disseminazione periferica è molto frequente, con un’incidenza che giunge sino al 30% delle candidemie e interessa praticamente tutti gli organi [33]. Si tratta di situazioni molto gravi in primo luogo perché aumentano le difficoltà diagnostiche e in secondo luogo perché sono foriere di esiti a distanza.

Una delle principali problematiche a livello diagnostico riguarda le già citate difficoltà di interpretare un’emocoltura negativa, perché la stessa, molto spesso, potrebbe in realtà essere positiva. Le fasi fino alla colonizzazione sono asintomatiche, e anche la fase di invasione è molto spesso paucisintomatica nel neonato: quasi sempre quando viene riscontrata la presenza di un fungo nell’organismo, è già presente una disseminazione massiva o una localizzazione d’organo. Quindi, purtroppo, per una corretta diagnosi la sintomaticità non può essere considerata un elemento totalmente affidabile, ma deve intervenire il giudizio clinico. Anche il ricorso a test di laboratorio risulta difficoltoso in quanto quasi tutti quelli utilizzati per la diagnosi di infezione presentano importanti difetti, quali la bassa sensibilità, come nel caso dell’emocoltura, o la bassa specificità, per esempio per il rapporto neutrofili immaturi/totali (Tabella III).

Test

Sensibilità (%)

Specificità (%)

VPP (%)

VPN (%)

Emocoltura

11-38

68-100

90-100

72-100

Leucociti < 5.000; > 30.000

17-90

31-100

50-86

60-89

Rapporto I/T > 0,02

81

45

23

92

PCR > 10 mg/l

37

95

63

87

IL-8 > 70 pg/ml

77

76

42

94

Rapporto I/T > 0,02 + PCR > 10 mg/l

89

41

24

94

IL-8 > 70 pg/ml + PCR > 10 mg/l

91

74

43

98

16 S Polymerase Chain Reaction

96,0

99,4

88,9

99,8

Tabella III. Sensibilità, specificità e valore predittivo positivo e negativo di alcuni test di laboratorio usati nella diagnosi dell’infezione nei neonati. Modificato da [34]

PCR = proteina C reattiva; rapporto I/T = rapporto neutrofili immaturi/totali; VPN = valore predittivo negativo; VPP = valore predittivo positivo

Purtroppo non esiste il test affidabile in assoluto e i marker sierologici di laboratorio presentano un picco di positivizzazione sfasato tra gli uni e gli altri: ad esempio, se si valuta IL-2 a sei ore di vita facilmente si rileverà un picco, in calo dopo otto ore, mentre la procalcitonina non è ancora aumentata, così come la PCR (proteina C reattiva). L’ideale sarebbe avere a disposizione una griglia di marker da dosare contemporaneamente, ad esempio a una cadenza di tre ore, e un algoritmo per interpretare il significato di tutti i marker cumulativamente a seconda del timing. Nella pratica clinica, però, ciò non è possibile, quindi si possono ricavare dati utili considerando un dato isolato di procalcitonina a 12 ore o di PCR a 24 ore. Nella maggior parte dei casi, questi marker presi singolarmente possono essere d’aiuto solo nel momento della conferma diagnostica, e in neonatologia non si può diagnosticare quasi mai un’IF, o più in generale un’infezione, sulla base di valori elevati di procalcitonina tout-court. La diagnosi di infezione viene posta quindi sulla base del giudizio clinico e del ragionamento clinico: la conferma può arrivare dal marker elevato e, in casi fortunati, dall’emocoltura positiva, ma non è scontato che ciò avvenga.

Purtuttavia, esiste qualche marker suggestivo per l’IF: nel neonato pretermine l’iperglicemia [35] e la piastrinopenia [36,37] sono tipicamente correlate con l’IF. Ciò non significa che tutti gli infetti presentino queste due manifestazioni, ma, se riscontrate, il sospetto è senz’altro corroborato.

Come accennato in precedenza, la diagnosi è nella maggior parte dei casi tipicamente deduttiva: bisogna sospettare un’infezione da Candida sulla base di una serie di ragionamenti, quali ad esempio [38]:

  • segni clinici di infezione o sepsi con grave scadimento clinico;
  • e/o alterazioni di esami di laboratorio (PCR elevata e/o leucocitosi neutrofila e/o leucopenia e/o piastrinopenia);
  • e colonizzazione da funghi (cioè isolamento di funghi in esami colturali da sedi di colonizzazione non profonde e/o da fluidi corporei sterili e/o presenza di funghi in colture da materiali meccanici non da sedi profonde).

Soprattutto bisogna sospettare un’infezione da Candida se si riscontrano colonie di Candida laddove non dovrebbero esserci e in sedi che sono a rischio. L’eventuale concomitante presenza di una reazione flogistica o di laboratorio o di una sintomatologia clinica che conforti il sospetto rende la diagnosi certa.

I limiti dell’emocoltura per il neonato riguardano le quantità di sangue che bisogna prelevare affinché l’esame sia affidabile: i micrometodi che bisogna obbligatoriamente adottare nel neonato non consentono di ottenere la quantità sufficiente di sangue perché la Candida possa crescere. Per una certezza di affidabilità potrebbero essere necessari addirittura 6 ml di sangue da prelevare, operazione impossibile in un neonato del peso di 1.000 g. Inoltre l’emocoltura risulta positiva in concomitanza con la fase batteriemica, che spesso si accompagna alla febbre: ma nel neonato la febbre non si manifesta, quindi è difficile individuare la presenza delle eventuali fasi batteriemiche. Se sul catetere di un neonato si forma un biofilm, la positivizzazione può essere legata al distacco di un trombo alla sua successiva messa in circolo, ma il momento e la frequenza del distacco sono ovviamente impossibili da conoscere. Sono state proposte delle flowchart diagnostiche, con l’utilizzo, ad esempio, di fattori di rischio specifici, di piastrinopenia, di caduta della conta piastrinica e di uso degli steroidi sistemici [37,39]: si tratta di sistemi eleganti come elucubrazione accademica, ma operativamente poco affidabili. Si basano sul concetto che alcune rilevazioni cliniche o di laboratorio dovrebbero far sorgere il sospetto di IF, a cui dovrebbe seguire l’inizio di una terapia empirica. Nel neonato, tuttavia è preferibile adottare la strategia profilattica. Il gruppo di infettivologia della Società di Neonatologia ha invece elaborato un documento, attualmente ancora valido [40], nel quale si elencano i criteri diagnostici e si identificano le situazioni di infezione certa o documentata, di infezione probabile e di infezione possibile.

Questi criteri costituiscono ancora oggi un valido strumento per porre la diagnosi di IF nel neonato in Italia.

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