RHC 2013;4(Suppl 1)51-66.html

Reviews in Health Care 2013; 4(Suppl 1): 51-66

Congress report

Terapia e profilassi del neonato

Therapy and prophylaxis in newborn patients

Paolo Manzoni 1

1 Presidente, Academy of pediatric and neonatal fungal infections. SC Neonatologia e TIN, Ospedale S. Anna, Torino

Abstract

Fluconazole is the most used drug for antifungal prophylaxis in neonatal population. Despite its effectiveness, sometimes fungal infections occur also in newborn patients undergoing fluconazole prophylaxis: this is mainly due both to biofilm formation in patients who carry a central venous catheter (CVC), a common condi­tion among premature babies, and to the occurrence of an infection by a Candida subspecies with intrinsic resistance to fluconazole (e.g.: C. glabrata and C. krusei). A number of antifungal agents are approved for pediatric use, and their limits and advantages are analyzed in this article, but only micafungin is authorized for use in neonatal patients. Further trials are required in order to assess whether additional drugs could have a similar indication for neonatal use. A big issue is the correct identification of the most effective dosing regimen, because the drug pharmacokinetics is peculiar and somewhat unpredictable in newborn patients. In addition to fluconazole prophylaxis, other measures could be taken to prevent fungal infections in at-risk neonates, such as increasing hygienic measures, encouraging breast-feeding, removing CVCs, using probiotics, and decreasing or avoiding the use of drugs promoting the development of systemic mycoses.

Keywords

Fungal infections; Prophylaxis; Fluconazole; Micafungin; Neonatal use; Probiotics

Corresponding author

Paolo Manzoni

paolomanzoni@hotmail.com

Disclosure

Il presente Congress Report è stato supportato da Astellas Pharma SpA

Terapia empirica e profilassi antifungine in neonatologia

Un concetto base in neonatologia – ma applicabile a ogni strategia terapeutica antimicrobica – è che un antibiotico (o similmente un antifungino) vada iniziato empiricamente quando si sospetti un’infezione neonatale grave e vada sospeso dopo 48-72 ore se le colture e i segni clinici escludono l’infezione che si sospettava [1]. Pur essendo una considerazione ovvia e perfino banale, non si deve sottovalutare l’importanza di interrompere la terapia con antibiotici o antifungini al momento giusto perché molto spesso, nella pratica clinica, l’inizio della terapia avviene correttamente, mentre l’interruzione del trattamento viene procrastinata inutilmente. Se le colture sono state eseguite in maniera appropriata e sono negative, se la situazione clinica è assolutamente regolare, si è normalizzata o non è mai progredita verso la patologia grave, bisogna decidere tempestivamente di interrompere sia gli antibiotici sia gli antifungini per evitare non solo sprechi, ma anche modifiche drammatiche dell’ecologia e delle resistenze. Inoltre bisogna considerare che nello scenario neonatologico ormai la maggior parte dei centri utilizza fluconazolo in profilassi; la questione da porsi in realtà è che cosa deve essere fatto quando fluconazolo non ha funzionato.

In tutti gli studi pubblicati finora in tema di fluconazolo profilattico, nei gruppi trattati con fluconazolo l’incidenza dell’infezione scende all’1,5-3,5%, ma non si azzera totalmente. Quindi, come è logico, si verificano ancora alcuni casi. In effetti fluconazolo esplica la sua attività su una quota di funghi ma non su tutti e bisogna anche considerare la risposta individuale, i dosaggi, le MIC, ecc. Le situazioni nelle quali più facilmente l’azione profilattica di fluconazolo può risultare inefficace sono tutte quelle in cui si sia formato un biofilm, che, per sua natura, è resistente all’azione degli azoli.

Infezioni fungine e device

In un bambino pretermine con un catetere posizionato precocemente può avvenire una colonizzazione verticale con grossi “inoculi” di Candida, che aggrediscono il catetere e formano il biofilm: se esso aumenta di dimensioni giorno dopo giorno e la fibrina diventa sempre più spessa, fluconazolo non è più sufficiente. Se si sviluppa una disseminazione con infezione sistemica bisogna ricorrere ad altri tipi di agenti dotati di specifica attività contro i biofilm, così come occorre valutare se emergono dei ceppi intrinsecamente resistenti a fluconazolo, quali le C. glabrata o le C. krusei. Inoltre è necessario considerare la tollerabilità, le interazioni farmacologiche e la possibilità di impiego in monoterapia senza troppe complicazioni aggiuntive.

Quando si diagnostica o si sospetta un’infezione fungina e si inizia una terapia antifungina il catetere venoso centrale va rimosso. Qualora non si sia rimosso, secondo un lavoro ormai storico [2] ma sempre esemplificativo, la possibilità che la terapia sia inefficace e che si vada addirittura verso l’exitus è elevata. Nel citato lavoro di Karlowicz, i neonati a cui il catetere era stato lasciato in situ per 72 ore dopo il momento della diagnosi dell’infezione fungina presentavano un decorso pessimo, mentre coloro a cui era stato rimosso immediatamente al momento della diagnosi erano guariti, risolvendo l’infezione. Togliere il catetere venoso centrale appena viene posta la diagnosi di infezione è un passaggio obbligato; in seguito, ovviamente, occorre riposizionarlo.

La terapia antifungina deve essere precoce e molto spesso empirica; elementi fondamentali sui quali ragionare sono quindi: la tipologia di funghi, la sensibilità, la necessità di rimuovere il catetere venoso centrale (presente praticamente in tutti i pazienti neonatali con un’infezione fungina), e nel contempo l’esigenza di usare un farmaco che sia attivo anche contro i biofilm che si erano con tutta probabilità sviluppati sul CVC [3].

Antifungini e studi sui neonati

Tutti gli antifungini di uso consolidato negli anni sono, in linea di massima, efficaci nel contenere il problema, ma non risolutivi: infatti ciascuno, a partire da fluconazolo (utilizzato non in profilassi), presenta dei limiti, che vanno dallo spettro d’azione ridotto, alla scarsità dei dati clinici, alla tossicità, alla diffusione non ottimale al tessuto renale o al tessuto cerebrale. Il comune denominatore è l’assenza di studi clinici ad hoc condotti su popolazioni neonatali. Tutto ciò ha penalizzato fortemente un utilizzo razionale e ragionato dei farmaci, per cui occorre riesaminare attentamente le evidenze.

Nella Tabella I è presentato un quadro generale di tutti gli antifungini disponibili con l’indicazione dell’eventuale approvazione per l’utilizzo pediatrico: la maggior parte è approvata per l’uso pediatrico, ma “pediatrico” non significa “neonatale”, bensì generalmente sopra i due anni di vita, talvolta sopra l’anno, in alcuni casi sopra i tre mesi; comunque non è mai compresa l’età neonatale tranne per uno, cioè micafungina.

Bersaglio d’azione

Classe di farmaco

Antifungino

Approvazione pediatrica

Membrana cellulare fungina

Polieni

Amfotericina B desossicolato

Amfotericina B liposomiale

Amfotericina B complesso lipidico

Amfotericina B dispersione colloidale

Triazoli

Fluconazolo

Itraconazolo

No

Voriconazolo

Posaconazolo

No

Parete cellulare fungina

Echinocandine

Caspofungina

Sì*

Micafungina

Sì°

Anidulafungina

No

Sintesi degli acidi nucleici (DNA fungino)

-

Flucitosina

Tabella I. Quadro generale degli antifungini con approvazione pediatrica

* Per caspofungina si raccomanda cautela sotto i 12 mesi di età per scarsi dati a supporto e perché i dosaggi raccomandati nel paziente pediatrico sono per un’età > 3 mesi

° Per micafungina esiste una esplicita autorizzazione EMA all’uso neonatale

Gli antifungini agiscono con modalità diverse, che è necessario conoscere per un corretto utilizzo. Per esempio gli azolici interferiscono con meccanismi metabolici presenti nella cellula e che coinvolgono altri farmaci, mentre flucitosina interferisce con la sintesi degli acidi nucleici e quindi è fortemente a rischio di teratogenicità. Le echinocandine, invece, agiscono sulla parete cellulare e quindi dovrebbero essere gli antifungini più scevri da rischi di interazione.

Fluconazolo, usato in terapia, si è dimostrato relativamente efficace. La sua efficacia potrebbe aumentare a due condizioni: che se ne consideri l’utilizzo solamente in quei setting in cui non lo si usa come profilassi – perché il ricorso a fluconazolo in profilassi ne esclude la somministrazione come terapia – e a condizione che il dosaggio sia ottimizzato, cioè 12 mg/die in dose unica ma con una dose di carico di 25 mg/kg/die [4]. La necessità di una loading dose (dose di carico) è stata messa in evidenza molto bene in questi ultimi anni dai lavori di Kelly Wade, che ha dimostrato come nei primi 2-3 giorni di terapia ci sia necessità di dosi ravvicinate o, meglio ancora, di una dose di carico per raggiungere rapidamente delle AUC valide [4].

A disposizione nell’armamentarium farmacologico c’è anche amfotericina B liposomiale, che è stata usata per molti anni al dosaggio di 3 mg/kg, ma che ultimamente si consiglia di utilizzare a 5 mg/kg/die. Anche per questo farmaco non sono disponibili studi clinici randomizzati prospettici ad hoc sui neonati, e si tratta di un problema importante visto che amfotericina B liposomiale è stata, almeno nell’ultimo decennio, il farmaco antifungino più usato nei neonati [5-8].

Le echinocandine interferiscono sulla sintesi del β-D-glucano, un componente essenziale della parete cellulare del fungo, facilitando quindi la necrosi cellulare [9-11]. È molto importante sottolineare che questa via enzimatica non è usata da nessun altro farmaco di utilizzo neonatale, e soprattutto non è presente nelle cellule umane, nemmeno in quelle embrionali: quindi questa categoria di farmaci ha in sé ha tutti i presupposti per essere non tossica e non a rischio di interferenze farmacologiche in vivo. Caspofungina, anidulafungina e micafungina sono le tre echinocandine di riferimento. Lo status generale delle raccomandazioni di base è presentato nel box [5,12-21]: nella parte successiva della trattazione si esporrano le considerazioni per le popolazioni pediatriche neonatali.

Raccomandazioni per l’uso delle echinocandine in pediatria

Caspofungina

Dopo 7 giorni di terapia, i livelli plasmatici effettivi sono mantenuti

  • 3 mesi-17 anni: 50 mg/m2 (massimo studiato 70 mg)
  • 0-3 mesi: 25 mg/m2

Micafungina

  • 2-4 mg/kg q24h (sino a 10 mg/kg nei neonati)

Anidulafungina

  • 3 mg/kg come prima dose, poi 1,5 mg/kg q24h

Nella Tabella II è mostrato lo status dell’attività in vitro: tutte e tre le echinocandine presentano uno spettro ottimale di attività contro le diverse Candida (di precipuo interesse del neonatologo, in effetti) in quanto coprono tutte le varie sottospecie. L’attività contro la C. parapsilosis sembra essere meno buona; tuttavia si è dimostrato che ciò si verifica più in vitro che non in vivo: in realtà in vivo l’azione contro la C. parapsilosis è molto buona, quindi la MIC lievemente più alta non dovrebbe costituire un problema.

Organismo

MIC90 (µg/ml)

Numero di microrganismi isolati

Micafungina

Caspofungina

Anidulafungina

C. albicans

2.869

0,03

0,06

0,06

C. parapsilosis

759

2

1

2

C. glabrata

747

0,015

0,06

0,12

C. tropicalis

625

0,06

0,06

0,06

C. krusei

136

0,12

0,25

0,06

C. guilliermondii

61

1

1

2

C. lusitaniae

58

0,25

0,5

0,5

C. kefyr

37

0,06

0,015

0,12

C. famata

24

1

1

2

Altre Candida spp.

30

0,5

0,25

1

Totale

5.346

1

0,25

2

Tabella II. Quadro dell’attività in vitro delle echinocandine nei confronti di diverse specie di Candida. Modificato da [22]

Tra tutte le echinocandine, caspofungina è quella che storicamente è stata usata per prima e più estensivamente. È stata autorizzata per uso pediatrico grazie alla presenza di dati ottenuti in maniera randomizzata su 171 pazienti sopra l’anno di età. Tuttavia, al di là di un paio di report isolati, non sono disponibili dati ampi e rassicuranti sul neonato perché non sono mai stati condotti lavori impostati correttamente su questa categoria di soggetti. Ciò ha anche comportato notevoli difficoltà nell’individuazione del dosaggio ottimale, che inizialmente è stato ritenuto essere un dosaggio pro kg di peso: 1 mg/kg nel lavoro di Odio del 2004 [23], 5 mg/kg e poi 3 mg/kg nel lavoro di Mrówczyński del 2004 [24]. In seguito si è passati a identificare come dosaggio ottimale un dosaggio calcolato sulla superficie corporea, cioè per metro quadrato: prima 25 mg/m2, poi 50 mg/m2, in alcuni casi 70 mg/m2 seguiti poi da 50 mg/m2 [25-27]. Tuttavia si è ancora molto lontani dall’avere un’indicazione definitiva, proprio perché sono pochi gli studi di farmacocinetica (PK) ben condotti che possano fungere da base di partenza per studi di efficacia. Comunque caspofungina è stata e continua a essere molto usata, nonostante il foglietto illustrativo non riporti l’indicazione all’uso neonatale: questa situazione, purtroppo, è molto comune in ambito neonatologico. Nel 2009 il nostro gruppo ha pubblicato uno studio effettuato con i colleghi di Reggio Calabria, con la descrizione di 15 prematuri trattati, con esiti anche importanti [28].

I colleghi della Neonatologia della Sapienza di Roma hanno invece descritto il caso di un bambino [27] che presentava una candidemia refrattaria con una trombocitopenia gravissima, tipicamente legata all’infezione da Candida, che finalmente si è risolta con l’utilizzo di caspofungina al posto di amfotericina B liposomiale.

Storicamente caspofungina, come rappresentante delle echinocandine, è stata usata inizialmente come terapia di salvataggio, quindi come estrema risorsa in situazioni disperate [23]. Fortunatamente adesso sono disponibili dati migliori e più completi su altre echinocandine. Non va dimenticato che caspofungina, come del resto tutte le echinocandine, può avere un’importante, sebbene reversibile, tossicità epatica, che si esprime con un innalzamento degli enzimi epatici, anche a livelli molto elevati (fino a 500 di transaminasi) [27-30]. Nei lavori descritti, però, è sempre stata usata in bambini in condizioni talmente critiche da rendere impossibile capire se gli enzimi epatici aumentavano solo a causa di caspofungina o anche per la malattia di base. In ogni caso, qualora la si usi, occorre monitorare gli enzimi epatici.

Micafungina è l’echinocandina più estensivamente studiata nel neonato. È più o meno sovrapponibile a caspofungina, ma per alcuni aspetti potrebbe avere un profilo di attività sulla C. glabrata addirittura migliore; anche sulla C. parapsilosis negli adulti [31] sono stati riscontrati dati molto rassicuranti. La caratteristica più importante, al di là di queste minime differenze, è l’ottima attività contro i biofilm, che rappresenta la peculiarità più interessante delle echinocandine e cruciale per i neonatologi (dai biofilm sorgono molti problemi nel neonato pretermine, incannulato e spesso con necessità di nutrizione parenterale totale – TPN – per lunghi periodi). I dati che hanno condotto all’autorizzazione di micafungina per l’utilizzo neonatale provengono da uno studio randomizzato di micafungina vs amfotericina B liposomiale [32] nel quale vennero arruolati 19 neonati prematuri, e venne rilevata, concordemente con quanto osservato in pazienti di età superiore, un’efficacia pari ad amfotericina B liposomiale nell’eradicazione dell’infezione fungina al prezzo di minori effetti collaterali e di minori tossicità. Come si è detto, ciò si accompagna a un’efficace attività di micafungina sui biofilm.

Il gruppo di Cateau ha ottenuto dei dati sperimentali [33] in cui si valuta l’attività di soluzioni di caspofungina e di micafungina e le si confronta con quelle di posaconazolo nei confronti dei biofilm a 24, a 48 e a 72 ore: i tassi di attività candicida delle echinocandine sono sicuramente e significativamente più alti rispetto a quelli degli azolici e, se si valuta l’attività verso C. glabrata, si rileva una maggiore e più persistente attività inibitoria del biofilm con micafungina rispetto a caspofungina (sia su biofilm di recente formazione sia su quelli più maturi). Per i neonatologi questo dato è molto importante per quanto riguarda il biofilm di recente formazione, ma soprattutto per quello più maturo, presente frequentemente in questa popolazione che spesso necessita del catetere per 15-20 giorni (tempo massimo entro il quale il catetere andrebbe cambiato) [34]. L’attività di micafungina e delle altre echinocandine anche sui biofilm maturi è cruciale perché garantisce con un certo grado di sicurezza che dal device non diffonderanno frustoli settici con trombi di Candida, che rischierebbero di andare in circolo o peggio ancora di diffondersi ai tessuti e agli organi bersaglio.

Anche per micafungina, come per caspofungina, è sempre stata difficile l’individuazione del dosaggio giusto, diverso a seconda che il paziente considerato sia un adulto o un bambino non neonato; anche la PK e la farmacodinamica (PD) sono diverse. Si è dunque proceduto per tentativi, tenendo conto di queste diverse caratteristiche: dalla Tabella III emerge come l’emivita sia differente tra un neonato e un adulto, ma anche tra un neonato e un bambino di uno o due anni; lo stesso vale anche per la capacità di clearance, che in genere in un neonato è molto maggiore.

Popolazione

Emivita (ora)

Clearance (ml/h/kg)

Neonati > 1.000 g (n = 18)

8,3 ± 1,8

38,9 ± 12,1

Bambini 2-8 anni (n = 33)

11,5 ± 2,9

22,5 ± 8,6

Bambini 9-17 anni (n = 32)

13,4 ± 3,8

15,1 ± 6,3

Adulti > 18 anni (n = 48)

13,1 ± 3,0

14,6 ± 3,4

Tabella III. Farmacocinetica di micafungina nelle diverse fasce d’età. Modificato da [35]

Allo scopo di individuare la posologia per il neonato, negli anni sono stati condotti molti studi analizzando dosaggi che vanno da 0,75 mg/kg sino a 20 mg/kg di carico, passando da 1,5, 3, 7, 10 e 15 mg/kg [16,19,36,37]. Procedendo inevitabilmente per tentativi, molte ipotesi operative sono state avanzate e testate con studi di PK, con l’obiettivo di giungere all’identificazione del dosaggio in grado di produrre una AUC 0-24 ottimale e comparabile a quella di un adulto che assume la dose standard di micafungina.

Secondo un recente studio di Hope [19], che riporta una simulazione Montecarlo, se si somministra una dose di micafungina a 10.000 pazienti la distribuzione delle AUC nei neonati con dosaggi di 8, 10, 12 mg/kg è molto varia (Figura 1). C’è una sinusoidale che copre tutte le AUC, per quanto ci sia un picco vicino all’AUC 0-24 ottimale, che si colloca tra 200 e 500 μg/h/ml.

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Figura 1. Farmacocinetica di micafungina secondo la simulazione Montecarlo dello studio di Hope del 2010. Modificata da [19]

Nell’adulto, invece, la situazione è molto più chiara: con una dose di 100 mg praticamente tutti i pazienti raggiungono l’AUC giusta, che è 160-180 μg/h/ml.

L’AUC 0-24 varia per ogni neonato, in virtù della clearance e della farmacocinetica che quel farmaco presenta nel suo corpo, in quel giorno di vita e a quelle determinate delle condizioni. Con le simulazioni è possibile identificare il dosaggio che meno si discosta da questo modello, lasciando fuori da questa fascia di ottimizzazione meno pazienti possibile. Inevitabilmente, però, anche una volta individuata la dose giusta, il farmaco rimarrà sotto- o sovradosato nel 20-30% dei pazienti neonatali.

La simulazione riportata nella Figura 2 mostra che quando si incrementa il dosaggio al di sopra di 8-10 mg/kg la proporzione di pazienti che raggiunge AUC troppo elevate, cioè quelli in cui il farmaco è sovradosato e quindi può essere tossico (in verde chiaro), aumentano, mentre gli altri, che hanno un AUC ottimale (in verde scuro), non aumentano.

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Figura 2. Distribuzione della dose di micafungina necessaria per ottenere una AUC corretta [16,19,37]

Allo stato attuale, con queste speculazioni, sono stati individuati dosaggi ottimali di micafungina di circa 10 mg/kg, al massimo 12 mg/kg. Ma per il momento queste conclusioni sono diverse rispetto alle raccomandazioni attualmente disponibili: la raccomandazione attuale riporta un dosaggio da 2 a 4 mg/kg (2 mg/kg di base, 4 mg/kg se l’infezione è complicata con, ad esempio, localizzazione d’organo), ma in realtà dosaggi da 7 mg/kg a 10 mg/kg sono sicuramente proponibili per quanto illustrato in precedenza e per raggiungere un’adeguata copertura anche a carico del sistema nervoso centrale. Micafungina, come tutte le echinocandine, non passa facilmente nel liquor, quindi è necessario ricorrere a dosaggi elevati e occorre sempre ricordarsi che un neonato pretermine con candidemia è a rischio di liquoremia, perché il comparto neurologico è un tutt’uno con il comparto ematico (la barriera ematoencefalica è molto labile). Quindi la scelta deve ricadere su un antifungino (ma questo discorso vale anche per gli antibatterici) che abbia la capacità di penetrare nel liquor: se non penetra nel liquor al dosaggio standard, occorre aumentare il dosaggio fino a quando ne dimostra la capacità, purché non sia tossico. Micafungina, l’unica tra le tre echinocandine approvata per l’uso neonatale, al dosaggio di 10 mg/kg dovrebbe essere il farmaco di scelta perché garantisce un’ottima copertura di tutti i problemi derivanti dai biofilm, ha uno spettro d’azione ottimale e una capacità di penetrare e diffondere adeguatamente anche nel sistema nervoso centrale. Micafungina, inoltre, grazie alla sua attività sulla C. glabrata, che più facilmente sfugge a fluconazolo in profilassi, può essere sinergica con la profilassi con fluconazolo. Bambini che sono trattati con fluconazolo profilattico e che, nonostante questo, sviluppano un’infezione sono i primi candidati a ricevere un trattamento con un’echinocandina.

Bisognerebbe avere una miglior definizione dei dati di PK e verificare se a 18-24 mesi i bambini che hanno ricevuto un trattamento con micafungina con un dosaggio adeguato presentano meno reliquati neurologici rispetto a quelli che, storicamente, erano stati trattati con gli altri farmaci, e che risultavano invece ad alto rischio di deficit a distanza poiché la terapia era iniziata tardivamente o perché non avevano ricevuto un farmaco totalmente adeguato. Questa sarà la sfida dei prossimi anni ed è uno degli obiettivi degli studi che sono in corso, anche da parte del nostro gruppo.

Problemi frequenti nei reparti di terapia intensiva neonatale

Riposizionamento del catetere venoso centrale

Come illustrato in precedenza, in caso di candidemia si consiglia in genere di togliere il catetere venoso centrale (CVC). Le tempistiche del suo riposizionamento dipendono dalla condizione del paziente: per quanto riguarda gli accessi centrali, riposizionando il catetere nella stessa giornata, il rischio che si ricolonizzi (o infetti) immediatamente è molto alto. In base all’esperienza personale, la probabilità che il nuovo accesso si colonizzi è molto bassa quando è possibile attendere 48 ore, magari anche con due accessi periferici, prima di riposizionare il catetere. Date le condizioni critiche del paziente, non sempere è possibile far stare il paziente senza CVC per almeno 48 ore: in questi casi conviene ragionare su una strategia diversa, non rimuovere il catetere e provare a trattare il paziente con farmaci antifungini fungicidi.

Un caso molto esemplificativo è il seguente: in una unità dove si praticano profilassi con fluconazolo e sorveglianza ecologica, si è verificato il caso di un bambino colonizzato verticalmente (madre con amniotite da Candida glabrata) che ha sviluppato un’infezione e successivamente NEC e peritonite da Candida glabrata. È stata utilizzata micafungina al dosaggio di 8 mg/kg per 42 giorni, con emocolture sempre positive nonostante il farmaco – in teoria – avesse tutti i presupposti per essere efficace. Dopo molti ragionamenti, si è giunti infine alla conclusione che il neonato si passava la Candida da un catetere all’altro. In effetti ogni 10 giorni, all’emocoltura positiva, il catetere veniva rimosso e riposizionato immediatamente da un’altra parte. Si è dunque dedotto che qualche “trombo settico fungino” circolava nel sangue e andava subito a infettare il nuovo catetere. In assenza di alternative, è stata presa una decisione coraggiosa e il neonato è stato lasciato per 48 ore senza catetere venoso centrale, solo con un accesso periferico: da quel momento non ha più presentato infezioni fungine. Questa esperienza suggerisce che in situazioni simili, prima di ipotizzare la super-resistenza del fungo o prescrivere il dosaggio ancora più elevato del farmaco che apparentemente non sta funzionando, forse conviene ricorrere a questo semplice (ancorché coraggioso) provvedimento, che può risultare cruciale e strategico. D’altra parte va tenuto presente che la positività persistente delle emocolture non necessariamente indica una avvenuta localizzazione dell’infezione: il neonato potrebbe semplicemente non avere più alcun residuo fungino in circolo, ma il patogeno potrebbe essere rimasto attaccato al catetere perché ha prodotto biofilm.

Durata della terapia con emocoltura negativa

Se si intraprende un trattamento con antifungini prima di conoscere gli esiti dal laboratorio, che, successivamente, attestano un’emocoltura negativa, ci si dovrebbe domandare per quanto tempo continuare la terapia.

Questa situazione ricade sotto il nome di terapia empirica ed è frequente, ad esempio, in pazienti di tipo oncoematologico. Non esiste una durata ottimale, ma 10 giorni può essere un ragionevole compromesso. L’argomento rimane comunque oggetto di dibattito e molto spesso è solo l’esperienza clinica a guidare le scelte del medico. In assenza di localizzazioni documentate o sospettate, la durata potrebbe essere anche minore: se effettivamente si raggiunge la certezza che la Candida non è presente, tre giorni potrebbero essere sufficienti. Spesso si inizia tale strategia perché il paziente è molto critico e non è possibile aspettare, ma se alla terza giornata nel sangue vengono rilevati i CoNS (stafiloccchi coagulasi-negativi) e non la Candida, l’antimicotico può essere interrotto, mentre l’antibatterico va proseguito. Anche quando le emocolture sono negative, il paziente non sviluppa un’infezione e gli esami di laboratorio sono negativi, si può provare a sospendere l’antifungino dopo tre o quattro giorni. Non è raro che i medici prescrivano un antibiotico empirico perché il paziente pediatrico ha vomitato nottetempo, ha ristagnato, è diventato pallido e ha avuto una crisi vagale: in questi casi occorre somministrare un antibiotico, o un antifungino se il paziente era già in terapia antibiotica; successivamente, se tutti gli esami risultano negativi e non si conferma il sospetto, l’antifungino si può e si deve interrompere.

Rachicentesi e farmaco adatto

I farmaci indicati nel trattamento della meningite del neonato variano a seconda della situazione del paziente. Se la meningite è insorta in corso di fluconazolo profilattico, purtroppo i triazoli non possono più essere utilizzati, perché, sebbene fluconazolo sia l’antifungino che passa meglio la barriera, le resistenze sono crociate. In pratica, l’opzione migliore consiste nel trattamento con micafungina 10 mg o fluconazolo ad alto dosaggio, se non ancora somministrato. L’utilizzo di flucitosina può essere preso in considerazione, poiché si tratta di un antifungino sinergico con entrambi farmaci. Anche i polieni possono essere considerati, però è noto nell’animale che amfotericina B arriva nel tessuto della meninge, ma non nel liquor: è ancora da dimostrare se ciò correla con l’efficacia terapeutica. D’altronde amfotericina B, al contrario di voriconazolo, non è efficace nell’aspergillosi cerebrale, quindi non sembra sufficiente il fatto che arrivi nella meninge senza entrarvi. Pertanto il trattamento con amfotericina B, che sia lipo-veicolata o che sia desossicolato-veicolata, può essere prescritto quando non sono disponibili altre terapie.

Candiduria e profilassi con fluconazolo

Il caso di un neonato con candiduria che sia già in profilassi con fluconazolo è problematico, perché le echinocandine passano nei reni solo in minima parte, non vengono eliminate con l’urina, e non si può somministrare voriconazolo. Flucitosina potrebbe essere una scelta, però rischia di selezionare resistenze rapidamente, se utilizzata da sola. Invece amfotericina B arriva nei reni, ma non arriva nell’urina. Secondo i testi di riferimento e gli opinion maker, devono essere praticate le instillazioni vescicali di amfotericina B, ma ciò è più teoria che pratica.

La strategia più seguita è comunque quella di utilizzare amfotericina B liposomiale, e spesso – esperienza comune del panel di esperti – si ottiene la guarigione del paziente, lasciando supporre che, almeno in minima parte, il farmaco passi nelle urine. Sarebbe all’uopo molto interessante studiare meglio la cinetica, perché di fatto non si conosce la via prevalente attraverso la quale amfotericina B viene eliminata. È stata trovata amfotericina B nei tessuti dei pazienti anche anni dopo il termine della diffusione, e si ritiene che una parte, intorno al 10%, sia eliminata per via polmonare.

D’altro canto, di solito in letteratura la candiduria nell’adulto è considerata una colonizzazione delle vie urinarie, mentre nel neonato pretermine si tratta di una forma invasiva fino a prova contraria [38]: bisogna infatti ipotizzare che Candida non sia solo nelle vie urinarie come colonizzante, ma sia anche in circolo. Sulla base di questi presupposti, è ragionevole l’opzione di agire sia sistemicamente con un’echinocandina, sia localmente per evitare il propagarsi dell’infezione. Quindi potrebbe essere utile ricorrere all’associazione tra un’echinocandina e i lavaggi vescicali con amfotericina B.

Emocolture differenziali

All’atto pratico non ci sono differenze tra l’utilità delle emocolture differenziali CVC e periferiche. Se viene riscontrata un’emocoltura positiva dal CVC, non è importante sapere se il fungo provenga dal torrente circolatorio o da un frustolo di biofilm che era nel CVC, perché comunque l’indicazione al trattamento è sempre tassativa.

Nel caso dei pazienti oncologici le colture vengono effettuate da catetere. La coltura da periferico può essere effettuata eventualmente per capire se il catetere è colonizzato. Teoricamente in questi pazienti l’emocoltura da catetere risulta positiva, mentre quella da periferico o il tempo differenziale di crescita negativi. Ma, secondo l’esperienza comune, se il fungo si trova sulla plastica del catetere, il catetere può essere il sito di ingresso per un fungo entrato dalla cute, ma può anche essere il sito dove si va a posizionare un fungo entrato dall’intestino. In ogni caso, l’unico modo per negativizzare le colture è rimuovere il dispositivo dal paziente.

Le strategie di profilassi

La profilassi è lo stadio strategico da mettere in atto prima di arrivare alla terapia. La Figura 3 consente di chiarire i concetti che separano la profilassi dalla terapia empirica, basata sui fattori di rischio, dalla pre-emptive, basata sulla disponibilità di test diagnostici precoci e dalla terapia mirata, basata sui risultati delle colture.

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Figura 3. Rappresentazione grafica delle varie opzioni strategiche: profilassi, terapia empirica, terapia pre-emptive e terapia mirata

Si può interrompere la progressione della malattia a sinistra dell’immagine, e in tal caso bisogna trattare moltissimi pazienti per avere meno eventi, oppure gradualmente più a destra trattandone sempre meno. Chiaramente più si restringe il mirino, più si rischia che qualche paziente resti fuori: quindi si tratta di una scelta strategica.

Per limitare i fattori di rischio nel neonato si può adottare come profilassi una serie di provvedimenti, quali fluconazolo, i probiotici, la lattoferrina; nel caso di terapia empirica o pre-emptive, si usano invece gli antifungini già menzionati.

Fattori di rischio per le infezioni fungine invasive nei nati prematuri

  • Sesso maschile
  • Età gestazionale < 32 settimane
  • Aumentati tassi di sopravvivenza di neonati con peso molto basso alla nascita
  • Aumentata degenza in terapia intensiva neonatale
  • Colonizzazione da parte di Candida spp in siti periferici
  • Colonizzazione da parte di Candida spp nel tratto gastroenterico
  • Candiduria
  • Dermatite fungina invasiva
  • Funzione danneggiata della barriera cutanea
  • Neutropenia
  • Cateteri venosi centrali posizionati
  • Intubazione e ventilazione meccanica
  • Uso prolungato di antibiotici ad ampio spettro (es. cefalosporine di 3° generazione)
  • Uso di steroidi sistemici
  • Uso di teofillina
  • Uso di H2-antagonisti
  • Nutrizione parenterale totale e lipidi e.v. per lunghi periodi; assenza di alimentazione enterale
  • Iperglicemia

La lista dei fattori di rischio per infezioni fungine nei prematuri è talmente lunga che è impossibile evitarli tutti. In effetti tutte le condizioni inerenti o relazionate alla natura stessa del neonato prematuro costituiscono di per sé un rischio maggiore: la candiduria, la colonizzazione da Candida, ma anche essere intubati, essere nutriti con nutrizione parenterale totale (TPN), non poter alimentarsi per os, non assumere latte materno ma latte formulato, ecc. La maggior parte di questi fattori non può essere eliminata. Per esempio abolire o limitare il sovraffollamento dei reparti spesso non è nelle possibilità dei neonatologi, che devono fare i conti con gli spazi limitati a disposizione e le crescenti richieste di ricovero; si può invece agire sull’ottimizzazione delle risorse infermieristiche, almeno laddove sia possibile, e soprattutto sulle misure igieniche, di fondamentale importanza e all’origine delle infezioni. Si possono anche adottare strategie di gestione neonatale già impostate verso la prevenzione delle infezioni, come l’allattamento al seno con latte fresco, la gestione del catetere, l’utilizzo di probiotici per migliorare la composizione della microflora enterica e l’abolizione o la cautela nell’utilizzo di farmaci noti per favorire la proliferazione di Candida.

Oltre al già discusso concetto della rimozione del catetere, è importante ricordare l’introduzione dei probiotici. I probiotici in molti altri ambiti, ad esempio in ginecologia o in medicina odontoiatrica, sono capaci di prevenire la colonizzazione da funghi, nel tratto genito-urinario femminile o nel cavo orale in pazienti che usino delle protesi dentarie. Molti esperti (tra cui i membri del nostro gruppo), sulla base di questi concetti, hanno pensato che nei neonati si potesse avere un effetto simile. Il nostro lavoro di alcuni anni fa [39] fu il primo studio randomizzato a valutare l’efficacia del Lactobacillus GG nella prevenzione della localizzazione intestinale: i risultati furono ottimi, perché i neonati colonizzati nel tubo gastroenterico a un mese dalla semplice somministrazione quotidiana di Lactobacillus GG erano la metà rispetto al gruppo di controllo. Non si riscontrava una differenza sulle infezioni, probabilmente perché occorre una numerosità campionaria decisamente maggiore per dimostrarla, ma il risultato fu comunque interessante.

Questi risultati con il Lactobacillus GG sono stati recentemente confermati anche con il Lactobacillus reuteri dal gruppo di Catania [40]. Quindi ora si hanno a disposizione due ceppi di probiotico con una documentata capacità di prevenire la colonizzazione enterica: il Lactobacillus GG e il Lactobacillus reuteri.

La lattoferrina presenta ottime potenzialità perché è una proteina con attività antimicrobica, si trova nel latte materno di tutti i mammiferi e, curiosamente, la lattoferrina del latte bovino ha un’omologia dell’80% circa con quella del latte umano, quindi può essere usata per gli stessi scopi.

La lattoferrina è molto concentrata nel colostro (in tutte le specie mammifere) e poi decresce fino al latte maturo, ma nella madre del bambino prematuro i livelli permangono alti come nel latte intermedio (come nei giorni dal 3° al 7°) e rimangono tali finché il bambino arriva a termine (36-37 settimane): a quel punto, se la mamma allatta ancora, i livelli diminuiscono fino a quelli del latte maturo. Esistono perciò delle funzioni biologiche importanti della lattoferrina sia nei primi giorni, sia nelle prime settimane di vita nel bambino prematuro. Queste funzioni sono dirette e indirette e riguardano l’aspetto infettivo. Come azione diretta la lattoferrina ha capacità di tipo antibiotico contro Gram negativi, Gram positivi e Candida, mentre le azioni indirette sono di tipo immunomodulatorio ma anche – importantissima – di modulazione funzionale sulla proliferazione intestinale e di promozione della flora bifidogenica, quindi di stimolo della colonizzazione “buona”.

Uno studio condotto tre anni fa [41] dimostrò per la prima volta che con Lactobacillus GG + lattoferrina o lattoferrina da sola si potevano prevenire le sepsi late onset – di qualsiasi patogeno causale – nel primo mese e mezzo di vita. La diminuzione delle sepsi era importante ed eclatante e avveniva anche a livello delle sepsi da Candida, che da 5,4% nel gruppo placebo passavano a 0,7%, con una potenza di riduzione praticamente pari a quella di fluconazolo. Perciò la lattoferrina va considerata uno strumento potenzialmente molto valido, specie nel futuro, quando presumibilmente verrà raggiunta un’evidenza ancora più importante sulla sua capacità di prevenzione delle infezioni da funghi. Per il momento vi sono degli studi in corso e il mio gruppo ne condurrà altri: probabilmente nei prossimi 2-3 anni nuovi risultati confortanti si aggiungeranno.

La più affidabile evidenza preventiva al momento esiste per fluconazolo, con il quale sono stati effettuati alcuni studi randomizzati prospettici. Il primo, condotto da Kaufman, risale a 11 anni fa [42], seguito da quello del Gruppo di Infettivologia Neonatale della SIN del 2007 [43]. In quest’ultimo studio si dimostrò che fluconazolo al dosaggio sia di 6 mg/kg, sia di 3 mg/kg a giorni alterni è egualmente efficace nel ridurre la colonizzazione da Candida (dal 29% all’8%), ma soprattutto le infezioni sistemiche da Candida (dal 13% al 3%) nei bambini sotto i 1.500 g, senza che durante lo studio si producessero cambiamenti ecologici, né in termini di selezione di ceppi resistenti, né in termini di proliferazione di sottospecie di Candida intrinsecamente resistenti.

A distanza di circa 10 anni dai primi studi su fluconazolo, la situazione attuale vede approssimativamente 13 studi pubblicati [44], considerando anche i più recenti, nei quali concordemente fluconazolo risulta efficace nel ridurre le infezioni in bambini con peso inferiore a 1.000 g e a 1.500 g, oltre a ridurre il tasso di mortalità complessiva dal 16% all’11% in maniera significativa (p = 0,01).

Va sottolineato che, in tutti gli studi condotti, nei gruppi placebo vi sono stati 25 decessi con attribuzione alla Candida, mentre nei gruppi trattati si è verificato un solo decesso. Sulla base di tali dati si può affermare che questa profilassi è ormai obbligatoria come strategia di gestione del rischio fungino. Occorre però individuare accuratamente i pazienti e i setting nei quali somministrarla.

Dal punto di vista ecologico è molto importante notare che laddove fluconazolo è stato usato per più di 10-12 anni, come nel centro di Kaufman, nessun tipo di resistenza è emersa. Evidentemente i dosaggi relativamente bassi (3 mg/kg ogni due giorni o addirittura ogni tre giorni) e la somministrazione di fluconazolo solo ai bambini più a rischio possono evitare l’insorgenza dei problemi di resistenza rilevati negli adulti o in altre popolazioni.

La profilassi con fluconazolo va iniziata appena possibile, quando il neonato entra in reparto, anche per via delle difficoltà farmacocinetiche di raggiungere una copertura sierica ottimale nei primi giorni.

È importante sottolineare che la profilassi non va sospesa quando si rimuove il catetere. Esistono dei lavori in letteratura in cui la profilassi veniva messa in atto solo nel periodo di catetere in situ: potrebbe però trattarsi di un grave errore, perché per bloccare la proliferazione di colonie bisogna agire presto, e quindi intervenire impedendo che la colonizzazione si propaghi, proliferi e diventi in seguito potenzialmente infettante. Una volta rimosso il catetere, non c’è la sicurezza che il bambino non sia più a rischio. Benché molti funghi provengano dal catetere, il serbatoio principale resta sempre l’intestino: quindi se un bambino a cui viene tolto il catetere, dopo due giorni presenta una situazione critica (ad esempio si blocca, non mangia più, ha la pancia grossa e una pre-NEC), probabilmente tale bambino è nuovamente a rischio e magari è necessario riposizionare il catetere.

In relazione a queste considerazioni, la durata standard di una profilassi è mediamente di 30 giorni per i very low birth weight e di 45 giorni per gli extremely low birth weight, ma può essere molto variabile e tendenzialmente va protratta finché il bambino non si alimenta bene o quasi totalmente per os e non è fuori dalla condizione di rischio (ciò potrebbe avvenire in tempi molto diversi da un paziente all’altro, per esempio a 20 o a 49 giorni di vita).

Infine in tema di fattori attivi del latte, e tra questi la lattoferrina e i pre- e probiotici, va ricordato che il congelamento del latte distrugge in parte questi fattori, anche se non si conosce bene in quale misura. Molti lavori dimostrano che dal 30% al 60% dei fattori antinfettivi, dalla lattoferrina, al lisozima, alle IgA, sono inattivati dalla pastorizzazione e in qualche misura (per alcuni minore, per altri maggiore) anche dal congelamento. La potenzialità antinfettiva del latte materno congelato e del latte materno conservato nelle banche del latte è opinabile e non prevedibile.

Al momento attuale, la procedura di profilassi da mettere in atto secondo la nostra esperienza coinvolge una serie di provvedimenti gestionali che riguardano:

  • l’uso di latte materno fresco (laddove sia possibile, e il più possibile);
  • la cautela o l’abolizione dell’utilizzo di H2-antagonisti, di steroidi, e di farmaci antibiotici ad ampio spettro;
  • il ricorso ai probiotici, almeno Lactobacillus GG e Lactobacillus reuteri non solo per la prevenzione delle infezioni da funghi, ma soprattutto per la prevenzione dell’enterocolite necrotizzante – NEC (è ormai dimostrato che i probiotici prevengono la NEC);
  • la somministrazione di fluconazolo almeno nei bambini con peso inferiore a 1.000 g, e possibilmente anche ai pazienti pediatrici del peso di 1.400-1.500 g con fattori di rischio più importanti.

Molto promettente sarà, a mio avviso, la lattoferrina, che nell’arco di pochi anni potrà diventare un altro strumento profilattico validato da aggiungere all’armamentario.

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