RHC 2014;5(Suppl 1)5-18.html

Reviews in Health Care 2014; 5(Suppl 1): 5-18

Disease

Narrative review

Infezione da HBV in gravidanza: controllo di malattia e prevenzione della trasmissione perinatale

Hepatitis B Infection and pregnancy: disease management and prevention of perinatal transmission

Giovanni Perricone 1, Maria Vinci 1

1 S.C. di Epatologia e Gastroenterologia. Azienda Ospedaliera Ospedale Niguarda Ca’ Granda, Milano

Abstract

Chronic hepatitis B virus (HBV) infection affects about 350 million individuals worldwide. Perinatal transmission is a common mode of HBV transmission. Without prophylaxis the risk of mother-to-child transmission is very high and it depends on the HBeAg status of mothers, being 85%-90% for HBeAg-positive mothers, and 32% for HBeAg-negative mothers. Maternal screening programs aimed at identifying HBsAg-positive mothers should be part of pregnancy routine examinations. Once HBsAg-positive mothers are identified, their babies receive passive-active immunoprophylaxis at birth, this reduces the risk of vertical HBV transmission from 90% to 5-10%. The present review aimed to show the peculiar and sometimes controversial aspects which concern both the mother and the fetus in the case of HBV infection in pregnancy, including the effect of pregnancy on HBV infection and of HBV infection on pregnancy; the potential viral transmission from mother to newborn; and prevention of mother-to-child transmission through antiviral drugs, and the type of antiviral drug to use considering their efficacy and potential teratogenic effect.

Keywords

Chronic hepatitis B virus; Perinatal transmission; Antiviral drugs

Corresponding author

Dott. ssa Maria Vinci

Email: maria.vinci@ospedaleniguarda.it

Disclosure

La presente review è stata realizzata con il supporto di Gilead Sciences.

Introduzione

L’infezione cronica da virus dell’epatite B (HBV) è un problema sanitario che interessa circa 350 milioni di individui nel mondo. Il numero stimato di morti associate ad infezione da HBV è di 500.000-1,2 milioni per anno; la progressione della malattia fino a cirrosi, insufficienza epatica o carcinoma epatocellulare (HCC) si verifica nel 15-40% dei soggetti infetti.

Soprattutto nelle aree endemiche la metà delle infezioni è acquisita in epoca perinatale o nella prima infanzia. Pertanto la prevenzione della trasmissione perinatale è componente fondamentale degli sforzi globali per ridurre il diffondersi dell’infezione cronica da HBV. Il rischio di sviluppare l’infezione cronica da HBV è inversamente proporzionale all’età del soggetto al momento della prima esposizione: il rischio di cronicizzazione è circa 90% se il soggetto è esposto alla nascita, molto più basso (circa 20-30%) se esposto durante l’infanzia.

Per ridurre il rischio di trasmissione perinatale è raccomandato testare per HBsAg ogni donna gravida, indipendentemente da precedenti test o vaccinazioni. L’identificazione delle donne gravide HBV positive rimane infatti il metodo più efficace per prevenire la trasmissione dell’HBV ai neonati attraverso la profilassi passiva-attiva in grado di ridurre il tasso di trasmissione dal 90% al 5-10%. Tuttavia, in donne con alte viremie, una proporzione non trascurabile di neonati può acquisire l’infezione (probabilmente a causa della trasmissione intrauterina) nonostante l’uso della immunoprofilassi passiva-attiva; in questi casi può essere necessario iniziare un trattamento antivirale a partire dal terzo trimestre di gravidanza.

Il timing della sospensione del farmaco dopo il parto è stabilito tenendo conto dello stadio dell’infezione, dell’attività della malattia epatica e del rischio di flares epatitici nel post-partum.

L’allattamento non è controindicato nelle pazienti HBV positive; non è raccomandato invece nelle donne che assumono farmaci antivirali.

Infine, non vi è chiara evidenza che il taglio cesareo in elezione (cioè prima del travaglio o della rottura delle membrane) riduca il rischio di trasmissione materno-fetale se comparato al parto per via vaginale.

Nella presente review si intende illustrare i diversi aspetti peculiari e talvolta controversi che riguardano sia la madre sia il feto nel caso di infezione da HBV in gravidanza, tra cui gli effetti di HBV sulla salute materna e fetale, gli effetti della gravidanza sul decorso dell’infezione da HBV, il trattamento dell’HBV durante la gravidanza e la prevenzione della trasmissione perinatale.

Effetti della infezione da HBV sulla salute materno-fetale

Le epatiti virali acute sono la causa più comune di ittero in gravidanza [1]. L’infezione acuta da HBV durante la gestazione di solito non è grave e non è associata a un aumento della mortalità o della teratogenicità [1,2]; pertanto non dovrebbe indurre ad interrompere la gravidanza. Vi sono tuttavia segnalazioni di un’aumentata incidenza di basso peso alla nascita e di prematurità in neonati nati da madri con infezione acuta da HBV [2,3]. Inoltre, la presenza di infezione acuta da HBV nelle madri è stata associata a un tasso di trasmissione perinatale del 10% [3] con un aumento significativo fino al 60% se l’infezione si verifica in prossimità o al momento del parto [1].

Nelle donne con infezione cronica da HBV senza malattia epatica avanzata la gravidanza è generalmente ben tollerata, tuttavia le madri HBsAg positive devono essere attentamente monitorate per il rischio di flares epatitici. Può essere ragionevole eseguire test biochimici di funzione epatica trimestralmente durante la gravidanza e per un periodo di sei mesi dopo il parto. La determinazione dell’HBV DNA va eseguita contestualmente o in caso di aumento delle transaminasi.

Non vi sono associazioni certe tra infezione cronica da HBV e sviluppo di altre malattie durante la gravidanza. Uno studio retrospettivo ha riportato una più alta prevalenza di diabete gestazionale in madri HBsAg positive (n=1.138) rispetto ai controlli senza malattia cronica di fegato (n =12.547) [4]. In un altro studio caso-controllo retrospettivo nel quale 253 madri HBsAg positive sono state comparate con altrettante madri HBsAg negative simili per età, parità e anno del parto, la positività materna per HBsAg era associata a un incremento delle emorragie ante-partum, diabete gestazionale e travaglio prematuro [5]. Tuttavia, i dati sono contrastanti [6-8] e la forza di queste associazioni non è chiara.

La gravidanza è considerata uno stato di immunotolleranza ed è associata a livelli elevati di corticosteroidi surrenalici con conseguente modulazione delle citochine coinvolte nella risposta immunitaria. Si ritiene che ciò potrebbe indurre aumenti della viremia, anche se la maggior parte degli studi ha dimostrato che i livelli di HBV DNA rimangono stabili durante la gravidanza [9,10]. I livelli di transaminasi tendono ad aumentare nell’ultima fase della gravidanza e nel post-partum nelle donne con infezione cronica da HBV.

I cambiamenti immunologici durante la gravidanza e dopo il parto sono stati associati ai flares epatitici, cioè ad improvvisi e significativi, sebbene rari, incrementi delle ALT [11]. Nel post-partum, i flares possono essere correlati al fenomeno di ricostituzione immunitaria, analogamente a quanto si verifica dopo sospensione degli steroidi nelle pazienti non gravide con infezione cronica da HBV. Non sono noti i predittori di tali flares in corso di gravidanza: nel 12-17% sono stati associati con la sieroconversione da HBeAg ad anti-HBe [12-15], un tasso simile a quello riportato in donne non in gravidanza.

HBV nei neonati

L’impatto di HBV sui neonati non è stato ben definito. Un ampio studio retrospettivo ha confrontato 824 donne HBsAg positive con 6.281 controlli HBsAg negativi [16]. Non sono state osservate differenze in termini di età gestazionale al momento del parto, peso alla nascita, incidenza di prematurità, ittero neonatale o anomalie congenite, o mortalità perinatale. Un outcome neonatale sfavorevole è lo sviluppo di epatite fulminante in alcuni neonati quando l’HBV è trasmesso da madri HBeAg negative.

Effetti della gravidanza sulla malattia epatica

I cambiamenti immunologici, metabolici ed emodinamici che si verificano in corso di gravidanza potrebbero peggiorare o disvelare una malattia epatica latente.

La valutazione della gravità della malattia epatica può essere difficile durante la gravidanza: l’albumina sierica e l’ematocrito spesso diminuiscono, mentre vi è un aumento della fosfatasi alcalina e dell’alfa-fetoproteina; similmente l’eritema palmare, l’edema degli arti inferiori e gli spider nevi presenti spesso in gravidanza sono anche stigmate di danno epatico avanzato.

In pazienti con cirrosi avanzata la gravidanza è un evento poco frequente a causa della maggiore frequenza di cicli anovulatori con conseguente ridotta fertilità. La gravidanza è più probabile nelle donne con cirrosi compensata, con un rischio di complicanze materne e fetali del 50%. Ritardo di crescita intrauterina, infezioni intrauterine, parto prematuro e morte fetale intrauterina sono le complicanze più frequenti. In uno studio canadese che ha comparato gli outcome materni e fetali di 399 donne cirrotiche che hanno partorito tra il 1993 e il 2005, rispetto ad un gruppo di controllo [17], le complicanze materne, tra cui ipertensione gestazionale, distacco di placenta ed emorragia peri-partum, sono state più frequenti nel gruppo di donne cirrotiche. Inoltre, il 15% delle madri cirrotiche ha sviluppato scompenso epatico. La mortalità complessiva era significativamente più alta rispetto ai controlli (1,8% vs 0%). I bambini nati da madri cirrotiche presentavano una più alta incidenza di prematurità e di ritardo della crescita; inoltre si è osservato un significativo maggiore tasso di mortalità fetale (5,2% vs 2,1%).

Altri lavori hanno descritto un aumentato rischio di sanguinamento da varici esofagee, soprattutto durante il terzo trimestre di gravidanza e durante il travaglio per l’aumento della pressione intra-addominale e per l’espansione del volume plasmatico. Altri rischi includono lo scompenso epatico, l’ittero e la rottura di aneurismi splenici. La rottura delle varici esofagee e il conseguente sanguinamento sono riportati nel 20-25% dei casi. Le pazienti con varici esofago-gastriche pertanto dovrebbero essere sottoposte a trattamento endoscopico profilattico prima della gravidanza.

Lo screening endoscopico per le varici è raccomandato ed è sicuro anche durante la gravidanza. Se le varici sono assenti prima della gravidanza, nel secondo trimestre le donne andrebbero sottoposte a nuova endoscopia. Il sanguinamento attivo da varici dovrebbe essere gestito con legatura endoscopica o con la scleroterapia. L’impiego dei beta-bloccanti invece sia per la profilassi primaria che secondaria deve essere cauto a causa di un aumentato rischio di ritardo della crescita intrauterina, bradicardia fetale/neonatale, ipoglicemia neonatale e/o depressione respiratoria neonatale. L’octreotide non deve essere usato in gravidanza a causa del rischio di ischemia uterina.

L’ascite e l’encefalopatia vanno trattate secondo le raccomandazioni usuali. Tranne che nelle pazienti con varici di grosse dimensioni è consigliabile il parto per via vaginale.

La gravidanza in una donna sottoposta a trapianto ortotopico di fegato rappresenta una situazione clinica unica. Col successo del trapianto di fegato sempre più gravidanze cominciano ad essere riportate. Una gravidanza accuratamente programmata a distanza di 2 anni dal trapianto può assicurare eccellenti outcome sia per il feto che per la madre ed infine anche per il graft. Vi è tuttavia un rischio aumentato di prematurità fetale e dismaturità oltre che un aumentato rischio di rigetto per il graft.

Trattamento antivirale in corso di gravidanza 

La decisione di trattare l’infezione da HBV durante la gravidanza deve tenere conto di molteplici fattori: indicazioni, durata della terapia, potenziali effetti avversi per il feto, efficacia e rischio di sviluppo di resistenza ai farmaci. Ogni decisione sul trattamento, pertanto, deve essere preceduta da un’attenta analisi dei rischi e dei benefici sia per la madre che per il feto.

Nell’infezioni acuta da HBV la terapia antivirale è solitamente non necessaria, tranne che nelle donne con insufficienza epatica acuta o epatite protratta grave [18,19].

L’aspetto principale da considerare nella madre è rappresentato dall’impatto che il trattamento può avere sulla malattia epatica. La principale preoccupazione per il feto riguarda invece il rischio di esposizione ad agenti potenzialmente teratogeni durante la prima fase dell’embriogenesi. La sicurezza di esposizione al farmaco nel feto deve essere pesata contro il rischio di interrompere o modificare una terapia già avviata prima della gravidanza. Durante la gravidanza la terapia antivirale può avere lo scopo di controllare la malattia epatica cronica nella madre e di ridurre il rischio di trasmissione perinatale.

Controllo della malattia epatica cronica nella madre

Le indicazioni al trattamento antivirale di una paziente con epatite cronica da HBV dipendono dai livelli di HBV DNA, dallo stato HBeAg e dall’attività o dallo stadio della malattia epatica. Una disamina dettagliata di tali indicazioni esula dalla presente trattazione e pertanto non sarà affrontata. Va tuttavia precisato che le donne che diventano gravide mentre assumono terapia antivirale con inibitori nucleos(t)idici devono subito informare il proprio epatologo di fiducia e il proprio ginecologo. I rischi e i benefici di continuare il trattamento devono essere discussi: continuare il trattamento può infatti rappresentare un rischio per il feto, mentre la sua sospensione può esporre la madre al rischio di flare epatitico. L’interruzione del trattamento può essere considerato in donne senza cirrosi, al contrario in donne gravide con fibrosi avanzata la terapia dovrebbe essere continuata per ridurre il rischio di scompenso della malattia epatica.

Trasmissione perinatale

La trasmissione perinatale è un modo comune di acquisizione dell’infezione da HBV. L’infezione da HBV nei neonati è definita dalla positività di HBsAg 6 mesi dopo la nascita. Gli anticorpi anti-HBe e gli anti-HBc materni attraversano la placenta e scompaiono in quasi tutti i bambini prima dei 12 e dei 24 mesi di età, rispettivamente. Pertanto, gli anticorpi contro l’antigene “e” e contro l’antigene ”c” dell’HBV riscontrati nel neonato sono solo indicatori di trasmissione passiva attraverso la placenta e non di infezione attiva da HBV.

Senza profilassi il rischio di trasmissione materno-fetale è molto alto e varia con lo stato HBeAg/Anti-HBe della madre. Il tasso di infezione tra i bambini nati da madri HBeAg positive che non ricevono alcuna forma di profilassi è pari al 90% [20].

La trasmissione materno-infantile può avvenire in utero, alla nascita, o dopo la nascita. L’efficacia protettiva molto alta (95%) della vaccinazione neonatale suggerisce che la maggior parte delle infezioni si verifica al momento della nascita, quando le secrezioni materne nel canale del parto vengono a contatto con le membrane mucose del bambino. A sostegno di questa ipotesi vi è uno studio condotto in Cina, che ha dimostrato come solo il 3,7% dei bambini risultati HBsAg positivi alla nascita contraeva l’infezione in utero [21].

L’attuazione dello screening materno universale per l’infezione da HBV e la vaccinazione universale dei neonati, indipendentemente dallo stato materno, ha ridotto in modo significativo i tassi di trasmissione. La somministrazione profilattica di HBIG (Hepatitis B Immune Globulin) + la prima dose di vaccino entro 12 ore dalla nascita (con successivo completamento del ciclo vaccinale entro i primi sei mesi di vita) ha ridotto i tassi di trasmissione al 5-10% circa.

Fattori di rischio per la trasmissione perinatale

Il più importante fattore di rischio di trasmissione perinatale di HBV, nonostante una corretta gestione della profilassi, è rappresentato dall’alta viremia della madre. La trasmissione transplacentare e quella successiva a interventi ostetrici sono cause meno frequenti, mentre l’allattamento al seno non sembra rappresentare un rischio sostanziale. Non è stato chiaramente stabilito il vantaggio del parto cesareo nel proteggere dalla trasmissione, l’approccio ostetrico non dovrebbe, pertanto, essere influenzato dallo stato HBV della madre.

Stato replicativo e livelli di HBV DNA

In donne con attiva replicazione di HBV il rischio di trasmissione perinatale è più elevato. In particolare, in assenza di profilassi, il rischio di trasmissione nei bambini nati da madri HBeAg positive è pari a 85-90%, mentre nei bambini nati da madri HBeAg negative è del 32% [22]. Inoltre, i bambini nati da madri HBeAg positive rimangono a rischio di infezione da HBV anche con una corretta profilassi (circa il 9% secondo uno studio di coorte di grandi dimensioni) [23].

In uno studio su 773 madri HBsAg positive in Taiwan la probabilità di avere un bambino infetto aumentava da 1 a 147 quando i livelli di HBV DNA nel siero materno aumentavano da 5 pg/ml (circa 150.000 UI/ml) a > 1.400 pg/ml (circa 45.000.000 UI/ml) [24]. In un altro studio condotto in Cina su 112 neonati di madri con infezione cronica da HBV, il tasso di infezione variava dallo 0% nel caso di madri con livelli sierici di HBV DNA < 5 log10 copie/ml (< 20.000 UI/ml) al 50% nel caso di madri con HBV DNA tra 9 e 10 log10 copie/ml (circa 9 log10 UI/ml) [25].

Risultati simili sono emersi in uno studio australiano condotto su 138 bambini nati da madri HBV DNA positive [26] e da uno studio cinese che ha suggerito che il fallimento della immunoprofilassi sia più probabile nelle madri HBeAg positive con un livello di HBV DNA > 6 log10 copie/ml [27].

In sintesi, è stata riscontrata una stretta correlazione tra i livelli di HBV DNA nel siero materno ed il rischio di trasmissione di HBV (trasmissione verticale), che si verifica nel 9-39% dei neonati di madri con viremie > 6-8 log10 copie/ml nonostante l’immunoprofilassi passiva-attiva post-natale [27,28].

Trasmissione transplacentare 

Come già sottolineato, la trasmissione transplacentare sembra essere responsabile solo di una minoranza delle infezioni. Tuttavia rappresenta la causa principale dell’insuccesso dell’immunoprofilassi. L’HBV è stato trovato nelle cellule endoteliali dei capillari dei villi e nel trofoblasto della placenta [29] e ciò supporta l’ipotesi che il danneggiamento della barriera placentare possa essere responsabile delle infezioni intrauterine. Di conseguenza, durante un travaglio prematuro o un aborto spontaneo, si può avere contatto di sangue materno e fetale, con conseguente possibile trasmissione dell’HBV [29-32].

È stato anche dimostrato che l’HBV può infettare tutti i tipi di cellule placentari (deciduali, troflobastiche, mesenchimali dei villi, endoteliali dei capillari dei villi) e che l’HBV DNA è presente in tutte le generazioni di cellule spermatogeniche e nello sperma di maschi infettati da HBV, nel fluido follicolare e nelle ovaie (transfer cellulare). Nonostante questi dati scientifici, le cause di infezione transplacentare rimangono non chiare [21,25].

Amniocentesi e altre procedure 

È stata descritta la trasmissione dopo amniocentesi, ma il rischio sembra essere basso [33], in particolare nelle madri HBeAg negative e quando la procedura viene eseguita utilizzando un ago da 22-G sotto guida ecografica [34]. In uno studio, le donne con infezione da HBV sottoposte ad amniocentesi presentavano un tasso di trasmissione verticale sovrapponibile alle donne con infezione da HBV non sottoposte ad amniocentesi (9% vs 11%) [35]. Il rischio di trasmissione dell’infezione da HBV legato ad altre procedure invasive durante la gravidanza (ad esempio, prelievo dei villi coriali, cordocentesi, chirurgia fetale) è sconosciuto.

Rottura prematura pretermine delle membrane

Ci sono dati limitati relativamente alla rottura prematura pretermine delle membrane come fattore di rischio per la trasmissione di HBV e i dati disponibili sono contrastanti [36,37]. Pertanto, la gestione di questi pazienti non dovrebbe differire da quella delle donne con infezione cronica da HBV senza rottura prematura delle membrane.

Allattamento al seno

L’allattamento al seno non sembra aumentare il rischio di trasmissione. Sebbene l’HBV DNA sia stato rilevato nel colostro delle madri HBsAg positive, uno studio su 147 bambini nati da madri portatrici non ha fornito alcuna prova sulla relazione tra allattamento al seno e il successivo sviluppo dell’infezione cronica da HBV nei neonati [38]. In un altro studio che ha coinvolto 369 neonati nati da madri HBsAg positive tutti correttamente profilassati, nessuno dei 101 bambini allattati al seno e dei 9 neonati alimentati con latte artificiale è risultato positivo per HBsAg [39].Queste osservazioni suggeriscono che i bambini che hanno ricevuto HBIG e la prima dose di vaccino alla nascita possono essere allattati al seno mentre si completa il ciclo di vaccinazione, ma le madri portatrici non dovrebbero donare il latte materno [40].

Le madri che intendono allattare i loro bambini non dovrebbero ritardare l’allattamento fino a quando i bambini sono completamente immunizzati. Le madri con epatite B cronica che allattano dovrebbero però fare attenzione a prevenire le emorragie da ragadi del capezzolo.

Parto cesareo

Se il parto cesareo sia in grado di prevenire la trasmissione materno-infantile non è stato dimostrato in studi controllati ben condotti [41,42]. Pertanto, il parto cesareo non dovrebbe essere raccomandato di routine nelle madri HBsAg positive.

Strategie di prevenzione della trasmissione perinatale

Le raccomandazioni provenienti dall’Advisory Committee on Immunization Practices (ACIP) del CDC di Atalanta [43] consigliano di testare per HBsAg tutte le donne alla prima visita prenatale e di ripetere il test più avanti nella gravidanza nelle donne ad alto rischio di infezione da HBV.

I neonati di madri portatrici dovrebbero ricevere l’immunizzazione passiva-attiva. L’immunoprofilassi passiva consiste nella somministrazione delle immunoglobuline contro l’HBV (HBIG) mentre l’immunoprofilassi attiva consiste nella somministrazione del vaccino contro l’HBV.

Come già discusso prima, una piccola ma non trascurabile percentuale di bambini (3-13%) nati da madri HBsAg positive diventa portatore di HBsAg nonostante la corretta immunoprofilassi passiva-attiva. Pertanto le madri con alta viremia dovrebbero essere informate che l’utilizzo di un analogo nucleos(t)idico in grado di ridurre la carica virale può implementare l’efficacia dell’immunizzazione passiva-attiva riducendo ulteriormente il rischio di trasmissione perinatale.

Management dell’infezione da HBV in gravidanza

Ogni donna nel primo trimestre dovrebbe essere sottoposta a screening per l’infezione da HBV con l’esecuzione di HBsAg, Anti-HBs e Anti-HBc. In caso di negatività, non è necessario procedere alla vaccinazione routinaria, nonostante questa venga considerata sicura; la vaccinazione andrebbe offerta alla donne con comportamenti ad alto rischio per l’acquisizione della infezione da HBV (Figura 1).

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Figura 1. Strategia consigliata per il management dell’infezione da HBV in corso di gravidanza [44]

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Figura 2. Gestione dell’infezione da virus dell’epatite B nelle gravide provenienti dalle aree geografiche ad alta endemia (Asia, Africa, Est Europa, America Centro-Meridionale) e nelle italiane nate prima del 1979

Nelle donne HBsAg positive è necessario inquadrare con precisione lo stadio della malattia epatica. In caso di malattia epatica attiva (ALT elevate ed alta carica virale) o in caso di cirrosi, dovrebbe essere intrapresa la terapia indipendentemente dal trimestre di gravidanza. In caso di malattia inattiva (basse ALT e bassa carica virale), la terapia non è raccomandata ma è necessario continuare una stretta sorveglianza per il rischio di flares epatitici nella fase avanzata della gravidanza e nei primi mesi post-partum [44].

La quantificazione dei livelli di HBV DNA è raccomandato in tutte le donne infette alla fine del secondo trimestre (26-28a settimana). Se la carica virale è ≥ 106 copie/ml (≥ 200.000 UI/ml) può essere raccomandato somministrare tenofovir o telbivudina a partire dalla 28-30a settimana di gravidanza; se la carica virale è < 106 copie/ml (< 200.000 UI/ml) è sufficiente assicurare la profilassi passiva-attiva dei neonati alla nascita con HBIG e tre serie vaccinali.

Uno schema alternativo suggerisce di iniziare la terapia antivirale per valori di HBV DNA più elevati (> 107copie/ml cioè 2.000.000 UI/ml) limitatamente alle donne con anamnesi negativa per precedenti figli HBsAg positivi.

In assenza di malattia attiva o di cirrosi, è ragionevole discontinuare il trattamento dopo 4 settimane dal parto; se la paziente invece presenta malattia epatica avanzata è consigliata la prosecuzione della terapia. In tutte le donne in trattamento va sottolineato come l’allattamento al seno sia sconsigliato.

In Figura 2 e in Tabella 1 sono riportate le procedure utilizzate per la gestione delle gravide HBsAg positive nel nostro centro in collaborazione con la Struttura Complessa di Ostetricia e Ginecologia aventi come scopo:

  • un corretto inquadramento della malattia epatica;
  • il trattamento delle donne con malattia epatica attiva/cirrosi epatica;
  • l’implementazione di strategie di prevenzione della trasmissione materno-fetale con l’utilizzo degli analoghi nuiceleos(t)idici.

Questo schema prevede lo screening per HBsAg nel corso del primo trimestre di gravidanza a differenza di quanto raccomandato dal Ministero della Salute e dell’Istituto Superiore di Sanità che raccomandano di offrire lo screening sierologico per l’epatite nel terzo trimestre a tutte le donne in gravidanza. Quest’ultimo approccio potrebbe tuttavia ritardare il riconoscimento di malattie epatiche severe correlate all’infezione da HBV nella donna gravida e il loro trattamento durante la gravidanza. Potrebbe inoltre ritardare il riconoscimento delle gravide con alta replicazione virale nelle quali il trattamento con analoghi nucleos(t)idici è in grado di ridurre la probabilità di trasmettere l’infezione al neonato.

20 settimane di gestazione

28 settimane di gestazione

4-12 settimane dopo il parto*

AST/ALT

X

X

X

HBV DNA quantitativo

X

X

Tabella I. Monitoraggio delle gravide HBsAg positive

* dopo il parto gli ambulatori di epatologia della A.O. di Niguarda sono disponibili per il follow up della malattia epatica

Scelta della terapia antivirale

Le opzioni terapeutiche per la epatite cronica da HBV includono gli analoghi nucleos(t)idici e l’interferone peghilato. [45]. Nessuno degli agenti antivirali è stato approvato dalla FDA per l’uso in gravidanza. La US Food and Drug Administration (FDA) classifica i farmaci in cinque categorie (A, B, C, D and X) in relazione ai loro possibili effetti teratogeni per l’uomo o per modelli animali.

I 5 analoghi nucleos(t)idici orali per il trattamento dell’HBV sono considerati farmaci di categoria B o o C, mentre l’interferone è considerato farmaco di categoria X (Tabella II).

Categoria

Descrizione FDA

Terapia anti-HBV

A

Studi umani controllati non hanno mostrato rischi per il feto nel primo trimestre e non vi é evidenza di rischio nei trimestri successivi

B

Studi sulla riproduzione animale non hanno dimostrato un rischio fetale, ma non sono disponibili studi controllati nelle donne in gravidanza.

Studi sugli animali hanno mostrato un effetto avverso che non è stato confermato da studi controllati in donne gravide (non vi è evidenza di rischio in nessun trimestre)

Telbivudina

Tenofovir

C

Studi sulla riproduzione animale hanno mostrato effetti avversi sul feto, ma non ci sono studi controllati in donne gravide. L’utilizzo dei farmaci può essere considerato nel caso in cui il beneficio clinico ne giustifichi il rischio potenziale

Lamivudina

Entecavir

Adefovir

D

Dati sull’insorgenza di eventi avversi derivanti da studi su umani o da indagini post-marketing hanno evidenziato il rischio fetale umano. L’utilizzo dei farmaci può essere considerato nel caso in cui il beneficio clinico ne giustifichi il rischio potenziale

X

Studi su animali o esseri umani hanno dimostrato l'insorgere di anomalie fetali e/o vi è l'evidenza di rischio fetale basata sull’insorgenza di eventi avversi derivanti da studi su umani o da indagini post-marketing. Il rischio derivante dall’utilizzo del farmaco in donne gravide prevale chiaramente sui potenziali benefici

Interferone

Tabella II. Classificazione della FDA dei farmaci in gravidanza e terapia anti-HBV

Analoghi nucleos(t)idici

Nella pazienti non gravide gli analoghi nucleos(t)idici, tenofovir ed entecavir sono i farmaci di prima linea per la loro potenza nel sopprimere la replicazione virale e per l’alta barriera genetica alla resistenza. Al contrario, lamivudina e telbivudina hanno una bassa barriera genetica; adefovir ha una debole attività antivirale.

Tra gli analoghi di categoria B, tenofovir è da preferirsi per l’alta potenza, l’elevata barriera genetica e la disponibilità di dati di sicurezza in gravidanza [46].

Nelle donne gravide trattate con entecavir o adefovir (farmaci di classe C secondo FDA), deve essere effettuato uno switch ad agenti antivirali di categoria B secondo la classificazione dell’FDA, tenofovir e telbivudina.

Non è stato determinato quanto tempo dopo il parto la terapia antivirale vada interrotta. Molti esperti suggeriscono di sospendere il trattamento 4-12 settimane dopo il parto, se l’unico scopo della terapia antivirale era quello di diminuire il rischio di trasmissione materno-infantile. Le madri che decidono di allattare al seno possono interrompere il trattamento dopo il parto. È comunque raccomandato uno stretto monitoraggio dopo sospensione del trattamento a causa della possibilità che si verifichi un flare epatitico.

Interferone peghilato

Non può essere utilizzato in gravidanza. La sua somministrazione nelle donne in età fertile deve essere accompagnata dalla raccomandazione di usare un efficace metodo contraccettivo.

Sicurezza e rischio di teratogenicità

Esistono pochi dati sul rischio di teratogenicità dei farmaci per l’HBV in donne monoinfette. I dati di sicurezza degli inibitori nucleos(t)idici in gravidanza provengono da due fonti principali, l’Antiretroviral Pregnancy Registry [47] e il Development of Antiretroviral Therapy Study (DART) [48], relativi a popolazioni di donne coinfette HIV HBV.

L’Antiretroviral Pregnancy Registry [47], istituito nel 1989 per valutare i potenziali effetti teratogeni degli agenti anti HIV, ha raccolto i dati sull’esposizione ad agenti anti-HBV dal 2003. Le informazioni fornite al Registro provengono da studi clinici e analisi retrospettive. Finora il tasso di difetti alla nascita tra i neonati esposti agli agenti antivirali è simile al tasso riportato nella popolazione generale ed è pari al 2,7% dei nati vivi, sovrapponibile al 2.72% riportato dal CDC birth defect surveillance system. Non sono riportate significative differenze nel tasso di eventi avversi nel corso del primo trimestre (2,7%) o nel secondo e terzo trimestre (2,5%) di gravidanza [49].

In Tabella III sono riportati i dati dell’Antiretroviral Pregnancy Registry [50].

Farmaco

Categoria FDA

I trimestre

II e III trimestre

Difetti alla nascita/nati vivi

%

Difetti alla nascita/nati vivi

%

Lamivudina

C

127/4.088

3,1

186/6.635

2,8

Tenofovir

B

31/1.370

2,3

18/782

2,3

Telbivudina

B

0/9

0/9

Entecavir

C

1/42

0/2

Adefovir

C

0/48

0/0

PEG IFN

C

N/A

N/A

Tabella III. Dati dell’Antiretroviral Pregnancy Registry (1 gennaio 1989-31 gennaio 2012) [50]

Lamivudina e tenofovir sono quindi i due agenti per i quali vi sono maggiori esperienze in vivo nel primo trimestre di gravidanza. Tenofovir, classificato in categoria B, presenta una percentuale di difetti alla nascita sovrapponibile a quella decritta nella popolazione generale.

Tuttavia è necessario osservare che il Registro:

  1. è su base volontaria e le informazioni non sono verificate,
  2. il follow-up a lungo termine è limitato,
  3. vengono riportati i difetti alla nascita tra i nati vivi, ma non ci sono dati su aborti, successivi ritardi nello sviluppo o anomalie dello sviluppo (difetti cardiaci o neurologici, ecc.),
  4. gran parte dei dati clinici è relativa a lamivudina e tenofovir perché questi farmaci sono utilizzati anche per il trattamento dell’infezione da HIV.

Lo studio DART [48] è un trial multicentrico randomizzato, con follow-up di 6 anni, sulla terapia antiretrovirale in adulti con infezione da HIV-1 sintomatica o malattia avanzata/AIDS in Africa. Il tasso di anomalie congenite riportato in questo studio è del 3%, sovrapponibile al 2.72% riportato dal CDC birth defect surveillance system.

In occasione del congresso annuale 2013 della American Association for the Study of Liver disease (AASLD), sono stati presentati alcuni dati sull’utilizzo di tenofovir in gravidanza.

Nello studio di Pan e colleghi [51] la sicurezza e l’efficacia di tenofovir per la madre e per il feto sono state valutate retrospettivamente arruolando tutte le donne con epatite cronica B che tra gennaio 2011 e maggio 2013 hanno ricevuto tenofovir per tutta la durata della gravidanza. Tutti i neonati hanno ricevuto immunoprofilassi secondo linee guida. Delle 48 donne arruolate, 43 erano in trattamento con tenofovir da prima della gravidanza mentre in 5 casi la terapia con NUCs è stata cambiata con tenofovir al primo trimestre di gravidanza.

28 madri hanno partorito 29 neonati, 3 hanno avuto un aborto spontaneo nel primo trimestre e 18 non avevano ancora raggiunto il termine della gravidanza quando i dati sono stati presentati. Era presente 1 sola donna con cirrosi.

Tenofovir è stato ben tollerato senza breakthrough virologico o incremento delle ALT. Gli eventi avversi sono stati lievi e non correlati all’assunzione del farmaco. Nessuno dei neonati ha presentato complicanze ostetriche al parto o difetti alla nascita. Tutti i 18 neonati, testati all’età di 17 mesi, sono risultati HBsAg negativi [49].

Altri potenziali eventi avversi sul nascituro

Acidosi lattica sintomatica è stata riportata nei bambini nati da madri HIV positive esposte a terapia antiretrovirale in utero (che comprendeva analoghi nucleos(t)idici), ma non è stata osservata in neonati esposti a agenti anti-HBV in utero.

Tenofovir ha causato anomalie delle ossa nella prole di scimmie rhesus esposte al farmaco [52], ma una tale associazione non è stata osservata nell’uomo [48,53]. Attualmente tenofovir è raccomandato per i bambini con HIV e per gli adolescenti per HBV. Studi soprattutto nella popolazione HIV non hanno rivelato un effetto di tenofovir sul peso alla nascita, circonferenza della testa o crescita [48,54,55].

Allattamento 

L’allattamento al seno non è generalmente raccomandato per le madri che mantengono la terapia antivirale nel post-partum. Gli analoghi nucleos(t)idici sono escreti nel latte materno ed esistono pochi dati sui livelli di esposizione al farmaco per il neonato allattato al seno [56].

Conclusioni

L’infezione cronica da virus dell’epatite B (HBV) è un problema sanitario che interessa circa 350 milioni di individui nel mondo. Soprattutto nelle aree endemiche la metà delle infezioni è acquisita in epoca perinatale o nella prima infanzia, pertanto la prevenzione della trasmissione perinatale è componente fondamentale degli sforzi globali per ridurre il diffondersi dell’infezione cronica da HBV. L’identificazione delle donne gravide HBV positive rimane il metodo più efficace per prevenire la trasmissione del virus ai neonati per mezzo della profilassi passiva-attiva, mentre in donne alto viremiche può essere necessario iniziare un trattamento antivirale a partire dal terzo trimestre di gravidanza.

La decisione di trattare l’infezione da HBV durante la gravidanza deve tenere conto di molteplici fattori: indicazioni, durata della terapia, potenziali effetti avversi per il feto, efficacia e rischio di sviluppo di resistenza ai farmaci. Ogni decisione sul trattamento, pertanto, deve essere preceduta da un’attenta analisi dei rischi e dei benefici sia per la madre che per il feto.

Implicazioni per future ricerche

Sviluppo di un algoritmo di gestione condiviso per lo screening e il trattamento delle donne gravide con HBV

La review in breve

Quesito clinico

Valutazione degli aspetti peculiari e talvolta controversi che riguardano sia la madre sia il feto nel caso di infezione da HBV in gravidanza.

Tipologia di revisione

Narrativa

Conclusioni

La decisione di trattare l’infezione da HBV durante la gravidanza deve tenere conto di molteplici fattori: indicazioni, durata della terapia, potenziali effetti avversi per il feto, efficacia e rischio di sviluppo di resistenza ai farmaci. Ogni decisione sul trattamento, pertanto, deve essere preceduta da un’attenta analisi dei rischi e dei benefici sia per la madre che per il feto.

Aree grigie

Accertare il ruolo di alcuni fattori di rischio nella trasmissione perinatale di HBV.

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