PM&AL 2015;9(4)91-98.html

L’«affaire Vincent Lambert» e la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Breve promemoria per il futuro legislatore italiano

Paolo Girolami 1

1 Università degli Studi “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara

L'«affaire Vincent Lambert» and the European Court of Human Rights. A brief memorandum for the future Italian legislator

Pratica Medica & Aspetti Legali 2015; 9(4): 91-98

http://dx.doi.org/10.7175/pmeal.v9i4.1217

Corresponding author

Paolo Girolami

paolo.girolami@unito.it

Disclosure

L'autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

Il 5 giugno 2015 la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è pronunciata a camere riunite (Grande chambre) sul cosiddetto “affaire Lambert” che ha visto contrapposti alcuni familiari di Vincent Lambert (in specie i genitori, una sorella e un fratellastro dello stesso) contro lo Stato Francese [1]. In particolare, i ricorrenti si opponevano all’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale di Vincent Lambert, nato nel 1976, coniugato, di professione infermiere, degente presso il Centro ospedaliero-universitario di Reims in stato vegetativo permanente a seguito di un incidente stradale occorso il 29 settembre 2008, con grave trauma cranio-encefalico. A giudizio dei ricorrenti l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione di Vincent avrebbe comportato la violazione dell’art. 2 della Convenzione (che impone la protezione della vita di ciascuna persona da parte dello Stato e stabilisce il divieto di procurarne intenzionalmente la morte), dell’art. 3 (che vieta i trattamenti disumani e degradanti nonché la tortura – in base alla tesi dei ricorrenti, nel caso in esame, l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione sarebbe equiparabile ad un maltrattamento equivalente alla tortura) e dell’art. 8 (per il quale ogni persona ha diritto al rispetto della vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza e non sono ammesse ingerenze dello Stato nella vita privata dei cittadini, salvo che per motivi di interesse pubblico).

Per comprendere appieno la portata di questa complessa sentenza è necessario partire da un sintetico esame del quadro normativo relativo ai diritti dei malati e alla fine della vita stabilito in Francia dalla legge del 22 aprile 2005, (detta legge “Leonetti” dal nome del suo relatore), per poi passare ad un rapido excursus dei dati salienti della drammatica vicenda clinica e giudiziaria di Vincent Lambert che hanno costituito i presupposti della pronuncia della Corte Europea, e infine soffermarci su alcuni elementi salienti della decisione stessa.

La legge “Leonetti”

Approvata all’unanimità nel 2005 dall’Assemblea nazionale e dal Senato, la legge “Leonetti” relativa ai diritti dei malati e alla fine della vita [2] ha introdotto significative innovazioni nel Codice della sanità pubblica francese riguardo ai diritti dei malati, in particolar modo nella situazione di fine vita. L’art. L.1110-5 del Codice della sanità pubblica (CSP) dispone che ogni persona ha diritto a ricevere le cure più appropriate e di beneficiare delle terapie la cui efficacia è riconosciuta e che garantiscono la migliore sicurezza sanitaria tenuto conto delle conoscenze scientifiche consolidate. Gli atti di prevenzione, diagnosi e cura non devono, nel rispetto delle conoscenze scientifiche, fare correre alla persona dei rischi non proporzionati in rapporto ai benefici attesi. Tali atti, una volta iniziati, non devono essere proseguiti con una ostinazione irragionevole. Allorché essi appaiano inutili, sproporzionati o senza altro scopo che il mantenimento artificiale in vita, essi possono essere sospesi o non intrapresi. In questi casi il medico salvaguarda la dignità del morente e assicura la qualità della vita del medesimo dispensando le cure necessarie a lenire il dolore, che in ogni circostanza deve essere prevenuto, valutato, preso in conto e trattato. I professionisti della salute si adoperano con tutti i mezzi a loro disposizione per assicurare a ciascuno una vita degna fino alla morte. È importante notare che in tale articolo il termine trattamento, in francese «traitement», non viene mai utilizzato: quando si parla di cure si utilizza il termine «soins». L’art. 1111-4 CSP stabilisce poi che nessun atto medico né alcun trattamento (qui si utilizza invece il termine «traitement») può essere realizzato senza il consenso informato della persona interessata, e tale consenso può essere revocato in qualsiasi momento. Nel caso in cui il malato non sia in grado di esprimere la propria volontà, nessun intervento o indagine potrà essere realizzata, salvo in caso di urgenza o di impossibilità di consultare la persona di fiducia, o la famiglia o una persona legata affettivamente al malato stesso. Secondo l’art. 1111-6 CSP ogni persona maggiorenne ha infatti la facoltà di designare una persona di fiducia che può essere un parente, un soggetto legato affettivamente all’interessato o il medico curante, la quale sarà consultata nel caso in cui l’interessato non sia in grado di esprimere la propria volontà o di ricevere le informazioni necessarie a tale scopo. Tale designazione è fatta per iscritto e può essere revocata in qualsiasi momento. In occasione di ogni ricovero ospedaliero viene proposto al malato di nominare una persona di fiducia. Ai sensi dell’art. 1111-1 CSP, ogni persona maggiorenne può redigere direttive anticipate in previsione dell’impossibilità futura di esprimere la propria volontà. Esse riportano le opzioni della persona circa la fine della propria vita con riguardo alle condizioni di limitazione o interruzione del trattamento (traitement) e possono essere revocate in qualsiasi momento. Il medico ne tiene conto per qualsiasi atto sanitario, a patto che non siano state redatte più di tre anni prima dell’insorgenza dello stato di incoscienza. All’art. 1111-4 CSP, si ribadisce che il medico deve astenersi da ogni ostinazione irragionevole sia sul piano diagnostico sia su quello terapeutico e può rinunciare a intraprendere o proseguire trattamenti (traitements) che appaiono inutili, sproporzionati, o che non hanno altro scopo che il mantenimento artificiale della vita. La decisione di limitare o di interrompere tali trattamenti non può essere assunta dal medico senza che sia stata posta in essere una procedura collegiale. Il medico può dare avvio alla procedura collegiale di propria iniziativa. È tenuto a farlo delle direttive anticipate che gli vengano presentate da coloro che le detengano, o a domanda della persona di fiducia, della famiglia, o in mancanza di questa, di un soggetto legato affettivamente all’interessato. Tutti costoro vengono informati nel caso in cui si decida di dare avvio alla procedura collegiale. La decisione di limitare o interrompere il trattamento è presa dal medico che ha in carico il paziente, di concerto con tutta l’equipe sanitaria, se esiste, e su parere motivato di almeno un altro medico, chiamato in qualità di consulente. Tra i due medici (curante e consulente) non deve esistere alcun rapporto gerarchico e ciascuno dei due può chiedere il parere di un altro medico se lo ritiene utile. La decisione di limitare o interrompere il trattamento tiene conto delle volontà che il paziente ha espresso in precedenza, in particolare per mezzo delle direttive anticipate, della persona di fiducia, della famiglia, o in mancanza di questa, di una persona legata affettivamente al paziente stesso. La decisione di limitare o interrompere il trattamento deve essere motivata e tutti gli atti della procedura devono essere trascritti nella cartella clinica. La persona di fiducia, la famiglia, o, in assenza di questa, la persona legata affettivamente al paziente, sono informati della natura e dei motivi della decisione. La norma continua affermando che, quando la decisione è stata presa, il medico somministra i trattamenti antalgici e sedativi idonei ad accompagnare la persona sino alla morte senza che soffra, salvaguardando la sua dignità.

La vicenda clinica e giudiziaria di Vincent Lambert

Come si è già detto, Vincent Lambert riportò il 29 settembre 2008 un grave trauma cranio- encefalico a seguito di un incidente stradale. Ricoverato dapprima presso il Dipartimento di rianimazione e poi presso quello di neurologia del Centro Ospedaliero di Châlons-en-Champagne dal giorno dell’incidente fino al marzo 2009, poiché affetto da tetraplegia e “stato di minima coscienza + (MCS +)”1 [3], quindi dal marzo al giugno 2009 presso il Centro di cure elio-marine di Berk-sur-Mer e infine, dal giugno 2009 fino ad oggi, presso l’Ospedale universitario di Reims, nell’unità neurologica destinata ai pazienti in stato vegetativo e paucirelazionale. La diagnosi di “stato di minima coscienza +” fu posta a seguito di una valutazione presso il “Coma Science Group” dell’Università di Liegi eseguita nel luglio 2011. In accordo con le raccomandazioni emesse presso l’Università di Liegi, Vincent Lambert ha usufruito di sedute quotidiane di fisiokinesiterapia dal settembre 2011 all’ottobre 2012, senza alcun risultato, come pure di 87 sedute di ortofonia tra il marzo e il settembre 2012 allo scopo di stabilire un codice di comunicazione. Anche tale sforzo risultò vano. Attualmente Vincent Lambert versa in stato vegetativo permanente e beneficia di alimentazione e idratazione artificiali per mezzo di sonda.

I curanti, avendo percepito nel corso del 2012, segni sempre più evidenti di insofferenza alle cure e alla toilette da parte di Vincent, decisero, all’inizio del 2013, di dare avvio alla procedura collegiale prevista dalla legge del 22 aprile 2005 relativa i diritti dei malati e alla fine della vita, coinvolgendo nel processo decisionale la moglie di Vincent, Rachel. Così, il 10 aprile 2013, il medico che aveva in carico Vincent, capo del servizio dove costui era (ed è) ricoverato, decise di interrompere la nutrizione e di ridurre progressivamente l’idratazione. Tale decisione fu impugnata per direttissima davanti al Tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne da parte di alcuni familiari, ovverosia dai genitori di Vincent, da una sorella e da un fratellastro dello stesso, poi ricorrenti davanti alla Corte di Strasburgo. Il giudice dette ragione a questi ultimi, evidenziando che in assenza di direttive anticipate e della persona di fiducia, la procedura collegiale doveva essere espletata con il concorso dell’intera famiglia (previa adeguata informazione), quand’anche discorde al suo interno e non della sola moglie, tenuto conto che la famiglia di Vincent risulta composta, oltre che dalla moglie stessa, dai due genitori e da otto fra fratelli e sorelle.

Alla luce di tale vizio procedurale, che faceva presagire una lesione grave di una libertà fondamentale, in specie il rispetto della vita, il giudice ripristinava l’obbligo di alimentare e idratare artificialmente il paziente.

Nel settembre 2013, il medico che aveva in carico Vincent avviò una nuova procedura volta ad interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale. In questo frangente furono consultati sei medici, di cui tre esterni al centro ospedaliero universitario in cui Vincent era ricoverato (un neurologo, un cardiologo e un anestesista esperto di cure palliative), scelti rispettivamente dai familiari, dalla sposa e dall’equipe medica. Fu consultato inoltre il responsabile di un centro per malati in stato vegetativo. Lo stesso medico responsabile della procedura si premurò inoltre di riunire due consigli di famiglia, nel corso dei quali la moglie di Vincent e sei fra fratelli e sorelle si dichiararono favorevoli all’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione mentre i genitori e due germani si dichiararono contrari. Consultata l’equipe medica, fu deciso, in data 11 gennaio 2014, di interrompere l’alimentazione e l’idratazione artificiale, con riserva di accogliere eventuali disposizioni che dovessero pervenire dal Tribunale amministrativo in caso di ricorso. Le motivazioni addotte dal medico responsabile della procedura e rese note ai familiari possono essere così sintetizzate: lo stato di Vincent si caratterizzava per la natura irreversibile delle lesioni cerebrali e per il fatto che il trattamento risultava inutile, sproporzionato e senza altro effetto se non quello del mantenimento in vita del paziente. Inoltre era certo che Vincent, secondo quanto dichiarato dallo stesso prima dell’incidente, non desiderava vivere in tali condizioni. Le conclusioni del medico responsabile della procedura si concentrarono allora nella considerazione che la prosecuzione di tali trattamenti comportavano una ostinazione irragionevole, vietata esplicitamente dalla legge.

Il 13 gennaio 2014 si ebbe un nuovo ricorso per direttissima al Tribunale amministrativo da parte dei familiari dissenzienti volta ad annullare il risultato della procedura e il trasferimento del paziente presso una clinica di loro gradimento. Il Tribunale, riunito in sessione plenaria, accolse nuovamente le rimostranze dei ricorrenti. La decisione, assai articolata, merita un breve resoconto. In primo luogo, il Tribunale ha riconosciuto che l’art. 2 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo non impedisce la regolamentazione da parte di uno Stato della facoltà di ciascun individuo di opporsi ad un trattamento suscettibile di prolungare la propria vita o della facoltà del curante di un paziente, incapace di esprimere la propria volontà, di interrompere un trattamento qualora consista in una ostinazione irragionevole, fatto salvo il potere di controllo del consiglio dell’ordine dei medici, del comitato etico del centro ospedaliero, del giudice amministrativo e penale. In secondo luogo, le disposizioni di cui alla legge del 22 aprile 2005, anche alla luce dei lavori parlamentari preparatori, permettono di stabilire che l’alimentazione e l’idratazione artificiale per via enterale, rivestono i connotati di veri e propri trattamenti sanitari. Supportano tale tesi il fatto che essi possono essere assimilati a dei medicamenti in quanto utilizzano presidi (le sonde) distribuiti dalle farmacie, che hanno lo scopo di apportare nutrimenti specifici ai pazienti le cui funzioni vitali sono alterate e che necessitano di tecniche invasive per la loro somministrazione. Quanto alla decisione del medico responsabile della procedura, basata, tra l’altro, sulla volontà di Vincent Lambert di non essere mantenuto in vita in condizioni di totale dipendenza, volontà comunicata alla moglie e a uno dei suoi fratelli, in assenza di direttive anticipate e della nomina della persona di fiducia, essa risultava difettosa, tenuto conto che tale volontà era stata espressa da Vincent quando egli era ancora in buona salute e non poteva soppesare con ragione di causa le conseguenze della sua scelta. Tale generica dichiarazione di volontà non poteva pertanto essere assimilata ad una direttiva anticipata. Peraltro, secondo la Corte, il fatto che Vincent abbia avuto dei rapporti conflittuali con alcuni dei propri familiari dei quali non condivideva i valori morali o i sentimenti religiosi, non avvalora un’interpretazione univoca di tale dichiarazione. Pertanto, l’organo giudicante giungeva alla conclusione che il medico responsabile della procedura avesse valutato in maniera erronea il volere precedentemente espresso dal paziente. Inoltre, il fatto che Vincent versasse in uno stato di minima coscienza induceva a ritenere che mantenesse contatti con il mondo esterno e che l’alimentazione e l’idratazione artificiale non potevano essere considerate come aventi l’unico scopo di mantenerlo artificialmente in vita e quindi indice di un’ostinazione irragionevole; peraltro, non essendo Vincent soggetto a costrizioni né subendo sofferenze per tali trattamenti, essi non apparivano inutili o sproporzionati. La richiesta di trasferire il paziente presso un altro centro di cura veniva infine respinta.

Avverso a tale decisione, la moglie di Vincent, uno dei suoi fratelli e il Centro ospedaliero-universitario di Reims fecero appello per direttissima al Consiglio di Stato, il quale si espresse, in composizione collegiale, in data 14 febbraio 2014 [4]. Dopo aver richiamato nel dettaglio il testo della legge Leonetti e i lavori preparatori parlamentari, il Consiglio di Stato decise di nominare un collegio di periti composto dal Presidente dell’Accademia Nazionale di Medicina, del Comitato Nazionale di Etica e del Consiglio nazionale dell’Ordine dei medici, chiedendo di descrivere le condizioni cliniche attuali di Vincent Lambert e della sua evoluzione dopo la valutazione presso il Coma Science Group di Liegi; di pronunciarsi sul carattere irreversibile delle lesioni cerebrali e sulla prognosi clinica; di verificare l’esistenza di segni che consentano di pensare che Vincent Lambert reagisca alle cure che gli vengono prodigate e che tali segni possano essere interpretati come indice di consenso o dissenso alle medesime. La Corte decise inoltre di chiedere delucidazioni di ordine scientifico, etico e deontologico in merito all’affare in questione all’Accademia di Medicina, al Comitato Nazionale di Etica, al Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Medici e a Jean Leonetti, relatore della legge del 22 aprile 2005, a titolo di “amicus curiae”. Le conclusioni degli esperti furono univoche: Vincent Lambert versava in stato vegetativo e non erano più riconoscibili segni di stato di minima coscienza; le lesioni cerebrali riscontrate avevano carattere irreversibile consistenti tra l’altro in un’atrofia cerebrale di elevata gravita con distruzione quasi completa delle regioni strategiche cerebrali; il paziente non era in grado di comunicare in alcun modo con il suo entourage; non era possibile interpretare i segni manifestati da Vincent nel senso di un dissenso o consenso al prolungamento del trattamento. Quanto alle consulenze richieste alle precitate Istituzioni e al deputato Jean Leonetti, esse possono essere così riassunte nel loro insieme. La legge si applica a persone gravemente cerebrolese, in uno stato avanzato di malattia (il fattore cronologico è fondamentale), e che hanno perso la capacità di coscienza di sé e di vita relazionale, pur non essendo necessariamente in fin di vita; l’aggettivazione del trattamento come ostinazione irragionevole è legato intimamente al carattere dell’inutilità o non proporzionalità dello stesso; l’espressione «il solo mantenimento artificiale della vita» deve essere intesa non soltanto in funzione dell’utilizzo di mezzi e tecniche sostitutive delle funzioni vitali essenziali ma anche alla constatazione di un’alterazione profonda e irreversibile delle funzioni cognitive e relazionali; la decisione finale dell’interruzione del trattamento spetta in ogni caso unicamente al medico, non avendo voluto il legislatore gravare la famiglia di una simile responsabilità.

La decisione cui perviene il Consiglio di Stato anche alla luce delle nuove indagini peritali, è assai complessa. Proviamo a riassumerla per sommi capi. Innanzitutto la Corte constata che se l’alimentazione e l’idratazione artificiale rientrano nel novero dei trattamenti che possono essere interrotti allorquando la loro prosecuzione si traduca in un’ostinazione irragionevole, la sola circostanza che la persona interessata si trovi in stato irreversibile di incoscienza, o, a maggior ragione, di perdita di autonomia che la rende tributaria di questo genere di alimentazione di idratazione, non costituisce di per sé una situazione nella quale la prosecuzione del trattamento appare ingiustificato in nome del rifiuto dell’ostinazione irragionevole. Elemento dirimente è infatti rappresentato dalla volontà del paziente. Ora, con riferimento, come nel caso in esame, ad un soggetto incapace di esprimere la propria volontà a causa di lesioni cerebrali gravi (quale che ne sia l’origine, e che comportano uno stato vegetativo permanente o di minima coscienza), il cui mantenimento in vita dipende da tale modalità di alimentazione e di idratazione, il medico responsabile della procedura dovrà basare la propria decisione su tutta una serie di elementi di natura medica e non medica il cui peso non può essere predeterminato e dipende dalle circostanze che caratterizzano il caso in esame nella sua singolarità. Per tale motivo, il medico, oltre a registrare i dati di natura clinica per un tempo assai prolungato, dati che dovranno essere valutati collegialmente con particolare riguardo alle condizioni del paziente, all’evoluzione dell’affezione dal momento della sua comparsa, allo stato di sofferenza, alla prognosi, dovrà accordare un’importanza tutta particolare alla volontà che il paziente può eventualmente avere espresso anteriormente, qualunque sia la forma e il senso di tale espressione di volontà. Qualora la volontà del paziente resti sconosciuta essa non potrà essere presunta nella forma del rifiuto al trattamento. Dopo aver ricordato che, al fine di conoscere la volontà del paziente, il medico ha il dovere di ascoltare la persona di fiducia, qualora designata, i membri della famiglia o in assenza di questi, una persona affettivamente legata al paziente, sforzandosi di creare le condizioni per un accordo qualora esistano dei dissidi tra i soggetti legittimati ad esprimersi, la Corte sottolinea che il medico stesso nell’esame della posizione del proprio paziente deve essere guidato innanzitutto da spirito di beneficialità.

Detto questo, il Consiglio di Stato ha riconosciuto che il medico responsabile della procedura aveva rispettato le condizioni fissate dalla legge nell’assumere la decisione di interruzione del trattamento in data 11 gennaio 2014. In particolare, la Corte ha evidenziato che, sulla base degli accertamenti peritali compiuti, Vincent Lambert risulta in stato vegetativo permanente, con disturbi della deglutizione, tetraplegia, preservazione della funzione respiratoria, a causa di gravi lesioni cerebrali con segni irreversibili di severa atrofia dell’encefalo accuratamente descritti dai periti , e perdita di ogni capacità relazionale. Le condizioni cliniche del paziente, perduranti da lungo tempo, sono contrassegnate da prognosi clinica infausta. I periti hanno altresì evidenziato che eventuali reazioni del paziente a stimoli di vario genere non possono essere interpretate come segni di sofferenza né peraltro come manifestazione di volontà di interrompere o di proseguire il trattamento. La Corte ha inoltre posto in evidenza che la legge ammette la possibilità di tenere conto dei desideri espressi dal paziente sotto forme diverse rispetto alle direttive anticipate e che risulta agli atti, in particolare dalla testimonianza di Rachel Lambert, moglie del paziente, che sia lei che il marito, entrambi infermieri, avevano spesso evocato la loro esperienza professionale nella cura di pazienti ricoverati in rianimazione o portatori di gravi handicap. In tali occasioni Vincent aveva chiaramente e più volte ribadito il desiderio di non essere mantenuto in vita artificialmente qualora egli si fosse trovato in uno stato di assoluta dipendenza. Tali dichiarazioni, riportate con precisione di luogo e tempo nella testimonianza, sono state confermate da uno dei fratelli di Vincent; altri fratelli e sorelle hanno poi confermato che esse risultano corrispondenti alla personalità, alla biografia, e alle opinioni personali del fratello in questione. Per tali motivi la Corte ha ritenuto che il medico responsabile della procedura non aveva errato nell’interpretare la volontà pregressa del paziente basandosi su tali testimonianze. Lo stesso medico ha inoltre esattamente adempiuto all’obbligazione di ascoltare i membri della famiglia di Vincent e il fatto che essi non siano abbiano manifestato una posizione unanime non deve essere considerata di ostacolo all’assunzione della sua decisione. Tale decisione, volta ad interrompere un trattamento non avente altro effetto che il mantenimento artificiale in vita del paziente e la cui prosecuzione si tradurrebbe in una ostinazione irragionevole, deve essere considerata pertanto legittima sotto ogni profilo. Per tali motivi il Consiglio di Stato ha rigettato il ricorso.

Similitudini della decisione del Consiglio di Stato relativa al caso Lambert con la sentenza della Corte di Cassazione n. 21748 del 16 ottobre 2007 relativa al caso Englaro

Le motivazioni nella sentenza del Consiglio di Stato ora richiamata sembrano sovrapporsi a quelle contenute nella sentenza della Suprema Corte del 16 ottobre 2007 [5] riguardante Eluana Englaro. In particolare, merita ricordare le condizioni ritenute dalla Corte di cassazione idonee a interrompere legittimamente la nutrizione e l’idratazione artificiali in paziente in stato vegetativo permanente: «Ove il malato giaccia da moltissimi anni (nella specie, oltre quindici) in stato vegetativo permanente, con conseguente radicale incapacità di rapportarsi al mondo esterno, e sia tenuto artificialmente in vita mediante un sondino naso-gastrico che provvede alla sua nutrizione e idratazione, su richiesta del tutore che lo rappresenta e nel contraddittorio con il curatore speciale, il giudice può autorizzare la disattivazione di tale presidio sanitario (fatta salva l’applicazione delle misure suggerite dalla scienza e dalla pratica medica nell’interesse del paziente), unicamente in presenza dei seguenti presupposti: (a) quando la condizione di stato vegetativo sia, in base ad un rigoroso apprezzamento clinico, irreversibile e non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci presupporre la benché minima possibilità di un qualche, seppur flebile, recupero della coscienza e ritorno ad una percezione del mondo esterno; e (b) sempre che tale istanza sia realmente espressiva, in base ad elementi di prova chiari, univoci e convincenti, della voce del paziente medesimo, tratta dalle sue precedenti dichiarazioni ovvero dalla sua personalità, dal suo stile di vita e dai suoi convincimenti, corrispondendo al suo modo di concepire, prima di cadere in stato di incoscienza, l’idea stessa di dignità della persona». Per comprendere in tutta la sua portata la decisione della Suprema Corte bisogna ricordare i principi che hanno condotto la stessa Corte ad assumere la citata decisione e che ci permettono di meglio comprendere la sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo riguardo all’affaire Lambert. In primo luogo, la Suprema Corte ha stabilito che nelle situazioni in cui sono in gioco il diritto alla salute o il diritto alla vita, o più in generale laddove assume rilievo il rapporto tra medico e paziente, il fondamento di ogni soluzione giuridica passa attraverso il riconoscimento di una regola, presidiata da norme di rango costituzionale (artt. 2, 3, 13, 32 Cost.) che colloca al primo posto la libertà di autodeterminazione terapeutica. In altre parole, laddove sussista un disaccordo tra medico e paziente prevale il diritto all’autodeterminazione del paziente, quindi il dissenso del paziente preclude la possibilità di trattamento anche nel caso in cui la sua mancata esecuzione metta a rischio la vita del paziente stesso. In secondo luogo, il riconoscimento del diritto all’autodeterminazione terapeutica vale anche nel caso in cui il soggetto adulto non sia più in grado di manifestare la propria volontà a causa del suo stato di totale incapacità, con la conseguenza che, nel caso in cui, prima di cadere in tale stato, egli non abbia specificatamente indicato, attraverso dichiarazioni di volontà anticipate, quali terapie avrebbe voluto ricevere e quali invece avrebbe inteso rifiutare nel caso in cui fosse venuto a trovarsi in uno stato di incoscienza, al posto dell’incapace è autorizzato a pronunciarsi il suo legale rappresentante (tutore o amministratore di sostegno), che potrà chiedere anche l’interruzione dei trattamenti che tengano artificialmente in vita il rappresentato. In terzo luogo, questo potere demandato al legale rappresentante non può dirsi incondizionato, poiché soffre di limiti connaturati al fatto che la salute è un diritto “personalissimo” di chiunque, quindi anche dell’incapace. Per tale motivo entrano in gioco i valori soggettivi e le concezioni di natura etico-religiosa proprie del paziente che condizionano, quindi limitano, il potere decisionale del legale rappresentante. Costui viene infatti designato dall’organo giudiziario come portavoce e difensore del migliore interesse (the best interest) del rappresentato, nel rispetto delle convinzioni di quest’ultimo specie su questioni fondamentali, quali per l’appunto le decisioni in materia di vita e di morte. Così nel caso Englaro, la Corte di Appello di Milano, nel decreto del 25 giugno 2008 [6], ebbe a giudicare autentica l’interpretazione della volontà di Eluana offerta dal legale rappresentante, attraverso la dimostrazione (confermata da testimonianze) di come lei stessa concepiva la dignità della persona e una vita dignitosa. In base a tale dimostrazione il rappresentante legale fu giudicato portatore del migliore interesse di Eluana nel presentare istanza di interruzione del trattamento della nutrizione e dell’idratazione artificiali.

La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo chiamata a decidere sul caso Vincent Lambert

Il primo problema che ha dovuto affrontare la Corte di Strasburgo è stato quello relativo al riconoscimento della legittimità dei ricorrenti ad agire dinanzi alla Corte stessa in nome e per conto di Vincent Lambert. Sul punto si deve registrare l’opposizione della moglie di Vincent che ha fatto presente che essi non posseggono alcuna delega da parte di Vincent, ancora in vita, a rappresentarlo, mentre ella , come riconosciuto dal Consiglio di Stato francese, è la depositaria delle sue confidenze, dei suoi desideri, delle sue volontà. All’opposizione della moglie di Vincent si sono associati un nipote e una sorellastra dello stesso. La Corte si è espressa al riguardo affermando che i ricorrenti non sono legittimati ad agire in nome e per conto di Vincent Lambert per violazione degli artt. 2, 3 e 8 della Convenzione. Parimenti, la Corte ha rigettato la richiesta di Rachel Lambert di rappresentare suo marito, sebbene quest’ultima facesse valere l’autorizzazione del giudice tutelare a rappresentare il marito nell’ambito dell’esercizio dei poteri derivanti dal rapporto coniugale. A tale richiesta si erano peraltro opposti i ricorrenti affermando che i poteri assegnati alla moglie dal Giudice tutelare si limitavano all’ambito patrimoniale e inoltre che Vincent non aveva nominato una persona di fiducia (in conformità alla legge Leonetti), né era soggetto a tutela o curatela. Pertanto nessuno era legittimato a rappresentarlo. Nonostante che alcuno degli attori citati avesse titolo per ricorrere dinanzi alla Corte in nome e per conto di Vincent, quest’ultima ha deciso egualmente di esaminare il caso sotto il profilo della violazione dell’art. 2 della Convenzione, considerando ciascuno dei ricorrenti come agenti a nome proprio.

A questo riguardo i ricorrenti hanno osservato che l’interruzione dell’alimentazione e dell’idratazione artificiale di Vincent Lambert sarebbe contraria agli obblighi che incombono sullo Stato in virtù dell’art. 2 della Convenzione che sancisce la protezione del diritto alla vita di ogni persona. Essi inoltre lamentano l’assenza di chiarezza e di precisione nel testo della legge del 22 aprile 2005 così come contestano la procedura che ha condotto alla decisione assunta dal medico in data 11 gennaio 2014 in merito all’interruzione del trattamento di alimentazione e idratazione artificiali. La Corte per parte sua, richiamando precedenti casi giurisprudenziali ed esaminando in dettaglio la legge del 22 aprile 2005, ha rilevato che esiste una grande differenza tra infliggere volontariamente la morte e astenersi da trattamenti giudicati irragionevoli non avendo essi altro scopo se non quello di mantenere in vita artificialmente una persona. A giudizio della Corte tale distinzione è idonea a dimostrare che la legge francese in questione non viola l’art. 2 della Convenzione. Quanto alla nozione di trattamento la Corte nota che si registrano differenze tra Paesi nel qualificare l’alimentazione e l’idratazione artificiali come trattamenti sanitari, e pertanto suscettibili di essere interrotti qualora assumano il carattere di ostinazione irragionevole, o come cure rispondenti a bisogni essenziali della persona, che quindi non possono essere interrotti salvo che la persona in fin di vita lo esiga. A questo riguardo è interessante rilevare con i Giudici di Strasburgo che la “Guida sulla procedura decisionale dei trattamenti medici nelle situazioni di fine vita” redatta dal Consiglio d’Europa, precisa che la nozione di trattamento ingloba gli interventi volti a migliorare lo stato di salute di un paziente agendo non solo sulle cause della malattia, ma anche sui sintomi o che comunque rispondono a un’insufficienza funzionale. Quanto alla nutrizione e all’idratazione artificiale, la Guida rileva che esse vengono apportate al paziente in risposta ad un’indicazione medica, presuppongono la scelta di una procedura e di un dispositivo medico (perfusione, sonda naso-gastrica). Tali precisazioni si aggiungono a quelle offerte dal Consiglio di Stato che ha ribadito chiaramente i criteri in base ai quali un trattamento può assumere le caratteristiche di una ostinazione irragionevole e merita di essere interrotto. Anche alla luce di tali ulteriori delucidazioni, la Corte rileva che la legge del 22 aprile 2005 costituisce un quadro normativo sufficientemente chiaro e non configgente con l’art.2 della Convenzione. Quanto all’obiezione sollevata dai ricorrenti che la procedura stabilita dalla legge Leonetti dovrebbe garantire la piena collegialità o quantomeno prevedere un processo di mediazione in caso di disaccordo tra i diversi attori, la Corte osserva che nel caso in esame la procedura prevista dalla normativa francese è stata osservata per lungo tempo in maniera e meticolosa, ben al di là di quanto richiesto dalla legge, e che anche se essa non ha condotto ai risultati auspicati dai ricorrenti, non si pone in contrasto con l’art. 2 della Convenzione.

Infine, la Corte si è concentrata sull’iter giurisprudenziale dell’”affaire Lambert”, osservando che nei diversi gradi di giudizio l’organo giudicante si è attenuto scrupolosamente ai compiti assegnatigli dalla legge. In particolare, il Consiglio di Stato, adito per direttissima, ha svolto un’indagine molto accurata. Alle lamentele dei ricorrenti basate sulla considerazione che il Consiglio di Stato non avrebbe dovuto tener conto dei pronunciamenti orali di Vincent, stimati troppo generici, i Giudici di Strasburgo controbattono che il paziente, anche se incapace di esprimere la propria volontà, è colui il cui consenso deve restare al centro del processo decisionale, di cui ne è il soggetto e l’attore principale. A questo proposito, l’organo giudicante ricorda che la Guida sulla procedura decisionale dei trattamenti medici nelle situazioni di fine vita, già citata, prevede che tale processo decisionale possa includere, tramite un intermediario, i desideri che il paziente stesso può aver espresso precedentemente e confidati oralmente a un membro della famiglia o a una persona cui è legato affettivamente. I giudici continuano poi osservando che in un certo numero di Paesi, il cui ordinamento non prevede la facoltà del cittadino di redigere direttive anticipate o un “testamento biologico”, la volontà presunta del paziente deve essere ricercata secondo diverse modalità (dichiarazioni del legale rappresentante, della famiglia, altri elementi probatori che illustrano la personalità e le convinzioni del paziente).

Sulla base di tutti questi elementi, la Corte di Strasburgo ha dichiarato, a maggioranze di 12 voti contro cinque, che, nel caso in esame, non vi sarebbe violazione dell’art. 2 della Convenzione nel caso in cui fosse applicata la decisione del Consiglio di Stato.

Alla fine di questa lunga disamina della vicenda una breve sia consentita una brevissima considerazione da parte di chi scrive: i ricorrenti non possono certo lamentarsi dell’impossibilità di far valere i propri presunti diritti in via giurisdizionale, come dimostrato dalla lunga sequela di sentenze nel caso in esame su un caso tanto doloroso.

Conclusioni

In base a quanto finora detto potremmo aspettarci che la drammatica vicenda di Vincent Lambert abbia avuto il suo epilogo con la sentenza della Corte di Strasburgo che ha confermato la decisione del Consiglio di Stato stabilendone la piena conformità alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo e ciò grazie ad un apparato normativo, quello stabilito dalla legge del 22 aprile 2005, sufficientemente chiaro e ormai ben rodato.

Purtroppo su entrambi i fronti dobbiamo ricrederci. A causa del pensionamento del medico responsabile della procedura di interruzione del trattamento, Vincent Lambert, al momento in cui si scrive, è ancora degente presso il Centro ospedaliero - universitario di Reims in attesa di una nuova procedura, dopo che il Tribunale amministrativo di Châlons-en-Champagne, in data 9 ottobre 2015, ha rigettato la richiesta di dare seguito alla decisione assunta in data 11 gennaio 2014, con grande eco sui giornali2.

Sul fronte legislativo si deve registrare la proposta di riforma del testo di legge del 2005 «Proposition de loi créant de nouveaux droits en faveur des malades et des persone en fin de vie» [7] presentata con grande enfasi nel gennaio 2015, che, nelle intenzioni dei relatori, dovrebbe condurre ad un rafforzamento dei diritti dei pazienti in fase terminale e, in particolare, alla previsione di un nuovo diritto per i pazienti alla fine della vita: il diritto alla sedazione terminale. Il testo approvato dall’Assemblea nazionale in seconda lettura differisce sensibilmente da quello approvato dal Senato, anch’esso in seconda lettura. Se può bastare a comprendere la differenza tra i due progetti, diremo che nel testo approvato dall’Assemblea nazionale si legge all’art. 2 «(…) La nutrizione e l’idratazione artificiale costituiscono un trattamento (traitement)» e nel testo approvato dal Senato, all’art. 2 «L’idratazione artificiale costituisce una cura (soin) che può essere mantenuta fino al decesso». Spetta ora a una Commissione mista paritaria di deputati e senatori il compito di trovare una mediazione che soddisfi entrambi i rami del parlamento3.

Che dire? Ancora una nuova sfida per l’etica medica e per il diritto medico e un monito per il futuro legislatore italiano se mai vi sarà una legge sui diritti dei malati alla fine della vita nel nostro Paese.

Bibliografia

  1. Cour Européenne des droits de l’homme, Grande Chambre. Affaire Lambert et autres c. France. Disponibile online su www.coe.int (ultimo accesso novembre 2015)
  2. Loi n. 2005-370 du 22 avril 2005 relative aux droits des malades et à la fin de la vie. Disponibile online su www.legifrance.gouv.fr (ultimo accesso novembre 2015)
  3. Farisco M, Petrini C. Neuroscienze e disturbi della coscienza: alcune definizioni e alcuni problemi. Biologi italiani 2012; 42: 30-2
  4. Conseil d’Etat 24 juin 2014. Affaire Vincent Lambert. Disponibile online su www.conseil-etat.fr (ultimo accesso novembre 2015)
  5. Cass. Civ., sentenza n. 21748 del 16 ottobre 2007. Disponibile online su www.biodiritto.it (ultimo accesso novembre 2015)
  6. Corte d’Appello di Milano, sez. I civile, decreto 9 luglio 2008. Disponibile online su www.eius.it (ultimo accesso novembre 2015)
  7. Proposition de loi créant de nouveaux droits en faveur des malades et des personnes en fin de vie. Disponibile online su www.assemblee-nationale.fr (ultimo accesso novembre 2015)

1 Lo “stato di minima coscienza + (MCS +)” indica quei pazienti che mostrano una relativa capacità di seguire delle istruzioni esterne, di verbalizzazione intelligente o di acconsentire/dissentire tramite risposte gestuali o verbali

2 Le cas de Vincent Lambert une nouvelle fois devant la justice, Le Monde, 29 septembre 2015, www.lemonde.fr; Faverau E. Pour Vincent Lambert rien ne devrait changer, Liberation, 29 septembre 2015, www.liberation.fr; Affaire Vincent Lambert: «dégouté», le neveu va faire appel, L’Union, 10 octobre 2015, www.lunion.com; Vincent Lambert: le tribunal rejette l’arrêt des traitements, Le Monde, 10 octobre 2015, www.lemonde.fr

3 Commission mixte paritaire chargée de proposer un texte sur les dispositions restant en discussion de la proposition de loi créant de nouveaux droits pour les personnes malades en fin de vie, www.assemblee-nationale.fr

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