PM&AL 2012;6(2)43-50.html

Rilevanza clinica e aspetti medico-legali delle interazioni tra farmaci

Roberto Leone 1, Lara Magro 1, Alessandra De Salvia 2

1 Sezione di Farmacologia, Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Università degli Studi di Verona, Verona

2 Sezione di Medicina Legale, Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Università degli Studi di Verona, Verona

Abstract

Drug-drug interactions (DDIs) are an important issue of clinical pharmacology. A drug interaction occurs when the amount or the action of a drug is altered by the administration of another drug or multiple drugs. The result of a DDI can be the onset of an adverse drug reaction (ADR), the lack or the reduction of efficacy or the increase of a pharmacological effect. Apart from pharmaceutical interactions, DDIs are generally classified as pharmacokinetic or pharmacodynamic, according to the underlying mechanism. The majority of known DDIs involve the drug metabolism. The main risk factors for DDIs are age, polypharmacy, self-medication, concomitant diseases, narrow therapeutic range and dosage. In the literature most of the studies on DDIs focused on potential interactions and most data about the epidemiology of actual DDIs are related to the out-inpatient settings with different incidences. In general the incidence of actual DDIs is lower than that of potential ones, however DDIs represent a significant proportion of ADRs, since the absolute number of patients involved is high. The use of specific suggestions and recommendations could be effective in the reduction of ADRs from DDIs.

Keywords: Drug-drug interactions; Adverse drug reactions; Clinical risk

Clinical relevance and medical legal aspects of drug-drug interactions

Pratica Medica & Aspetti Legali 2012; 6(2): 43-50

Introduzione

Lo studio delle interazioni tra farmaci costituisce un capitolo molto complesso della farmacologia clinica. Le criticità di questo argomento derivano essenzialmente dal fatto che la maggior parte della letteratura scientifica al riguardo si basa sullo studio delle interazioni potenziali, ossia quelle interazioni che possono essere previste a partire dalle proprietà farmacologiche note dei farmaci implicati, ma che non necessariamente si verificano in tutti i pazienti che saranno esposti a quei farmaci: in altre parole quelle interazioni che “accadono più sui libri” che in ambito clinico. La trasferibilità, quindi, dell’importanza delle interazioni alla pratica medica quotidiana è di difficile interpretazione e si rende sempre di più necessario recuperare e produrre le informazioni “clinicamente rilevanti” sulle interazioni.

Aspetti farmacologici e clinici

Definizione e principali meccanismi delle interazioni

Un’interazione tra farmaci si verifica quando la risposta farmacologica alla somministrazione contemporanea di due o più farmaci è diversa da quella attesa sulla base degli effetti noti dei due o più farmaci somministrati singolarmente, o più semplicemente quando gli effetti di un farmaco vengono modificati dalla presenza di un altro farmaco. Il manifestarsi di una interazione farmacologica dipende anche da una serie di fattori legati alle caratteristiche del paziente (età, sesso), alle modalità di somministrazione (dose, via di somministrazione) e al contesto in cui vengono prescritti i farmaci (ospedali, ambulatori medici). Le interazioni farmacologiche possono provocare la comparsa di reazioni avverse (ADR, Adverse Drug Reaction), in alcuni casi molto gravi, come ad esempio una emorragia intracranica da contemporanea somministrazione di warfarin e aspirina. In altri casi possono invece provocare la riduzione o la perdita di efficacia di uno dei due farmaci. È il caso, ad esempio, dell’associazione fra una tetraciclina e un antiacido con riduzione dell’efficacia dell’antibatterico per ridotto assorbimento. Interazioni farmacologiche di questo tipo sono indesiderate ed avvengono spesso per mancanza di conoscenza da parte del medico prescrittore. Al contrario in diverse situazioni il medico sfrutta le interazioni tra farmaci per ottenere un aumento dell’effetto terapeutico. L’associazione tra farmaci è quindi pratica clinica corretta, se effettuata in modo consapevole e prestando comunque molta attenzione ai possibili rischi. Ad esempio quando si associa furosemide a digossina, per avere un potenziamento dell’effetto farmacologico, si dovrà monitorare la funzionalità cardiaca del paziente per evitare gravi aritmie.

Le interazioni tra farmaci possono avvenire in qualsiasi fase dell’azione farmacologica. Le interazioni farmaceutiche coinvolgono farmaci, mescolati in una stessa soluzione per somministrazione parenterale, che sono incompatibili tra di loro e che possono inattivarsi reciprocamente o portare alla formazione di precipitati con conseguenze estremamente pericolose per la salute dei pazienti. Le interazioni farmacocinetiche sono quelle in cui un farmaco altera il processo di assorbimento, distribuzione, metabolismo o escrezione di un altro farmaco. Un esempio di interazione a livello dell’assorbimento è l’aumento del pH intestinale causato dagli antagonisti dei recettori H2 con conseguente marcata riduzione dell’assorbimento orale di ketoconazolo e fluconazolo. A livello della distribuzione dei farmaci viene molto enfatizzata la possibilità di competizione tra farmaci a livello del legame farmaco-proteico, anche se in generale si può affermare che questo effetto ha scarse conseguenze cliniche. Ovviamente esistono eccezioni a questa affermazione, ad esempio eritromicina è in grado di potenziare in modo significativo l’effetto di imatinib aumentandone la frazione plasmatica libera in seguito allo spiazzamento dal suo sito di legame [1]. Le interazioni farmacocinetiche più frequenti sono sicuramente quelle relative al metabolismo dei farmaci, in particolare influenzanti le reazioni di fase I, in cui gli isoenzimi del citocromo P450 giocano un ruolo chiave. Alcuni farmaci sono degli induttori enzimatici (es. rifampicina, fenobarbital, fenitoina, carbamazepina, efavirenz), mentre altri (più numerosi) sono degli inibitori (es. eritromicina, claritromicina, gli antifungini azolici, diversi antidepressivi, gli inibitori di pompa protonica). Naturalmente gli induttori enzimatici aumentano la metabolizzazione e gli inibitori la diminuiscono con conseguenze cliniche che variano a seconda del metabolita coinvolto, visto che i farmaci possono essere metabolizzati a forme attive, inattive o tossiche. Per quanto riguarda il processo di eliminazione, l’interferenza di alcuni farmaci sul pH del liquido endotubulare, sui sistemi di trasporto attivo e sul flusso ematico renale può alterare l’escrezione di altri farmaci. Infine le interazioni farmacodinamiche, legate ai meccanismi di azione, sono riconducibili ai fenomeni di sinergismo con aumento dell’effetto farmacologico, ad esempio la sonnolenza indotta dall’uso contemporaneo di benzodiazepine e antistaminici, o di antagonismo con diminuzione dell’effetto farmacologico. Gli antagonismi (competitivi o non competitivi) possono essere di tipo farmacologico quando un antagonista impedisce il legame di un farmaco agonista al suo recettore (es. naloxone verso morfina) o di tipo funzionale quando due farmaci hanno effetti opposti agendo su recettori diversi.

Fattori di rischio

Esistono diversi fattori di rischio che possono influenzare la comparsa di una interazione farmacologica (Tabella I).

Relativi al paziente

  • Età
  • Polimorfismi genetici
  • Patologie concomitanti

Relativi al farmaco

  • Indice terapeutico ristretto
  • Dose

Altri

  • Politerapia
  • Numero di medici prescrittori
  • Automedicazione

Tabella I. Fattori di rischio per l’insorgenza di una interazione tra farmaci

La politerapia è un fattore di rischio ben conosciuto per le interazioni fra farmaci, con il livello di rischio che aumenta in maniera quasi esponenziale all’aumentare del numero di farmaci assunti [2-4]. In uno studio del 1996 è stato osservato che, in pazienti esposti contemporaneamente a due farmaci, il rischio di andare incontro a una interazione potenziale è del 13%, mentre sale al 38% se i farmaci presi simultaneamente sono quattro e all’82% se i farmaci sono sette o più [5]. La politerapia è in continua crescita: ad esempio in Svezia, tra il 2005 e il 2008, la prevalenza di una terapia con più di 5 farmaci e più di 10 è aumentata rispettivamente del 5% e del 16% [6]. L’aumento del ricorso alla politerapia è essenzialmente legato al progressivo invecchiamento della popolazione che fa sì che ci siano sempre più soggetti con pluripatologie che devono assumere farmaci contemporaneamente. In una review, Hajjar e colleghi hanno riportato che in un setting di comunità gli anziani ricevono in media dalle due alle nove prescrizioni al giorno [7]; un’indagine condotta da Kaufman e colleghi negli USA ha mostrato che il 57% delle donne sopra i 65 anni riceve cinque o più prescrizioni al giorno e il 12% assume 10 o più farmaci [8]. In linea con questi risultati uno studio europeo, che ha coinvolto più di 2.700 pazienti con età media di circa 82 anni, ha rilevato che 51% dei pazienti assume più di sei farmaci e il 22% più di nove farmaci al giorno [9]. È stato anche dimostrato che le interazioni tra farmaci aumentano in relazione al numero dei medici che seguono i pazienti, così come al numero delle farmacie utilizzate per l’acquisto dei farmaci; riducendo questi numeri si potrebbe diminuire il rischio di interazioni negative [10]. Anche l’automedicazione è un fattore di rischio, poiché spesso il medico curante è ignaro di quali farmaci, prodotti erboristici o integratori il proprio paziente assume di sua iniziativa e che potrebbero interagire con i farmaci da lui prescritti; lo stesso accade anche per alcune bevande (ad esempio il succo di pompelmo, potente inibitore a livello gastrointestinale del citocromo CYP3A4). L’età dei pazienti, oltre ad essere la principale motivazione alla base della politerapia, rappresenta un rischio per la comparsa di una reazione avversa da interazione, come dimostrato da diversi studi sia in ambito extra-ospedaliero che ospedaliero [11-15].

Le interazioni che coinvolgono farmaci con ridotto indice terapeutico (quali ad esempio warfarin, teofillina, ciclosporina, clozapina, litio, digossina e fenitoina) hanno delle conseguenze cliniche più frequenti e più gravi di quelle correlate a farmaci con ampio indice terapeutico [16-19]. Altro fattore di rischio per la comparsa di una interazione, strettamente legato all’indice terapeutico, è la dose dei farmaci somministrati. Molte interazioni sono dose-dipendenti, ad esempio alte dosi di aspirina antagonizzano l’azione uricosurica del probenecid, mentre basse dosi non hanno questo effetto. Altro importante fattore di rischio sono i polimorfismi genetici a livello degli enzimi farmaco-metabolizzanti, dei trasportatori o dei recettori dei farmaci, che portano a una ridotta, aumentata o assente attività di queste molecole. In letteratura sono stati pubblicati diversi studi sull’influenza che i polimorfismi genetici hanno sulle interazioni, soprattutto a livello del metabolismo dei farmaci. Ad esempio, la possibilità che si manifesti clinicamente l’interazione tra tamoxifene e gli antidepressivi, con ridotta attività del primo farmaco, è maggiore in quei pazienti che hanno un polimorfismo genetico che influenza l’espressione del citocromo CYP2D6 [20]. Un altro esempio è la ridotta attività di clopidogrel, dovuta all’inibizione del CYP2C19 da parte degli inibitori di pompa protonica, che diventa clinicamente significativa in pazienti con una bassa capacità di trasformare clopidogrel nella sua forma attiva a causa di un polimorfismo genetico a livello del CYP2C19 [21].

Classificazione , epidemiologia e gravità delle interazioni

Come detto in precedenza in letteratura si trovano molti più studi sulle interazioni “potenziali” che studi sulle interazioni “reali” che determinano eventi clinici avversi (includendo in questo termine anche gli inaspettati insuccessi terapeutici). Inoltre ad oggi non esistono dei criteri di classificazione delle interazioni che siano univoci e riconosciuti dalla comunità scientifica e i diversi autori utilizzano per le loro ricerche criteri differenti, con la conseguente e prevedibile produzione di dati non direttamente confrontabili. La lista delle interazioni potenziali è molto lunga e include almeno 2.500 coppie di farmaci interagenti tra di loro, numero enorme che rende impossibile conoscere e ricordare tutte le interazioni [22]. In realtà non è neanche necessario, infatti solo un numero relativamente basso delle interazioni è di rilevanza clinica. Pertanto è bene fare riferimento alle classificazioni delle interazioni potenziali per concentrare la propria attenzione su quelle clinicamente più rilevanti. Una delle classificazioni più utilizzata e accettata internazionalmente è quella fornita dalla banca dati Micromedex [23] che suddivide le interazioni in base alla gravità (Tabella II) fornendo anche il grado di documentazione, da eccellente a sconosciuta, in base alle evidenze disponibili in letteratura.

Controindicata

I farmaci sono controindicati per l’utilizzo contemporaneo

Maggiore

L’interazione può essere potenzialmente letale e/o richiedere un intervento medico per ridurre al minimo o prevenire gravi effetti avversi

Moderata

L’interazione può causare un peggioramento delle condizioni del paziente e/o richiedere una modifica della terapia

Minore

L’interazione avrebbe limitati effetti clinici

Tabella II. Classificazione delle interazioni in base alla gravità secondo Micromedex [23]

In letteratura la stima dell’incidenza delle interazioni potenziali varia molto, dal 6 all’89% [24-27]. Un range così ampio di valori dipende dalle differenze nel disegno degli studi, nei metodi e nelle classificazioni utilizzate oltre che dai contesti prescrittivi (territorio, ospedale, reparti specialistici). Tuttavia, se facciamo riferimento agli studi che hanno identificato le ADR conseguenti alle interazioni tra farmaci, il range si restringe molto e l’incidenza delle interazioni si riduce. Un recente studio retrospettivo su 520 pazienti ha rilevato che all’ammissione in ospedale un’interazione potenziale era presente nel 51% dei casi, però soltanto 1,2% dei pazienti era stato ricoverato per una reazione avversa da interazione [28]. La stima dei pazienti anziani che sono esposti alle interazioni potenziali varia tra il 35% e il 60%, ma la percentuale di questi soggetti che soffre di ADR clinicamente significative causate da interazioni è del 5-15% [11,12]. Va comunque sottolineato che come accade per le interazioni potenziali anche le incidenze di quelle “reali” variano in base al contesto considerato, come evidenziato dai dati di una nostra recente revisione sull’argomento [29].

Per quanto riguarda il setting extra-ospedaliero, gli studi che hanno valutato la frequenza delle reazioni avverse causate da interazioni nelle case di cura o negli ambulatori sono pochi. La maggior parte si basa su dati di pazienti che accedono al pronto soccorso, che vengono ospedalizzati o ri-ospedalizzati. Tra i 25 studi che abbiamo incluso nella nostra revisione [29], 17 riguardavano le interazioni tra farmaci come causa di ammissione ospedaliera con un’incidenza compresa tra 0,24 e 6,2%; le incidenze più elevate si registravano nei pazienti più anziani. Cinque studi hanno valutato le interazioni come causa di accesso al pronto soccorso con incidenze comprese tra 0 e 0,17% e tre come causa di ri-ospedalizzazione con incidenze tra 0 e 7,6%. I farmaci più comunemente coinvolti nelle ADR provocate da interazioni da farmaci assunti in ambito territoriale sono i FANS, gli anticoagulanti, gli antiaggreganti piastrinici e i farmaci cardiovascolari in generale; conseguentemente le reazioni avverse più frequentemente riportate sono i sanguinamenti del tratto gastrointestinale, l’ipertensione, l’ipotensione e i disturbi del ritmo cardiaco.

Decisamente più elevata risulta l’incidenza delle interazioni farmacologiche durante ricovero ospedaliero. Uno studio inglese, su 3.322 pazienti, trova un’incidenza di ADR da interazioni pari a 8,7%, delle quali 91% su base farmacodinamica, 5,3% farmacocinetica e 3% miste [15]. Altri studi di dimensione più piccola riportano incidenze dello stesso ordine di grandezza, comprese tra 5,3% e 14,3% [30-32]. Nei pazienti ospedalizzati i farmaci più frequentemente coinvolti e la risultanza dell’interazione variano in funzione del setting considerato. Ad esempio in ambito geriatrico la reazione avversa più frequente è l’ipokaliemia da concomitante somministrazione di diuretici e corticosteroidi, mentre l’ipersedazione è quella maggiormente riportata nei pazienti ospedalizzati nei reparti di terapia intensiva.

Alcuni studi sulle reazioni avverse causate da interazioni sono stati effettuati analizzando i dati della farmacovigilanza, tra questi un nostro studio in cui abbiamo analizzato le sospette segnalazioni di ADR provenienti da cinque regioni italiane [33]. Sono stati identificati 5.345 pazienti (30,2%) con potenziali interazioni, in 1.159 di questi (22%) l’ADR è stata causata da un’interazione. Le ADR da interazioni più frequentemente segnalate coinvolgevano digossina e diuretici, aspirina e anticoagulanti o antipiastrinici. Le reazioni avverse dovute agli aumenti serici di digossina sono state quelle riportate con maggiore frequenza, le emorragie da interazione tra anticoagulanti, antipiastrinici e FANS sono state le ADR di maggiore gravità. I nostri dati mostrano che le reazioni avverse da interazioni risultano più gravi e più letali rispetto alle altre ADR con percentuali rispettivamente dello 67,3% vs 42,5% e del 4,2% vs 1,4%.

Come detto tra le conseguenze negative di una interazione farmacologica vi è anche la riduzione o la perdita di efficacia, quasi sempre dovuta a fenomeni di induzione metabolica. Secondo i dati di letteratura la percentuale di pazienti che hanno avuto fallimenti terapeutici da interazione varia fra l’8,9% [33] e l’11,6% [14]. Farmaci frequentemente coinvolti in questo tipo di interazioni sono benzodiazepine e antidepressivi o antipertensivi e FANS. Altri esempi clinicamente significativi di interazioni che causano una riduzione nell’efficacia dei farmaci sono l’uso concomitante di induttori enzimatici del citocromo P450 (es. rifampicina, fenitoina, carbamazepina) con antidepressivi, calcio antagonisti, corticosteroidi, ciclosporina, teofillina, tiroxina o warfarin, così come l’associazione tra profarmaci (es. clopidogrel, codeina) e sostanze che ne impediscano o riducano la trasformazione a farmaci attivi. Quest’ultimo fenomeno ha avuto recentemente grande spazio in letteratura in relazione alla ridotta attività piastrinica di clopidogrel dovuta all’interazione con gli inibitori di pompa protonica che ne riducono la trasformazione alla sua forma attiva [34,35]. Esistono molte incertezze sul reale significato clinico di questa interazione e recenti articoli ne hanno di molto ridimensionato la rilevanza clinica [36-39].

Aspetti medico-legali

La prescrizione farmacologica si caratterizza oggi come un atto medico assai più complesso che in passato, in ragione dell’ampia disponibilità di farmaci che contemporaneamente vengono ad esser proposti al medesimo soggetto per la cura di svariate patologie concomitanti, con enorme dilatazione della possibilità di eventi avversi anche pericolosi dovuti alle interazioni, di cui il sanitario deve assumersi la responsabilità.

Il Codice di Deontologia medica, che delinea prerogative e limiti dell’attività sanitaria, all’articolo 13 enuncia chiaramente come ogni trattamento terapeutico impegni la diretta responsabilità del medico sia dal punto di vista professionale che da quello etico.

La scelta del trattamento e la sua programmazione, compiute dal sanitario in totale autonomia e libertà, non possono che scaturire da una precedente diagnosi circostanziata o, quanto meno, da un fondato sospetto diagnostico: la prescrizione di farmaci, presupponendo giudizi e valutazioni in merito allo stato di malattia dell’assistito e alla necessità della terapia, ricade nella sfera volitiva del sanitario in relazione a tipologia di principi attivi in relazione alla patologia riscontrata, a tempi, dosi e modalità di somministrazione, associazione di farmaci e loro effetti.

Il medico prescrittore dovrà farsi carico anche della verifica del procedimento e delle conclusioni diagnostiche preliminari alla decisione terapeutica. Il suggerimento terapeutico di uno specialista, fornito quale indicazione alla terapia, all’opportunità di associazione o di alternativa farmacologica, non solleva dalla responsabilità il medico, che si assume totalmente gli oneri deontologici, quelli professionali, relativi ad eventuali danni al paziente, e quelli economici, per quanto concerne gli aspetti di concedibilità del farmaco dal Sistema Sanitario Nazionale: «è essenziale, quindi, che ciascuna prescrizione risponda, per il medico che la formula, a valutazioni diagnostiche che il medico stesso abbia obiettivamente e accuratamente maturato […]. Deve essere dunque il medico […], acquisiti tutti gli elementi necessari per una esauriente valutazione clinica del caso, a decidere se prescrivere o meno il farmaco ovvero, se del caso, mutare una precedente prescrizione farmacologica» [40].

Il consenso dell’avente diritto, espressione del principio di autonomia del paziente, resta il requisito imprescindibile della liceità di ogni atto medico, anche quando si possa supporre che esso sia intrinseco riguardo l’accettazione della terapia. Tra i doveri professionali posti in capo al medico, oltre a quello della adeguata prestazione terapeutica, sta l’obbligo di informare compiutamente il paziente, anche ai fini della validità del consenso. Gli scopi della terapia farmacologica, i possibili effetti collaterali e/o inattesi dei singoli farmaci e delle eventuali interazioni, le possibili alternative terapeutiche, nonché le conseguenze della mancata terapia, della sua sospensione, della modificazione di modi, tempi e posologia di assunzione, dell’associazione con farmaci di autoprescrizione – sull’utilizzo dei quali da parte del paziente è comunque onere del sanitario informarsi compiutamente – sono i contenuti essenziali dell’informazione da fornire al paziente ai fini della garanzia della sua autodeterminazione consapevole, che può orientarsi anche verso il rifiuto delle cure. «Il paziente ha il diritto, attraverso l’informazione, a potersi determinare con l’ausilio tecnico-scientifico del sanitario […] verso l’una o l’altra delle scelte possibili, attraverso una cosciente valutazione dei rischi relativi e dei corrispondenti vantaggi» [41].

Dottrina e giurisprudenza riconoscono al dovere di informazione un’autonoma valenza contrattuale e un connesso dovere del sanitario di adempimento secondo diligenza, indipendentemente dall’eventuale danno riportato dal paziente: «anche in caso di sola violazione del diritto all’autodeterminazione, pur senza correlativa lesione del diritto alla salute ricollegabile a quella violazione per essere stato l’intervento terapeutico necessario e correttamente eseguito, può dunque sussistere uno spazio risarcitorio» [42].

La forma contrattuale del rapporto sanitario-cittadino è ormai codificata dall’orientamento uniforme della giurisprudenza, non solo per la struttura erogante la prestazione ma anche per il medico in essa operante, impegnato nei confronti dell’utente in ragione del “contatto sociale” che costituisce un rapporto contrattuale di fatto con rapporto vincolante per il sanitario [43], che si accompagna ai relativi oneri nella dimostrazione di avere ben agito rispetto all’ipotesi di inadempienza contrattuale, oltre che alla dilatazione del limite di prescrizione dell’azione legale.

La violazione dell’obbligo di assunzione del consenso sembra configurare l’unica fattispecie di atteggiamento colposo del medico che esuli da una inadeguatezza clinica, nella somministrazione in associazione di medicinali la cui interazione risulti sfavorevole, che si qualifichi come:

  • imperizia: lo stesso Codice di Deontologia sottolinea che «il medico è tenuto a una adeguata conoscenza della natura e degli effetti dei farmaci, delle loro indicazioni, controindicazioni, interazioni e delle reazioni individuali prevedibili»;
  • imprudenza, per azzardo nell’associazione per eventi avversi segnalati e conosciuti: «È sanzionabile per colpa la condotta del medico che pratica, pur con diligenza, una terapia implicante maggiori rischi per il paziente se concretizzatasi poi in un danno, poiché ha scartato altre opzioni terapeutiche idonee alla condizione clinica specifica nel singolo caso e tali da evitare il determinarsi dell’evento dannoso» [44];
  • negligenza, mancanza di approfondimento diagnostico o di follow-up terapeutico: la condotta di un sanitario che, nel prescrivere l’uso di un farmaco di cui si conoscevano gli effetti nefrotossici, non ha effettuato i dovuti e periodici esami ematochimici diretti a verificare la funzionalità renale di un paziente, è stata giudicata un’omissione dalla quale è scaturita la sentenza di condanna per il reato di lesioni colpose [45].

Tutte queste circostanze possono configurare responsabilità sia in ambito civile sia in quello penale.

Inoltre l’ultima sentenza citata precisa come, per configurare la doverosità dell’azione omessa, sia «sufficiente che si sia instaurato un rapporto sul piano terapeutico tra paziente e medico per attribuire a quest’ultimo la posizione di garanzia ai fini della causalità omissiva e comunque quella funzione di garante della vita e della salute del paziente che lo rende responsabile delle condotte colpose che abbiano cagionato una lesione di questi beni» [45].

In sostanza il medico è chiamato a rispondere del verificarsi di un danno per comparsa di un evento avverso (peggioramento clinico) o per mancanza di effetto terapeutico (mancato miglioramento clinico), conseguente a una sua eventuale condotta colposa, come sopra delineato.

Nell’ambito della terapia farmacologica e della contemporanea somministrazione di più principi attivi si deve, tuttavia, rilevare come ogni paziente possa presentare una risposta individuale, che può discostarsi dalla media delle risposte attese in particolare nell’ambito delle interazioni tra farmaci di cui non sempre sono completamente conosciuti gli effetti.

Pertanto deve essere ben circostanziato se l’esito non atteso del trattamento debba essere attribuito ad incongrua scelta dell’associazione farmacologica che ha comportato una reazione avversa da interazione tra farmaci. Tali eventi avversi devono essere in qualche modo prevedibili ed evitabili dal medico affinché si concretizzi l’infedeltà alla posizione di garanzia nei confronti del paziente, che consente di imputare il danno al medico a titolo di responsabilità professionale per inadeguata condotta clinica.

Dunque risulta fondamentale la dimostrazione del nesso causale tra l’evento dannoso e l’azione commissiva, laddove il fatto colposo si concretizza nella somministrazione di una terapia farmacologica dannosa, o la più usuale azione omissiva, ispirandosi, in questo caso, alla consolidata dottrina del giudizio controfattuale, secondo la quale, ipotizzando una diversa condotta, si dovrebbe accertare, sulla base di regole scientifiche condivise,  che l’evento lesivo non si sarebbe verificato nel caso concreto con elevato grado di credibilità razionale [46]. In assenza di manifesto nesso causale tra condotta censurata e danno al paziente, nessuna responsabilità potrà essere addebitata al sanitario.

Conclusioni

Nonostante alcune discordanze nei dati disponibili in letteratura si può sicuramente affermare che l’incidenza delle interazioni reali è di gran lunga più bassa rispetto a quella delle interazioni potenziali; tuttavia il numero assoluto di pazienti coinvolti è alto e le interazioni clinicamente significative rappresentano così una parte importante delle reazioni avverse da farmaci. Per definizione le reazioni avverse da interazioni sono evitabili (ovviamente quando l’interazione è nota). Pertanto prevenire la comparsa delle conseguenze negative delle interazioni farmacologiche non solo è possibile ma è di fondamentale importanza per la salvaguardia della salute dei pazienti oltre che per gli aspetti medico-legali sopra enunciati.

Naturalmente per potere prevenire è necessario conoscere e non sempre è facile ricordare tutte le possibili interazioni farmacologiche. L’attenzione del prescrittore deve essere rivolta a quelle, tutto sommato limitate come numero, clinicamente rilevanti. Il ricorso a sistemi di allerta computerizzati è stato suggerito da molti studi, ma la loro reale utilità in ambito clinico è ancora oggetto di discussione e sicuramente è necessario creare strumenti più affidabili che evitino l’allerta continua (che porta ad ignorare l’allarme) e che forniscano le informazioni rilevanti sul reale rischio clinico dell’interazione [47]. Da questo punto di vista le conseguenze cliniche delle interazioni farmacologiche nella pratica medica dovrebbero essere indagate ulteriormente, anche per identificare i farmaci coinvolti. Questo è premessa indispensabile per instaurare interventi efficaci per migliorare l’identificazione, il trattamento e la prevenzione delle interazioni farmacologiche negative. Il medico deve in ogni caso prestare molta attenzione nell’instaurare una politerapia, in particolare quando utilizza farmaci con un basso indice terapeutico e/o con un profilo di rischio particolarmente problematico (es. anticoagulanti, antiaggreganti piastrinici, digossina, antiepilettici, ecc.). La consultazione della scheda tecnica per la verifica delle interazioni (alcune delle quali incluse anche come controindicazioni) è assolutamente indispensabile e obbligatorio.

Più in generale il ricorso a un numero limitato di farmaci, con una valutazione puntuale del rapporto beneficio/rischio e della reale necessità della loro somministrazione, l’attenzione ai fattori di rischio del paziente, il continuo monitoraggio delle terapie instaurate e l’attenzione ai primi segni e sintomi che possono far sospettare l’insorgenza di una reazione avversa, sono tutti elementi di una buona pratica clinica che possono contribuire a ridurre l’impatto negativo delle interazioni farmacologiche. Elementi ai quali aggiungiamo anche l’obbligo della segnalazione delle ADR ai responsabili di farmacovigilanza, attività che può contribuire ad aumentare le conoscenze anche nel campo delle interazioni e che in ogni caso contribuisce all’attenzione del medico alle problematiche di sicurezza.

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.

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Corresponding author

Prof. Roberto Leone

Dipartimento di Sanità Pubblica e Medicina di Comunità, Policlinico “GB Rossi”, p.le LA Scuro, 37134, Verona

roberto.leone@univr.it

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