PM&AL 2012;6(3)91-99.html

Mediazione in sanità. L’arbitrarietà dell’atto medico di imaging ionizzante, il consenso informato e l’opportunità stragiudiziale del D. Lgs. n. 28/2010

Antonio Dodaro 1, Virginia Recchia 2

1 Giurista e Mediatore Sanitario, Lecce

2 Ricercatrice esperta in Comunicazione e Knowledge Management in Sanità, CNR-IFC Istituto di Fisiologia Clinica, Lecce

Abstract

Inappropriate use of ionizing tests in medicine represents an increasing trend, which causes noteworthy damages to health, as well as a huge increment of health expenditures, waiting lists, organizational conflicts, judicial disputes, and insurance compensations. This phenomenon is strictly related to the key bioethical and legal issue of patient’s autonomy, which is protectable by means of a correct implementation of informed consent. The current practice of the passive signature on incomplete and unreadable informed consent templates belongs to the so-called “event-based” approach. This practice mortifies the patient’s right to decide freely and deliberately, being him unaware of the biological consequences of diagnostic-therapeutic interventions on himself and on his progeny’s health. On the other hand, physicians themselves are not protected, since they can generate arbitrary clinical acts more frequently, with heavy deontological and legal consequences. Conversely, a “process-based” approach is necessary, which conveys informed consent in a series of other clinical and organisational processes towards a full therapeutic alliance among physician and patient. Actually, in both the presence and absence of the inauspicious event recurring also in the area of imaging as well as in other specialist areas, an arbitrary informed consent is the cause of deep conflicts, especially at relational level, between physician and patient. The authors suggest – in both juridical and communication perspectives – that these conflicts deserve to be properly analyzed and brought to the surface by the parties through the tool of mediation in healthcare, provided by Legislative Decree n. 28/2010. This tool is oriented not so much towards a technical solution at all costs, as towards a reconstruction of the care relationship, which unfortunately is lacking in the current way of conceiving and managing informed consent.

Keywords: Informed consent; Patient’s autonomy; Inappropriateness; Ionizing medical imaging; Mediation in healthcare

Mediation in health care. Inappropriate use of ionizing tests, informed consent and opportunity of Legislative Decree n. 28/2010

Pratica Medica & Aspetti Legali 2012; 6(3): 91-99

Introduzione

L’inappropriatezza nell’imaging medico ionizzante rappresenta oggi un trend crescente [1-3]. Questo fenomeno causa notevoli danni alla salute ed è strettamente legato al tema bioetico e legale dell’autonomia del paziente, che può e deve essere a sua volta protetta attraverso una corretta implementazione del consenso informato. La dottrina, inoltre, sottolinea l’idea di utilizzare il consenso informato anche per migliorare la comunicazione medico-paziente. Alcuni Autori hanno osservato che, al contrario, il consenso informato spesso fallisce nel raggiungere questi due scopi [4-10]. Altri Autori, tuttavia, interpretano questo dato attraverso la differenza che esiste tra la dottrina – che rimane tuttora valida – e l’applicazione pratica – che è ancora imperfetta e necessita di molti miglioramenti [11-15]. Noi aggiungiamo che la pratica attuale della firma passiva su moduli di consenso informato illeggibili, incomprensibili e spesso incompleti costituisce, di fatto, un nodo centrale del problema dell’inappropriatezza nell’imaging medico ionizzante [16].

Il consenso informato in medicina rappresenta un processo decisionale e comunicativo in base al quale il paziente è chiamato ad accettare o meno un successivo atto di diagnosi o cura pericoloso e/o invasivo per la propria salute e/o vita, nonché per il proprio DNA. La prassi attualmente diffusa anche a livello internazionale tende purtroppo a svilire il ruolo di questo istituto giuridico, a tal punto da metterne in dubbio la stessa valenza legale come atto di volontà cosciente quanto informata del paziente. Tale prassi – cosiddetta event-based [15] – si concretizza nell’evento di “firma” su un modulo generico e privo di elementi di personalizzazione, che il paziente si trova a sottoscrivere in modo quasi automatico, passivo, e soprattutto disinformato.

Contrariamente a quanto avviene nell’attuale prassi, il consenso informato dovrebbe circoscrivere uno spazio “simbolico”, entro il quale porre in essere un processo di comunicazione e di condivisione di informazioni aventi particolare significatività, dal punto di vista tanto del paziente quanto del medico. Gli interessi e i valori in gioco spettanti al paziente confliggono, in particolare nell’area dell’imaging, con quelli che sono gli astratti benefici promessi da una medicina tecnologica di risultato, che oltretutto pone in secondo piano quella visione complessiva della patologia che solo la relazione personale medico-paziente è in grado di fornire. Sia in presenza che in assenza dell’evento infausto ricorrente anche nell’area dell’imaging come in altre aree specialistiche, un consenso informato arbitrario è causa di profondi conflitti anche e soprattutto a livello relazionale tra medico e paziente. Tali conflitti meritano di essere correttamente analizzati e portati in superficie dalle parti tramite lo strumento della mediazione in sanità, fornito dal  D. Lgs. n. 28/2010 e prioritariamente orientato non tanto verso una soluzione tecnica ottenuta a tutti i costi, quanto verso una ristrutturazione delle relazioni fra i soggetti di una relazione di cura, che purtroppo è venuta a mancare nell’attuale modo di concepire e gestire il consenso informato.

Il consenso informato da “evento” a “processo”: implicazioni possibili nell’imaging ionizzante

Il consenso informato in medicina è un istituto giuridico che consente al paziente la reale comprensione e l’espressione di una propria volontà consapevole in merito a un atto medico che lo riguarda, funzionale alla cura della malattia in cui versa. Tale facoltà si estrinseca in un complessivo processo di comunicazione innescato da parte del medico nella diagnosi o nella cura, nel quale convergono riflessi sia scientifici, sia clinici, sia legali intimamente connessi alla sfera dei bisogni e interessi di entrambi gli attori della relazione di cura.

Il paziente può, tramite il consenso informato, personalmente, liberamente ed esplicitamente accettare o rifiutare uno specifico atto di medicina che gli venga proposto e che non sia classificabile come “di routine”. In particolar modo, l’atto medico su cui il consenso informato esercita il suo preminente ruolo di garanzia legale è quello caratterizzato da una rischiosità e/o invasività tale da mettere a repentaglio, tanto nel breve quanto nel medio e lungo termine, il complessivo benessere psicofisico del paziente.

L’alveo legale e negoziale del consenso informato è pertanto un luogo simbolico in cui dare spazio alle aspettative e ai sentimenti più profondi provocati dalla malattia nel paziente, e consistenti tipicamente non solo nella paura, nella diffidenza, nell’ansia, ma anche nella speranza e nella fiducia di riappropriarsi della perduta condizione di salute. Tali sentimenti e aspettative del paziente proprio nel consenso informato dovrebbero essere riconosciuti attraverso un adeguato ed efficace dialogo, instaurato e gestito dal medico su aspetti complessi ma qualificanti dell’atto medico, quale mezzo per tentare di aggredire e sconfiggere la malattia o quantomeno per convivere meglio con la stessa. In tale alveo ricadono, per etica professionale e per legge, elementi basilari tra cui:

  • le condizioni di salute in cui versa il paziente;
  • il trattamento diagnostico o curativo proposto dal medico;
  • i potenziali benefici di tale trattamento;
  • i possibili inconvenienti/rischi connessi a tale trattamento;
  • le possibili alternative diagnostiche o curative connesse a tale trattamento, insieme agli eventuali inconvenienti/rischi connessi con tali opzioni;
  • le probabilità di successo del trattamento proposto;
  • i possibili esiti derivanti dal non trattamento.

In quest’ottica, la comunicazione del rischio assume un ruolo notevole e dirimente nell’economia di un eventuale contenzioso giudiziario che punti all’accertamento della validità legale del consenso informato raccolto da parte di un medico, sia esso curante, specialista prescrittore o specialista in radiologia o medicina nucleare. D’altra parte, svariati studi si sono focalizzati sul problema di comunicare il rischio in ambito medico, fornendo in molti casi interessanti soluzioni [17-24].

Nella rischiosità e/o invasività degli atti medici, oltre alle possibili conseguenze cliniche prevedibili in conformità alle più aggiornate evidenze scientifiche, devono a nostro avviso ricomprendersi anche quelle relative all’uso di radiazioni generate da strumentazioni tecnologiche altamente avanzate e rischiose per la salute e per la vita dei pazienti, come quelle riguardanti l’imaging ionizzante. In tale contesto clinico, la comunicazione medico-paziente nell’ambito del consenso informato assume una posizione ancor più di rilievo se si pensa alla bilateralità e reciprocità che caratterizza tale asimmetrico rapporto interpersonale.  L’informazione unilaterale da parte del medico, filtrata soltanto attraverso un modulo burocratico di consenso informato – privo delle informazioni sui rischi da radiazioni – da far firmare a un paziente ignaro e scosso dalla malattia, oltreché essere ben diversa da una corretta comunicazione bilaterale, ha una valenza legale quasi nulla, con riferimento agli ordinamenti giuridici sia di Common Law che di Civil Law.

Nella prospettiva del medico, la comunicazione relativa ad atti pericolosi e/o invasivi, o al rischio di danni acuti o cronici per la salute del paziente, deve contemplare non solo i relativi benefici, ma anche la descrizione di metodiche opzionali applicabili al caso clinico concreto e caratterizzate da un minor rischio e da una comparabile efficacia diagnostica e/o terapeutica. Nella consuetudine più diffusa, tuttavia, il consenso informato in medicina, da diritto fondamentale e universale del paziente e da crisma legale di validità del conseguente atto di medicina rischioso e/o invasivo viene sistematicamente trasformato in mera circostanza di natura prima burocratica e poi educativa. Lo scopo educativo, oltre che essere secondario, viene strumentalmente riferito a una più ampia visione “paternalistica” che, da sempre, rappresenta il vessillo di gran parte della classe medica. Nell’ambito di questa visione, il malato, lungi dal ricoprire un ruolo centrale nella decisione all’interno della relazione di cura, è destinatario passivo di una informazione unilaterale, in cui lo spazio per i sentimenti connessi alla malattia e per l’empatia non può realisticamente trovare alcun pratico riscontro.

Una tale erronea impostazione dell’istituto giuridico de quo non trova alcun aggancio giustificativo nella legge e tantomeno nella deontologia medica, né in Italia, né altrove. Logica conseguenza di ciò è data dal moltiplicarsi di contenziosi giudiziari attribuiti a tutti quei medici che ostinatamente perpetuano l’esercizio della loro ars trascurando il diritto del paziente a essere coinvolto emotivamente e razionalmente su tutti quei rischi prevedibili, e pertanto evitabili, di eventi infausti implicati sia nell’atto medico proposto sia nella metodica con cui lo si voglia realizzare.

Qualunque possa essere la decisione presa dal paziente intorno a un atto medico rischioso e/o invasivo, essa stessa deve rappresentare il naturale sviluppo di un continuo e coerente percorso diagnostico e/o terapeutico intrapreso con chi l’assiste, e cioè rispecchiarsi nella stessa e complessiva relazione medico-paziente [15,25]. L’autonomia decisionale del paziente è, e sempre deve essere, espressione di un rapporto concreto in cui il solo sbocco formale della prescrizione o della esecuzione materiale di un qualsivoglia atto medico rischioso o invasivo senza coinvolgimento reale della persona del paziente, rappresenta momento di grave illegittimità professionale nonché di scorretto atteggiamento deontologico.

In tale ottica, alcuni atti di imaging ionizzante – si pensi alla TAC dell’addome, che genera radiazioni equivalenti a quelle di 500 radiografie del torace [27] – meritano ancor più di investire l’autonomia decisionale del paziente. Tale coinvolgimento dovrebbe avvenire tanto nel momento della prescrizione, proposta dal medico curante o specialista non radiologo, quanto nel momento dell’esecuzione, effettuata per mano dello specialista di imaging. Oltretutto, in ordine agli atti di imaging ionizzante, si deve sempre considerare la valenza assunta da specifiche quanto significative raccomandazioni espresse nel tempo da parte di eminenti organismi internazionali deputati al controllo dell’energia atomica applicata anche per scopi di natura medica [28]. Questa circostanza valorizza ancora di più il ruolo legale che la comunicazione del rischio all’interno del consenso informato applicato all’imaging ricopre, contrastando l’abuso che di tali atti clinici si fa troppo spesso negli ospedali e nelle cliniche private, sovente a prescindere da una loro giustificazione e appropriatezza.

Anche per questa area della clinica, il consenso informato rappresenta il naturale perimetro imposto dalle norme protezionistiche, a cui dedicare uno spazio comunicativo irrinunciabile per la condivisione di informazioni scientificamente significative, da unire alla cura emozionale del paziente. In tale spazio, i rischi probabilistici da esposizione non possono certo essere sottaciuti in virtù delle basse dosi di radiazioni, che comunque si accumulano nell’organismo e per le quali nel medio-lungo termine non si può escludere il verificarsi di danni biologici per la salute e la vita del paziente, nonché per il suo DNA [29-31]. La prassi ospedaliera e libero-professionale, diversamente da quanto implicato nel concetto astratto di “salute”, e cioè di complessivo benessere psicofisico della persona del paziente, risulta ancora poco incline ad abbracciare operativamente un modello relazionale di consenso informato, volto a valorizzare anche il vissuto emozionale del paziente.

Per comprendere le assunzioni teoriche alla base di questa visione del consenso informato, è fondamentale il riferimento a un importante assioma della “pragmatica della comunicazione umana” [32]: «Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e uno di relazione, di modo che il secondo classifica il primo ed è quindi meta-comunicazione». Questo assioma genera una serie di conseguenze nella pratica della comunicazione. Nel contesto della comunicazione medico-paziente per un valido consenso informato, una di queste conseguenze si riflette nel fatto che la conoscenza clinico-scientifica del medico (aspetto di contenuto) deve essere calibrata da un’efficace comunicazione diretta al paziente in quanto persona (aspetto di relazione). Questo concetto, oltretutto, è logicamente connesso al principio legale di “buona fede”, che l’intera ars medica deve osservare.

In un modello così concepito, la sensibilità del medico, tradotta anche in termini di una migliore comunicazione interpersonale, dovrebbe rappresentare sempre e comunque il mattone su cui costrui­re la fiducia posta alla base di un’auspicabile “alleanza terapeutica” [25]. Spesso, al contrario, la fiducia del paziente viene forzosamente riposta nel medico, quale simbolo di cura e di aiuto in grado di ripristinare lo stato di salute. Tale scenario della relazione medico-paziente esalta l’asimmetria informativa monopolizzata dal medico. Ne consegue, inoltre, una responsabilizzazione del medico oltre misura, che si accompagna a un atteggiamento paternalistico capace di alimentare nel paziente aspettative di guarigione non sempre realizzabili e non sempre correlabili con la stessa diligenza e perizia professionale dell’operatore sanitario.

Una tale forma di relazione appalesa una sua fragilità strutturale intrinseca, in cui l’informazione clinico-scientifica, e quindi anche l’ascolto e il dialogo, necessitano di essere adattate meglio a quelle che sono le reali condizioni di salute riscontrate nel paziente. Solo in tal modo si può tentare di favorire la cosiddetta “personalizzazione” complessiva del processo di consenso informato, considerando il profilo comunicativo ed empatico della relazione di cura, oltre che quello più strettamente clinico e quello legale.

Una testimonianza di questa necessità viene fornita non a caso dalle statistiche delle Compagnie Assicurative chiamate alla copertura dei danni riconducibili agli errori medici consumati in area ospedaliera. Tali dati sorprendentemente evidenziano come il medico più attento alla cura degli aspetti comunicativi e relazionali, nell’ambito di un complessivo rapporto con il paziente, sia anche il meno esposto a contenziosi giudiziari rispetto al collega tecnicamente preparato, ma deludente sotto i profili cosiddetti soft [33].

Parallelamente, nel citato e carente modello event-based di gestione del consenso informato, l’assenza del rapporto medico-paziente e l’impossibilità di creazione di una alleanza diagnostica si traduce in definitiva in:

  • un’assente percezione di utilità clinica del consenso informato stesso, dal lato dei medici;
  • una bassa o nulla percezione di partecipazione attiva alla decisione sull’atto medico proposto, dal lato dei pazienti.

In base a tale modello, l’unica preoccupazione del clinico si esaurisce nel fornire al paziente – e non sempre nell’ambito di un rapporto diretto – tutte quelle informazioni sulla diagnosi o cura che possono solo astrattamente ricondursi alla situazione clinica concreta che impegna lo stato di salute del paziente osservato. In tal modo, la classe medica reputa che il paziente possa essere messo nelle condizioni di validità legale – non certo clinica e tantomeno relazionale – per decidere efficacemente sullo specifico atto medico proposto. È intuitivo comprendere come una tale visione del consenso informato sia alquanto miope, oltreché giuridicamente azzardata, per lo stesso professionista. Il problema derivante da questa constatazione è nel fatto che il convincimento dei medici non risponde a una verità apprezzabile né da un punto di vista deontologico né da un punto di vista comunicativo o giuridico.

L’attenzione paternalistica del medico è pertanto proiettata, a tutt’oggi, più sulla diagnosi e sulla cura della malattia “in astratto” che sulla persona del paziente. Un tale modo di guardare al rapporto medico-paziente riduce quest’ultimo a semplice malato indotto passivamente a subire un atto medico non tanto per un atto di fiducia realmente accreditata al medico, quanto, più che altro, per un inconcepibile quanto anacronistico atto di fede. È facile riscontrare come in questa visione della relazione medico-paziente l’asimmetria informativa del professionista comprima letteralmente la libertà personale e legale del paziente. Il paziente non può – attraverso un semplice modulo di consenso informato – ritenersi messo nella condizione comunicativa e legalmente auspicabile di comprendere, mediante il filtro della propria intelligenza e sensibilità personale, la spiegazione clinico-scientifica sottesa a una certa attività diagnostica e/o terapeutica che il medico propone, peraltro pensando a una situazione patologica riscontrata ma non apertamente condivisa con il paziente.

In definitiva, nella prassi medica che lega il consenso informato al semplice evento di firma su un modulo cartaceo, la giurisprudenza penale italiana riscontra l’anticamera di un atto di medicina definibile quale “arbitrario”. In una tale arbitrarietà dell’atto medico riscontriamo una illiceità vera e propria della medesima attività clinica [34]. Ciascuno di noi deve poter comprendere e decidere se e in quale misura un atto medico – e quindi anche di imaging ionizzante – proposto dal curante possa deteriorare il proprio benessere psicofisico, superando le contingenze della malattia e coinvolgendo beni giuridici quali l’esistenza stessa dell’individuo. In tal senso si guarda all’istituto legale del consenso informato e ci si pone il problema di come informare il paziente quando l’atto medico, considerato intrinsecamente oltre che per gli effetti immediati e i benefici sulla malattia, possa implicare una rischiosità per la salute del paziente e per quella della sua stessa progenie [30].

Atto medico rischioso e arbitrario e genesi del conflitto

Il consenso informato come evento di firma su un modulo cartaceo è un atto giuridicamente rilevante che si colloca in un arco temporale circoscritto e breve, nel quale il medico fornisce al paziente tutte le informazioni circa la diagnosi o la cura che intende attuare [15,25]. Il paziente, in tal modo, dovrebbe essere messo in grado di accettarla o rifiutarla. Il consenso informato rappresenta, pertanto, in questa visione, un’ulteriore procedura nell’immutato processo decisionale, monopolizzato dalla volontà del medico e dalla totale trascuratezza delle emozioni del paziente, distratto dalla malattia che lo coinvolge intimamente [15,25]. Il modulo del consenso è considerato, quindi, il cardine di tale modello. Si enfatizza un’informazione completa, capace di soddisfare la maggior parte dei requisiti legali, e ciò comporta esclusivamente un’interazione di tipo burocratico, in cui il consenso informato si esaurisce nell’ambito di un atto medico circoscritto per una data diagnosi o cura [15,25].

La realizzazione di un tale diffuso modello di consenso informato, al di là della sua implementazione burocratica, sotto il profilo comunicativo e legale rappresenta fonte di depauperamento della relazione di cura e pertanto crea le premesse per una conflittualità latente o reale fra medico e paziente. Da ciò ne deriva che, in caso di evento infausto conseguente all’atto medico meccanicamente “autorizzato” con la firma, l’atto medico stesso debba interpretarsi giuridicamente quale atto illecito rilevante tanto penalmente quanto sotto il profilo risarcitorio. L’atto medico, e quindi anche l’atto di imaging, qualora non degnamente condiviso dal punto di vista del consenso informato nei suoi rischi e benefici e nelle sue opzioni meno rischiose per la salute del paziente, si caratterizza infatti per una sua indiscutibile arbitrarietà legale, che tende a cumularsi con le possibili e ulteriori conseguenze derivanti da un accertato errore professionale, causa di eventi infausti per la persona del malato.

Al di là di tali strette implicazioni legali ricollegabili alla totale mancanza di consenso informato o alla sua inadeguatezza comunicativa, l’evento della sottoscrizione di un modulo da parte del paziente suscita nello stesso e nei suoi familiari sentimenti di indubbia frustrazione e ansia soffocati da una pretesa fiducia da parte del medico in associazione al proprio ruolo ricoperto istituzionalmente. Il medico, aiutando il paziente a risolvere la malattia che lo affligge nel corpo e nello spirito, rappresenta emotivamente per lui simbolo di cura, capace di ripristinare uno stato di benessere venuto meno. Ne deriva che la fiducia del paziente è fortemente condizionata dal suo stato di salute compromesso, che lo induce automaticamente a presumere nel curante una tale cognizione tecnica, da essere psicologicamente indotto a nutrire aspettative di guarigione non sempre rispondenti alla realtà dei fatti.

Vero è che il medico, al di là del suo sapere tecnico, non realizzando un’efficace comunicazione del rischio prevista astrattamente dalla ratio dell’istituto giuridico del consenso informato, si assoggetta a una responsabilità – anch’essa di natura legale – fin troppo grande in termini di guarigione del paziente, che sempre e comunque deve fare i conti con la realtà fisiologica e con le aspettative astratte dell’interessato e dei suoi più stretti congiunti. Il consenso informato non costruito intorno all’intero arco temporale del processo diagnostico-terapeutico, e quindi della stessa relazione medico-paziente, non aiuta pertanto lo sviluppo di un’attività doverosa e necessaria di partecipazione e responsabilizzazione del paziente intorno alla decisione medica che lo riguarda.

Diversamente dal consenso informato secondo un modello event-based, quello gestito secondo un modello process-based integra una reale relazione medico-paziente e si pone quale componente trasversale rispetto a tutti gli aspetti dei processi informativi/comunicativi e dei processi decisionali clinici [25]. Il focus del modello process-based non è tanto nel modulo in sé, quanto in una serie di informazioni e atti comunicativi che – assieme chiaramente al modulo stesso – si vengono a realizzare all’interno del processo diagnostico-terapeutico. Tale modello richiede che medico e paziente entrino in un continuo dialogo e con esso in un “reciproco controllo” o mutual monitoring [25].

Dal mancato o inadeguato consenso informato in radiologia e medicina nucleare alla mediazione in sanità prevista dal D. Lgs. n. 28/2010

Da quanto sinora visto, nell’attuale prassi di gestione del consenso informato il paziente è posto nella condizione di doversi affidare al sapere tecnico astratto e quindi al potere, polarizzato nelle mani del radiologo o del medico di medicina nucleare. Questa condizione è suscettibile di cumularsi agli effetti psicologici moltiplicativi generati, nel caso dell’imaging, dall’interposizione materiale e fredda fra il medico e il paziente di macchinari di diagnosi o terapia generatori di radiazioni ionizzanti. Nell’imaging, infatti, l’ordinaria asimmetria informativa fra curante e malato risulta rafforzata rispetto a quella che riguarda un qualunque altro atto medico appartenente a diversa specialità clinica. Il paziente si trova esposto a stress e ansie che necessitano ancor più di venir dissipati da parte dello specialista attraverso un’altrettanto forte comunicazione relazionale e del rischio, richiesta nel contesto giuridico del consenso informato.

Su un piano squisitamente emotivo, diverse possono essere le ipotesi di conflitto ricollegabili a un consenso informato arbitrario realizzato in campo radiologico. In quest’ottica, sarebbe da affrontare sul piano della comunicazione anche la semplice circostanza del varcare la soglia di un reparto di radiologia o di medicina nucleare, che rappresenta di per sé uno scoglio psicologico da affrontare per chiunque, quindi tanto più per chi risulta afflitto da una malattia ed eventualmente dal connesso stato di dolore.

Anche la stessa dimensione materiale dell’apparecchiatura tecnologicamente avanzata impone di per sé una soggezione psicologica generalizzata, che non può essere fatta passare sotto traccia se si pensa alla persona del paziente e al suo stato emotivo fragile e, molte volte, carente sotto il profilo della lucidità intellettuale. In tale situazione emozionale, le informazioni in merito alle radiazioni ionizzanti rappresentano per il paziente una indubbia intrusione nella propria sfera giuridica e psicofisica. In tale contesto, il paziente necessita di ricevere un supporto umano e professionale attento e una comunicazione medico-scientifica in cui l’aspetto relazionale mai deve cedere il passo alla fredda e convulsa operatività clinica, tanto in ospedale quanto in sede territoriale e libero-professionale. Tutto ciò compete sia al medico proscrittore – relativamente alla giustificazione dell’impiego dell’imaging ionizzante – sia al medico esecutore. Quest’ultimo, tra l’altro, è il più indicato nell’agevolare la comprensione dell’atto radiologico e dei suoi rischi biologici probabilistici, nonché della descrizione delle altre opzioni diagnostiche o terapeutiche meno rischiose ma non meno efficaci sul piano clinico per l’assistenza del paziente.

Se la comunicazione e l’instaurarsi di una relazione umana rappresentano il fulcro per la validità legale di un qualsiasi consenso informato, si potrà ben immaginare quanto la mancanza delle stesse possa influire in uno specifico settore clinico quale quello dell’imaging, generando una conflittualità latente o reale che ben caratterizza tale settore sensibile e abusato della sanità [25]. Si pensi, inoltre, a come, anteriormente al consenso informato radiologico, risulti importante l’attuazione, in tempi molto contingentati, di una serie di step funzionalmente concatenati e appartenenti anche alla competenza di diverse figure mediche, non solo specialistiche [26], e in particolare:

  • prescrizione motivata con annesso quesito clinico;
  • individuazione clinico-anamnestica, con richiesta esplicita e valutazione di eventuali esami precedenti e similari;
  • giustificazione dell’esame proposto o, in mancanza di essa, proposta di metodologie alternative e meno rischiose per la salute del paziente.

Tale pratica mette in rilievo, in negativo, quanto compressa possa essere l’operatività in tale area della medicina moderna e di quanto poco tempo, attualmente, si possa disporre per realizzare un’efficace comunicazione del rischio. Ciò, nel modello del consenso informato event-based, non può che sfociare in una conflittualità strutturale, causa, tra l’altro, di ingenti costi sociali ed economici, come di continui atteggiamenti di malpractice. Alcuni dei conflitti latenti capaci di degenerare in un eventuale contenzioso giudiziario possono riguardare:

  • l’accertamento ex post di una inappropriatezza prescrittiva e/o esecutiva, riferibile tanto a determinate tipologie di esami intrinsecamente rischiosi, quanto alla dose applicata nel caso concreto e in modo non conforme alla normativa radio-protezionistica. La ricorrenza di esami inutili è peraltro dovuta a sua volta, secondo la Commissione Europea [27], alle seguenti circostanze:
    • ripetizione di esami eseguiti di recente;
    • prescrizione di esami che non cambieranno nulla nella diagnosi o cura;
    • prescrizione di controlli troppo ravvicinati;
    • esecuzione di indagini sbagliate;
    • omissione di informazioni cliniche essenziali;
    • eccesso di indagini;
  • gli eventi infausti “acuti”, concretamente verificabili anche per effetto di radiazioni ionizzanti e privi di una doverosa e preventiva comunicazione del rischio, in sede di consenso informato;
  • la presenza sul modulo standard di consenso informato di informazioni inerenti il rischio radiologico per le quali si riscontri una carente leggibilità e comprensibilità da parte del target rappresentato dal “paziente-medio” [16].

Il conflitto latente, anche in quest’ultima ipotesi, tende a essere celato dietro una firma inconsapevole del paziente, il quale si trova costretto a fidarsi di un medico prescrittore e/o esecutore che dal punto di vista della comunicazione e della relazione intersoggettiva evita di affrontare un proprio preciso dovere professionale, a volte anche per incapacità di gestione delle possibili reazioni del paziente. Le diverse ipotesi descritte rappresentano degli esempi concreti di come il consenso informato radiologico attualmente applicato secondo un modello “evento” possa rappresentare causa potenziale di molti conflitti in sanità. A tal riguardo, nel panorama giuridico italiano e conformemente alla Direttiva 21 maggio 2008/52 CE sull’Alternative Dispute Resolution (ADR), si inserisce la possibilità di porre un rimedio efficace avverso un consenso informato carente, utilizzando lo strumento della mediazione con finalità risarcitoria per danno derivante da responsabilità medica, di cui al D. Lgs. n. 28/2010. Tale strumento è sicuramente diverso rispetto alla risoluzione delle controversie attuata mediante l’apparato giurisdizionale, in cui la logica portante del fare giustizia fra le parti si fonda sulla ripartizione di concetti di “torto” o “ragione”. Nella mediazione, infatti, assume rilievo il riconoscimento e l’accoglienza di ogni motivo messo in causa dalle parti, permettendo alle stesse di assumersi la responsabilità sia del conflitto sia della sempre auspicabile risoluzione consensuale dello stesso. La mediazione, inoltre, è uno strumento che – attraverso il ruolo meramente facilitativo e non sostitutivo di un mediatore – interviene in tutte quelle situazioni in cui il conflitto latente può degenerare in un conflitto reale e quindi in un possibile contenzioso giudiziario.

Attraverso la mediazione si intendono pertanto incanalare il conflitto e i sentimenti che le parti possono sviluppare, dando appropriato riconoscimento e sfogo emotivo alle stesse, e creando le premesse relazionali per l’integrazione dei bisogni e degli interessi sottesi alla relazione fra medico e paziente [35]. Aspetto qualificante dello strumento stragiudiziale de quo è rappresentato dal proporsi quale alternativo rispetto a quelli offerti in sede giudiziaria. In quest’ultimo contesto, d’altra parte, un caso di malpractice medica da consenso informato arbitrario può sintetizzarsi unicamente in una richiesta risarcitoria di tipo morale. Questa, tuttavia, non è in grado di colmare altre ragioni conflittuali di natura “affettiva”, generate da una mancata relazione intersoggettiva, per assenza di un complessivo processo di consenso informato.  

Dare voce al conflitto che un mancato consenso informato in radiologia e medicina nucleare può generare vuol dire consentire al paziente e al medico di riallacciare un rapporto comunicativo inesistente o mancato, mediante il supporto facilitativo di un terzo neutrale che, al contrario di un giudice, non accerta né fatti né comportamenti, ma semplicemente aiuta le parti a trasformare il conflitto in nuova opportunità di comunicazione bidirezionale. In tal modo, lo sfogo emotivo frustato nell’ambito di un consenso informato attuato secondo un modello event-based passa a un riequilibrio di posizioni affettive fra le parti della relazione di cura negata. In tal modo si crea, anche in favore della struttura di appartenenza del medico che ha violato il diritto di autonomia decisionale del paziente, le basi per meglio gestire economicamente il danno riveniente da un atto medico arbitrario per effetto di un mancato o inadeguato consenso informato.  

Conclusioni

La valorizzazione dell’autonomia decisionale del paziente in campo sanitario passa, o meglio, dovrebbe passare necessariamente attraverso un processo di comunicazione bidirezionale tra medico e paziente. Purtroppo così non è nei fatti, tanto nel contesto ospedaliero quanto in quello libero-professionale, tanto in Italia quanto altrove. La tendenza in atto è sostanzialmente quella di trascurare gli aspetti comunicativi della relazione di cura o, al massimo, di delegarlo a un modulo informativo da far firmare a un paziente fragile e poco lucido a causa della contingente malattia che lo affligge. Una tale situazione si aggrava ancor più nell’area clinica dell’imaging ionizzante, in cui una comunicazione del rischio che sarebbe imposta dalla presenza di pericoli significativi per la salute e/o per la vita del paziente e per il suo DNA viene immolata troppo spesso sull’altare di una inappropriatezza dilagante. In quest’area della medicina più che in altre si impone, pertanto, un ripensamento forte del modo di concepire e di realizzare operativamente un consenso realmente informato [31,36-42].

La salvaguardia della relazione umana fra il prescrittore di atti di imaging o l’esecutore degli stessi e il paziente passa, giocoforza, attraverso un riposizionamento dell’istituto giuridico del consenso informato. Nell’attuale modello event-based, si spezza nei fatti la relazione emotiva fra medico e paziente e si generano, pertanto, conflitti latenti o reali che la mediazione di cui al D. Lgs. 28/2010 può tentare di ricomporre, nell’intento di incidere su deleteri contenziosi di natura giudiziaria che in sanità risolvono ben poco da entrambi i lati della relazione di cura. La mediazione offerta dal nostro legislatore non rappresenta certo la panacea di un rapporto mancante o inadeguato che dovrebbe realizzarsi concretamente attraverso un processo complesso di gestione del consenso informato. Ciò nondimeno, potrebbe rappresentare un primo passo per tentare di incidere su una relazione insita nel concetto stesso di medicina, e da cui la tecnologia medica e chi la pratica non possono prescindere, salvo avvitarsi sempre più in una malpractice che la legge colpirà sempre più duramente.

Infine, l’utilizzo del mezzo stragiudiziale della mediazione può, seppure a valle, rappresentare l’unico momento attualmente disponibile di riflessione per iniziare a riformare, anche nell’area clinica dell’imaging, un consenso informato che attualmente non funziona. Ciò salvaguardando da un lato l’interesse dell’autonomia decisionale del paziente, dall’altro quello di tanti operatori di buona volontà disorientati da un’impreparazione colmabile, riguardante il proprio approccio comunicativo e relazionale con i pazienti e con i loro familiari. D’altra parte, potrebbe essere anche legittimo ipotizzare che oggi si stia realizzando un trade-off tra il crescente abuso di imaging e il graduale impoverimento di fattori centrali dell’ars medica, quali: la comunicazione medico-paziente, l’analisi dei sintomi e dei segni attraverso la semeiotica, la visione del paziente e della patologia nel loro complesso. A fronte di ciò, la mediazione potrebbe aiutare quantomeno a focalizzarsi maggiormente sugli aspetti relazionali del rapporto medico-paziente, recuperando in tal senso una parte fondamentale e gratificante della stessa professionalità medica.

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.

Bibliografia

1. Hall EJ, Brenner DJ. Cancer risks from diagnostic radiology. Br J Radiol 2008; 81: 362-78

2. Amis ES Jr, Butler PF, Applegate KE, et al. American College of Radiology white paper on radiation dose in medicine. J Am Coll Radiol 2007; 4: 272-84

3. Slovis TL, Berdon WE. Panel discussion. Ped Radiol 2002; 32: 242-4

4. Brink JA, Goske MJ, Patti JA. Informed decision making trumps informed consent for medical imaging with ionizing radiation. Radiology 2012; 262: 11-14

5. Woods S, Hagger LE, McCormack P. Therapeutic misconception: hope, trust and misconception in paediatric research. Health Care Anal 2012; Feb 18 [Epub ahead of print]

6. Suva D, Haller G, Hoffmeyer P. Patient information and informed consent in orthopaedic surgery: is it possible? Rev Med Suisse 2011; 7: 2475-7

7. Manson NC, O’Neill O. Rethinking informed consent in bioethics. Cambridge: Cambridge University Press, 2007

8. Christie DR. Do written consent forms provide medicolegal protection from litigation in radiotherapy? Australas Radiol 2004; 48: 353-7

9. Daugherty CK. Impact of therapeutic research on informed consent and the ethics of clinical trials: a medical oncology perspective. J Clin Oncol 1999; 17: 1601-17

10. Pape T. Legal and ethical considerations of informed consent. AORN J 1997; 65: 1122-7

11. Rathor MY, Rani MF, Shah AM, et al. Informed consent: a socio-legal study. Med J Malaysia 2011; 66:423-8

12. Lidz CW. Informed consent: a critical part of modern medical research. Am J Med Sci 2011; 342: 273-5

13. Denner SS. The evolving doctrine of informed consent for complementary and integrative therapy. Holist Nurs Pract 2008; 22: 37-43

14. Marks P. The evolution of the doctrine of consent. Clin Med 2003; 3: 45-7

15. Lidz CW, Appelbaum PS, Meisel A. Two models of implementing in formed consent. Arch Intern Med 1988; 148: 1385-9

16. Terranova G, Ferro M, Carpeggiani C, et al. Unreadability of current informed consent forms in cardiology - and how to improve them. JACC Cardiovasc Imaging [In press]

17. Klein WM, Stefanek ME. Cancer risk elicitation and communication: lessons from the psychology of risk perception. CA Cancer J Clin 2007; 57:147-67

18. Fagerlin A, Ubel PA, Smith DM, et al. Making numbers matter: present and future research in risk communication. Am J Health Behav 2007; 31(Suppl 1): S47-56

19. Roach P, Marrero D. A critical dialogue: communicating with type 2 diabetes patients about cardiovascular risk. Vasc Health Risk Manag 2005; 1: 301-7

20. Sedgwick P, Hall A. Teaching medical students and doctors how to communicate risk. BMJ 2003; 327: 694-5

21. Julian-Reynier C, Welkenhuysen M, Hagoel L, et al; CRISCOM Working Group. Risk communication strategies: state of the art and effectiveness in the context of cancer genetic services. Eur J Hum Genet 2003; 11: 725-36

22. Miller M, Solomon G. Environmental risk communication for the clinician. Pediatrics 2003; 112(1 Pt 2): 211-7

23. Edwards A, Elwyn G. Understanding risk and lessons for clinical risk communication about treatment preferences. Qual Health Care 2001; 10(Suppl 1): i9-i13

24. Lipkus IM, Hollands JG. The visual communication of risk. J Natl Cancer Inst Monogr 1999; 25: 149-163

25. Dodaro A, Recchia V. Inappropriateness in ionizing imaging. The central node of the informed consent: from "event" model to "process" model. Recenti Prog Med 2011; 102:421-31

26. Tamburrini O, Dalla Palma F. L’atto medico radiologico, approvato dal Consiglio Direttivo della SIRM in data 2 luglio 2007. Supplemento de Il Radiologo. Genova: Omicron Editrice 2007; pp.1-15

27. European Commission. Radiation protection 118: referral guidelines for imaging. Available online: http://ec.europa.eu/energy/nuclear/radioprotection/publication/doc/118_update_en.pdf - Update Mars 2008 (accessed March 5, 2012)

28. Malone J, Guleria R, Craven C, et al. Justification of diagnostic medical exposures, some practical issues: report of an International Atomic Energy Agency (IAEA) Consultation. Br J Radiol 2011; Feb 22

29. Brink JA, Goske MJ, Patti JA. Informed decision making trumps informed consent for medical imaging with ionizing radiation. Radiology 2012; 262: 11-4

30. Picano E. Informed consent and communication of risk from radiological and nuclear medicine examinations: how to escape from a communication inferno. BMJ 2004; 329: 849-51

31. Picano E. Sustainability of medical imaging. BMJ 2004; 328: 578-580

32. Watzlawick P, Beavin Bavelas J, Jackson DD. Pragmatics of Human Communication. A Study of Interactional Patterns, Pathologies and Paradoxes. New York, London: W.W. Norton & Company, 1967

33. Roberti A, Belotti C, Caterino L. Comunicazione medico-paziente. Urgnano: Alessio Roberti Editore, 2006

34. Dodaro A. Clinical appropriateness and informed consent in the Italian hospitals. Juridical problems and safeguard of patient’s and physician’s rights. Recenti Prog Med 2011; 102: 296-301

35. Giannico B (a cura di). La Mediazione civile tra "Fare e Agire", interventi di Moroni E, D’Alessandro M, Zampedri F, De Stefano G, Quattrocolo A, Sticco V, Giannico B. Caserta: Giuseppe Vozza Editore, 2011

36. Semelka RC, Armao DM, Elias J Jr, et al. The information imperative: is it time for an informed consent process explaining the risks of medical radiation? Radiology 2012; 262: 15-8

37. Hoffman FO, Kocher DC, Apostoaei AI. Beyond dose assessment: using risk with full disclosure of uncertainty in public and scientific communication. Health Phys 2011; 101: 591-600

38. Mendelson RM. For discussion: obtaining consent for ionising radiation: has the time come? J Med Imaging Radiat Oncol 2010; 54: 472-6

39. Graham PH. Re: faculty of radiation oncology endorsed guidelines for informed consent: risk description. J Med Imaging Radiat Oncol 2010; 54: 512

40. FRO Faculty of Radiation Oncology. Guidelines for informed consent, version 2. The Royal Australian and New Zealand College of Radiologists. July 2010. Available from URL: http://www.ranzcr.edu.au

41. Subramaniam RM, Gibson RN. Radiology teaching: essentials of a quality teaching programme. Australas Radiol 2007; 51: 42-5

42. Correia MJ, Hellies A, Andreassi MG, et al. Lack of Radiological Awareness in a Tertiary Care Cardiological Centre. Int J Cardiol 2005; 103: 307-11

Corresponding author

Dott. Antonio Dodaro

antonio.dodaro@hotmail.it

Refback

  • Non ci sono refbacks, per ora.


Copyright (c) 2012