RHC 2011;2(Suppl 1)115-120

Reviews in Health Care 2011; 2(Suppl 1): 115-120

Quando e in quali pazienti colpiti da emorragia cerebrale è possibile riprendere la terapia antitrombotica?

When and in which patients can anticoagulation be resumed after intracerebral haemorrhage?

Marco Marietta 1, Paola Pedrazzi 1, Alessandro Ghiddi 1

1 Dipartimento Integrato di Oncologia, Ematologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Modena

Abstract

Whether to resume the anticoagulant or the antiaggregant therapy after an episode of major haemorrhage is a difficult dilemma for the physician. The physician has to take into consideration two major questions: whether the benefits of restarting anticoagulation outweigh the risk, and if so, when and how should anticoagulation be restarted. Although some case reports suggest that anticoagulation can be withheld safely for short periods after ICH, even in patients with mechanical heart valves, it is still not clear if long-term anticoagulation can be safely reinstituted after haemorrhage, for example in patients with atrial fibrillation. In fact, no large and well-conducted randomised clinical trials are available, and there is lack of strong evidence on which guidelines recommendations can be based. The article summarise the available literature findings. Finally, a protocol is suggested which may represent a useful tool for assessing treatment options.

Keywords

Oral anticoagulants; Intracerebral hemorrage; Antiaggregant therapy; Thromboembolism; Atrial fibrillation

Corresponding author

Prof. Marco Marietta

Dipartimento Integrato di Oncologia, Ematologia e Malattie dell’Apparato Respiratorio, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Ospedale Policlinico,
via del Pozzo 71 – 41124 Modena

Tel. +39.059.4224640 – Fax +39.059.4224429

E-mail: marco.marietta@unimore.it

Disclosure

Gli Autori dichiarano di non avere
conflitti di interesse di natura finanziaria
in merito ai temi trattati nel presente articolo

La decisione se riprendere o meno la terapia anticoagulante o antiaggregante dopo un’emorragia maggiore, specie se intracranica, è delicata e difficile, non solo per la delicatezza del bilancio fra rischio emorragico e trombotico, ma soprattutto per la mancanza assoluta di evidenze solide sulle quali basare le scelte cliniche. Su questo argomento non vi sono infatti studi clinici randomizzati di ampie dimensioni e di buona qualità metodologica, per cui le raccomandazioni formulate dalle varie linee guida (LG) non possono che essere deboli. A titolo di esempio citiamo quelle sulla gestione dell’emorragia intracranica sviluppate dell’American Heart Association/American Stroke Association: «È probabilmente raccomandabile evitare la terapia anticoagulante a lungo termine in pazienti con fibrillazione atriale (FA) non valvolare dopo un’emorragia intracranica (EIC) lobare spontanea per il rischio di recidiva relativamente elevato (Classe IIa; Livello di Evidenza B). Si può prendere in considerazione la terapia anticoagulante dopo EIC non lobare e la terapia antiaggregante dopo tutte le EIC, specie quando hanno forti indicazioni (Classe IIb; Livello di Evidenza B)» [1].

Rischio di recidiva di EIC e terapia anticoagulante orale

Un possibile approccio metodologico utile in caso di scelte dicotomiche, come riprendere o non riprendere la terapia anticoagulante dopo una EIC, prevede l’utilizzo di modelli decisionali matematici come quelli di Markov [2], che per le loro stesse caratteristiche si applicano particolarmente bene a rischi persistenti nel tempo, come quello emorragico in corso di terapia anticoagulante [2]. Eckman e collaboratori hanno utilizzato questo approccio in un lavoro del 2003 per cercare di valutare se e quando fosse indicata la ripresa della terapia anticoagulante in un paziente con EIC e FA [3]. Questi Autori hanno basato le loro valutazioni su alcune assunzioni relative al rischio emorragico e a quello tromboembolico, stimando quest’ultimo dell’ordine del 4,5% pazienti/anno, e un rischio assoluto di recidiva di EIC diverso a seconda della sede del primo evento: 15% annuo per le lobari e 2,1% annuo per le emisferiche profonde. Questo dato, di fondamentale importanza per la valutazione del rapporto rischio/beneficio, si basa su precedenti studi di popolazione [4,5] e riflette la diversa eziopatogenesi delle due forme di EIC [6], essendo legate le prime a una angiopatia amiloide e le seconde a picchi ipertensivi. Va però ricordato che le forme lobari costituiscono una minoranza, pari al 15%, di tutte le EIC. Un limite del modello di Markov applicato nel lavoro di Eckman è l’assenza di dati epidemiologici sul rischio relativo di recidiva di EIC nei soggetti in terapia anticoagulante orale (TAO), stimato dagli Autori pari al doppio di un paziente che non assuma tale terapia. Date queste premesse la conclusione è che la ripresa della terapia anticoagulante è svantaggiosa, in modo molto evidente nei soggetti con EIC lobare, e più sfumato anche in quelli con una localizzazione emisferica profonda.

Questa valutazione merita però un’ulteriore analisi e discussione. Anzitutto occorre definire meglio il rischio tromboembolico, che Eckman e colleghi hanno valutato nell’ordine del 4,5% annuo per un’ovvia necessità di semplificazione, ma che sappiamo bene essere distribuito in modo non uniforme nei pazienti con FA. Infatti un recente studio danese di popolazione ha mostrato che applicando lo score CHA2DS2-VASc (Tabella I) il rischio annuo assoluto di eventi embolici va dallo 0,78% nei soggetti a rischio veramente basso (score = 0) al 2,01% in quelli a rischio intermedio (score = 1) per salire quindi rapidamente a un 8,82% in quelli a rischio elevato (score = 2-9) [7,8]. Secondo questi dati un paziente con CHA2DS2-VASc di 4, che corrisponde a una donna di 75 anni vasculopatica, ha un rischio assoluto annuo di embolizzazione del 9,27%, decisamente più alto del valore del 6,5% che nel modello di Eckman costituiva la soglia al di sopra della quale diventava conveniente riprendere la TAO nei soggetti con pregressa EIC intraparenchimale profonda. Non solo, ma lo stesso lavoro ha sottolineato che non tutti gli elementi che concorrono al punteggio finale hanno lo stesso peso clinico. Ad esempio, la presenza di un precedente ictus ischemico conferisce, a parità di score CHA2DS2-VASc, un rischio relativo di avere un nuovo evento di 20,44, dato di cui è necessario tenere conto nell’individualizzare la scelta sulla ripresa della TAO dopo una complicanza emorragica.

Parametro

Punteggio

Punteggio
globale

Rischio di stroke
(% all’anno)

Scompenso cardiaco/insufficienza ventricolare sinistra

1

0

0,78

Ipertensione

1

1

2,01

Vasculopatia (pregresso infarto miocardico acuto, arteriopatia periferica)

1

2

3,71

Diabete mellito

1

3

5,92

Pregresso ictus ischemico

2

4

9,27

Età > 75 anni

2

5

15,26

Età 65-74 anni

1

6

19,74

Sesso femminile

1

7

21,50

Punteggio massimo

9

8

22,38

9

23,64

Tabella I. Score CHA2DS2-VASc per la valutazione del rischio embolico in corso di fibrillazione atriale [7,8]

Un secondo elemento di riflessione deriva dalla stima di recidiva di EIC che, come visto precedentemente, viene stimato di quasi 10 volte superiore per le localizzazioni lobari rispetto alle emisferiche profonde. Un recente lavoro ha però messo in discussione questo punto: infatti in questo studio di coorte svedese durante un periodo di follow-up di 3 anni l’incidenza annua di recidive di EIC era del 2,5% per le localizzazioni lobari e del 2,2% per quelle non lobari [9]. Questo dato contrasta con quelli precedentemente riportati [4,5] e obbliga a ridiscutere il rapporto rischio/beneficio della ripresa della TAO.

Un altro problema aperto riguarda il momento in cui riprendere la terapia anticoagulante. A questo proposito una recente revisione sistematica della letteratura ha dimostrato che la maggior parte degli eventi emorragici si era verificata nei casi esaminati entro le prime 72 ore dalla ripresa della terapia anticoagulante, e dopo questo momento quelli tromboembolici [10]. Il limite principale di questo lavoro, che induce quindi a grande cautela nel trasferimento dei risultati nella pratica clinica, sta nel fatto che nei 2/3 dei casi non erano disponibili informazioni sulla terapia in atto al momento della recidiva emorragica [10]. Di grande rilevanza è invece l’osservazione secondo cui uno dei fattori di rischio per recidiva emorragica era la mancata neutralizzazione dell’attività anticoagulante al momento dell’evento emorragico, il che sottolinea ulteriormente la necessità di adottare tutte le misure atte a diffondere maggiormente questa pratica purtroppo ancora insufficientemente diffusa [11].

Il problema del timing della ripresa della TAO è stato esaminato in un altro recente lavoro, metodologicamente più solido, che è giunto a conclusioni differenti. Secondo questi Autori, infatti, il rischio combinato di recidiva emorragica o di ictus ischemico raggiunge un nadir se warfarin viene reintrodotto da 10 a 30 settimane dopo il primo evento emorragico [12]. È però interessante osservare come questi Autori riscontrassero che la ripresa della TAO aumentava il rischio di recidiva di 5 volte, rischio più elevato di quello assunto nel modello di Eckamn e colleghi, e che quindi renderebbe svantaggiosa in ogni caso la ripresa della TAO [12].

Rischio di recidiva di EIC e terapia antiaggregante

Gli stessi quesiti si pongono anche riguardo alla terapia antiaggregante. I dati di letteratura più recenti indicano che tale terapia è gravata da un minor rischio di recidiva emorragica, non diverso da quello dei soggetti che non la assumono [13], senza differenze significative fra localizzazioni lobari ed emisferiche profonde, anche se l’esiguità del campione obbliga a cautela nel considerare questo dato. Per contro, però, questo studio non è stato in grado di dimostrare che l’uso di antiaggreganti diminuisse il rischio di eventi ischemici, che rimaneva elevato e circa 3 volte maggiore di quelli emorragici [13].

Rischio di EIC e profilassi del tromboembolismo venoso

Un ulteriore elemento di riflessione riguarda i soggetti in TAO per un pregresso tromboembolismo venoso (TEV), anche perché va ricordato che i pazienti con EIC sono a rischio elevato di TEV per l’immobilità conseguente all’evento emorragico. L’uso di profilassi farmacologica con eparina o eparine a basso peso molecolare (EBPM) in questi pazienti è discusso per il timore di estensione del focolaio emorragico. Una recente meta-analisi ha in massima parte sciolto questo dubbio, mostrando che la profilassi con EBPM è efficace ne ridurre l’incidenza di embolie polmonari senza modificare la mortalità, a prezzo di un aumento dell’ematoma ai limiti della significatività [14]. Un’analisi attenta dei singoli lavori pubblicati nella meta-analisi mostra come fossero gravati da un maggior rischio emorragico quelli che introducevano la profilassi farmacologica entro le prime 48 ore dell’evento.

Una proposta di protocollo

La Tabella II rappresenta un tentativo del tutto personale di riunire le considerazioni fatte finora in uno schema generale di comportamento. Come si può vedere, è stata mantenuta in questo schema la distinzione fra EIC lobari ed emisferiche profonde, anche se con molti dubbi sulla reale diversa incidenza di recidiva per le une e le altre. Alla luce dei pochi dati disponibili [10] si sono ritenute a basso rischio di recidiva le emorragie spinali, diversamente da quelle sottodurali, che sono state considerate a rischio di recidiva elevato, paragonabile alle lobari. Qualunque evento emorragico deve essere un’occasione per ridefinire il bilancio rischio/benefico del paziente, soprattutto per quello con FA, utilizzando gli score validati più recenti, come il CHA2DS2-VASc, e prestando particolare attenzione al dato anamnestico di pregressi eventi ischemici.

Tipo di ICH

FA

Protesi valvolare

TEV

Lobare

No: ASA

se score CHADS2 > 2 o score CHA2DS2-VASc > 2 e pregresso stroke o FA associata a valvulopatia

meccanica mitralica

(?) meccanica aortica

No biologica (vedi FA)

No

(?) eventi ricorrenti

Emisferica profonda

Rivalutare indicazione

No

(?) eventi ricorrenti

Sottodurale

No: ASA

se score CHADS2 > 2 o score CHA2DS2-VASc > 2 e pregresso stroke o FA associata a valvulopatia

meccanica mitralica

(?) meccanica aortica

No biologica (vedi FA)

No

(?) eventi ricorrenti

Spinale

Rivalutare indicazione

No

(?) eventi ricorrenti

Inoltre

  • EBPM profilattiche a tutti (per la prevenzione del TEV) dopo 72 ore finché permane immobilità
  • FA: ASA; se si reintroduce warfarin farlo dopo almeno 10 settimane
  • TEV: nessun intervento; profilassi attenta; se eventi ricorrenti EBPM a dosi profilattiche per 10 settimane, poi warfarin
  • Protesi meccaniche: (?) EBPM a dosi profilattiche (aortiche)/intermedie (mitraliche/multiple/stroke o FA) per 10 settimane, poi (?) warfarin

Tabella II. Proposta di protocollo di gestione delle diverse tipologie di EIC

(?) = indicazione non certa; ASA = acido acetilsalicilico; FA = fibrillazione atriale; TEV = tromboembolismo venoso; EBPM = eparine a basso peso molecolare

Una soluzione ragionevole può essere quella di introdurre precocemente l’antiaggregante, rimandando l’inizio della TAO, per i pazienti che si ritengono a rischio embolico particolarmente elevato, dopo 10 settimane dall’evento emorragico.

Un comportamento analogo, utilizzando però per le prime 10 settimane EBPM a dosi profilattiche per i soggetti a basso rischio e a dosi terapeutiche ridotte al 70%, in analogia con quello che si fa nelle procedure di bridging per le manovre invasive [15], si può ipotizzare per i pazienti portatori di protesi valvolari meccaniche, e probabilmente anche per quelli con protesi valvolari biologiche e FA, o con FA valvolare, a rischio decisamente maggiore delle forme non valvolari.

Infine, in genere nei pazienti in TAO per pregresso TEV il rapporto rischio/beneficio appare meno favorevole alla ripresa della terapia anticoagulante, tranne che in caso di eventi ricorrenti, specie se si tratta di embolie polmonari, in quanto è noto che questi eventi tendono a recidivare come tali più che come trombosi venose profonde [16]. In questi pazienti è però necessario un utilizzo precoce di tutte le misure di profilassi meccanica del TEV, e anche l’impiego di EBPM dopo 24-48 ore dall’evento appare efficace e sicuro.

Come si è detto, questa è solo una proposta di protocollo, che ogni Ospedale dovrebbe costruire in base alle evidenze disponibili e alla propria esperienza.

Questo protocollo dovrebbe costituire un patrimonio culturale condiviso sul quale gli operatori possano basare le proprie scelte cliniche, e un utile strumento per rivedere periodicamente gli effetti dei propri interventi terapeutici.

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