Farmeconomia. Health economics and therapeutic pathways 2016; 17(Suppl 2): 5-11
http://dx.doi.org/10.7175/fe.v17i2S.1229
Supplement
La pegilazione e gli interferoni nella sclerosi multipla
Pegylation and interferons in multiple sclerosis
Diego Centonze 1, Elisa Puma 2, Cecilia Saleri 2, Giulia Vestri 2, Sergio Iannazzo 3, Laura Santoni 2, Luigi Giuliani 3, Pier Luigi Canonico 4
1 Centro Sclerosi Multipla, Università Tor Vergata, Roma, Italia ed Istituto Neurologico Mediteranneo Neuromed, Pozzilli (IS), Italia
2 Biogen Italia, Milano, Italia
3 SIHS srl, Health Economics Consulting, Torino, Italia
4 Dipartimento di Scienze del Farmaco, Università del Piemonte Orientale, Novara, Italia
Abstract
Pegylation is a procedure used for drug development since the 1970s and consists of the conjugation of a polyethylene glycol molecule (PEG) to a drug. PEG has shown to be safe and effective in improving the pharmacokinetic and pharmacodynamic profile of drugs. Recently, a 20 kDa linear chain of PEG was conjugated to interferon beta-1a with the aim to offer a new treatment option to relapsing-remitting multiple sclerosis (RRMS) patients. Due to a prolonged bioavailability, this new drug can be administered less frequently (every two weeks) than the other interferons beta available, thus allowing to hypothesize a better adherence to the treatment, which, in turn, should result in better clinical and economic outcomes. A phase III clinical trial has proven its effectiveness compared to placebo in RRMS patients, as well as a safety profile comparable to that found in other interferon beta preparations. The immunogenicity of this new molecule is < 1%, thus minimizing the suppression or reduction of interferon beta biological activity that could come from the development of Neutralizing Antibodies (NAbs).
Keywords
PEG; Interferon beta-1a; Plegridy; Half-life
Disclosure
Il presente supplemento è stato supportato da Biogen Italia. Gli autori hanno avuto il completo controllo editoriale del manoscritto e hanno approvato tutti i contenuti
La pegilazione
La pegilazione è un processo chimico che si realizza legando covalentemente una molecola di polietilenglicole (PEG) a un farmaco (Figura 1).
Figura 1. Una molecola di polietilenglicole (PEG)
Il polietilenglicole è una molecola approvata per l’utilizzo come additivo in cibi, cosmetici e prodotti farmaceutici (vedi Tabella I per gli utilizzi di PEG approvati).
Il suo metabolismo e la sua escrezione sono stati studiati approfonditamente e sono ben compresi negli animali e nell’uomo, nel quale non sono state riportate tossicità renali critiche [1].
Per le dosi generalmente utilizzate in campo farmaceutico l’indice terapeutico è piuttosto ampio, di circa 600 volte, pertanto non è considerata una molecola tossica né immunogenica per l’uomo [1]. Il suo uso è approvato anche da solo sotto forma di idrogel per la cicatrizzazione delle ferite [2].
Sin dagli anni Settanta gli studi di Frank Davis [3] hanno dimostrato che la pegilazione di proteine è in grado di migliorarne la farmacocinetica e la farmacodinamica mediante l’aumento dell’idrosolubilità, la riduzione della clearance renale e la riduzione della tossicità. È anche in grado di conferire maggior stabilità rispetto alle variazioni di pH e di temperatura. Tali vantaggi risultano particolarmente rilevanti ai giorni nostri, dal momento che sono sempre di più i polipeptidi approvati e in studio per l’uso clinico e che spesso il loro principale difetto consiste nella suscettibilità alla distruzione da parte di enzimi proteolitici, nella bassa emivita e bassa durata di conservazione, nella bassa solubilità, nella rapida clearance renale e nella tendenza a causare la produzione di anticorpi neutralizzanti [2].
Utilizzi di PEG approvati |
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Tabella I. Utilizzi di PEG approvati
Tuttavia i processi di pegilazione di prima generazione presentavano diverse problematiche, tra cui [2]:
- generazione di diversi isomeri PEG, con grande variabilità tra i lotti, antigenicità e minor efficacia;
- utilizzo di catene di PEG per lo più lineari e troppo corte (< 12 kDa);
- frequente generazione di legami instabili tra il farmaco e la catena di PEG, con l’inconveniente della degradazione durante la produzione e l’iniezione;
- formazione di aggregati tra le proteine dipendente dalla contaminazione con PEG diolo nel metossi-PEG utilizzato.
I vantaggi associati portarono comunque all’approvazione di diversi farmaci pegilati, di cui due ancora in uso: adenosina deaminasi pegilata (solo in USA) per il trattamento dell’immunodeficienza grave combinata (SCID) e asparaginasi pegilata per la cura della leucemia (utilizzata in USA e in alcuni altri Paesi, e che ha ottenuto il parere positivo del CHMP – Committee for Medicinal Products for Human Use, in data 19 novembre 2015).
Le tecniche di pegilazione di seconda generazione, utilizzando processi chimici diversi, hanno permesso di superare alcune problematiche rilevate nelle sostanze pegilate inizialmente prodotte.
In particolare si è scoperto come [2]:
- ridurre il grado di impurità, mediante l’uso di PEG-propionaldeide invece di PEG-acetaldeide e mediante la generazione di acidi carbossilici intermedi e la rimozione di dioli mediante cromatografia a scambio ionico;
- migliorare la farmacocinetica e la farmacodinamica, coniugando polimeri di PEG di dimensioni maggiori;
- ridurre la perdita di attività biologica e l’immunogenicità, effettuando la pegilazione in siti specifici sfruttando una serie di processi chimici e l’ingegneria genetica (per esempio modulando anche la distanza dal sito di legame);
- consentire il rilascio della molecola in siti target, mediante l’incorporazione di legami degradabili;
- ridurre l’antigenicità e la degradazione proteolitica, tramite la coniugazione di molecole di PEG ramificate e di dimensioni maggiori, che possono far da scudo nei confronti del sistema immunitario e degli enzimi proteolitici (Figura 2).
Figura 2. Riassunto schematico delle diverse possibilità di pegilazione con i processi di seconda generazione. Modificato da [4]
I risultati dei processi di pegilazione di seconda generazione sono in alcuni casi davvero sorprendenti: per esempio, l’interferone alfa-2a pegilato usato per l’epatite C rispetto alla sua controparte nativa ha un aumento dell’emivita da 3-8 a 65 ore, un aumento sino a 135 volte dell’attività antivirale in vivo, e di 18 volte dell’attività antitumorale [2].
Tutti i farmaci pegilati approvati hanno efficacia e tollerabilità pari o superiori rispetto a quelle della molecola non pegilata [5], talvolta un’immunogenicità ridotta e un’emivita generalmente prolungata, che spesso consente anche di ridurre la frequenza di somministrazione [6-9]. Pertanto la pegilazione conferisce vantaggi che possono essere utili per più tipi di farmaci in diverse patologie: la Figura 3 mostra i farmaci pegilati, ciascuno mediante la coniugazione di catene di PEG con caratteristiche peculiari e nei siti ritenuti più convenienti per quella molecola, che sono stati approvati dalla Food and Drug Administration (FDA) dal 1990 al 2010 e dalla European Medicines Agency (EMA) dal 2000 al 2015.
Figura 3. Storia dell’approvazione di farmaci pegilati da parte della Food and Drug Administration [10] e della European Medicines Agency [11]
La sclerosi multipla
La sclerosi multipla è una malattia cronica autoimmune che colpisce il sistema nervoso centrale causando demielinizzazione, danno assonale e morte neuronale. Uno dei fattori coinvolti nella patogenesi è il riconoscimento delle componenti proteiche della guaina mielinica, quali la proteina basica della mielina (MBP) e la proteina maggiore degli oligodendrociti (MOG), come antigeni nonself. Benché non completamente compresa, si ritiene che la patogenesi della malattia possa dipendere dall’attivazione periodica di linfociti T reattivi a determinate cellule presentanti l’antigene che espongono peptidi derivanti da MBP e MOG. Tale attivazione è responsabile a sua volta della secrezione di citochine, dell’induzione della proliferazione di altri linfociti T e dell’attivazione di linfociti B e di macrofagi, azioni biologiche responsabili della demielinizzazione osservata nella malattia. I linfociti T attivati sono anche in grado di attraversare la barriera emato-encefalica, attivando altre cellule presentanti l’antigene e provocando la stessa cascata di attività biologiche che stimola ulteriormente la demielinizzazione [12].
Nell’80-90% dei pazienti la malattia si manifesta inizialmente in forma recidivante, caratterizzata da esacerbazioni episodiche dei sintomi neurologici seguite da periodi liberi da sintomi. Col tempo, tuttavia, gli attacchi sono seguiti da un recupero incompleto e i pazienti vanno incontro a una disabilità progressiva. Il 10-20% dei pazienti, invece, ha sin da subito una forma di sclerosi multipla di tipo progressivo [4].
Nessuna delle terapie attualmente disponibili è in grado di prevenire completamente le recidive o impedire del tutto la progressione della disabilità. Sono però disponibili alcuni Disease-Modifying Therapies (DMT) per la forma recidivante remittente in grado di rallentare la progressione della patologia [4] e ridurre il numero delle ricadute. Tra i farmaci più utilizzati come terapie di prima linea vi è l’interferone beta-1a.
Quest’ultimo, di cui sono disponibili in commercio diverse specialità medicinali, è in grado di rallentare l’accumulo di disabilità fisica, ridurre il tasso di recidive e ridurre lo sviluppo di lesioni cerebrali rilevabili mediante risonanza magnetica [12]. L’interferone beta-1a è disponibile come soluzione iniettabile per via sottocutanea con una somministrazione 3 volte alla settimana (22 e 44 µg) e come soluzione iniettabile monosettimanale per via intramuscolare (30 µg).
Peginterferone beta nella sclerosi multipla
Allo scopo di fornire ai pazienti una terapia sicura ed efficace, con minor frequenza di somministrazione, e quindi di favorire potenzialmente una maggior aderenza al trattamento con conseguenti migliori outcome clinici a lungo termine, è stato sviluppato l’interferone beta-1a pegilato.
Dopo attento studio dell’interferone beta-1a, è stato rilevato che l’estremità N-terminale della molecola non è coinvolta nelle interazioni di legame con il recettore ed è stata quindi selezionata come sito di attacco della molecola di PEG. Per generare una molecola con emivita più lunga, è stato scelto di legare una molecola lineare di metossi-PEG-O-2-metilpropionaldeide da 20 kDa costituita da circa 450 unità di etilenglicole ripetute. La molecola così risultante, illustrata in Figura 4, ha una massa molecolare complessiva di circa 44 kDa (320 kDa di peso molecolare apparente) [12,13].
Figura 4. Molecola di interferone beta-1a modificata con una catena di polietilenglicole [13,14]
Il processo chimico di legame della molecola PEG è stato condotto a pH leggermente acido, condizione che ha consentito di limitare l’attacco di PEG al gruppo alfa-aminico del residuo aminoacidico all’estremità N-terminale, evitando la modifica di residui coinvolti nel legame al recettore e il coinvolgimento dei gruppi reattivi di cisteine, istidine, serine e tirosine e minimizzando quello delle lisine, generando in questo modo lotti che, oltre a conservare l’attività biologica, sono costituiti essenzialmente da un solo isomero pegilato in un sito specifico.
Le modifiche alla molecola così apportate sono riassunte nella Tabella II.
Peg-IFN beta-1a vs molecola parentale |
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Tabella II. Vantaggi di peginterferone beta-1a (peg-IFN beta-1a) rispetto alla molecola parentale [12,13]
I vantaggi conferiti alla molecola da PEG consistono sostanzialmente in una maggior persistenza in circolo della molecola, che può quindi essere somministrata con minor frequenza.
È stato dimostrato che nei pazienti affetti da sclerosi multipla le più elevate frequenze di somministrazione e le maggiori complessità dei regimi terapeutici sono associate a una minor aderenza alla terapia e a un maggior rischio di sviluppo di recidive. È stato anche riportato che i malati di sclerosi multipla imputano una minor aderenza anche alla fatica emotiva, che potrebbe riconoscere tra le sue cause l’elevata frequenza di somministrazione [4].
Grazie alla bassa frequenza di somministrazione, alcuni Autori hanno ipotizzato che peginterferone possa garantire una maggior aderenza al trattamento [4,15], che si tradurrebbe a sua volta in maggiori benefici clinici. Dai dati disponibili si evince che l’aderenza al trattamento e l’intervento terapeutico precoce, siano associati a una ridotta disabilità a lungo termine nei pazienti con forme recidivanti di sclerosi multipla [4].
I vantaggi di una buona aderenza alla terapia sono stati dimostrati anche dallo studio di Ivanova e colleghi [16]. Mediante l’uso di un database in grado di fornire diversi dati su impiegati statunitensi affetti da sclerosi multipla, è stata misurata l’aderenza al trattamento utilizzando l’indicatore Medication Possession Ratio (MPR). Sono stati definiti aderenti i pazienti con un valore di MPR ≥ 80%, e non aderenti i pazienti con un valore di MPR < 80%. I pazienti aderenti alla terapia presentano una riduzione delle ricadute gravi (12,4% vs 19,9%, p = 0,013) e una riduzione dei costi totali medi, indiretti e diretti, escludendo il costo dei farmaci DMT ($ 14.095 vs $ 16.638, p = 0,048) in due anni di osservazione rispetto ai pazienti non aderenti.
Lo sviluppo clinico di peginterferone beta-1a è stato condotto attraverso un ampio studio registrativo di fase III di confronto con il placebo denominato ADVANCE [17,18], proseguito in uno studio di estensione, chiamato ATTAIN [19].
La prima parte dello studio ADVANCE [17], della durata di 48 settimane, è stata condotta in doppio cieco e controllata con placebo. 1.512 adulti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente senza trattamenti pregressi con interferone superiori a 4 settimane sono stati randomizzati a ricevere una tra queste tre tipologie di trattamento:
- 125 µg di peginterferone beta-1a ogni 2 settimane;
- 125 µg di peginterferone beta-1a ogni 4 settimane;
- placebo.
La dose prevista è stata raggiunta mediante titolazione nell’arco di 4 settimane allo scopo di mitigare i sintomi simil-influenzali.
L’endpoint primario era il tasso di recidive annualizzato, mentre gli endpoint secondari erano il numero di lesioni iperintense nuove o maggiormente estese nelle sequenze pesate in T2 (rilevazioni mediante risonanza magnetica rispetto al basale), la proporzione di pazienti con recidiva e la proporzione di pazienti con progressione della disabilità confermata a 12 settimane.
Le caratteristiche basali dei pazienti nei tre gruppi sono risultate confrontabili. I risultati principali sono illustrati nella Tabella III.
Peg-IFN ogni 2 settimane |
Peg-IFN ogni 4 settimane |
Placebo |
|
Tasso di recidive annualizzato |
0,256 |
0,288 |
0,397 |
Numero medio di lesioni in T2 nuove o maggiormente estese |
3,6 |
7,9 |
10,9 |
Proporzione di pazienti con recidiva |
0,187 |
0,222 |
0,291 |
Proporzione di pazienti con 12 settimane di disabilità |
0,068 |
0,068 |
0,105 |
Tabella III. Risultati principali della prima parte (prime 48 settimane) dello studio ADVANCE [17]. Tutti i risultati dei due gruppi in trattamento sono significativamente (almeno p < 0,05) minori rispetto al placebo
La somministrazione di peginterferone ogni due settimane ha dato risultati clinici migliori rispetto a quella ogni quattro settimane.
I pazienti trattati con peginterferone ogni due settimane hanno avuto il 36% di recidive in meno per paziente-anno rispetto al placebo. Il rischio di andare incontro a recidiva si è abbassato del 39% e quello di incorrere in progressione di disabilità confermata a 12 settimane si è ridotto del 38%. La riduzione del numero di lesioni iperintense in T2 [15] era già del 61% a 24 settimane dall’inizio dello studio. Peginterferone ogni due settimane è stato anche in grado di migliorare rispetto al placebo altri parametri relativi alle lesioni rilevabili mediante risonanza magnetica.
Nella seconda parte dello studio ADVANCE [18], della durata anch’essa di 48 settimane, i pazienti ai quali era stato somministrato peginterferone beta-1a nelle prime 48 settimane hanno proseguito il trattamento con la stessa frequenza di dosaggio, mentre coloro che avevano ricevuto il placebo sono stati nuovamente randomizzati a ricevere peginterferone beta-1a ogni 2 o ogni 4 settimane.
Il tasso di recidive annualizzato è stato ulteriormente ridotto con la somministrazione ogni due settimane, mentre si è mantenuto simile con la somministrazione ogni 4 settimane. I maggiori benefici sono stati ottenuti da coloro che hanno ricevuto peginterferone ogni 2 settimane per tutte le 96 settimane: essi hanno avuto il minor tasso di recidive annualizzato, il minor rischio di recidive, il minor rischio di progressione di disabilità confermata a 12 e 24 settimane e il minor numero di lesioni nuove o maggiormente estese alla risonanza magnetica [15].
A seguito dei risultati dello studio ADVANCE il 18 luglio 2014 la Commissione Europea ha approvato il peginterferone beta-1a per il trattamento dei pazienti adulti affetti da sclerosi multipla recidivante-remittente. La Food and Drug Administration ha approvato l’uso del peginterferone beta-1a in data 15 agosto 2014. Il peginterferone beta-1a rappresenta il primo esempio di pegilazione fra tutti i farmaci ad oggi disponibili per il trattamento della sclerosi multipla.
I pazienti che hanno completato lo studio ADVANCE hanno poi avuto l’opportunità di entrare nello studio di estensione ATTAIN. I dati preliminari dello studio ATTAIN [15,19] suggeriscono un mantenimento dell’efficacia del farmaco.
Peginterferone ogni due settimane possiede un profilo di tollerabilità favorevole e simile a quello già riscontrato per gli altri interferoni beta. Nel corso dello studio ADVANCE gli effetti collaterali riportati sono stati per lo più di entità lieve o moderata, il tasso d’incidenza è stato pari al 94% dei pazienti trattati e sovrapponibile a quello degli altri interferoni. Gli eventi avversi associati alla terapia con peginterferone rilevati più frequentemente sono stati: reazioni al sito di iniezione (64%), i sintomi simil-influenzali (51%), la piressia (43%) e la cefalea (42%). L’abbandono della terapia a causa degli eventi avversi è avvenuto nel 6% dei pazienti trattati con peginterferone (l’1% per i sintomi simil-influenzali). Lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti (NAb) persistenti rivolti contro interferone beta-1a nei soggetti trattati con peginterferone beta-1a è stata < 1%. Gli anticorpi neutralizzanti sono anticorpi che, oltre a legarsi alla molecola, ne bloccano anche l’interazione con il recettore mediante attacco al sito di legame o tramite induzione di cambiamenti conformazionali.
Lo sviluppo di NAb è considerato la principale causa della riduzione o della perdita di attività biologica di interferone beta [20], che è possibile rilevare dopo 6-12 mesi e talvolta impiega sino a 3-4 anni prima di manifestarsi.
Benché non tutti gli studi siano concordi (presumibilmente per mancanza di omogeneità nei metodi e nelle tempistiche di rilevazione, nelle definizioni di positività ai NAb, nei disegni degli studi e nei calcoli statistici utilizzati), lo sviluppo di anticorpi neutralizzanti diretti contro interferone beta-1a pare essere in grado di influenzare negativamente gli outcome clinici e le lesioni rilevabili mediante risonanza magnetica [20,21]. Lo studio di Paolicelli e colleghi [21] ha mostrato che i pazienti in trattamento con interferone che sviluppano NAb, presentano un significativo incremento della percentuale di ricadute (IRR = 1,38; p = 0,0247) e decremento
del tempo alla prima ricaduta (IRR = 1,51; p = 0,0111) rispetto ai pazienti NAb–.
Altri studi hanno anche rilevato una maggior attività di malattia e una maggior progressione verso la disabilità nei soggetti NAb+ rispetto ai NAb– [20].
Inoltre i NAb sviluppati contro una formulazione di interferone beta, reagiscono anche contro le altre formulazioni di interferone beta, rendendo vano lo switch a un altro interferone.
Dal momento che la presenza e persistenza di elevati valori di NAb (> 100 Ten-fold Reduction Unit) hanno valore prognostico sull’efficacia della terapia con interferone beta, linee guida redatte da un gruppo di esperti appartenenti alla Società Italiana di Neurologia suggerisce di interrompere la somministrazione di qualsiasi tipo di interferone beta nei pazienti che le manifestano. Il mantenimento della terapia in questi soggetti, infatti, soprattutto se hanno anche bassi valori di MxA mRNA (marcatore dell’attività biologica dell’interferone beta) può essere un rischio per il paziente, che resta sostanzialmente non trattato, oltre che un dispendio di risorse per la società [20].
La sclerosi multipla è una delle patologie più costose secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità. Il costo sociale medio in Italia è pari a 38.845 € per paziente all’anno [22].
Dal momento che circa il 10-15% dei soggetti sviluppa NAb, si calcola che ogni anno 20-30 milioni di euro vengano spesi inutilmente per trattamenti non necessari in pazienti NAb+ [20].
Tali linee guida suggeriscono anche di testare i pazienti per NAb a 12 e 24 mesi dall’inizio della terapia e dopo tre mesi in caso di positività. In caso di negatività non è più necessario effettuare i test sino alla ripresa di malattia [20].
In generale il profilo di sicurezza della molecola è risultato simile a quanto generalmente osservato con interferone beta-1a, ma peginterferone beta-1a non è risultato associato a malattie autoimmuni, a depressione o tendenza al suicidio, a infezioni o a convulsioni.
I sintomi simil-influenzali hanno fatto osservare un trend in diminuzione dopo i primi mesi di terapia e non sembrano influenzare la qualità di vita correlata alla salute, similmente alle reazioni al sito di iniezione [15].
Acknowledgments
Gli Autori sono stati assistiti nella preparazione del manoscritto da Laura Fascio Pecetto, medical writer di SEEd.
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Conflitto di interessi
- SI ha ricevuto fee di consulenza da Biogen Italia per la conduzione delle analisi
- DC è un membro di Advisory Board di Bayer Schering, Biogen, Merck-Serono, Teva e ha ricevuto onorari per attività di relatore o fee di consulenza da Almirall, Bayer Schering, Biogen, Genzyme, GW Pharmaceuticals, Merck Serono, Novartis, Sanofi-Aventis, Teva. È inoltre il principal investigator in trial clinici per Bayer Schering, Biogen, Novartis, Merck Serono, Sanofi-Aventis, Teva
- PLC ha ricevuto grant di ricerca, contributi e fee da Abbvie, Almirall, Amgen, A.C.R.A.F. – Angelini, Astellas, Astra Zeneca, Baxter, Bayer, Biogen, BioMarine, Bristol Mayers Squibb, Celgene, Chiesi, Daiichi Sankyo, Eli Lilly, Grunenthal, GSK, Hospira, Lundbeck, LeoPharma, Merck Serono, MSD, Menarini, Mundipharma, Novartis Consumer Health, Novartis Pharma, Otsuka, Pfizer, Roche, Sandoz, Sanofi, Sigma Tau, Takeda, Zambon
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