Farmeco 2012;13(3)105-120.html

Farmeconomia. Health economics and therapeutic pathways 2012; 13(3): 105-120

Review

Prucalopride nel trattamento della stipsi cronica idiopatica refrattaria delle donne: profilo clinico ed economico

Clinical and economic profile of prucalopride in the treatment of chronic constipation in women

Vincenzo Stanghellini 1, Mario Eandi 2

1 Dipartimento di Medicina Clinica, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Università degli Studi di Bologna

2 Cattedra di Farmacologia Clinica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi di Torino

Abstract

Chronic constipation is a common disorder, especially in women. Options available for different subgroups of constipation are limited and in most cases unsatisfactory. The most severe forms of chronic constipation often require the use of laxatives in high doses or the use of invasive therapies. The introduction of a new drug, such as prucalopride, active in promoting intestinal transit, can help to improve the therapy of patients with chronic idiopathic constipation who have not found relief from previous treatment with laxatives. In this review, after a brief discussion of pathophysiology and pharmacotherapy of chronic constipation, we evaluate the pharmacological profile, therapeutic and cost of prucalopride, recently authorized in the EU countries and also available in Italy for the treatment of chronic constipation in women who did not benefit from the use of laxatives.

Keywords

Prucalopride; Chronic Constipation; Economic profile; Laxatives

Corresponding author

Prof. Mario Eandi

mario.eandi@unito.it

Disclosure

Il presente lavoro è stato realizzato grazie a un supporto incondizionato di Shire Italia S.p.A.

Introduzione

La stipsi cronica è un disturbo comune difficile da trattare e le opzioni disponibili per i diversi sottogruppi di stipsi sono limitate e nella maggior parte dei casi insoddisfacenti. Le forme più gravi di stipsi cronica spesso richiedono l’uso di lassativi ad alte dosi o il ricorso a terapie invasive, come evacuazioni manuali e clisteri, e talvolta a interventi di resezione del colon, nei casi limite nei quali tutti i rimedi sono inefficaci o causano effetti avversi e la malattia è fortemente inabilitante [1]. L’introduzione di un nuovo farmaco, come prucalopride, attivo nel promuovere il transito intestinale, può contribuire a migliorare la terapia dei pazienti affetti da stipsi cronica idiopatica che non hanno trovato sollievo dalle precedenti terapie con lassativi. In questa rassegna, dopo una breve analisi della fisiopatologia e della terapia farmacologica della stipsi cronica, valuteremo il profilo farmacologico, terapeutico ed economico di prucalopride, nuovo enterocinetico ad azione agonista selettiva sui recettori 5-HT4 intestinali, di recente autorizzato nei Paesi della Comunità Europea e disponibile anche in Italia per il trattamento della stipsi cronica idiopatica delle donne che non hanno avuto benefici dall’uso di lassativi [2].

La stipsi cronica idiopatica

Definizione

La stipsi è una sindrome (disordine plurisintomatico) costituita da molti sintomi suggestivi di disordini intestinali e/o anorettali: non solo ridotto numero di evacuazioni (< 3/settimana) [3], ma anche difficoltà nell’espellere le feci (straining), flatulenza, feci troppo aride, fastidio addominale, dolore e gonfiore addominale, dolore rettale, sensazione di evacuazione incompleta, sensazione di falsa urgenza all’evacuazione [4]. Le più recenti definizioni di stipsi considerano sia le difficoltà dell’atto di evacuazione riferite dai soggetti affetti, sia alcuni parametri quantizzabili oggettivamente quali la frequenza dell’alvo e il tipo di feci [5,6]. Sulla base dei disturbi lamentati dai pazienti che condizionano la domanda sanitaria, la stipsi viene oggi pragmaticamente definita come sensazione sgradevole di evacuazioni difficoltose e/o incomplete e spesso, ma non necessariamente, infrequenti. Questa definizione è stata formalizzata in termini quantitativi nei “criteri di Roma” stabiliti da una Consensus Conference internazionale di esperti per rendere quanto più riproducibile e confrontabile la ricerca clinica e farmacologica [7]. La stipsi cronica idiopatica è una sottocategoria specifica di stipsi, caratterizzata da cronicità e gravità dei sintomi, diagnosticabile, generalmente da uno specialista gastroenterologo, in base ai criteri denominati “Roma III”. Secondo tali criteri, la diagnosi di stipsi cronica può essere posta solo quando:

  • sono presenti 2 o più dei seguenti sintomi: sforzi durante almeno il 25% delle deiezioni, feci caprine o dure in almeno il 25% delle deiezioni, sensazione di evacuazione incompleta per almeno il 25% delle deiezioni, sensazione di ostruzione e/o blocco anorettale per almeno il 25% delle deiezioni, manovre manuali per facilitare almeno il 25% delle deiezioni, < 3 deiezioni alla settimana;
  • la perdita di feci è presente raramente senza l’uso di lassativi;
  • non vi sono criteri sufficienti per definire la sindrome dell’intestino irritabile.

Tutti i criteri indicati sopra devono essere soddisfatti per gli ultimi 3 mesi e la data di insorgenza dei sintomi deve risalire ad almeno 6 mesi prima della diagnosi.

Fisiopatologia e classificazione

La stipsi può essere primaria (idiopatica) o secondaria ad altri fattori quali disturbi endocrino metabolici, assunzione di farmaci, dieta/stili di vita, ecc. [8]. La stipsi cronica idiopatica può essere dovuta a transito intestinale rallentato, anomalie dei meccanismi di evacuazione o iposensibilità rettale. Meccanismi fisiopatologici distinti, che possono essere identificati sulla base dei tempi di transito intestinali e della sede dell’eventuale rallentamento, caratterizzano tre tipi principali di stipsi:

  • stipsi con transito normale. È la forma più comune osservata a livello clinico [8,9]. I pazienti riferiscono difficoltà all’evacuazione, feci dure, flatulenza, dolori e disturbi addominali, ma il tempo di transito attraverso il colon e il numero di evacuazioni sono normali [10,11];
  • stipsi espulsiva o dischezia. È caratterizzata da difficoltà nell’espellere le feci dal retto, è spesso associata ad alterazioni funzionali (dissinergia del pavimento pelvico, riduzione della sensazione rettale, ridotta urgenza a defecare, ecc.) o anatomiche ano-rettali (prolasso e/o intussuscezione rettale, ulcera solitaria del retto, rettocele, perineo discendente) che sono spesso conseguenza di un difetto espulsivo funzionale e possono aggravare qualsiasi forma di stitichezza [9,12,13];
  • stipsi da transito rallentato o inertia coli. È presente in circa il 50% dei pazienti con sintomi refrattari all’uso di fibre alimentari [9]. In questi pazienti, sebbene il ritmo diurno sia generalmente conservato, si riscontrano significative riduzioni dell’attività motoria propulsiva del colon e della risposta del colon dopo un pasto e al risveglio mattutino [10,14]. L’inertia coli è causata da alterazioni dei meccanismi di controllo neuro-ormonali della motilità del grosso intestino che determinano la riduzione o la scomparsa delle onde propulsive di grande ampiezza responsabili dei movimenti di massa dei contenuti intestinali [15,16].

Il sistema colinergico enterico svolge un ruolo fondamentale nel regolare l’attività peristaltica stimolando la contrazione spontanea della muscolatura liscia del colon. Nei soggetti con stipsi da rallentato transito è stata osservata una significativa riduzione della risposta motoria del colon discendente allo stimolo colinergico [17]. La serotonina (5-HT) è un importante fattore di regolazione delle principali funzioni del tratto gastrointestinale, dove sono presenti elevate concentrazioni del recettore 5-HT4. L’attivazione di questo sottotipo di recettori serotoninergici comporta un aumento della motilità e della propulsione intestinale. Rilasciata dalle cellule enterocromaffini del tratto gastrointestinale, la serotonina produce sia effetti eccitatori facilitando la trasmissione colinergica e non-colinergica, sia effetti inibitori rilassando la muscolatura liscia intestinale. L’attivazione dei recettori 5-HT4 promuove anche l’inizio e il potenziamento dei riflessi peristaltici e stimola la secrezione [18-23]. Il recettore 5-HT4, attivando le proteine G, è positivamente accoppiato con il sistema dell’adenilciclasi e induce un aumento intracellulare di AMP ciclico [22]. Il sistema serotoninergico presenta evidenti difetti funzionali nei disturbi della motilità intestinale, sebbene non sia ancora stato chiarito se ciò dipenda da alterazioni della disponibilità di serotonina, o del meccanismo di ricaptazione, o dalla densità e/o funzionalità dei recettori [24,25]. La correlazione tra ormoni sessuali e stipsi cronica non è chiara, sebbene, associata alla stipsi, sia stata osservata una riduzione dei livelli di ormoni steroidei ovarici e surrenalici [26]. Inoltre, dati sperimentali ottenuti su modelli in vitro fanno ipotizzare che il rallentato transito sia causato da una iperespressione di recettori del progesterone che possono indurre uno sbilanciamento tra G-proteine contrattili e inibitorie a livello della muscolatura liscia circolare del colon [27].

Epidemiologia

La stipsi viene invariabilmente descritta come il più frequente dei sintomi digestivi nei paesi industrializzati e le cifre pubblicate verosimilmente sottostimano il problema. I dati epidemiologici della stipsi dipendono fortemente dalla definizione adottata e nella letteratura internazionale la prevalenza è stimata entro un range molto ampio compreso fra il 2 e il 28% [5,6]. Alcuni studi epidemiologici condotti sulla popolazione generale italiana hanno stimato una prevalenza della stipsi compresa tra l’8% e il 9% [28,29]. Nello studio internazionale di Wald e colleghi il 70% dei pazienti italiani che si autodefiniva stitico era di sesso femminile e la prevalenza aumentava con l’età; il 67% circa dei soggetti riferiva di soffrire del disturbo da oltre 3 anni e più del 70% di soffrirne frequentemente [28]. Nello stesso studio [28] circa il 38% dei soggetti dichiarava di far uso di lassativi, il 47% di affidarsi a modifiche degli stili di vita per contrastare i disturbi intestinali (evidentemente non particolarmente gravi) e il 15% dichiarava di non adottare alcuna strategia terapeutica. In questo studio, sorprendentemente, l’uso dichiarato di lassativi in Italia era più frequente nei soggetti di sesso maschile e tra i giovani e gli anziani di entrambi i sessi rispetto ai soggetti di mezza età. Inoltre, la probabilità di assumere lassativi era maggiore in chi lamentava una durata di stipsi superiore ai 3 anni. In generale le donne tendevano ad assumere lassativi per periodi più protratti, il 70% per almeno 3 anni e con frequenza superiore rispetto ai maschi, ma in entrambi i sessi oltre l’80% dei soggetti dichiarava di assumerli uno o più volte al mese [28]. Altri studi hanno stimato un uso, e un abuso, di lassativi rispettivamente nel 5% e al 4% della popolazione generale [30,31].

Classe

Agenti lassativi

Meccanismo d’azione

Possibili limitazioni

Agenti formanti massa

  • Fibre naturali: crusca, psyllio
  • Fibre semisintetiche: metilcellulosa
  • Fibre sintetiche: policarbofil

Legame con acqua del lume con aumento volume e riduzione consistenza fecale

  • Flatulenza, distensione addominale, meteorismo, sapore talvolta sgradevole, impatto fecale (raro)
  • Sconsigliati in soggetti non mobilizzati
  • Controindicati nelle subocclusioni

Lubrificanti/emollienti fecali

  • Olio di paraffina
  • Docusato sodico

Legame con acqua del lume con aumento volume e riduzione consistenza fecale

Fastidio addominale, dolori crampiformi

Iperosmotici zuccherini

  • Lattulosio
  • Lattitolo
  • Sorbitolo

Legame osmotico con acqua del lume con aumento volume e riduzione consistenza fecale

Flatulenza, meteorismo

Iperosmotici salini

  • Magnesio idrossido
  • Magnesio citrato
  • Magnesio solfato
  • Sodio fosfato

Legame osmotico con acqua del lume con aumento escrezione di fluidi intestinali

  • Possibili squilibri elettrolitici
  • Da usare con cautela nei pazienti con insufficienza renale o cardiaca

Isosmotici

Polietilenglicole (PEG)

Legami deboli con acqua con ridotto assorbimento di fluidi intestinali

Flatulenza, distensione addominale, sapore sgradevole

Stimolanti

  • Derivati difenilmetano: bisacodil, sodio pirosolfato
  • Derivati antrachinonici: senna, aloe; cascara
  • Inducono contrazioni del colon agendo sui nervi enterici
  • Diminuiscono l’assorbimento di acqua ed elettroliti dal colon

Fastidio addominale, dolori crampiformi

Secretagoghi del colon

Lubiprostone (approvato solo in USA e Svizzera)

  • Attiva i canali del cloro ClC-2
  • Stimola la produzione di cGMP e la secrezione di fluidi intestinali

Nausea (20% dei pazienti), diarrea (10% dei pazienti)

Procinetici: agonisti recettore 5-HT4 serotoninergico

  • Prucalopride (approvato)
  • Velusetrag (fase III)
  • Naronapride (fase III)

Stimolano la peristalsi intestinale e del colon

Nel 10% dei pazienti cefalea, nausea, diarrea, dolori addominali

Agonisti recettore guanilato ciclasi

Linaclotide (non ancora approvato in UE)

Stimolano la secrezione dei fluidi intestinali e il transito

Diarrea

Tabella I. Classi di lassativi, meccanismi d’azione e possibili limitazioni all’impiego clinico [34-36]

Risultati diversi sono stati ottenuti valutando l’impiego di lassativi tra i pazienti che si rivolgono a un centro di riferimento italiano per questo tipo di patologie, rispetto alla popolazione generale dei pazienti che si autodefinisce stitico e che spesso autogestisce la terapia [32]. Nel sottogruppo di pazienti con stipsi cronica idiopatica gestiti da specialisti, l’87,9% dei soggetti dichiarava di aver fatto uso di lassativi, il 57,6% in modo saltuario e il 30,3% regolarmente. Questi ultimi riferivano di assumere lassativi quotidianamente nel 76,2% dei casi e il rimanente 23,8% almeno 2 volte a settimana. L’uso regolare di lassativi era significativamente correlato alla durata della stipsi cronica, alla frequenza ridotta dell’alvo e al rallentato transito intestinale. Nei pazienti seguiti da centri specialistici l’impiego di lassativi aumentava con l’età, senza evidenti differenze tra i generi. La maggior parte dei pazienti assumeva vari tipi di lassativi e solo il 44,8% un solo tipo [32].

La stipsi è stata correlata a diversi fattori socio-demografici, fisiopatologici e comportamentali: basso livello sociale e di scolarità, scarso apporto calorico, sedentarietà, numero di farmaci assunti (indipendentemente dal tipo di effetti collaterali), depressione e storia di abusi fisici e sessuali [33]. Tuttavia, nonostante l’evidenza di associazione statistica, un eventuale ruolo causativo di tali fattori (come per esempio sedentarietà e diete povere di fibre) nella stipsi non è mai stato dimostrato.

Trattamenti farmacologici

I lassativi attualmente disponibili facilitano l’evacuazione fecale riducendo la consistenza delle feci e/o stimolando la motilità del colon mediante diversi meccanismi diretti o indiretti. La Tabella I riporta le principali classi di lassativi, indicandone meccanismo d’azione e fattori limitanti il loro uso clinico [34-36]. La maggior parte dei lassativi sono farmaci di uso consolidato o tradizionale, disponibili come prodotti da banco, senza ricetta. Molti pazienti finiscono per farne un uso improprio e talvolta di abusarne fino a diventarne assuefatti con evidenti manifestazioni di farmacodipendenza e possibili danni anche organici [37]. Negli ultimi anni sono stati sviluppati e resi disponibili, o sono in via di sviluppo, nuovi farmaci indicati per il trattamento della stipsi cronica funzionale. In particolare è stata esplorata la possibilità di favorire il transito intestinale mediante l’azione di procinetici che agiscono come agonisti del recettore serotoninergico 5-HT4. Nel 2009 è stata autorizzata a livello europeo l’immissione in commercio di prucalopride, primo agonista selettivo del recettore 5-HT4 appartenente a una nuova classe di benzofurani, indicato, dietro presentazione di ricetta medica [2], per il trattamento della stipsi cronica idiopatica delle donne dopo il fallimento di altri comuni lassativi [38].

Profilo clinico di prucalopride

Farmacologia

Studi in vitro ed esperimenti su tessuti o organi isolati hanno dimostrato l’elevata affinità e la selettività di legame di prucalopride con i recettori 5-HT4 [18]. Studi condotti sulla muscolatura liscia longitudinale del colon hanno dimostrato che prucalopride stimola i recettori 5-HT4 pregiunzionali presenti sui neuroni colinergici, incrementando la liberazione di acetilcolina e facilitando le contrazioni [39]. Analoghi studi condotti sulla muscolatura circolare hanno evidenziato che l’attivazione dei recettori 5-HT4 media preferenzialmente il rilassamento e, in alcune condizioni, anche la contrazione [19,40]. L’insieme di questi esperimenti supporta l’ipotesi che prucalopride promuova l’effetto enterocinetico aumentando la contrattilità della muscolatura longitudinale del colon e modulando o inibendo quella della muscolatura circolare. Infine, prucalopride è priva di affinità per i recettori della motilina e della colecistochinina e non presenta effetti anticolinergici, non inibisce le colinesterasi e non dimostra altri effetti inibitori aspecifici [18].

Farmacocinetica

Prucalopride è assorbito quasi completamente dopo somministrazione orale nell’uomo. La biodisponibilità orale è superiore al 90%, non è modificata dal cibo e il picco di concentrazione massima avviene dopo circa 3 ore [41,42]. L’emivita di eliminazione è stimata in 24-30 ore e dopo somministrazione giornaliera ripetuta della dose terapeutica usuale (2 mg) si raggiungono, entro 3 giorni, concentrazioni di steady-state comprese fra 2,5 e 7,0 ng/ml, con un volume apparente di distribuzione molto grande (circa 567 l) [41]. Prucalopride subisce solo un modesto metabolismo epatico e il 60% viene eliminato immodificato nelle urine [2]. Non viene metabolizzato dal citocromo CYP3A4 e ha un basso legame con le proteine plasmatiche (28-33%), perciò presenta un basso rischio di interazione con altri farmaci [41]. L’escrezione avviene prevalentemente attraverso il rene e la clearance renale è stimata in 317 ml/min: è perciò necessario aggiustare la posologia nei pazienti con insufficienza renale grave [41].

Farmacodinamica

Alcuni studi controllati verso placebo, condotti su gruppi di volontari sani, hanno dimostrato che prucalopride, alle dosi comprese tra 0,5 e 4 mg, accelera il transito nel colon, aumenta la frequenza delle evacuazioni e diminuisce la consistenza delle feci. Le dosi studiate sono risultate pressoché equi-efficaci nell’accelerare il transito colico [43-48]. Nei volontari sani prucalopride riduce il tempo di transito nei segmenti destro e sinistro del colon, senza modificare il transito nel sigma retto e le funzioni anorettali [46,47]. Si ritiene che l’effetto di accelerazione del transito sia dovuto alla stimolazione delle contrazioni propagate di grande ampiezza (HAPACs) e all’aumento delle contrazioni segmentali non propagate [48]. L’effetto sulle abitudini intestinali dei volontari sani è stato evidente fin dal primo giorno di trattamento e alla sospensione non sono stati osservati fenomeni di rebound o effetti residui prolungati [46]. Studi clinici controllati di fase IIa, condotti su gruppi selezionati di pazienti con stipsi funzionale e senza disturbi dell’evacuazione, hanno confermato che prucalopride, alle dosi di 2 e 4 mg, accelera il transito nel colon, aumenta la frequenza delle evacuazioni e riduce la consistenza delle feci [49]. In questi soggetti prucalopride accelera il transito gastrointestinale nei segmenti alti e in quelli bassi, con un effetto non ben definito sulle funzioni anorettali [49-51]. La risposta nei pazienti con stipsi è dose-dipendente, è già evidente in alcuni soggetti alla dose di 1 mg/die, ma generalmente la dose efficace è di 2 mg una volta al giorno [50,51].

Efficacia e sicurezza

Efficacia clinica

L’efficacia clinica di prucalopride, somministrato per 4 settimane a dosi comprese tra 0,5 e 4 mg, è stata valutata in alcuni studi clinici di fase IIb, controllati in doppio cieco verso placebo, condotti su gruppi di pazienti selezionati affetti da stipsi cronica [52-55]. L’end point primario, consistente nel raggiungere una media di ≥ 3 evacuazioni spontanee complete a settimana, è stato osservato nel 32% e nel 55% dei pazienti trattati rispettivamente con 2 mg e 4 mg una volta al giorno. Prucalopride ha aumentato significativamente il numero di evacuazioni spontanee a settimana, reso le feci più morbide e diminuito la frequenza di straining, con miglioramento della percezione soggettiva di stipsi [56]. Tre studi fondamentali di fase III hanno documentato l’efficacia clinica di prucalopride in poco meno di 2.000 pazienti affetti da stipsi cronica primaria non adeguatamente sensibile ai comuni lassativi [57-59]. Questi tre studi pivotali hanno consentito all’EMA di rilasciare l’autorizzazione all’immissione in commercio di prucalopride (1-2 mg) per la stipsi cronica primaria delle donne dopo fallimento di terapie con i comuni lassativi [2]. I tre studi avevano un disegno sperimentale sostanzialmente sovrapponibile. I criteri di inclusione/esclusione erano quelli del consensus “Roma III”. Dopo una fase di run-in di 2 settimane senza alcun trattamento, i pazienti venivano randomizzati a un trattamento di 12 settimane con placebo o con prucalopride 2 mg o 4 mg una volta al giorno. Durante la fase di run-in e di trattamento non era consentito l’uso di altri lassativi, salvo nei casi codificati di salvataggio. L’efficacia del trattamento veniva valutata mediante appositi questionari che comprendevano un diario giornaliero e due specifici strumenti messi a punto per lo studio della stipsi: il Patient Assessment of Constipation Symptom (PAC-SYM) e il Patient Assessment of Constipation Quality of Life (PAC-QOL) [60,61]. L’end point primario nei tre studi era la percentuale di pazienti che raggiungeva la media di ≥ 3 evacuazioni spontanee complete a settimana, stimata sull’arco delle 12 settimane di trattamento. Diversi end point secondari hanno valutato la variazione dei sintomi correlati alla stipsi (modificazioni delle feci, riduzione dei disturbi addominali, miglioramento delle funzioni ano rettali) e il miglioramento della qualità della vita. I principali risultati dei tre studi di fase III sono riassunti nella Tabella II e nella Figura 1, che riporta le percentuali di risposta da noi ricalcolate sulla base del pool grezzo dei dati pubblicati sui singoli studi [57-59]. Il trattamento per 12 settimane con prucalopride alle dosi giornaliere di 2 mg e 4 mg ha consentito di raggiungere l’end point primario, rispettivamente nel 24,5% (percentuale sul pool dei dati; 24,7% nella popolazione target intesa come i pazienti di sesso femminile a cui i lassativi non riescono a fornire adeguato sollievo) e nel 25,1% dei pazienti, in confronto con l’11,1% del placebo. Entrambe le dosi di prucalopride hanno mostrato una differenza di efficacia statisticamente significativa rispetto a placebo (p ≤ 0,01), mentre tra i 2 mg e i 4 mg non sono state evidenziate particolari differenze di efficacia.

La percentuale di pazienti che nel periodo di 12 settimane di trattamento con prucalopride 2 mg e 4 mg ha aumentato mediamente di ≥ 1 evacuazione spontanea completa per settimana (principale end point secondario) è stata rispettivamente di 42,5% e 45,7% (percentuale sul pool dei dati; 44,2% nella popolazione target), in confronto con il 24,6% del placebo. L’incremento medio del numero di evacuazioni spontanee a settimana è stato di 1,2-2,2 e di 1,4-2,5, rispettivamente con prucalopride 2 mg e 4 mg, in confronto con 0,5-0,8 del placebo. Per entrambi questi end point secondari le differenze tra prucalopride e placebo sono risultate altamente significative (p ≤ 0,001). Analogamente, tutti gli altri end point secondari valutati nei tre studi, che comprendevano tra l’altro parametri relativi alla consistenza delle feci e allo straining, la latenza della prima evacuazione spontanea dall’inizio del trattamento, la necessità di usare lassativi di salvataggio, sono risultati significativamente migliorati con prucalopride rispetto al placebo. La Tabella II riporta i risultati relativi alle variazioni dei punteggi delle scale dei sintomi rilevati con il questionario PAC-SYM: il trattamento con prucalopride 2 mg o 4 mg migliora significativamente, rispetto al placebo, il punteggio globale e i punteggi relativi ai sintomi fecali e ai sintomi addominali; i sintomi rettali sono risultati migliorati solo in alcuni studi.

L’indagine condotta con il PAC-QOL ha dimostrato che l’uso di prucalopride viene percepito con grande soddisfazione. La percentuale di pazienti con miglioramento ≥1 punto della scala di soddisfazione PAC-QOL, alla 12° settimana rispetto al basale, è stata del 33,5-44,9% (40,5% nel pool di dati) e del 29,4-48,7% (41,0%), rispettivamente con prucalopride 2 mg e 4 mg, in confronto con il 16,4-26,0 (22%) del placebo (Tabella II e Figura 1). Le differenze tra dosi di prucalopride e il placebo è risultata altamente significativa (p < 0,001).

A

Studi clinici di fase III

Pazienti (n.)

Totale

Gruppo placebo

Prucalopride 2 mg

Prucalopride 4 mg

Camilleri, 2008 [57]

620

209

207

204

Quigley, 2009 [58]

641

212

214

215

Tack, 2009 [59]

713

240

236

237

B

End point di efficacia

Studio

Gruppo placebo

Gruppo prucalopride

2 mg

4 mg

Primario: % pazienti con media ≥ 3 evacuazioni spontanee complete/settimana, nel periodo 1-12 settimane

Camilleri, 2008 [57]

12,0

30,9§

28,4§

Quigley, 2009 [58]

12,1

23,9#

23,5#

Tack, 2009 [59]

9,6

19,5#

23,6§

Secondario principale: % pazienti con aumento medio di ≥1 evacuazioni complete/settimana, nel periodo 1-12 settimane

Camilleri, 2008 [57]

25,8

47,3§

46,6§

Quigley, 2009 [58]

27,5

42,6§

46,6§

Tack, 2009 [59]

20,9

38,1§

44,1§

Altro secondario: aumento medio del numero di evacuazioni spontanee/settimana, nel periodo 1-12 settimane

Camilleri, 2008 [57]

0,8

2,2§

2,5§

Quigley, 2009 [58]

0,8

1,5§

1,5§

Tack, 2009 [59]

0,5

1,2§

1,4§

Punteggio PAC-SYM globale dei sintomi (riduzione media dopo 12 settimane)

Camilleri, 2008 [57]

-0,4

-0,6§

-0,7§

Quigley, 2009 [58]

-0,45

-0,78§

-0,56*

Tack, 2009 [59]

-0,37

-0,66§

-0,71§

Punteggio PAC-SYM dei sintomi fecali (riduzione media dopo 12 settimane)

Camilleri, 2008 [57]

-0,5

-0,6#

-0,8§

Quigley, 2009 [58]

-0,45

-0,83§

-0,51

Tack, 2009 [59]

-0,40

-0,78§

-0,77§

Punteggio PAC-SYM dei sintomi addominali (riduzione media dopo 12 settimane)

Camilleri, 2008 [57]

-0,4

-0,7§

-0,7§

Quigley, 2009 [58]

-0,53

-0,86§

-0,76#

Tack, 2009 [59]

-0,40

-0,66*

-0,77§

Punteggio PAC-SYM dei sintomi rettali

(riduzione media dopo 12 settimane)

Camilleri, 2008 [57]

-0,4

-0,5

-0,4

Quigley, 2009 [58]

-0,32

-0,61*

-0,36

Tack, 2009 [59]

-0,26

-0,44*

-0,54§

Qualità di vita: % pazienti con miglioramento ≥1 punto della scala di soddisfazione PAC-QOL, alla 12° settimana

Camilleri, 2008 [57]

24,1

44,9§

48,7§

Quigley, 2009 [58]

26,0

43,5§

44,4§

Tack, 2009 [59]

16,4

33,5§

29,4§

Tabella II. Dati di efficacia di prucalopride derivati dall’analisi dei diari e dei questionari compilati dai pazienti (B) nei tre studi pivotali di fase III (A) [57-59]

Significatività del confronto con placebo: * p < 0,05; # p < 0,01; § p < 0,001

img_02_01.jpg

Figura 1. Percentuali di pazienti che raggiungono end point di efficacia e di qualità di vita con prucalopride 2 mg o 4 mg per 122 settimane, in confronto con placebo.

End point primario: % pazienti con media ≥ 3 evacuazioni spontanee complete/settimana, nel periodo 1-12 settimane

End point secondario: % pazienti con aumento medio di ≥1 evacuazioni complete/

settimana, nel periodo 1-12 settimane

Qualità di vita: % pazienti con miglioramento ≥1 punto della scala di soddisfazione PAC-QOL, alla 12° settimana

Significatività del confronto verso placebo: * p ≤ 0,01; ° p ≤ 0,001

L’efficacia a lungo termine di prucalopride nei pazienti con stipsi cronica è stata valutata in un consistente sottogruppo di pazienti arruolati nei tre studi di fase III, trattati in aperto nel follow-up per un massimo di 24 mesi (mediana circa 12 mesi) [62]. L’efficacia è stata valutata ogni 3 mesi mediante la scala di soddisfazione del PAC-QOL. Inoltre, sono stati registrati l’uso di altri lassativi e i casi di abbandono dello studio. L’86% dei pazienti che aveva completato la fase in doppio cieco degli studi pivotali (n = 1.455/1.691, 90% donne) ha continuato il trattamento nello studio in aperto. Il miglioramento del punteggio medio sulla scala di soddisfazione del PAC-QOL, osservato durante il trattamento con prucalopride in doppio cieco per 12 settimane, è stato conservato e consolidato durante la fase di follow-up in aperto fino a 18 mesi. La Figura 2 riporta le percentuali di pazienti con un incremento di almeno 1 punto sulla scala di soddisfazione del PAC-QOL durante lo studio. Durante ciascun periodo di 3 mesi, il 40-50% dei pazienti non ha fatto uso di altri lassativi. Solo il 10% circa dei pazienti che aveva ottenuto la normalizzazione delle funzioni intestinali al termine degli studi pivotali ha sospeso il trattamento per insufficiente risposta durante la fase di follow-up in aperto. Gli eventi avversi più frequenti che hanno comportato la sospensione di prucalopride sono stati quelli gastrointestinali (3,3%) e la cefalea (1%) [62]. Complessivamente, gli studi clinici di fase III, incluso i periodi di follow-up, hanno dimostrato che mediamente non c’è alcun beneficio incrementale della dose di prucalopride di 4 mg su quella di 2 mg in nessuno degli end point di efficacia analizzati, nonostante accurati studi di farmacodinamica indicassero una correlazione dose-effetto positiva [49].

Attualmente non esistono studi comparativi diretti tra prucalopride e altri lassativi. Il confronto è possibile solo in via indiretta, nel caso in cui entrambi i farmaci siano stati confrontati con placebo e siano stati valutati con medesimi end point clinici. Un giudizio definitivo sull’efficacia comparativa fra prucalopride e altri lassativi potrà essere dato solo quando saranno disponibili studi di confronto diretto su soggetti trattati in assetto naturalistico.

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Figura 2 . Miglioramento sulla scala di soddisfazione del PAC-QOL durante il trattamento in aperto dei pazienti arruolati nei tre studi di fase III [62] espresso in termini di % di pazienti trattati con prucalopride che hanno avuto un incremento di almeno 1 punto sulla scala di soddisfazione del PAC-QOL

Tollerabilità e sicurezza

Gli studi clinici hanno complessivamente dimostrato che prucalopride è ben tollerato. Gli eventi avversi più comuni sono stati cefalea, nausea, dolori addominali e diarrea, osservati in circa il 10% dei pazienti trattati. La maggior parte di questi eventi avversi era transitorio, di lieve o moderata gravità, si verificava soprattutto durante il primo giorno di trattamento con frequenza indipendente dalla dose [49-52,57-59]. La diarrea era l’evento avverso comune a tutti i farmaci considerati nell’unica metanalisi finora pubblicata [63]. Nello sviluppo farmacologico e clinico di prucalopride particolare attenzione è stata dedicata a documentare l’assenza di tossicità cardiovascolare. Gli studi di sicurezza condotti secondo un ampio programma di studi clinici su oltre 4.000 soggetti non hanno evidenziato alcun aumento significativo, in confronto con placebo, di eventi avversi cardiovascolari rilevanti. Due studi di fase I su volontari sani, esposti a dosi fino a 10 volte superiori a quelle terapeutiche, hanno evidenziato un aumento della frequenza con associata diminuzione dell’intervallo PQ e QT, ma nessuna differenza significativa nelle medie del QT corretto tra prucalopride e placebo [64]. Poiché cisapride aveva dimostrato un aumento del rischio cardiovascolare soprattutto in pazienti predisposti e portatori di malattia cardiaca, è stato condotto uno studio di sicurezza di fase II su anziani gestiti in RSA, l’88% dei quali aveva una storia di malattia cardiovascolare. La somministrazione di prucalopride non ha comportato alcun peggioramento dei parametri cardiovascolari, frequenza cardiaca, pressione arteriosa, ECG, e nessuna variazione dei parametri di laboratorio [65]. La sicurezza di prucalopride è stata confermata in tutti gli altri studi clinici di efficacia con esposizione dei pazienti fino a dosi di 4 mg/die per una durata complessiva fino a 24 mesi. I risultati degli studi clinici di sicurezza confermano le previsioni ricavabili dagli studi farmacologici condotti in vitro e in vivo e dalle differenze osservate tra prucalopride e cisapride. Com’è noto, cisapride blocca i canali hERG, inibendo la componente rapida della corrente ritardata rettificante del potassio coinvolta nella ripolarizzazione dei miociti. Questo meccanismo sarebbe responsabile delle gravi aritmie osservate con cisapride [66,67]. Prucalopride inibisce i canali hERG del tessuto cardiaco umano solo a concentrazioni micromolari (IC50 ~ 4,9*10-6 M), che sono circa mille volte più alte delle concentrazioni plasmatiche indotte dalle dosi terapeutiche utilizzate nella stipsi. Pertanto il margine di sicurezza è elevato e il rischio stimato di effetti avversi cardiaci molto basso [68,69].

Gestione clinica della stipsi cronica e place-in-therapy di prucalopride

Nonostante esistano diverse linee guida internazionali, americane ed europee [34,70-72] la gestione e il trattamento dei pazienti con stipsi non avviene in modo standardizzato, neppure nei casi più gravi, e la maggior parte dei pazienti preferisce autogestirsi o affidarsi a figure professionali diverse dal medico (farmacista, erborista), talvolta anche a persone senza alcuna qualifica sanitaria, spesso adottando pratiche inutili o dannose [34]. Il punto di partenza di una corretta gestione clinica del paziente con stipsi cronica è rappresentato da una buona raccolta anamnestica associata a un attento esame obiettivo generale completato da esplorazione retto-anale. In particolare è necessario ricercare sintomi e segni di allarme la cui presenza impone approfondimenti diagnostici. Inoltre, è necessario identificare eventuali abitudini di vita (sedentarietà, scarsa idratazione, ridotto apporto di fibre alimentari) e/o terapie concomitanti che possono determinare o aggravare la stipsi. Dopo aver escluso la presenza di stipsi secondaria, le linee guida raccomandano come prima tappa di tentare di modificare le abitudini di vita ritenute predisponenti. Le modificazioni della sedentarietà e delle abitudini alimentari sono spesso sufficienti a ottenere un buon controllo delle forme più lievi e transitorie di stipsi, ma non portano a sostanziali benefici nelle forme più gravi. In questi casi è necessario ricorrere all’impiego di lassativi. Le linee guida internazionali suggeriscono di iniziare con lassativi osmotici o emollienti o formanti massa. Nei pazienti nei quali tali presidi terapeutici non sortiscono l’effetto atteso è necessario passare all’impiego di lassativi da contatto (stimolanti), eventualmente in associazione con supposte o clisteri nel casi di difetti espulsivi concomitanti. Qualora anche questi presidi terapeutici dovessero risultare inefficaci è consigliabile l’impiego di un farmaco enterocinetico per favorire i meccanismi neuromuscolari intrinseci che nel paziente stitico sono insufficienti a consentire la normale progressione dei contenuti intestinali. I casi refrattari dovrebbero essere approfonditi in centri specialistici di riferimento per le malattie digestive funzionali mediante l’effettuazione dei test diagnostici necessari per chiarire il tipo ed il grado di disordine funzionale responsabile della stipsi. Ciò permette di impiegare i vari tipi di farmaci in modo appropriato utilizzando posologie individualizzate ed eventuali associazioni. I pazienti che non rispondono a nessun tipo di trattamento medico possono essere considerati per vari tipi di interventi chirurgici, discutibili sul piano tecnico-scientifico e bioetico perché spesso non risolutivi e non scevri da possibili complicanze anche gravi. L’introduzione di nuovi farmaci pro cinetici, come prucalopride, potrebbe ridurre ulteriormente il numero di pazienti con grave stipsi refrattaria da avviare al trattamento chirurgico.

Considerazioni economiche

I costi di malattia

Data l’elevata prevalenza, la stipsi rappresenta un rilevante onere economico per la società e per il sistema sanitario soprattutto dei paesi maggiormente sviluppati. Considerando il tema della stipsi in generale, si stima che solo un terzo circa dei pazienti con questo disturbo ricorra all’uso di risorse sanitarie [73]. Ciò nonostante, il numero di visite mediche di Medicina Generale, di visite specialistiche, di esami di laboratorio e strumentali, di ricoveri, e il consumo di lassativi è molto elevato. Negli Stati Uniti, ogni anno oltre l’1% della popolazione richiede una visita medica lamentando un problema di stipsi, per un totale di visite mediche che è aumentato da 2,5 milioni nel 1989 [74,75] a 6,3 milioni nel 2004 [76]. Nello stesso periodo è stato stimata in circa 800 milioni di dollari all’anno la spesa sostenuta dagli americani per lassativi [77]. Nel regno Unito sono state stimate 450.000 visite presso General Practitioner con costi annuali di 4,5 milioni di sterline per tempo medico, oltre a 17 milioni di sterline per lassativi prescritti dal medico, senza calcolare gli oltre 20 milioni di sterline per farmaci da banco [73].

Un’ indagine condotta negli Stati Uniti, utilizzando i registri dei ricoveri e delle attività ambulatoriali territoriali e ospedaliere del 2001, ha stimato che la stipsi è stata la diagnosi o la motivazione per 5,7 milioni di visite ambulatoriali ed è stata la diagnosi primaria per 2,7 milioni di tali visite, così ripartite come tipologia: 1.838.493 visite extraospedaliere, 297.927 visite ambulatoriali ospedaliere, 555.432 accessi al pronto soccorso, 38.361 visite a pazienti ricoverati. Il costo totale, stimato in base alle tariffe Medicare, è stato stimato in 235 milioni di dollari all’anno così ripartite: 55% per pazienti ricoverati, 23% per assistenza di pronto soccorso, 16% per assistenza medica territoriale e 6% per assistenza ambulatoriale ospedaliera. Questo studio dimostra chiaramente che la stipsi pur essendo trattata principalmente a livello domiciliare e ambulatoriale, assorbe una quantità di risorse finanziarie nettamente superiore per l’assistenza ospedaliera [78].

La stipsi è nettamente prevalente nelle donne e le donne che soffrono di stipsi consumano una quantità superiore di risorse sanitarie. Questo tema è stato indagato e documentato da una ricerca condotta a Rochester negli Stati Uniti [79]. Il consumo incrementale di risorse sanitarie indotto dalla stipsi è stato stimato in un gruppo di donne selezionate da una popolazione di madri che avevano partorito 5.718 bambini nel periodo 1976-1982. Utilizzando una tecnica di analisi caso-controllo 2:1 è stato valutato il consumo longitudinale di risorse sanitarie indotto da 168 donne che presentavano stipsi, confrontandoli con quelli dei relativi controlli. Nell’arco di 15 anni, le donne con stipsi hanno indotto un costo diretto sanitario totale medio di $ 63.591 (IC95%: 49.786-81.396), più del doppio di quello dei controlli senza stipsi che hanno fatto registrare un costo medio di $ 24.529 (IC95%: 20.667-29.260). Il costo medio totale per l’assistenza extra-ospedaliera delle donne con stipsi è stata di $ 38.897 (IC95%: 31.381-48.253) mentre nei controlli è stata di $ 15.110 (IC95%: 12.904-17.781). La mediana del numero di visite annuali extraospedaliere è stato di 0,16 nelle donne con stipsi e di 0,11 nei controlli [79]. Gli stessi Autori, in un successivo lavoro, hanno anche analizzato i costi sanitari indotti da 250 giovani con stipsi e di età compresa tra 5 e 18 anni, figli della stessa coorte di donne [80]. Anche in questo studio la stipsi è stata correlata a un incremento notevole del costo medio per assistenza ospedaliera ed extra-ospedaliera, rispetto ai controlli. Il numero medio di accessi annuali al pronto soccorso era quasi raddoppiato nei bambini-giovani adulti con stipsi, rispetto ai controlli (0,66 vs 0,34) [80].

Utilizzando il data base di una grande Health Maintenance Organization (HMO) di Seattle (USA) alcuni Autori hanno recentemente valutato il costo sanitario della stipsi cronica confrontandolo con quello di tre altre patologie croniche intestinali: sindrome dell’intestino irritabile, diarrea, dolore addominale [81].

Il costo sanitario annuale medio per paziente con stipsi è stato stimato in $ 7.522, minore solo del costo medio per dolore addominale ($ 7.646), ma maggiore del costo per intestino irritabile ($ 5.049) e per diarrea ($ 6.140). Gli autori hanno, inoltre stimato che i costi diretti non sanitari (out of pocket) annuali ammontavano mediamente a $ 390 nei pazienti con stipsi, erano di $ 406 nei pazienti con intestino irritabile, di $ 304 nei pazienti con dolori addominali e di $ 294 nei pazienti con diarrea. I costi aumentavano in funzione della gravità della malattia e della esacerbazione recente dei sintomi ed erano invece minori durante la prima consultazione medica [81].

Stime analoghe sono state ricavate da un database amministrativo di un piano sanitario USA, analizzando i consumi di risorse di circa 60.000 assistiti negli anni 2003-2005. I soggetti con stipsi cronica idiopatica hanno indotto un incremento della spesa sanitaria annuale media/paziente di $ 8.837, decisamente più alta della spesa media annuale dei soggetti di controllo ($ 1.717; p < 0,001). Anche i soggetti affetti da sindrome dell’intestino irritabile associata a stipsi hanno indotto un notevole incremento della spesa sanitaria media rispetti ai controlli ($ 6.192 vs $ 1.319; p < 0,001) [82]. I pazienti affetti da gravi forme di stipsi cronica accedono a centri specialistici di II o III livello dove vengono eseguiti diversi test per stabilire una diagnosi differenziale precisa ed eventualmente selezionare i pazienti per un trattamento chirurgico. Uno studio monocentrico condotto presso l’Università di S. Luis (USA) ha stimato i costi delle procedure diagnostiche specialistiche adottate in un gruppo di 51 pazienti (59% donne) con stipsi cronica mediamente da 5 anni. Il costo medio della diagnosi per paziente è stato di $ 2.752 (range 1.150-4.792). La maggior parte degli esami, costati complessivamente $ 140.369 al centro clinico, sono risultati negativi e poco utili tanto che solo il 23% dei pazienti ne ha derivato un beneficio. D’altra parte le terapie a base di fibre alimentari, lassativi o biofeedback sono risultate efficaci nel 65% dei casi; del rimanente 35%, 12 pazienti sono stati sottoposti ad intervento chirurgico, ma solo 10 con successo, e 8 pazienti sono rimasti stitici, nonostante le cure. Gli autori ritengono che una valutazione diagnostica esaustiva della stipsi cronica sia eccessivamente costosa a fronte della scarsa utilità dimostrata [83].

La stipsi cronica oltre a causare un aumento del consumo di risorse sanitarie (costi diretti sanitari) comporta anche una perdita di risorse non sanitarie (costi diretti non sanitari) e soprattutto una riduzione dell’efficienza lavorativa e di produttività dei pazienti (costi indiretti). Un’indagine condotta negli Stati Uniti su 557 pazienti con stipsi cronica, su un totale di 24.090 intervistati, ha evidenziato che il disturbo aveva ridotto la qualità di vita nel 52% dei casi [4]. Perdita di produttività nel mese precedente l’intervista con una media di 2,4 giorni di assenza per malattia è stata rilevata nel 12% dei soggetti in età lavorativa o scolare. Infine, il 96% degli intervistati aveva usato e il 72% stava usando terapie per ridurre o controllare la stipsi, ma ben il 47% non era completamente soddisfatto soprattutto per mancanza di efficacia (82%) e per problemi di sicurezza (16%). In un altro studio il 60% dei pazienti ha segnalato di aver avuto disturbi dovuti alla stipsi mentre erano al lavoro, con una perdita stimata del 21% di produttività [84]. Negli Stati Uniti la stipsi cronica causerebbe complessivamente una ridotta efficienza sul lavoro per circa 14 milioni di giornate lavorative all’anno e circa 3,4 milioni di giornate di inabilità con allettamento [85].

Un recente studio condotto su un vasto campione di popolazione iraniana adulta ha indagato i costi diretti ed indiretti della stipsi cronica idiopatica. Il 2,4% dei soggetti che avevano accettato di partecipare allo studio è risultato affetto da stipsi cronica funzionale secondo i criteri Roma III. I costi diretti totali rappresentavano l’87,63% del costo totale di malattia ed i costi indiretti il 12,37%. Le visite mediche costituivano il 23,43% del costo totale, gli esami diagnostici il 7,35% , i ricoveri ospedalieri il 43,71%, i farmaci il 13,14% (5,48% gastrointestinali, 6,1% non gastrointestinali e 1,4% prodotti di origine vegetale).

La perdita di giornate di lavoro ha riguardato l’8,5% dei pazienti con stipsi cronica: il 5,7% ha perso da 1 a 7 giornate, il 2,3% da una settimana a un mese, e lo 0,5% più di un mese di lavoro [86]. Oltre a costi diretti ed indiretti, la stipsi cronica comporta anche costi intangibili rilevanti, valutabili qualitativamente come sofferenza e quantitativamente come riduzione della qualità di vita, almeno in alcune sue dimensioni significative. In un recente studio condotto in sette nazioni, tra cui l’Italia, il grado di deterioramento della qualità di vita nei pazienti affetti da stipsi cronica è risultato essere simile a quello osservato in pazienti affetti da altre malattie croniche come il reflusso gastroesofageo, il diabete, la cardiopatia o la depressione [87]. In questo studio è stato anche osservato che la perdita di qualità di vita per stipsi cronica è maggiore nelle donne che negli uomini [87]. I pazienti con stipsi cronica da disfunzione del pavimento pelvico hanno un peggioramento della qualità di vita maggiore dei pazienti con stipsi da rallentato transito [88].

Attualmente, in Italia, il costo di malattia della stipsi, incluse le forme gravi di stipsi cronica, è totalmente a carico del paziente e della società per quanto riguarda la spesa farmaceutica, le compartecipazioni (ticket) alla spesa specialistica ed i costi indiretti, mentre grava sul SSN per i costi dell’assistenza sanitaria di I livello e dell’assistenza specialistica e dell’assistenza ospedaliera.

Profilo farmacoeconomico di prucalopride

La Tabella III riassume le principali voci dei costi diretti sanitari e non sanitari, dei costi indiretti e dei costi intangibili che intervengono nella stipsi cronica e la ripartizione del loro carico sul SSN italiano, sul paziente e sulla società in senso lato. L’organizzazione dell’assistenza sanitaria varia notevolmente nei vari Paesi e le stime attuate altrove non sono quasi mai estrapolabili direttamente all’Italia, dove vige un SSN pubblico molto garantista che copre la maggior parte dei costi diretti sanitari. Il prospetto della Tabella IV è aggiornato alla situazione attuale, che in futuro potrebbe subire cambiamenti nel sistema di compartecipazione alla spesa pubblica.

Tipo e voci di costo

Ripartizione spesa

SSN

Paziente

Società

Costi diretti sanitari

Ricoveri ospedalieri

X

X

Accessi pronto soccorso

X

Ticket

X

Visite Medico Medicina Generale

X

X

Visite specialistiche (gastroenterologo, ecc.)

X

Ticket

X

Esami di laboratorio

X

Ticket

X

Esami strumentali (per immagini, endoscopia, ECG, ecc.)

X

Ticket

X

Farmaci OSP

X

X

Farmaci con ricetta (prucalopride)

?

X

X

Farmaci SOP-OTC (lassativi)

X

X

Prodotti erboristeria/alimentari

X

X

Psicoterapia/terapie comportamentali (biofeedback, ipnosi, ecc)

X

?

X

Altre terapie alternative (omeopatia, agopuntura, aromaterapia, ecc.)

X

X

Costi diretti non sanitari

Trasporto, piccole spese aggiuntive, ecc.

X

X

Costi indiretti

Perdita di giorni (ore di lavoro)

X

X

Ridotto rendimento sul lavoro

X

Costi intangibili

Sofferenza, ridotta qualità di vita

X

X

Tabella III. Voci di costo della gestione diagnostica e terapeutica della stipsi cronica e ripartizione del carico sul SSN italiano, sul paziente e sulla società

Attualmente, non risultano essere pubblicati studi farmacoeconomici su prucalopride. Tuttavia, alcuni dati relativi ad un’analisi costo-efficacia condotta dalla ditta produttrice Movetis a supporto della domanda di rimborso nel Regno Unito, sono riportati e discussi nello studio di Health Technology Assessment (HTA) condotto dal National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE) e pubblicato nel dicembre 2010 [89]. L’analisi economica è basata sui dati individuali dei pazienti, di entrambi i sessi, inclusi nei tre studi clinici pivotali di prucalopride, incluse le loro estensioni, ma ha poi considerato solo i dati della popolazione femminile. Il modello confrontava prucalopride 2 mg/die (donne adulte) o prucalopride 1 mg/die (donne anziane) con placebo nell’arco di 52 settimane e prevedeva l’uso di bisacodil come lassativo di salvataggio. Nell’analisi basale i risultati riguardavano tutte le donne, indipendentemente dall’età. La fase iniziale del trattamento era di 4 settimane; quindi le donne potevano continuare il trattamento solo se avevano raggiunto il target terapeutico di almeno 3 evacuazioni complete a settimana. Due analisi aggiuntive consideravano separatamente il sottogruppo di donne adulte e quello di donne anziane secondo i parametri di trattamento e follow-up dei relativi studi clinici. Nel modello decisionale è stato incluso solo il costo di prucalopride (1,38 £/cpr 1 mg e 2,13 £/cpr 2 mg), mentre non sono stati considerati i costi indotti dalle reazioni avverse né altri costi sanitari o non sanitari. Inoltre è stato ipotizzato che il trattamento con prucalopride avvenisse per 220 giorni all’anno. Gli end point erano il costo annuale del trattamento con prucalopride, il guadagno in QALY (Quality-Adjusted Life Years = unità di misura del guadagno di salute che considera contemporaneamente l’aspettativa di vita e la qualità della stessa ponderando il miglioramento dell’aspettativa di vita con l’utilità di salute che corrisponde a questo miglioramento), assumendo un guadagno nullo per i soggetti che non rispondevano a prucalopride e il rapporto costo-efficacia incrementale (ICER) cioè il costo incrementale per ogni QALY guadagnato. I principali risultati dell’analisi decisionale sono riportati in Tabella IV.

Costo incrementale medio/pz vs placebo (£)

QALY incrementale medio/pz (QALY guadagnati vs placebo)

ICER (£/QALY guadagnati)

Donne con ≥ 3 evacuazioni/settimana (end point primario)

Tutte le donne

498

0,0316

15.700/QALY

Donne adulte (18-64 anni)

622

0,0369

16.800/QALY

Donne anziane (≥ 65 anni)

403

0,0342

11.700/QALY

Donne con almeno > 1 evacuazione/settimana (end point secondario)

Tutte le donne

498

0,0277

18.000/QALY

Donne adulte (18-64 anni)

622

0,0342

18.000/QALY

Donne anziane (≥ 65 anni)

403

0,0255

15.800/QALY

Tabella IV. Risultati dell’analisi costo-efficacia di prucalopride vs placebo effettuata dalla ditta Movetis mediante modello di analisi decisionale [89]

In funzione del tipo di popolazione target femminile ipotizzato (tutte le donne adulte con stipsi cronica idiopatica, solo le adulte con età tra 18 e 65 anni, solo le donne anziane) e del tipo di end point considerato (primario o secondario) il costo annuale del trattamento con prucalopride, al prezzo proposto per il Regno Unito, varia da £ 403 a £ 622; il guadagno in QALY varia da 0,0255 a 0,0369 e il rapporto costo-efficacia incrementale (ICER) varia da 11.700 £/QALY guadagnato a 18.000 £/QALY guadagnato.

Il gruppo di revisione economica (ERG) del NICE ha esaminato criticamente l’analisi costo-efficacia della Movetis e ha effettuato alcune valutazioni autonome utilizzando lo stesso modello decisionale con parametri leggermente modificati e nuovi scenari meno ottimisti. Al termine della revisione le conclusioni sono state che «I risultati della nostra analisi di sensibilità non sono significativamente differenti da quelli forniti dall’azienda» [89]. Uno studio del 2011, prendendo spunto da tale report, auspica l’analisi di sottogruppi di pazienti con caratteristiche più mirate per avere un migliore processo decisionale, inoltre per un giudizio evidence-based sarebbe importante ottenere dati di efficacia a lungo termine [90].

A conclusione della valutazione HTA di prucalopride il NICE ha rilasciato la seguente direttiva:

  1. prucalopride è raccomandata come una opzione per il trattamento della stipsi cronica solo nelle donne per le quali almeno due differenti classi di lassativi, usati alle massime dose tollerate per almeno 6 mesi, non hanno avuto successo nel migliorare i sintomi e per le quali viene preso in considerazione un trattamento invasivo della stipsi;
  2. se il trattamento con prucalopride non è efficace dopo 4 settimane, la donna deve essere riesaminata e il beneficio di continuare il trattamento deve essere riconsiderato;
  3. prucalopride dovrebbe essere prescritto solo da un medico esperto nel trattare la stipsi cronica che abbia accuratamente valutato i precedenti trattamenti con lassativi di cui al punto 1.

Riteniamo che queste raccomandazioni del NICE al SSN del Regno Unito siano valide anche per il SSN italiano. Attualmente, in Italia, nessun farmaco utilizzato per la stipsi cronica idiopatica è rimborsato dal SSN. Tuttavia prucalopride, per il profilo di efficacia, la sua place-in-therapy, e la popolazione target molto selezionata di pazienti per le quali questo farmaco può rappresentare una soluzione efficace ad un grave problema sanitario, potrebbe essere preso in considerazione per una inclusione nella classe di rimborsabilità (Classe A), con piano terapeutico (PT) di uno specialista o, eventualmente, con nota AIFA limitativa oppure, infine, con registro AIFA per uno/due anni. Il numero di donne potenzialmente candidate a terapia con prucalopride è stimata in un range compreso tra un minimo di circa 24.000 a un massimo di 330.000; la selezione attenta delle donne affette da stipsi cronica grave resistente ai comuni lassativi e la verifica della risposta dopo un mese di terapia può ridurre sia il numero di donne da trattare con prucalopride sia l’impatto sulla spesa farmaceutica.

Prucalopride è commercializzato in compresse contenenti 1 mg o 2 mg di principio attivo, e in quattro confezioni, due da 14 e due da 28 compresse. Il prezzo al pubblico per una compressa da 1 mg è di € 2,31, mentre quello della compressa da 2 mg è di € 3,55.

Conclusioni

Prucalopride è un nuovo enterocinetico che agisce come agonista altamente selettivo dei recettori 5-HT4 Nei pazienti con stipsi cronica idiopatica prucalopride aumenta la frequenza delle evacuazioni e riduce la consistenza delle feci stimolando la motilità gastrointestinale. La tollerabilità del prodotto è buona e solo un 10% circa dei pazienti denuncia effetti avversi gastrointestinali transitori di lieve o moderata intensità. Il profilo di sicurezza risulta essere nettamente differente da quello di altri procinetici (cisapride, tegaserod) ritirati dal commercio, e in particolare tutte le evidenze finora accumulate indicano che prucalopride è privo di gravi effetti cardiovascolari. In Europa, l’EMA ha autorizzato l’immissione in commercio di due confezioni di prucalopride, sotto forma di compresse rivestite rispettivamente di 1 e 2 mg per il trattamento sintomatico della stipsi cronica nelle donne nelle quali i lassativi non hanno provocato un adeguato sollievo del disturbo. Il farmaco sarà disponibile solo dietro presentazione di ricetta medica ad un prezzo sensibilmente superiore a quello dei comuni lassativi. Le analisi costo-efficacia effettuate dalla ditta produttrice e accettate dal NICE indicano che prucalopride è un farmaco costo-efficace nel trattamento della stipsi cronica delle donne che non rispondono ai comuni lassativi. Riteniamo che questa conclusione sia valida anche per l’Italia, sebbene manchi un’analisi costo-efficacia tarata esattamente sul setting assistenziale italiano e sui relativi costi sanitari. Sebbene attualmente non esistano studi comparativi tra prucalopride e altri lassativi, e quindi per esprimere un giudizio definitivo bisognerà aspettare i dati di studi di confronto diretto, riteniamo che, considerata la gravità dei pazienti affetti da stipsi cronica resistente ai lassativi, la perdita di qualità di vita di entità simile a quella riscontrata in altre gravi patologie croniche, la perdita di produttività e la gestione tipicamente specialistica di questo sottogruppo di pazienti, prucalopride possa essere preso in considerazione come farmaco da classificare in Fascia A ai fini del rimborso, pur entro i limiti fissati dal NICE.

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