PM&AL 2015;9(1)15-23.html

I servizi di inserimento lavorativo per le persone con disabilità in provincia di Torino: riflessioni su quindici anni di attività e incertezze e prospettive per il futuro

Gianfranco Bordone 1

1 Ex Direttore dell’Area Solidarietà Sociale e Lavoro della Provincia di Torino. Responsabile della Direzione Coesione Sociale della Regione Piemonte

Abstract

The Regional fund for employment of people with disabilities, established by the Regional Law n. 51/00, has been the main method used in the past to make possible and sustainable, as part of the services for the work, the targeted employment of disabled people. The new institutional structure of provinces and “Metropolitan City”, as defined by the reform introduced by the Law of 7 April 2014, n. 56, and the uncertainty that still pervades the final structure of the functions assigned by the state to the provinces, requires a rethinking of the organizational form of the services, so as not to miss the precious heritage of relationships and cooperative practices developed in recent years on the individual territories.

This article intends to build a synthetic report of what has been done in recent years, in order to propose directions and work tracks for a new restart of activities and the definition of services more responsive to the needs expressed by the territory of the new Metropolitan City area. The author emphasizes the need to start thinking seriously on practicality in our area to experiment devices and processes of inclusion in the long term, based on forms of alternation between socialization - training - work, that the European practice called “sheltered workshop” and that in Italy can rely on the widespread experience of “type B” social cooperative, which means “protected” job placement or “transition” to employment for people with greater difficulties (for reasons of age, experience , spendable skills, length of absence of work, etc.).

Keywords: Job placement; People with disabilities; Province of Turin

The job placement services for people with disabilities in the province of Turin: reflections on fifteen years of activity and uncertainties and future prospects

Pratica Medica & Aspetti Legali 2015; 9(1)15-23

http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v9i1.1162

Corresponding author

Gianfranco Bordone

gianfranco.bordone@regione.piemonte.it

Disclosure

L’autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

Il senso dell’esperienza provinciale nella gestione dei servizi per l’impiego e delle politiche per il lavoro

Con le riforme cd. “Bassanini”, successivamente confermate nella Costituzione con la riforma del titolo V, si è cercato di avvicinare il più possibile ai cittadini i servizi pubblici, nel tentativo di riorganizzarli secondo le logiche di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Il d. lgs.vo 469/97 assegna alle Province il compito di gestire i Centri per l’impiego sul territorio nazionale e alle Regioni il compito di organizzare i sistemi regionali per l’impiego anche al fine di assicurare l’integrazione tra i servizi per l’impiego, le politiche attive del lavoro e le politiche formative.

Pur nella diversità e pluralità di esperienze a livello locale, spesso fortemente criticata come causa della mancata definizione di livelli essenziali di servizio esigibili sull’intero territorio nazionale, le Province hanno giocato un ruolo attivo nella gestione dei servizi alle persone e alle imprese, in un quadro normativo, socio-economico e istituzionale costantemente in evoluzione in tutti questi 15 anni di gestione diretta. Il senso profondo della scelta organizzativa allora intrapresa, che rappresenta anche il maggior punto di forza dell’esperienza realizzata, pur nelle profonde difficoltà e diversità territoriali, risiede nel tentativo di trasformare il servizio pubblico per l’impiego da semplice “notaio” delle transazioni che avvenivano sul mercato del lavoro a soggetto attivo nell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e strumento a disposizione del territorio per l’attivazione di politiche attive di riequilibrio delle inefficienze e ingiustizie del mercato, in connessione con le politiche formative (governate in modo esclusivo a livello territoriale) e le iniziative di sviluppo locale.

In quest’ottica il ruolo esercitato dalla Provincia di Torino nel mercato del lavoro locale è il risultato di processi e relazioni che si sono sviluppati e consolidati nel tempo in coerenza con le programmazioni sociale e sanitaria, dell’istruzione e della formazione professionale e dello sviluppo locale, fino a realizzare una rete integrata di servizi sicuramente perfettibile, ma ad oggi esistente ed operativa. In un territorio vasto come quello della nostra provincia la costante attività di pianificazione delle politiche e dei servizi operata dall’Ente di area vasta e il presidio capillare dei Centri per l’impiego nei sistemi locali dei servizi è stato elemento propulsivo e di coordinamento nella programmazione e realizzazione di progetti e iniziative di politica attiva del lavoro “a servizio” dei territori e delle comunità sociali ed economiche locali.

Collocamento e collocamento mirato

In questo contesto, fin dall’entrata in vigore della L. 68/99, coincidente con l’assunzione della responsabilità dei Servizi per il lavoro da parte della Provincia, si è lavorato per rendere possibile e sostenibile, nell’ambito dei servizi per il lavoro, il collocamento mirato delle persone disabili. Il principale strumento utilizzato è stato il Fondo Regionale per l’occupazione dei Disabili, istituito con la L.R. 51/00, sostituita in seguito dalla L.R. 34/08, attraverso la pianificazione degli interventi finanziati ad attivare percorsi di inserimento e integrazione dei lavoratori disabili in ambienti lavorativi inclusivi e adatti alle capacità e competenze possedute.

Anche i Centri per l’impiego, quali unità di servizio territoriali per le persone e le imprese, si sono attrezzati per affiancare ai servizi “ordinari” di supporto e aiuto all’incontro tra domanda e offerta di lavoro, appositi sportelli di accoglienza e servizio della persona con disabilità, insieme a momenti di confronto e concertazione con le parti sociali e con la rete territoriale dei soggetti pubblici, privati, associativi e del terzo settore, ciascuno con le proprie specifiche competenze e legittime istanze. Tale costante attenzione, esercitata sia su scala provinciale che nei singoli territori, si è rivelata preziosa nell’affrontare tutte le problematiche che possono emergere nel corso di un inserimento lavorativo e/o di avvicinamento al lavoro delle persone con minori o maggiori deficit di autonomia e occupabilità su un mercato del lavoro reso ancor più difficile e competitivo dalla crisi duratura.

Un nuovo cambiamento e nuove sfide

Nell’ormai mutato quadro economico e sociale e nonostante l’incertezza della fase politico-istituzionale vissuta negli ultimi anni, la Provincia attraverso i suoi servizi non ha mai smesso di operare con impegno e serietà per tentare di favorire percorsi di inserimento lavorativo di qualità in collaborazione con le forze attive sul mercato del lavoro locale.

Il nuovo assetto istituzionale dell’Ente Provincia e Città metropolitana, quale quello uscito dalla riforma operata con la l. 7 aprile 2014, n. 56, e l’incertezza che ancora pervade l’assetto definitivo delle funzioni attribuite dallo Stato alle Province, quale quelle di cui al citato d. lgs.vo 469/97 sui servizi per l’impiego, impone un ripensamento della formula organizzativa dei servizi, evitando di disperdere il prezioso patrimonio di relazioni e prassi operative cooperative sviluppate in questi anni sui singoli territori, che spesso hanno fatto la differenza soprattutto nelle iniziative di sostegno all’inserimento lavorativo e sociale delle persone maggiormente svantaggiate sul mercato del lavoro.

Contemporaneamente si è iniziato a riflettere sulle possibili evoluzioni organizzative di tali servizi e politiche anche alla luce del mutato contesto economico e sociale.

Come equilibrare le diverse esigenze di coloro che hanno maggiori capacità spendibili sul mercato del lavoro e necessitano di una migliore efficienza nell’incrocio tra domanda e offerta con il diritto di pari opportunità di coloro che, per problematiche personali di diversa natura, sono maggiormente distanti dalle richieste di un mercato fattosi ancor più selettivo durante la crisi.

Come assicurare un costante flusso di risorse ai servizi per il lavoro per garantire un’offerta costante e capillare di opportunità di inserimento, finalizzando al meglio le risorse dei Fondi regionali e nazionali per l’occupazione dei disabili e far crescere un sistema locale di servizi adeguati alla domanda dei cittadini e delle famiglie.

Come promuovere l’inserimento professionale dei disabili nelle imprese e gli enti pubblici in un’ottica di diversity management, finalizzata alla valorizzazione della diversità come fattore di crescita e arricchimento all’interno del contesto aziendale.

Come valorizzare le competenze diffuse sul territorio e nella società, nelle sue componenti profit e no-profit, in una logica di governance e tutela del servizio pubblico che promuova nuove iniziative e progettualità diffuse.

Come promuovere la cultura dei diritti e delle pari opportunità per tutti, laddove anche l’assolvimento dell’obbligo della legge 68/1999 diviene un passo da compiere in direzione della piena inclusione sociale e della costruzione di una “società per tutti”.

Sintesi delle principali problematiche attuali e proposte per il futuro

L’introduzione al presente articolo si proponeva la costruzione di un sintetico “bilancio attivo” in grado di proporre indicazioni e piste di lavoro per una nuova ripartenza di attività e la definizione di servizi più rispondenti ai bisogni espressi dal territorio della nuova area metropolitana.

Ora è il tempo della sintesi e della proposta, che si collocano in un quadro istituzionale ancora molto incerto e frammentato, che non facilita la definizione di politiche pubbliche adeguate all’ampiezza e profondità delle sfide della congiuntura e depotenzia a priori qualsiasi tentativo di definizione di strategie. Purtroppo tutto ciò è drammaticamente reale e ci impone di avere una chiara percezione dei limiti di questo lavoro di sintesi e rilancio, che non può andar molto oltre a una individuazione sintetica di criticità, punti di attenzione e possibili piste di lavoro da consegnare ai decisori che saranno chiamati a disegnare la nuova implementazione dei servizi per l’impiego, in un contesto di salvaguardia e promozione della coesione sociale nel nostro paese e nella nostra regione.

Il nodo istituzionale

Al momento della stesura del presente articolo appare ancora incerto il destino dell’assetto organizzativo dei servizi per l’impiego e delle politiche attive per il lavoro in Italia. La discussione sulle funzioni da attribuire alle Città metropolitane/nuove Province è tutt’ora in corso, sia a livello nazionale che regionale.

L’accordo Governo - Regioni per la definizione delle competenze delle abolite Province, in attuazione della L. 56/2014, rimanda la definizione dell’organizzazione sulle competenze dei nuovi Enti alle singole regioni o agli specifici disegni di legge nazionali sulle singole materie (come ad esempio i servizi per l’impiego e le politiche attive del lavoro). La conseguente discussione sull’allocazione delle funzioni a livello regionale o metropolitano/di area vasta è appena iniziata e ancora distante dalla conclusione.

È tuttora in corso la discussione sulla revisione delle competenze normative a livello costituzionale, che dovrebbe riportare alla responsabilità univoca nazionale o regionale tutte le materie ora oggetto di legislazione concorrente, tra cui quella della “tutela e sicurezza del lavoro” cui viene attribuita tutta la materia dei servizi per l’impiego e le politiche attive.

È ancora in corso di approvazione il disegno di legge delega sulla riforma del mercato del lavoro, degli ammortizzatori sociali e la riorganizzazione dei servizi per l’impiego, con la loro confluenza in una “Agenzia nazionale per l’impiego”, dai contorni ancora poco delineati.

Tale incertezza, che ormai perdura da alcuni anni, produce ricadute organizzative di non poco conto anche a livello “micro”, tra i servizi per l’impiego territoriali, con effetti destabilizzanti sulla tenuta gestionale degli sportelli operativi e un sostanziale congelamento di ogni tipologia di investimento anche solo di “manutenzione” logistica o strumentale, e sulla motivazione degli operatori, vera front-line del sistema dei servizi, catalizzatori della crescente tensione sociale che si rovescia quotidianamente sugli sportelli.

Nell’ottica del collocamento mirato e dei punti di forza che sono stati evidenziati dal racconto delle esperienze prodotte, il principale nodo da affrontare nell’ambito della discussione sui nuovi assetti istituzionali del mercato del lavoro è la valorizzazione della presenza dei servizi sul territorio e delle reti cooperative che attorno ad essi si sono sviluppate.

Nella prevalente logica della spending review e pagando la reazione negativa nei confronti dell’esperimento federalista mal riuscito nel nostro paese, il forte equivoco in cui il decisore politico frequentemente ricade è quello di inseguire un nuovo disegno centralista, che definisca indirizzi, piani e dispositivi nazionali (o regionali) di intervento, poco adattabili territorialmente, rigidamente composti in un impianto top-down che lascia pochi margini per una costruzione degli interventi “mirata” sui bisogni e sulle risorse territorialmente individuate.

Occorre al riguardo avere il coraggio e la lucidità di tentare una composizione programmatoria che faccia sintesi tra le apparentemente contrapposte esigenze di standardizzazione dei dispositivi e quelle di flessibilizzazione e personalizzazione delle soluzioni, tra definizione di livelli di prestazione uniformi ed effettivamente esigibili ovunque e la salvaguardia di spazi progettuali tipici di singole realtà locali, tra logiche e risorse legate a programmi/progetti (per loro natura a tempo limitato) e un impianto di servizi stabile e costante su cui investire in forma duratura.

Così come occorre prevedere, in coerenza con i principi costituzionali di “sussidiarietà”, “differenziazione” e “adeguatezza”, l’allocazione dei servizi nel punto “sostenibile” più vicino al cittadino e all’espressione del suo bisogno, con un particolare riguardo a quelli con maggiori debolezze, per metterlo in grado di cogliere nell’ambiente che lo circonda le risorse necessarie per l’articolazione di una risposta adeguata al suo bisogno.

La dimensione territoriale è inoltre maggiormente adatta per la promozione delle pratiche di innovazione sociale che permettano alle politiche pubbliche di aggredire le nuove forme di vulnerabilità sociale e mettere in rete, attraverso l’esercizio di una governance multilivello, i diversi attori sociali ed economici attorno a programmi comuni. Le esperienze sviluppate in questi anni sul terreno della disabilità, come quelle riportate in questa pubblicazione, o quelle attivate da Provincia - Comuni e parti sociali del torinese in contrasto alla crisi e alle sue improvvise conseguenze sui lavoratori espulsi (progetti “1 euro per abitante” e “Azioni di contrasto alla crisi”) sono a testimoniare tutta l’importanza di luoghi di sintesi locale per la costruzione di politiche partecipate.

La tensione tra occupazione e occupabilità

Nell’introduzione veniva richiamata la sfida di trovare un punto di equilibrio tra le diverse esigenze di coloro che posseggono capacità spendibili sul mercato del lavoro e necessitano di una maggior efficienza nell’incrocio tra domanda e offerta di lavoro e il diritto di pari opportunità di coloro che, per problematiche personali di diversa natura, sono maggiormente distanti dalle richieste di un mercato fattosi ancor più selettivo durante il periodo di crisi.

L’analisi realizzata sullo stock degli iscritti alla L. 68/99 in Provincia di Torino evidenzia tra le altre cose il forte squilibrio esistente tra persone che, pur in presenza di una certificazione di disabilità, conservano una buona probabilità di essere intercettate dalla domanda delle imprese soggette all’obbligo, e persone che, per caratteristiche peculiari, hanno maggiori difficoltà di inserimento; squilibrio che in termini numerici può essere riassunto approssimativamente in una relazione 1:5, e cioè una persona maggiormente occupabile ogni cinque più difficilmente occupabili.

L’analisi svolta dal Laboratorio Ida Rossi sullo stock delle persone disabili in provincia di Torino (vedi sopra) solleva un problema di impostazione delle politiche che tenga conto di tale condizione e intervenga in termini di supporto e miglioramento delle opportunità per le persone più in difficoltà sul mercato del lavoro, di garanzia di pari opportunità per tutti e di non discriminazione.

Le recenti misure di politica attiva del lavoro, sia a livello nazionale che regionale, ispirate dalla necessità di aggredire un mercato del lavoro avaro di opportunità e poco dinamico, sono indirizzate a promuovere sul mercato del lavoro le persone disoccupate riconoscendo agli operatori che le collocano un “premio” economico, sotto forma di remunerazione del risultato raggiunto, commisurato alla durata o qualità dell’inserimento (qualità espressa sotto forma di tipologia di rapporto contrattuale) o alla tipologia di persona inserita.

La Garanzia giovani ne è l’esempio più recente, prevedendo una remunerazione “a risultato” per le agenzie che riescono ad ottenere un contratto di lavoro per la persona proposta appartenente al gruppo selezionato (nel caso in esame i giovani che si sono iscritti alla Garanzia). Nell’ambito di tale programma, la misura ha una sua ragione d’essere nel tentativo di velocizzare l’ingresso nel mercato del lavoro dei giovani, spingendo l’incontro tra domanda e offerta di lavoro, e nel fatto di premiare l’efficienza e la capacità di penetrazione della domanda da parte delle Agenzie per il lavoro, siano esse di natura pubblica o privata. Essa tende inoltre a ottimizzare l’utilizzo delle risorse finanziarie a disposizione orientandole al risultato ed evitando il presunto “spreco” in attività che non producono un risultato immediatamente registrabile (e politicamente spendibile).

La “remunerazione a risultato” tende ad essere presa a riferimento per l’impostazione generale delle politiche per il lavoro, dimenticando un po’ troppo frettolosamente che essa esclude le persone che immediatamente occupabili non sono. Nel caso specifico di Garanzia giovani, se la misura è esclusiva o per lo meno prioritaria nel panorama del programma, rischia di mettere ai margini proprio giovani come i cd. “NEET” (Not in Education, Employment or Training) o quelli espulsi dai circuiti scolastici e formativi, paradossalmente indicati come primi destinatari della misura di Garanzia!

Anche nel caso della L. 68, pur se la logica sottostante alle politiche fino ad oggi attuate è stata caratterizzata dalla remunerazione del “processo” di accompagnamento o formazione effettuato e dal maggior “peso specifico”, in termini economici, dato al finanziamento dei progetti immediatamente finalizzati all’occupazione rivolti a persone con disabilità più grave, una buona parte dei progetti sostenuti dal Fondo regionale per l’occupazione dei disabili si è rivolta a persone con apparenti minori difficoltà di inserimento, sostenendone l’inserimento in azienda con un percorso di tirocinio accompagnato. Per le persone non immediatamente occupabili si è preferita una logica di accompagnamento di più lungo periodo, considerando la singola esperienza di tirocinio o prova lavoro come una tappa di un percorso di avvicinamento al lavoro prolungato e composito.

In entrambi i casi la bontà del percorso non si è solamente valutata con il parametro della avvenuta assunzione, ma dall’opportunità di “inserimento mirato” effettivamente offerta al disabile, come tentativo di incrocio tra potenzialità espresse dalla persona e ambiente lavorativo. Con questa logica un possibile premio “a risultato” può anche essere incentivante per le agenzie di collocamento, ma non può essere sostitutivo di un processo di accompagnamento che ha bisogno di essere sviluppato nella prospettiva del risultato finale ma non dipendere solamente da questo, altrimenti la scure della selezione cadrebbe in modo naturale e quasi darwiniano sulle spalle delle persone più deboli.

Lo strumento maggiormente utilizzato nei percorsi di inserimento è stato il tirocinio, recentemente regolato dalla Regione Piemonte, in attuazione della L. 92/2012, con due atti delineanti una vasta gamma di tipologie di tirocinio possibili, caratterizzate da diversi obiettivi e diverse regole gestionali. Forse non si sono ancora approfondite a sufficienza le potenzialità insite nei diversi dispositivi previsti, ma è altrettanto problematico limitarsi all’utilizzo di tale strumento per far sperimentare una work-esperience e far incontrare domanda e offerta di lavoro nel caso delle persone con disabilità grave o con specificità tali da richiedere un’attenzione particolare e prolungata.

Anche il tentativo sperimentato in Provincia di Torino sulla composizione di percorsi misti di formazione e lavoro, “customizzati” sulle singole esigenze delle persone coinvolte, facilitando la successione anche temporale dei dispositivi disponibili per superare i vincoli imposti da ciascuno di essi, ha presentato limiti di attuazione soprattutto perché non sempre ciò è stato possibile in forma adeguata e temporalmente coincidente con le esigenze delle persone e delle imprese, e perché il “menù” disponibile si componeva di soli due ingredienti: il corso di formazione breve e il tirocinio.

È indispensabile iniziare a ragionare seriamente e fuori da schemi preconcetti sulla praticabilità nel nostro territorio di sperimentare dispositivi e processi di inserimento di lungo periodo, basati su forme di alternanza tra socializzazione – formazione – lavoro, che le prassi europee chiamano “laboratorio protetto” e che qui in Italia possono appoggiarsi sulla diffusa esperienza della cooperazione sociale di tipo b, quale strumento “protetto” di inserimento o strumento “di transizione” al lavoro dipendente per persone con maggiori difficoltà di inserimento (per ragioni di età, esperienza, abilità spendibili, durata del periodo di assenza di lavoro, ecc.).

La pratica di inserimento nei contratti di fornitura di beni e servizi della cd. “clausola sociale” per facilitare l’inserimento lavorativo di soggetti in difficoltà sviluppata sul nostro territorio grazie all’investimento prodotto nel tempo dalla Città di Torino e riprodotto in scala minore presso altri Enti in provincia, rappresenta un esempio di come sia possibile dare un valore anche economico ai progetti di inserimento e diversificare le politiche per rispondere a bisogni complessi e compositi.

Occorre preservare nella programmazione delle risorse comunitarie, nazionali o regionali disponibili sul tema della disabilità, accanto agli strumenti più tradizionali di inserimento, spazi di sperimentazione che permettano lo sviluppo di esperienze diffuse di accompagnamento al lavoro di lungo periodo, rivolte alle persone con maggiori difficoltà di inserimento, e consentano di verificare l’effettiva praticabilità e sostenibilità di tali percorsi, anche seguendo canali non abituali di relazione con il mondo delle imprese e diverse relazioni economiche. Sarebbe molto utile che tale spazio sperimentale potesse funzionare come le vecchie iniziative comunitarie stile “Equal”, attraverso le quali avere a disposizione regole non convenzionali di realizzazione e spazi progettuali con maggiori gradi di libertà. Potrebbe essere una buona proposta per il nuovo periodo di programmazione alle porte1.

Disegnare una stabile e compiuta organizzazione dei servizi

La più evidente carenza di cui il sistema italiano dei servizi per l’impiego risente, insieme al cronico mancato investimento in risorse, strumenti e persone, è l’estrema precarietà delle sue infrastrutture e della sua organizzazione.

Nel campo specifico della L. 68 questa precarietà è ben esemplificata da numerose insufficienze organizzative e difficoltà operative che si registrano nei diversi passaggi della filiera di intervento.

Il primo nodo irrisolto è rappresentato dal sistema informativo che regola il percorso del riconoscimento dell’invalidità e delle capacità residue, ora governato direttamente da INPS, e ancora non accessibile in forma compiuta da parte dei servizi per l’impiego. Vi è un reale problema di accesso al sistema informativo INPS da parte dei soggetti esterni all’Istituto interessati alla procedura e ad avere a disposizione una Relazione diagnostica conclusiva visibile dai Centri per l’impiego e realmente utile a progettare proposte di inserimento lavorativo.

In relazione a ciò il Comitato tecnico della Provincia di Torino, con l’attiva partecipazione di INPS e di INAIL provinciali, ha predisposto una proposta di schema di “Profilo socio-lavorativo” e di “Relazione conclusiva”, presentata recentemente alla Regione Piemonte, in grado di agevolare il lavoro delle Commissioni di accertamento facilitandone il lavoro di sintesi e aiutando in questo modo il compito di chi deve utilizzare le informazioni a valle del loro lavoro, con lo scopo di predisporre proposte che supportino l’inserimento lavorativo delle persone con disabilità esaminate dalle Commissioni. La proposta alla Regione contiene inoltre un’ipotesi di revisione del ruolo specifico del Comitato stesso nell’ambito della filiera complessiva dell’intervento.

Proseguendo nel processo operativo, altra criticità da affrontare e risolvere a livello di sistema informativo è la piena disponibilità per gli operatori dell’inserimento mirato delle informazioni riguardanti il profilo aziendale completo, a partire dai dati contenuti nel prospetto informativo, in connessione con le altre condizioni intervenienti sulla situazione di ottemperanza dell’azienda (esoneri, sospensioni, convenzioni, ecc.). I sistemi informativi dovrebbero essere predisposti non solo per registrare gli adempimenti amministrativi (vecchio vizio del sistema di collocamento italiano) ma per facilitare il lavoro dell’inserimento mirato, rendendo evidente in ogni momento la situazione aziendale così come il suo dossier informativo, utile ad identificarne i bisogni e le potenzialità. Naturalmente i dati vanno raccolti, aggiornati e correttamente interpretati, ma l’esperienza di questi anni dimostra che anche in presenza di uno strumento di raccolta documentale e di informazioni corretta e metodologicamente ponderata quale quella sperimentata con i protocolli “ICF lavoratore” e “ICF azienda”, se non c’è modo di capitalizzare informaticamente tale raccolta e collegarla con il sistema operativo generale del lavoro, le esperienze rimangono isolate, non producono cultura e non consolidano prassi.

La pluralità e ampiezza degli attori intervenienti nei processi di inserimento è un patrimonio formidabile dell’esperienza realizzata in Provincia di Torino. Pubblico e privato, soprattutto privato-sociale, hanno da sempre collaborato in modo costruttivo nel campo dell’inserimento mirato delle persone con disabilità. Tale ricchezza va salvaguardata e alimentata, e il relativamente recente accreditamento regionale delle Agenzie per il lavoro ha introdotto alcuni elementi di novità che devono essere attentamente considerati nella definizione degli interventi, soprattutto in relazione alle persone con disabilità.

Vi è, ad esempio, la necessità di ulteriori specificazioni degli standard per gli interventi sui disabili rispetto a quelli definiti con l’accreditamento dei servizi per il lavoro “generalisti” e l’ulteriore necessità di progettazioni specifiche per quelli tra loro che hanno maggiori difficoltà di inserimento a causa della loro limitata occupabilità.

Il sistema di accreditamento, nel sistematizzare ruoli e modalità di intervento, introduce inoltre la necessità di salvaguardare, in parallelo, le specificità, a volte di nicchia, pur tuttavia presenti e attive sul nostro territorio nel fronteggiamento di alcune problematiche specifiche, come quelle rappresentate da particolari forme di disabilità o di particolari dispositivi sperimentati con successo. Non tutto è standardizzabile e, pur in presenza di una modalità tipica di sostegno agli inserimenti, che ne rappresenta lo standard, occorre salvaguardare uno spazio, anche economico, a supporto di tali attività specifiche e complementari.

La giusta standardizzazione dei dispositivi e delle procedure non deve eliminare poi un salutare spazio di sperimentazione di nuovi dispositivi o nuovi percorsi di inserimento, come più sopra ricordato, da accompagnare con il coinvolgimento attivo e la partecipazione diretta dei destinatari e delle loro rappresentanze, così come delle parti sociali, e con un’attenta azione di monitoraggio e valutazione in grado di discernere i fattori di successo e di replicabilità.

Un particolare elemento del processo di servizio rivolto all’inserimento mirato delle persone con disabilità da evidenziare per la sua centralità è la tappa dell’accoglienza nel sistema dei servizi per l’impiego, porta di accesso e vetrina dell’offerta di servizio. In una congiuntura economica e sociale che non facilita la composizione delle relazioni e frammenta i legami sociali, la presenza di punti di ascolto e accoglienza street level, posti “al livello della strada”, di libero accesso, può rappresentare un riferimento e uno spazio di socialità da non sottovalutare e su cui investire.

Nel caso specifico della disabilità tale spazio dovrebbe essere uno spazio competente, in grado di registrare e leggere il bisogno, adottare diversi codici di comunicazione e intessere collegamenti con le risorse disponibili sul territorio in grado di sostenere adeguatamente la domanda posta dalla persona utente del servizio di inserimento mirato. Se deve garantire tali caratteristiche non può essere eccessivamente disperso territorialmente, ma può viceversa essere collegato a una serie di “sensori” di diversa natura, formali e informali, in grado di indirizzare correttamente le persone e le loro richieste e distribuire capillarmente informazioni e notizie.

Da questo punto di vista la rete operativa costruitasi attorno ai Centri per l’impiego in questi anni è sicuramente un’ottima base di partenza, a partire dalla relazione costruttiva con le associazioni di rappresentanza e tutela, con i Consorzi socio-assistenziali – Enti gestori e con alcuni Dipartimenti sanitari (DSM e SERT), con il terzo settore. Base di partenza per un rinnovato investimento in dotazione organica, strumentale e in formazione degli operatori dei Centri che riporti lo street level al centro dell’organizzazione della presenza e del ruolo dei servizi pubblici per l’impiego.

Le reti vanno costruite e presidiate anche all’interno delle strutture operative, progettuali e programmatorie, connettendo tra loro i diversi filoni organizzativi intervenienti nello specifico campo di azione. Sotto questo punto di vista risulta particolarmente significativa l’esperienza del “Gruppo interarea per la programmazione degli interventi a favore dei disabili”, sperimentato dalla Provincia di Torino a partire dal 2008, che ha unito le competenze in materia di istruzione, formazione professionale, lavoro e informazione sociale dell’Ente e favorito la nascita di politiche integrate a supporto dei percorsi di inserimento socio-lavorativo quali i progetti “Pensami adulto”, “Corsi di formazione al lavoro FAL-brevi” integrati con i progetti di inserimento dei Centri per l’impiego, gli interventi finanziati dall’Asse III del POR FSE 2007-2013 a favore dei disabili sotto-soglia con invalidità civile o da lavoro, e la diffusione di tali esperienze tramite gli sportelli di informazione sociale territoriali. Lo sforzo organizzativo prodotto, pur con le non poche difficoltà organizzative, ha facilitato la messa in comune delle risorse e una migliore definizione dei bisogni emergenti, favorendo la composizione “esterna” alla Provincia delle reti operative necessarie a raccogliere le esigenze di ascolto e di sostegno delle persone con disabilità che, in quanto tali, sono uniche e non “divise per competenze”.

Oltre l’accoglienza occorre definire quale livello essenziale di intervento garantire a tutte le persone con disabilità in cerca di lavoro da parte del sistema dei servizi per l’impiego in Piemonte e della rete sociale di supporto in grado di sostenerne l’azione. E su questa definizione occorre assicurare un costante e adeguato flusso di risorse in grado di sostenerne l’azione e permettere una piena esigibilità del diritto al sostegno da parte degli utenti dei servizi. È un problema che investe l’intero sistema dei servizi per l’impiego e non può prescindere da una definizione del problema istituzionale descritto in precedenza. Ma occorre inserire questo tema dei servizi per l’inserimento mirato nell’ambito del ragionamento più generale della definizione dei livelli essenziali di servizio di tipo sociale da garantire su tutto il territorio regionale, in una logica cooperativa e coinvolgente delle risorse e delle potenzialità pubbliche e private.

Lo specifico ruolo del servizio pubblico – Centri per l’impiego

In un sistema di servizi per il lavoro rinnovato nei compiti e nelle funzioni, i Centri per l’impiego devono mantenere un’importanza strategica nella garanzia che al disabile e all’impresa che lo accoglie venga assicurato un reale collocamento mirato, il matching venga realizzato tenendo conto delle reali caratteristiche occupazionali dell’utente e delle reali necessità prestazionali dell’impresa, garantendo, se necessario, il corretto e continuativo supporto dei servizi sanitari e/o socio assistenziali. E questo indipendentemente dal fatto se il singolo progetto di inserimento venga gestito direttamente dal servizio pubblico o per il tramite di altre Agenzie per il lavoro.

Così come riconosce la L.R. 34/2008 (artt. 9 e 20) il ruolo istituzionale del Centro per l’impiego è baricentrico nella rete locale dei servizi e delle politiche attive del lavoro programmate dalla Regione, curandone la governance nell’ambito dei singoli bacini per l’impiego individuati. Esso deve assicurare la promozione e manutenzione delle reti con gli Operatori locali, accreditati e non accreditati, i Servizi Sanitari e Sociali, le associazioni di rappresentanza e tutela delle persone con disabilità, le parti sociali territoriali e con tutti gli attori della rete locale dei servizi, aperto alle istanze e alle proposte dal basso, capace di leggere la realtà e di essere il garante su ciascun bacino di impiego del perseguimento degli obiettivi definiti dalla programmazione nazionale e regionale.

Tale ruolo viene concretamente esercitato sul territorio attraverso la presenza e l’azione, in ciascuna unità operativa, di un referente interno per il collocamento mirato, punto di riferimento specialistico per l’utenza lavoratore e impresa, in grado di attivare i diversi dispositivi disponibili e le altre risorse in una logica di filiera di servizio e di composizione personalizzata di progetti individuali di inserimento.

Tre gli strumenti indispensabili per l’esercizio dello specifico ruolo:

  1. le convenzioni di inserimento o di integrazione lavorativa stipulate con le imprese, che permettono di concordare, in una logica collaborativa win-win, i piani e i progetti di inserimento mirato, con modalità e tempi concordati, nell’ambito di regole generali definite insieme alle parti sociali (le convenzioni quadro provinciali);
  2. il progetto individuale di inserimento, che utilizza principalmente le risorse e gli strumenti messi a disposizione dalla programmazione regionale del Fondo per l’occupazione dei disabili, ma anche risorse locali o di altra natura attivabili nel singolo caso; spesso il progetto individuale di inserimento si traduce in un progetto formativo o di tirocinio che viene sottoscritto da tutte le parti intervenienti, e riportato nel dossier “libretto individuale” del disabile a supporto di una continuità dell’intervento spesso necessaria;
  3. la validazione del PAI (Piano di azione individuale) che, lungi dall’essere un’azione puramente amministrativa e formale, certifica l’appropriatezza del progetto individuale di inserimento redatto da un’Agenzia per il lavoro indipendente, che richiede l’accesso al finanziamento del Fondo regionale disabili, alle caratteristiche del lavoratore con disabilità e dell’impresa accogliente, autorizzando il Centro a un’azione di monitoraggio a tutela del carattere “mirato” dell’inserimento e dell’efficienza/efficacia richiesta all’azione realizzata, fuori da una logica ispettivo-sanzionatoria ma di miglioramento e apprendimento cooperativo.

Le principali competenze che tali operatori devono essere aiutati ad acquisire, anche attraverso uno specifico investimento formativo, giustificabile dalla strategicità della loro funzione, sono quelle diagnostiche sia sul versante del lavoratore che dell’impresa, di progettazione individuale di micro interventi di politica attiva, relazionali e di sviluppo-mantenimento di network e collaborazioni locali, di sintesi e reporting, di monitoraggio e valutazione degli interventi.

Il nodo della continuità nell’intervento

La caratteristica progettuale degli interventi finanziati con il Fondo regionale disabili rischia spesso di andare in collisione con la necessità di attivare percorsi di lungo periodo per finalizzare adeguatamente gli inserimenti lavorativi mirati e il loro mantenimento nel tempo senza soluzioni di continuità. La natura e limitatezza del Fondo a fronte di una domanda molto estesa impediscono una progettualità di lungo periodo, prevedendo percorsi sostenuti finanziariamente per una durata massima di sei mesi (di solito tre + tre).

Sfruttando adeguatamente alcuni dispositivi disponibili, quali ad esempio i tirocini di inserimento previsti dalla regolazione regionale, si possono programmare interventi di inserimento di più lungo periodo, sostenuti inizialmente dal Fondo e successivamente da altre fonti di finanziamento o dall’azienda ospitante stessa, che grazie al tirocinio si avvantaggia di una progettazione personalizzata a fronte di un inserimento non ancora stabilizzato in assunzione. Il nodo da affrontare, in questo caso, è la continuità dell’azione di tutoraggio a supporto dell’inserimento, che però può potenzialmente essere appoggiata ai servizi di riferimento, il Centro per l’impiego stesso in virtù del suo ruolo di servizio pubblico territoriale oppure i servizi sociali o sanitari che hanno la persona in carico. Il progetto sostenuto dal Fondo disabili rappresenta in questo caso la fase di start-up dell’inserimento, che però per consolidarsi e portare a esito positivo spesso ha bisogno di un percorso di accompagnamento più prolungato, che può appoggiarsi sui servizi territoriali di riferimento.

Questo è uno dei casi in cui la rete territoriale può essere fruttuosamente impiegata, anche nelle sue componenti informali e volontarie, spesso bisognose di un indirizzo per impiegare proficuamente le proprie energie, andando a rinforzare i legami sociali e le reti di protezione della persona che presenta elementi di fragilità. Così come la collaborazione con i servizi sociali territoriali, esemplificata nel caso torinese dalle convenzioni pluriennali con i Consorzi socio assistenziali e gli Enti gestori, che rappresenta un buon esempio di integrazione delle risorse di accoglienza e progettazione che possono realizzarsi localmente, a vantaggio degli specifici obiettivi, lavoristici o sociali, di ciascuna organizzazione.

L’esperienza di rete può essere ulteriormente valorizzata nella pratica del sostegno al mantenimento del posto di lavoro, spesso indispensabile per supportare i momenti di criticità che possono intervenire nei casi di inserimento lavorativo già effettuati di soggetti con particolari fragilità individuali, spesso di natura psichiatrica o comportamentale. Il tentativo realizzato con il Fondo regionale disabili ha portato in evidenza l’importanza di una continuità di intervento sulla persona inserita da parte del soggetto o agenzia che ha facilitato l’inserimento a monte, punto di riferimento individuale e dell’azienda, con la quale è già stata sperimentata con successo la collaborazione progettuale.

Soprattutto in questa fase di consolidamento della presenza anche territoriale di servizi per l’impiego accreditati, che operano a fianco dei Centri per l’impiego pubblici, può essere importante la responsabilizzazione della agenzia attuatrice dell’inserimento anche durante il rapporto di lavoro, sperimentando la possibilità di aggiungere al progetto una piccola remunerazione del supporto svolto per sostenere il mantenimento del posto di lavoro, entro un tempo limitato e circoscritto ai casi di inserimento più complessi.

Così come sarebbe utile prevedere azioni promozionali dell’inserimento professionale dei disabili nelle imprese e gli enti pubblici in un’ottica di diversity management, rivolte ai lavoratori e al management dell’impresa accogliente e finalizzata alla valorizzazione della differenza come fattore di crescita e arricchimento interno del contesto aziendale, come già realizzato in alcune grandi imprese anche operanti nel territorio torinese.

Da ultimo, fattore decisivo per assicurare la stabilità della progettazione in materia di supporto all’inserimento mirato delle persone con disabilità è la continuità finanziaria degli interventi, che il meccanismo insito nella legge che permette il finanziamento del Fondo regionale dovrebbe, in verità, favorire. Gli atti di indirizzo regionali dovrebbero permettere una continuità di finanziamento ai progetti, secondo logiche di bando periodico o di sportello costantemente aperto, in modo da favorire la tempestività della progettazione e dell’intervento nel momento della rilevazione del bisogno e l’individuazione dell’opportunità di inserimento. Tale auspicio dovrebbe inoltre valere per gli altri dispositivi di intervento che permettono la complementarietà di azioni specialistiche (come la formazione professionale) alle azioni di supporto all’inserimento finanziate con il Fondo regionale disabili.

Nota conclusiva

Il presente contributo è tratto dall’ebook della Provincia di Torino “Lavorare è vivere” che raccoglie in modo ragionato le attività realizzate dai Servizi della Provincia nel periodo 2009-14 per l’inserimento al lavoro delle persone con disabilità. L’ebook, con altri materiali e documenti, è stato presentato nel Seminario “Sono contento (di lavorare qui). Percorsi di formazione e lavoro di persone con disabilità. Riflessioni e spunti per la nuova programmazione dalle prassi sperimentate dalla Provincia di Torino” (Auditorium della Provincia di Torino, 11 dicembre 2014). Durante il seminario è stato presentato anche il docufilm “Sono contento” che racconta i percorsi di inserimento lavorativo di cinque persone con disabilità.

Tutti i materiali del seminario sono disponibili online su:

http://www.provincia.torino.gov.it/formazione/eventi (ultimo accesso febbraio 2015)

Il docufilm è disponibile online su:

https://www.youtube.com/watch?v=_ySQqXmRwk8&feature=youtu.be (ultimo accesso febbraio 2015)

1 «Le diverse dotazioni di risorse personali e sociali discriminano profondamente la popolazione dei disoccupati. Le politiche messe in campo non riescono a correggere queste asimmetrie: anzi, puntando soprattutto sul rafforzamento delle capacità personali e sull’attivazione nella ricerca, le hanno spesso involontariamente alimentate. Innalzare l’occupabilità e anche la capacità di attivazione dei segmenti più deboli dell’offerta di lavoro, estendere una rete minimale di protezione sociale, precedere modalità di inserimento protette per chi resta durevolmente ai margini, sono le sfide che si profilano per le politiche del lavoro venture». Ambrosini M. Perdere e ritrovare il lavoro. L’esperienza della disoccupazione al tempo della crisi. Milano: Il Mulino, 2014, pag. 284

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