PM&AL 2015;9(2)37-47.html

La valutazione medico-legale dell’impairment in età pediatrica ed evolutiva: linee di indirizzo

Fabio Cembrani 1, Marta Castellani 1, Giuseppina Ciraolo 1

1 U.O. di Medicina Legale, Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento

Abstract

Medico-legal evaluation of the impairment (or permanent functional impairment) in disabled people not in working age is an underestimated issue in the Italian jurisprudential literature. This is due to several factors including the difficulty of grasping the many deviations observed in clinical practice compared to the theoretical trajectory that expresses the regularity of the physical and mental development of the human person, the difficulty of giving them a weight in terms of functional severity and the lack of multiaxial tools for this specific purpose.

The authors reflect on this theme and, after taking into consideration the Italian laws and have shown the (many) unsolved problems, develop their operative proposal to be presented to the scientific community.

This proposal, based on the International Classification of Functioning, Disability and Health for Children and Youth (ICF-CY) approved by the World Health Organization, is intended to indicate the threshold levels needed to assess the severity of the progressive impairment. The proposal aims to give a clear path for the evaluation, to standardize the criteria for the granting of the expected economic benefits and to standardize levels of access, to ensure social equity.

Keywords: Children with disabilities, Cash benefits; Functioning, Disability and Health for Children and Youth (ICF-CY)

The medico-legal assessment of impairment in children and youth: an operative proposal

Pratica Medica & Aspetti Legali 2015; 9(2): 37-47

http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v9i2.1174

Corresponding author

Fabio Cembrani

fabio.cembrani@apss.tn.it

Disclosure

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Introduzione

La valutazione medico-legale dell’impairment (più opportunamente, del «danno funzionale permanente»1 [1]) nelle persone disabili in età pediatrica e in quelle che si trovano nella fase evolutiva della vita è una tra le pagine meno consunte di un grande dizionario enciclopedico: quello idealmente rappresentato dall’elaborazione dottrinale che ha cercato di dare una direzione non equivoca alla prassi valutativa, tenuto conto di un impianto normativo che, specie nell’ambito assistenziale, fatica a tenere il passo con la modernità dei tempi, con le nuove emergenze sociali e con la crisi finanziaria attraversata da tutti i Paesi dell’Eurozona.

Pochi (e datati) risultano essere, infatti, i contributi originali proposti riguardo a questa pagina tematica [2,3] che non ha certo attratto l’attenzione degli studiosi anche se i problemi e le criticità persistono immutate; risultando, anzi, accentuate dal miglioramento dell’assistenza materna, dall’efficientamento della diagnosi genetica nel corso dello sviluppo gestazionale, dal progresso delle tecniche rianimatorie neonatali, dallo sviluppo della rete neuropsichiatrica infantile, dai risultati della riabilitazione, dal sostegno scolastico, dal perfezionamento degli ausili e dal progresso della tecnica aumentativa. Che hanno portato al miglioramento degli indici di sopravvivenza di persone gravemente disabili che, fino a pochi decenni fa, non avevano certo una lunga aspettativa o speranza di vita e alla attenuazione dei deficit funzionali provocati dalla disabilità, indipendentemente dalle sue cause.

Ciò nonostante è come se, in questo campo, le proposte di standardizzazione valutativa siano state interessate – almeno nel nostro Paese – da una progressiva fase di rarefazione. Con un paradosso che occorre segnalare. Perché ciò è avvenuto in tempi non sospetti e, guarda caso, a partire da quando il legislatore dell’urgenza ha deciso di allargare le maglie del nostro sistema di sicurezza sociale estendendo i trasferimenti monetari anche agli invalidi civili non ancora in età lavorativa. Cosa che è avvenuta nel 1971, quando la legge 30 marzo n. 118 ha, per la prima volta, previsto un intervento economico [4] («l’assegno di accompagnamento» poi trasformato, con la legge 11 ottobre 1990, n. 289, in «indennità di frequenza» [5]) a favore degli invalidi civili minori «non deambulanti» (art. 17) frequentanti la scuola dell’obbligo, corsi di addestramento o centri ambulatoriali e purché non ricoverati a tempo pieno.

Al di là dei mutamenti, non solo lessicali, di questa particolare tipologia di cash benefit, molte possono essere state le ragioni di questa progressiva rarefazione, per non dire perdita di interesse. In primo luogo la difficoltà di standardizzare, in maniera precisa, le fasi iniziali di sviluppo della vita umana – segmentate, convenzionalmente, nell’età neonatale, in quella pediatrica ed in quella adolescenziale – e, dunque, la molteplicità delle variazioni rispetto alla traiettoria standard dello sviluppo teoricamente atteso. Ma anche per il graduale e progressivo espandersi, in questa delicatissima fase della vita, di quegli aspetti del funzionamento umano più difficili da indagare sul piano clinico e che, nel loro insieme, costituiscono le fondamenta per quel libero sviluppo della personalità di cui parla, in termini straordinariamente moderni, l’art. 2 della Cost. italiana («La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell’uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove svolge la sua personalità, e richiede l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale»). Che ci parla di «un dialogo tra consociati, di un individuo sociale nel quale l’alternativa e la separazione tra diritti e doveri sono superate dal (e inglobate nel) legame tra diritti inviolabili e principio di solidarietà» [6].

Un libero sviluppo della personalità umana, dunque. Che richiede non solo un contesto familiare e sociale basato sulla solidarietà ma l’integrità e il sincronismo tra funzioni che non riguardano la sola capacità di acquisizione del movimento volontario e finalizzato, della postura eretta e lo spostarsi nell’ambiente – domestico e non – in autonomia o con l’uso di ausili ma il linguaggio, la maturazione intellettiva, la cura della persona, la capacità di intrattenere rapporti e relazioni sociali valide, il rendimento scolastico, l’attività ludica e sportiva, l’affettività, la sessualità e, più in generale, la nostra capacità di essere persone capaci di essere artefici e protagoniste di un’«esistenza libera e dignitosa» (art. 36 Cost.). Diversamente da quanto succede nel caso delle persone anziane over65enni dove i molti strumenti multiasse utilizzati in ambito clinico sono in grado di misurare (quantificare) la perdita di funzioni più o meno di base (dunque, il «danno funzionale permanente») quando, invece, nel caso della popolazione non ancora in età lavorativa, si tratta di valutarne il funzionamento rispetto a quegli standard che esprimono la traiettoria idealmente attesa dello sviluppo della persona umana. Con una criticità aggravata anche dalla pochezza degli strumenti multiassiali specificatamente costruiti con questa finalità, nonostante sia oramai diventato un luogo comune riferirsi, quasi stereotipicamente, alla Classificazione internazionale del Funzionamento, della Disabilità e della Salute dell’Organizzazione mondiale della Sanità (l’ICF [7] e l’ICF-CY [8]) non conoscendone i limiti e dimenticando, anche, che questo sistema di codifica internazionale si pone il (dichiarato) obiettivo di descrivere il funzionamento della persona umana nel suo ambiente di vita e le sue performance quando, invece, il nostro sistema di sicurezza sociale si fonda ancora sui difetti e sulle incapacità. Tale sistema non si presta ad assegnare un peso o un livello di gravità al suo disfunzionamento anche perché entrambe le classificazioni non definiscono alcun livello-soglia (o un loro grading per usare una terminologia ampiamente diffusa in alcune branche del sapere scientifico) al di sopra dei quali poter attribuire un giudizio di gravità alla compromissione funzionale. Giudizio che – è bene ricordarlo – spesso sfugge a quella legge, (poco) statistica e (altrettanto poco) realistica, del “tutto o nulla”. Perché il modello concettuale-antropologico di questo modello [9] è quello del funzionamento globale della persona umana nel suo concreto ambiente di vita: dunque, non la disabilità e l’handicap che, nella più recente versione, sono scomparsi e sostituiti dall’attività e dalla partecipazione sociale.

Questo stereotipo, purtroppo, però esiste ed è sempre più diffuso nel mondo non professionale che viene spesso accusato di non voler stare al passo con il maturare dei tempi. Esso sembra, però, essere l’espressione di una diffusa cultura (a)tecnica che, sia pur nel tentativo di ridurre la complessità, finisce con il banalizzare le questioni rinunciando a confrontarsi, seriamente, con i molti problemi e con le tante criticità poste dallo stratificarsi di norme i cui contenuti non sono sempre formulati in maniera chiara e precisa. Rendendole così più ambigue perché, come è stato autorevolmente osservato, la «banalità nasconde le ambiguità» [10] e, probabilmente, le attualizza rendendole ancor più evidenti.

Sono queste le ragioni che ci hanno motivato a riflettere con rinnovato impegno su quest’area tematica poco esplorata dagli interpreti e di grande complessità sia pur con una duplice consapevolezza.

Ogni operazione di word sense disambiguation deve, infatti, affrontare i molti (insoluti) problemi alimentati da un corpo normativo che, nel campo soprattutto assistenziale, genera una indiscutibile libertà interpretativa le cui conseguenze appaiono essere di estrema pericolosità sul piano non solo della tenuta dei conti pubblici ma, soprattutto, dell’equità sociale e dell’uguaglianza garantita sul piano costituzionale; anche perché rompere la trama di questi principi significa mettere in discussione la stessa idea di democrazia e la sua base solidaristica. Senza però banalizzarli e provando, anche, a cogliere il senso, forse più autentico, di quell’annunciato stereotipo che, probabilmente, esprime la necessità di dare una nuova direzione alla politica di sostegno della disabilità e di invertire quella logica assistenzialistica e la forte delega familistica che ancor’oggi la pervade [11,12].

Ma non solo. Perché ogni tentativo di dare una direzione moderna alla prassi valutativa medico-legale amplia e non già riduce la platea delle persone riconosciute disabili. Come vorrebbe qualche economista particolarmente impegnato nella spending review dei conti pubblici italiani2 che va a dar nerbo e solidità alla schiera di coloro che affermano che i diritti sociali sono un lusso che il nostro Paese non si può più permettere [13].

I (confusi) riferimenti di legge

È, come detto, la legge 30 marzo 1971, n. 118 [4] che ha introdotto nel nostro sistema di sicurezza sociale uno specifico cash benefit per gli invalidi civili non over18enni quando «riconosciuti non deambulanti». Con un primo livello di tutela economica circoscritto però, almeno in una prima fase, alle sole situazioni patologiche (di carattere, prevalentemente, neurologico) che non consentivano a questa coorte di persone disabili non ancora entrate nell’età lavorativa di acquisire la stazione eretta e di sviluppare la deambulazione.

Quella norma è stata poi modificata da ulteriori interventi operati dal legislatore dell’urgenza. In ordine cronologico: dal decreto legge convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 1972, n. 48 («Miglioramenti ad alcuni trattamenti pensionistici ed assistenziali») [14] che, all’art. 22, ne ha elevato l’importo a lire 18.000 mensili; dal decreto-legge convertito con modificazioni dalla legge 16 aprile 1974, n. 114 («Norme per il miglioramento di alcuni trattamenti previdenziali ed assistenziali») [15] che, con l’art. 7, ne ha ulteriormente aumentato l’importo a lire 22.000 mensili; dalla legge 21 novembre 1988, n. 508 («Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti») [16] che ha abrogato l’art. 17 di quella legge del 1971 [4]; e dalla legge 11 ottobre 1990, n. 289 («Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla L. 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un›indennità di frequenza per i minori invalidi») [17] che, infine, con l’art. 1, ha modificato la tassonomia di quest’intervento economico (ora «indennità mensile di frequenza») ridefinendo, al contempo, la misura dell’importo, le modalità e le condizioni per la sua concessione e le situazioni di incompatibilità. Queste condizioni sono state esplicitate dal legislatore dell’urgenza nel riconoscimento alternativo di una duplice situazione. La prima, di natura meramente sensoriale, indicata nella perdita uditiva superiore a 60 dB nell’orecchio migliore alle frequenze di 500, 1000 e 200 Hertz; la seconda, più ampia, formulata invece in prospettiva funzionale indicata, a sua volta, nelle «difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell’età». Con un assurdo automatismo nel primo caso quando la sola curva audiometrica legittima il diritto indipendentemente dalle sue ripercussioni funzionali. Mentre, in tutti gli altri, si richiede un giudizio di merito su questa compromissione e, come si vedrà, sul grado della stessa. Subordinandone, tuttavia, la concessione anche ad alcuni requisiti di carattere non clinico, indicati: (a) nella «frequenza continua o anche periodica di centri ambulatoriali o di centri diurni, anche di tipo semiresidenziale, pubblici o privati, purché operanti in regime convenzionale, specializzati nel trattamento terapeutico o nella riabilitazione e nel recupero di persone portatrici di handicap» (art. 1, comma 2); (b) o nella frequenza di scuole, pubbliche o private, di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, nonché centri di formazione o di addestramento professionale finalizzati al reinserimento sociale dei soggetti stessi (art. 1, comma 3). Con una disparità di trattamento tra la frequenza alla scuola materna e la frequenza all’asilo nido colta dalla Consulta [18] che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di quella previsione normativa viste le «finalità di educazione e formazione» svolta anche dagli «asili nido riconosciuti».

Peraltro, anche in precedenza a queste modifiche normative, il legislatore dell’urgenza era intervenuto su quell’iniziale requisito funzionale che la legge n. 118 del 1971 [4] aveva fissato per il riconoscimento dell’assegno di frequenza. Ciò è avvenuto con la legge 11 febbraio 1980, n. 18 («Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili») [19] che ha così esplicitato l’alternativo impairment che deve essere riconosciuto per questa particolare tipologia di intervento economico (art. 1): (a) l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore; (b) la necessità di un’assistenza continua non essendo la persona in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Così sovrapponendo e confondendo le tipologie del «danno funzionale» perché se la mancata acquisizione della deambulazione era il requisito inizialmente richiesto per l’assegno di frequenza, a partire dal 1980 questo stesso impairment configurava il diritto alla indennità di accompagnamento (e, dunque, ad un cash benefit di misura economica superiore – € 270,75 vs. € 508,55 nel 2015 per dodici mensilità – indipendente dalla situazione reddituale).

Questo, almeno, è ciò che la cronaca italiana ha registrato fino al 1990 quando il legislatore dell’urgenza è ripetutamente intervenuto su questa forma di cash modificandone non solo la sua tassonomia ma, come detto, anche i requisiti (non solo di ordine clinico ma anche di natura amministrativa) che occorre accertare per la sua erogazione. Con una dubbia chiarezza delle previsioni, se è vero che la legge 26 luglio 1984, n. 392 («Interpretazione autentica dell›articolo 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, in materia di indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili») [20] è dovuta intervenire per dare una interpretazione autentica all’art. 1 della legge n. 18 del 1980 [19]; introducendo (art. 1) un’ulteriore distinzione, impropriamente, tra le persone «non deambulanti» e quelle «non autosufficienti» e perequando la misura di questa indennità economica con quella percepita dai grandi invalidi di guerra. A riprova della stratificazione davvero poco coordinata, per non dire confusa, delle norme avvenuta nell’arco di un ventennio della storia del nostro Paese quando la crisi finanziaria non imponeva certo nessuna misura di contenimento della spesa pubblica e quando le dinamiche assistenzialistiche risultavano ancora vigorose e vitali. Con una complessità non certo detesa dagli interventi, altrettanto disordinati e confusi, operati dal legislatore regionale e provinciale.

Cosa che è avvenuta anche in Provincia di Trento con due leggi approvate dal Consiglio provinciale nel 1998 e nel 2012. Più nel dettaglio, con la legge provinciale 15 giugno 1998, n. 7 («Disciplina degli interventi assistenziali in favore degli invalidi civili, dei ciechi civili e dei sordomuti») [21] che ha recepito le indicazioni della normativa statale sull’indennità mensile di frequenza subordinandola alla «frequenza continua o periodica di centri ambulatoriali o di centri diurni, anche di tipo semiresidenziale, pubblici o privati, purchè operanti in regime convenzionale, specializzati nel trattamento terapeutico o nella riabilitazione e nel recupero di persone portatrici di minorazioni, ovvero di scuole pubbliche e private di ogni ordine e grado, a partire dalla scuola materna, o centri di formazione o di addestramento professionale finalizzati al reinserimento sociale» (art. 3, comma 1, lettera b) con le modalità però stabilite dalla Giunta provinciale.

E, soprattutto, con la legge provinciale 24 luglio 2012, n. 15 («Tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie e modificazioni delle leggi provinciali 3 agosto 2010, n. 19 e 29 agosto 1983, n. 29, in materia sanitaria») [22] che è intervenuta per garantire il sostegno economico alle persone non autosufficienti e alle loro famiglie per evitare il ricorso all’istituzionalizzazione.

L’art. 2 di questa legge ha definito la «persona non autosufficiente» in termini assolutamente confusi se non addirittura equivoci. Nel primo comma si chiarisce, infatti, che le persone non autosufficienti sono quelle «prive dalla nascita o che hanno subito una perdita permanente parziale o totale della autonomia delle abilità fisiche, psichiche, sensoriali, cognitive e relazionali con conseguente incapacità di compiere gli atti essenziali della vita quotidiana senza l’aiuto determinante di altre persone». Questa definizione risente, purtroppo, di quell’anacronistico retaggio medico-giuridico iniziato a partire dagli anni ’70 del secolo scorso quando si è deciso di imboccare la strada della differenziazione etiologica delle menomazioni invalidanti (fisiche, psichiche, sensoriali, e via dicendo). Nella legge provinciale il loro riflesso viene rappresentato, in termini più moderni, con l’«autonomia» anche se, poi, quest’autonomia viene scomposta su vari piani: più in particolare sul piano della dimensione delle abilità fisiche, psichiche, sensoriali, cognitive e relazionali. Con una asincronia rispetto a quell’impairment poco prima qualificato, dallo stesso legislatore, in termini di «perdita permanente parziale o totale dell’autonomia» nelle sopra-identificate abilità. Perché delle due l’una: o la persona non è autosufficiente e, quindi, al di là delle abilità residue, non è in grado di «compiere gli atti essenziali della vita quotidiana senza l’aiuto determinante di altre persone»; o la stessa non può certo essere qualificata come tale.

Il secondo comma dell’art. 2 della legge provinciale n. 15 [22] stabilisce, poi, che «la condizione di non autosufficienza si articola in quattro livelli di gravità in rapporto all’entità e alla tipologia degli atti essenziali della vita quotidiana che la persona non è in grado di compiere, con particolare riguardo alla limitazione dell’autonomia cognitiva e della mobilità, nonché alla complessità, intensità e durata delle prestazioni di aiuto personale, di tutela e di cure necessarie a compensare la mancanza di autonomia della persona non autosufficiente». Il cambio di prospettiva, rispetto a quanto indicato nel comma precedente, è evidente: sparisce qui l’equivoco riferimento alla «perdita parziale delle abilità». E la «limitazione dell’autonomia» viene poi sviluppata in relazione al solo impairment cognitivo, a quello della mobilità e, più appropriatamente, a tutte quelle situazioni di mancanza di autonomia personale in quegli «atti essenziali della vita quotidiana» richiamati dal comma 1 che richiedono «prestazioni di aiuto personale, di tutela e di cura necessarie». Il comma 3 dell’art. 2 affida, infine, alla Giunta provinciale della Provincia autonoma di Trento la definizione dei quattro livelli di gravità della non autosufficienza definendo, tuttavia, il perimetro di questa regolamentazione che deve tener «conto delle indicazioni dell’Organizzazione mondiale della sanità (OMS) espresse attraverso la classificazione internazionale del funzionamento, della disabilità e della salute (ICF)» ed in particolare: (a) «dello stato di salute funzionale organico, con riferimento alla dipendenza nelle attività di base della vita quotidiana, alle attività strumentali della vita quotidiana, al quadro clinico e al bisogno infermieristico»; (b) «delle condizioni cognitive comportamentali, con riferimento allo stato mentale, ai disturbi del comportamento e dell’umore»; (c) della «situazione socio-ambientale e familiare, con riferimento alla rete assistenziale presente, alla situazione socio-economica, alla condizione abitativa e al livello di copertura assistenziale quotidiana».

Se si guarda all’insieme di queste previsioni mancano elementi di rigore lessicale rispetto all’individuazione della persona non autosufficiente sia in relazione alla natura dell’impairment sia, evidentemente, riguardo alle sue conseguenze funzionali. La natura dell’impairment è, infatti, diversamente definita dal legislatore provinciale: nel comma 1 dell’art. 2 il focus è l’«autonomia delle abilità fisiche, psichiche, sensoriali, cognitive e relazionali» quando nel comma 2 il riferimento è la «limitazione della autonomia cognitiva e della mobilità» e nel comma 3 lo «stato di salute funzionale organico» sia pur interferito dai fattori ambientali. Ed ancora più preoccupanti sono le ambiguità che si colgono quando si provi a qualificare il bisogno ad esso conseguente. Perché mentre il comma 1 dell’art. 2 richiama gli «atti essenziali della vita quotidiana» che richiedono «l’aiuto determinante di altre persone», il comma 2 fa riferimento alla «limitazione dell’autonomia cognitiva e della mobilità» produttive di «prestazioni di aiuto personale» mentre il comma 3, lettera a), indica anche le «attività strumentali della vita quotidiana» e il «bisogno infermieristico» complicando ulteriormente l’interpretazione sistematica.

Con un difetto complessivo di tecnica che dà ragione della (purtroppo) non isolata improvvisazione di un legislatore poco attento, per non dire sbadato.

Ed è lo stesso legislatore provinciale che si è, molto probabilmente, reso conto delle sue stesse incertezze nei successivi atti deliberativi approvati dalla Giunta provinciale di Trento, a partire dalla deliberazione n. 2207 approvata il 15 ottobre 2012 [23]. È l’allegato 3 di questa delibera che fissa i criteri di valutazione della non autosufficienza, provando a dare ordine e sistematicità al confuso magma delle previsioni contenute nell’art. 2 della legge provinciale n. 15 del 2012 [22]. In sede di «Premessa» si dà atto, in maniera del tutto convincente, che l’individuazione dei multiasse da usare nel setting valutativo è stata subordinata ad una triplice esigenza: (1) quella di rispondere alle indicazioni dettate dalla norma nel definire la condizione di non autosufficienza; (2) quella di renderli coerenti con i criteri multiasse previsti per l’indennità di accompagnamento (cfr. deliberazione della Giunta provinciale di Trento n. 2704 del 1999 [24] e n. 2831 del 2008 [25]); (3) quella di indicarli tenuto conto dell’esperienza internazionale.

Sulla base di questa premessa l’allegato 3, dopo aver richiamato quanto indicato dall’art. 2 della legge provinciale, evidenzia, nel chiaro tentativo di dare sistematicità e coerenza logica a indicazioni confuse, che la non autosufficienza è uno «stato aperto e dinamico»che incide negativamente non solo sugli «atti essenziali della vita quotidiana» ma anche sulle «attività strumentali» della medesima e che, a causa della dipendenza della persona da parte di terzi, richiede «prestazioni di aiuto personale, di tutela e di cura necessarie a compensare la mancanza di autonomia della persona non autosufficiente». Da ciò la scelta dei multiasse che risponde non solo alla gradualità dell’intensità (per numero e durata) delle prestazioni di aiuto personale necessarie alla persona dovendo, evidentemente, essere in grado di esplorare quegli «atti essenziali della vita quotidiana» e quelle «attività strumentali» della medesima con particolare riguardo alla «mobilità» e alla disautonomia «cognitiva» (comma 2) nonché ai «disturbi del comportamento e ai disturbi dell’umore» (comma 3) che incidono negativamente su tali capacità, tenuto anche conto di quei fattori ambientali e sociali che l’ICF ha espresso in termini di amplificatori o di riduttori del bisogno. Differenziandoli in relazione all’età anagrafica della persona e alla necessità di esplorarli, secondo le indicazioni della letteratura internazionale, in relazione ai dominii che esprimono il funzionamento della persona; orientandoli, nella persona adulta in età lavorativa, alle «attività strumentali della vita quotidiana», negli anziani over65enni gli «atti essenziali della vita quotidiana» e nell’età pediatrica e adolescenziale a sei distinti dominii dell’ICF-CY approvata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità [8].

Se focalizziamo l’attenzione sulle scelte compiute dalla Giunta provinciale di Trento per graduare la non autosufficienza delle persone disabili non ancora in età lavorativa, due sono i dati di fatto che colpiscono. Innanzitutto la scelta politica fatta riguardo ai minori di anni sei riconosciuti nel diritto a percepire l’indennità di accompagnamento che, automaticamente (dunque, senza bisogno di ulteriori valutazioni), sono inseriti nel 4° livello di gravità della non autosufficienza con una graduazione economica dell’importo mensile compresa, a seconda dell’indicatore economico della famiglia (ICEF), tra € 500 e € 1100 mensili; scelta molto coraggiosa ed in forte controtendenza rispetto alle scelte assistenziali fin qui operate, a dimostrazione dell’attenzione data alle persone disabili e alle loro famiglie in questa delicatissima fase della vita. Non in subordine la selezione, dall’ICF-CY (dal Paragrafo «Attività e partecipazione»), di questi sei dominii: la mobilità, la comunicazione, la cura personale, l’alimentazione, la socializzazione, l’interazione e le relazioni personali. Sviluppando poi i livelli di gravità della non autosufficienza in relazione alla loro compromissione funzionale, in modo che nel livello di gravità 1 sono inserite le persone disabili che hanno una compromissione grave di almeno uno dei domini ICF-CY, nel livello 2° quelli con compromissione grave di due domini, nel 3° livello quelli con compromissione grave di almeno tre dominii e nell’ultimo livello di gravità quelle con compromissione grave di almeno quattro dei sei domini.

La scelta risulta convincente sul piano teorico anche se due critiche possono essere ad essa mosse. La prima riguarda l’indeterminatezza dei dominii che non sono stati esplorati, come era lecito attendersi, sul piano delle funzioni a ciascuno di esse sottese; per dirla in altro modo, sul piano delle singole attività che, nel loro insieme, concorrono a realizzare compiutamente una determinata attività. Perché sappiamo, a titolo di esempio, che la funzione comunicativa non si compone solo della capacità di produrre parole e frasi di senso compiuto coinvolgendo anche quella di avviare e di mantenere lo scambio linguistico, di comprendere il linguaggio anche non verbale, di utilizzare in modo finalistico i messaggi non verbali e di saper utilizzare, se del caso, la comunicazione aumentativa. La seconda – forse più grave della prima –riguarda, invece, l’aver lasciato indeterminato il giudizio riguardante la gravità della compromissione funzionale essendo risaputo che esiste, sul piano clinico, una straordinaria variabilità dei professionisti ammessa, peraltro, dalla stessa ICF-CY; con la conseguenza che mentre un «danno funzionale permanente» può essere inserito in un indicatore di gravità per qualcuno, per altri esso può essere di media se non addirittura di bassa intensità. Ciò dipendendo dalla diversa sensibilità degli operatori, dalle scuole di pensiero che attribuiscono pesi diversi alle diverse funzioni corporee e, non certo da ultimo, anche all’incapacità clinica di esplorare le funzioni delle singole attività in prospettiva organica e strutturata. Con una critica che deve essere mossa alle nostre Scuole di specializzazione che, spesso, non formano il medico legale in prospettiva clinica.

Né la successiva deliberazione (la n. 1233 approvata il 14 giugno 2013 dalla Giunta provinciale di Trento [26]) ha riempito questi chiaroscuri, pur essendo intervenuta a parziale modifica di quelle iniziali previsioni regolamentari. La novità saliente riguarda la modifica di quei sei originali dominii che vanno esplorati per la graduazione della non autosufficienza. Con molte conferme ma anche con qualche sostanziale innovazione. Le conferme riguardano l’aver mantenuto saldi questi dominii (attività): la mobilità, la comunicazione, l’istruzione, l’interazione e le relazioni personali. Con due novità: la prima deriva dall’essere stati fusi in un unico dominio l’alimentazione e la cura della persona; la seconda, l’individuazione di un nuovo dominio autonomo (il controllo degli sfinteri) in deroga a quanto previsto dall’ICF-CY tenendo presente che, nella precedente deliberazione, quest’attività non era menzionata anche se, nella prassi valutativa, di esso si teneva conto nell’ambito della cura della persona.

Un multiasse ICF-oriented per la valutazione delle persone disabili minori

La nostra proposta, maturata sulla base dell’esperienza e del confronto interdisciplinare con i Colleghi neuropsichiatri infantili, è quella di indicare un criterio misto: (a) di tipo sostanzialmente prognostico per i bambini fino al compimento del 6° anno di età (prima dell’inizio della scolarità); (2) e funzionale dopo il 6° anno di età, in prospettiva ICF-CY.

La sua formulazione è motivata da almeno tre ordini di ragioni.

In primo luogo, perché l’età evolutiva (specie quella dei primissimi mesi o anni di vita) mal si presta a qualsiasi tentativo di fissazione ipostatica e di standardizzazione, ammesso e non concesso di trovare un multiasse funzionale in grado di corrispondere a quest’esigenza. In secondo luogo, perché, come già è stato ricordato, le indicazioni della letteratura specialistica sono del tutto sporadiche e, purtroppo, datate. Ma anche perché gli interventi di sostegno economico previsti per questa particolare popolazione disabile sono due e di entità diversa:

  • l’indennità di frequenza, che è un intervento economico previsto a favore degli invalidi civili minorenni con «difficoltà persistenti a svolgere i compiti e le funzioni dell’età» o che, in alternativa, siano affetti da una «ipoacusia con perdita uditiva superiore a 60 decibel nell’orecchio migliore nelle frequenze di 500, 1000 e 2000 hertz»;
  • l’indennità di accompagnamento (super-invalidità), che è, invece, un intervento economico previsto a favore degli invalidi civili – affetti da minorazioni congenite od acquisite (anche a carattere progressivo), da irregolarità psichiche derivanti da oligofrenie (di carattere organico o dismetabolico) e da insufficienze mentali (derivanti da difetti sensoriali o funzionali) – che «abbiano determinato l’impossibilità di deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore, oppure l’impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita, così da rendere necessaria un’assistenza continua».

Mentre nessun particolare problema applicativo si pone, sul piano pratico, riguardo alla valutazione dell’ipoacusia (per l’indennità di frequenza), essendo stata definita la soglia della perdita uditiva, e dell’incapacità deambulatoria (per l’indennità di accompagnamento), se non quello di valutare quest’ultima in senso prognostico, non avendo ancora i neonati in tenerissima età sviluppato appieno la motricità e la coordinazione motoria, problemi più gravosi si pongono rispetto alla valutazione dell’«impossibilità di compiere gli atti quotidiani della vita». Anche perché la normativa in materia di invalidità civile (sia statale che provinciale) non esplicita quali sono gli «atti quotidiani della vita» che debbono essere valutati nel minore; né il Ministero della Sanità, interpellato più volte al riguardo, ha fornito indicazioni chiare e puntuali, ricorrendo, in una apposita circolare [27], ad una dizione sibillina e poco esplicita in ragione della quale sarebbero atti quotidiani della vita «quelle azioni elementari che espleta quotidianamente un soggetto normale di corrispondente età e che rendono il minorato che non è in grado di compierle bisognevole di assistenza continua».

L’area problematica è, dunque, ampia e complessa e il vuoto normativo non è stato colmato né a livello dottrinale né a livello giurisprudenziale con l’individuazione di quali effettivamente sono gli «atti quotidiani della vita» che debbono essere valutati nel minore e con una proposta operativa che espliciti quali sono gli strumenti (i multiasse) da utilizzare per la standardizzazione del giudizio valutativo; ammesso che il minore possa essere valutato con il loro concreto utilizzo che, naturalmente, deve essere in grado di individuare non solo le «difficoltà persistenti» in prospettiva funzionale ma anche quali sono i livelli-soglia al di sopra dei quali ammettere il loro scadimento se non addirittura la loro perdita.

La valutazione della disabilità nei minori di anni sei

Il problema, si diceva, è di ampia portata ed è stato tra l’altro affrontato, nel nostro contesto territoriale, quando si sono presi in esame i criteri per l’accertamento della non autosufficienza nei minori con una proposta che deve essere qui ulteriormente sviluppata, lungo il filo conduttore di quanto esplicitato dalla circolare della Direzione Generale dei Servizi di Medicina Sociale del Ministero della Sanità del 17 marzo 1986.

In tale circolare, in risposta alle richieste di chiarimento inoltrate dalle Commissioni sanitarie preposte all’accertamento dell’invalidità civile, si rileva che l’assegno di accompagnamento (poi diventato, con la legge n. 289/1990, indennità di frequenza) «è un beneficio destinato esclusivamente a soggetti in età evolutiva, con difficoltà persistenti ma in genere suscettibili di modifica con la crescita e/o di riduzione con la protesizzazione e con trattamenti riabilitativi adeguati e differenziati»: in tali casi, prosegue la circolare ministeriale, «la prognosi per l’invalidità, a distanza, non è del tutto sfavorevole ed il beneficio economico tende a favorire il ricorso ai mezzi di recupero funzionale e sociale e di mantenimento dei risultati raggiunti attraverso al frequenza della scuola, di corsi di formazione, di centri ambulatoriali».

L’indennità di frequenza, stando all’impostazione ministeriale condivisa dai sia pur scarni interventi degli interpreti, è, dunque, una misura economica erogabile nei casi in cui la frequenza della scuola, dei corsi di addestramento e dei centri ambulatoriali è tesa a sostenere il recupero funzionale e sociale della persona e ad orientarla nel mondo del lavoro: dunque, nei casi in cui sia ragionevolmente ipotizzabile il superamento (o il contenimento e/o la riduzione) della disabilità (e dello svantaggio) conseguente alla malattia.

L’indennità di accompagnamento è, invece, una misura economica concedibile nei casi in cui sia pregiudizialmente accertata, in senso prognostico, la «totale e permanente inabilità lavorativa» oltre alla super-invalidità (l’incapacità deambulatoria e/o la necessità di assistenza continua per svolgere gli atti quotidiani della vita) e, dunque, riconosciuta legittima nell’ipotesi in cui gli interventi orientati all’apprendimento ed alla socializzazione del minore sono ragionevolmente irrilevanti riguardo all’acquisizione di autonomie e di abilità necessarie al suo futuro inserimento (produttivo) nel mondo del lavoro. Come accade, ad es., nei bambini portatori di gravissime patologie genetiche che, ben oltre l’esistenza di comorbilità, vanno ad incidere negativamente sullo sviluppo intellettivo nonostante sia ipoteticamente prevedibile la maturazione di qualche piccola autonomia funzionale.

Con un criterio, dunque, di tipo prognostico che si propone di utilizzare nei primi sei anni di vita del bambino, forti della ragionevolezza scientifica anche per evitare che il mancato riconoscimento dell’indennità di accompagnamento pregiudichi, nel nostro contesto territoriale, il diritto del minore ad entrare sotto l’ombrello protettivo dato dalla legge provinciale a tutela della non autosufficienza.

La valutazione della disabilità nelle persone di età compresa tra i sei e i diciotto anni di età

Diversa, invece, è la situazione per i bambini in età scolare per i quali si propone un multiasse ICF-CY oriented come ulteriore sviluppo di quanto indicato dalla Giunta provinciale di Trento nell’allegato 3 della deliberazione n. 1233 del 2013 [26].

Quest’atto deliberativo, come già ricordato, ha indicato quali sono i sei dominii (attività) da esplorare (mobilità, comunicazione, cura della persona, controllo sfinteriale, vita sociale e relazionale e istruzione) ma non le relative funzioni che occorre così esplicitare desumendole, almeno in parte3, da quelle indicate dall’ICF-CY.

Nelle Tabelle I-VI si illustrano i contenuti proposti per riempire questi sei dominii (attività corporee) che hanno così acquisito una loro originalità fenomenica nella direzione (descrittiva) indicata dall’ICF-CY. Con il che abbiamo metaforicamente riempito questi contenitori non lasciandoli indistinti e orientando, di conseguenza, l’esame clinico che, a partire dall’obiettività semeiologica, deve esplorare il funzionamento della persona lungo una traiettoria prestabilita. Così da caratterizzarlo prima di cimentarsi con la sua graduazione clinica, che resta la pregiudiziale senza la quale non è possibile inquadrare il singolo caso dentro le coordinate previste dall’impianto normativo oggi esistente.

Per la graduzione clinica proponiamo i seguenti livelli di compromissione crescente:

  1. nessuna compromissione funzionale (ivi compresa la compromissione di grado lieve, considerandola come una deviazione rispetto allo standard atteso poco o nulla influente sulla funzione);
  2. compromissione funzionale di grado medio che rileva sul funzionamento senza però condizionarlo pesantemente;
  3. compromissione funzionale grave che rileva marcatamente sul funzionamento;
  4. perdita, quando tutte le funzioni non sono state acquisite e sono irreversibilmente perdute.

Siamo ora nelle condizioni di poter descrivere il funzionamento della persona in questi diversi dominii (attività) e di dare all’«impairment» una pesatura clinica con situazioni diverse che possono essere così rappresentate all’interno di due opposti estremi: quello della non acquisizione/perdita di tutte le funzioni e quello della loro sostanziale integrità. Può essere, infatti, che all’interno di un singolo dominio:

Descrizione

  • Esplora funzioni definite: non solo il muoversi in autonomia o con l’uso di ausili cambiano la posizione del corpo ma anche la funzione di spostarsi da un luogo ad un altro anche trasportando, muovendo o manipolando oggetti.

Funzioni

  • Camminare (muoversi autonomamente lungo una superficie a piedi, sia in casa che fuori casa, passo dopo passo in modo che almeno un piede sia sempre appoggiato al suolo)
  • Cambiare la posizione corporea di base (assumere o abbandonare una posizione corporea come girarsi su un lato, sedersi, alzarsi, accovacciarsi)
  • Spostarsi anche usando apparecchiature/ausili (muoversi con ausili o apparecchiature lungo una superficie a piedi, sia in casa che fuori casa, passo dopo passo in modo che almeno un piede sia sempre appoggiato al suolo)
  • Sollevare e trasportare oggetti (sollevare un oggetto o trasportare un oggetto da un posto all’altro, come prendere in mano un bicchiere o una tazza o un peso non superiore a 10 kg)
  • Uso fine e articolato della mano (compiere le azioni coordinate nel maneggiare oggetti, raccoglierli o manipolarli in maniera finalistica)
  • Usare un mezzo di trasporto pubblico (capacità di usare un mezzo di trasporto pubblico per spostarsi da un luogo ad un altro)

Tabella I. Dominio della mobilità

Descrizione

  • Esplora le caratteristiche generali e quelle specifiche della comunicazione intesa come la capacità degli esseri umani di riconoscersi reciprocamente

Funzioni

  • Parlare (produrre parole, frasi compiute, esporre un fatto, raccontare la propria storia)
  • Conversare (avviare, mantenere o terminare uno scambio linguistico in prospettiva bidirezionale)
  • Comprensione del linguaggio verbale (capacità di comprendere il linguaggio parlato senza l’interferenza della barriera linguistica)
  • Comprensione del linguaggio non verbale (capacità di comprendere i gesti del corpo come il movimento delle mani)
  • Utilizzo finalistico dei messaggi non verbali (capacità di comprendere i gesti del corpo e di adeguare le risposte)
  • Utilizzo della comunicazione aumentativa (capacità di usare autonomamente la comunicazione aumentativa )

Tabella II. Dominio della comunicazione

Descrizione

  • Esplora l’autonomia della persona nel soddisfacimento delle esigenze di base della vita

Funzioni

  • Mangiare (capacità di eseguire in maniera autonoma i compiti e le azioni coordinate di portare il cibo alla bocca, di tagliarlo e di spezzettarlo usando gli utensili dedicati)
  • Vestirsi (capacità di eseguire in maniera autonoma le azioni coordinate per mettersi e togliersi gli indumenti e le calzature in sequenza e in accordo con le condizioni climatiche e sociali)
  • Prendersi cura di singole parti del corpo (occuparsi autonomamente di quelle parti del corpo come la pelle, i denti o i capelli che richiedono la cura, il lavaggio e l’asciugatura)
  • Bere (manifestare il bisogno di bere e prendere autonomamente una bevanda, portarla alla bocca e consumarla)
  • Igiene personale (lavare e asciugare autonomamente il proprio corpo utilizzando l’acqua come farsi la doccia, fare il bagno e asciugarsi con l’asciugamano)
  • Seguire e collaborare al progetto

Tabella III. Dominio della cura della persona

Descrizione

  • Esplora il controllo sfinteriale e l’autonomia nello svuotamento urinario e nella gestione in autonomia delle eventuali stomie e nella pratica dell’autocateterismo

Funzioni

  • Esprimere il bisogno
  • Pianificare il bisogno (scegliere e raggiungere un luogo adatto per lo svuotamento vescicale e intestinale)
  • Espletare la minzione/defecazione in maniera appropriata
  • Gestire l’eventuale stomia e praticare l’autocateterismo
  • Manipolare gli indumenti prima (e dopo) l’espletamento del bisogno (compreso il saper usare assorbenti igienici)
  • Essere in grado di pulirsi regolarmente dopo la minzione/defecazione

Tabella IV. Dominio del controllo sfinteriale

Descrizione

  • Esplora le azioni e i compiti richiesti per le interazioni semplici e complesse con le persone in modo contestualmente e socialmente adeguato

Funzioni

  • Interazioni interpersonali semplici (rispetto, cordialità, tolleranza)
  • Interazioni interpersonali complesse (interagire secondo le regole sociali, mantenere una distanza sociale, impegnarsi in qualsiasi forma di attività ricreativa e legata al tempo libero)
  • Relazioni formali (con gli insegnanti, i datori di lavoro i fornitori di servizi)
  • Relazioni sociali informali (con i pari, gli amici, i conoscenti, i vicini di casa)
  • Relazioni familiari (figlio-genitore, con i fratelli, con la famiglia allargata)
  • Relazioni affettive intime

Tabella V. Dominio della vita sociale e relazionale

Descrizione

  • Esplora le capacità scolastiche tenendo presente che la frequenza scolastica è un obbligo normativo non previsto dall’ICF-CY

Funzioni

  • Coinvolgimento nel gioco (impegno intenzionale e prolungato in attività con oggetti, giocattoli, materiali o giochi, per tenersi occupati da soli o con gli altri)
  • Istruzione informale (apprendimento, a casa o in qualche altro ambiente non istituzionalizzato, dai genitori o da altri membri della famiglia o nella comunità - anche la frequenza di un Centro Diurno con laboratori didattici)
  • Istruzione prescolastica (apprendimento delle abilità preparatorie per l’istruzione obbligatoria)
  • Istruzione scolastica (impegnarsi in tutte le responsabilità correlate alla scuola; lavorare in maniera cooperativa con altri studenti; ricevere istruzioni dagli insegnanti; organizzare, studiare e completare i compiti e i progetti assegnati)
  • Formazione professionale/istruzione superiore (impegnarsi nelle attività di formazione professionale/di programmi educativi avanzati e apprendere il materiale del curriculum in previsione di intraprendere un lavoro o una professione)
  • Lavoro non retribuito/attività occupazionali (impegnarsi in tutte gli aspetti del lavoro in cui non viene pagato un compenso, eseguire i compiti richiesti, presentarsi all’orario richiesto)

Tabella VI. Dominio dell’istruzione

  1. sia andata persa o non sia stata acquisita una singola capacità con piena conservazione di tutte le altre;
  2. sia compromessa in maniera grave una singola capacità con conservazione, piena o parziale, di tutte le altre;
  3. siano compromesse in maniera grave due o più capacità con conservazione, piena o parziale, di tutte le altre;
  4. siano compromesse in maniera grave tre o più capacità con conservazione, piena o parziale, di tutte le altre;
  5. siano compromesse, in misura media, una o più capacità.

Con molte possibilità che derivano, naturalmente, dal gioco delle possibili intersezioni e per la cui valutazione occorre tenere a mente l’impianto normativo esistente e i due alternativi stati disfunzionali ritenute alla base dell’indennità di accompagnamento.

A questo punto siamo nelle condizioni di poter dar corpo alla nostra proposta valutativa che dovrà, separatamente, dare un peso agli score superati i quali possiamo riconoscere il diritto ai trasferimenti monetari previsti dalla legislazione vigente a favore delle persone disabili non over18enni.

Criteri per l’indennità di frequenza

Fermi restando i requisiti amministrativi previsti per l’erogazione di questa particolare tipologia di cash benefit e quelli indicati nel caso (fortunatamente raro nell’esperienza clinica) di menomazioni dell’apparato uditivo, occorre entrare nel merito della graduazione delle «difficoltà persistenti» che possono riguardare, alternativamente, o la mobilità o gli atti quotidiani della vita proposti nel nostro schema ICF-oriented.

Precisando che la difficoltà deve essere clinicamente graduabile, che essa deve essere ascritta nella media compromissione funzionale e riguardare, per i dominii proposti, almeno due funzioni indipendentemente dalla loro intersezione.

Le situazioni particolari, come ad es. quella dei minori sottoposti a trattamento chemioterapico, vanno invece valutate con particolare precauzione analizzando anche le possibili interferenze funzionali prodotte dalla immunodepressione nello svolgimento delle diverse attività. Evitando, comunque, automatismi valutativi e giudizi di tipo prognostico che devono essere utilizzati, invece, nei primi sei anni di vita.

Criteri per l’indennità di accompagnamento

Ricordato che le norme vigenti fissano gli alternativi criteri per la concessione di questo particolare cash benefits, esso deve essere riconosciuto nelle circostanze che riportiamo di seguito.

Nel caso di compromissione motoria, quando sia accertata: (a) la perdita di almeno due delle funzioni motorie indicate dalla nostra proposta; (b) la grave compromissione di almeno tre delle funzioni motorie; (c) nell’ipotesi in cui esista la compromissione media di almeno cinque delle stesse.

Nelle altre ipotesi, quando l’impairment riguardante gli atti quotidiani della vita indicati dalla nostra proposta, comporti: (a) la perdita di almeno due delle funzioni indicate dalla nostra proposta; (b) la grave compromissione di almeno quattro delle stesse.

Situazioni particolari, non rientranti in questi incroci di coordinate, devono essere esaminate con particolare prudenza nella consapevolezza che la valutazione medico legale, ancorché standardizzata, deve dare una risposta ai bisogni di salute della persona in questa delicatissima fase della vita sostenendo la sua sfera parentale.

Conclusioni

Questa proposta richiede un congruo tempo di sperimentazione per verificare la tenuta dello strumento e per valutare se i livelli-soglia proposti sono o meno in grado di esprimere il bisogno reale delle persone disabili.

Siamo, infatti, consapevoli che alcune funzioni, nello schema proposto, possono essere pesate più di una volta amplificando il bisogno e che altre, invece, potranno apparire sotto-dimensionate nella valutazione del danno funzionale permanente. Ma siamo, ciò nonostante, convinti che questa base di partenza, offerta anche all’esame della comunità scientifica, possa essere utile per provare a sperimentare nuovi scenari del percorso valutativo che non sono certo semplici a patto, naturalmente, di non voler rincorrere quegli automatismi valutativi che, oltre a non dare una risposta alla personalizzazione dell’impairment, costituiscono prassi che occorre contrastare con la forza delle idee e con il coraggio delle azioni.

Per agire una prassi che deve essere, necessariamente, virtuosa anche nella sua riproducibilità. Anche se ciò richiede il nostro sapersi mettere in gioco non nascondendoci, sempre e comunque, dietro l’inerzia del legislatore facendoci scudo dei problemi e delle incertezza che lo stesso ha comunque creato.

Bibliografia

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  13. Rodotà S, Il diritto di avere diritti. Laterza: Roma-Bari, 2012
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  16. Legge 21 novembre 1988 n. 508. «Norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti». Gazzetta Ufficiale 25 novembre 1988 n. 277
  17. Legge 11 ottobre 1990 n. 289. «Modifiche alla disciplina delle indennità di accompagnamento di cui alla L. 21 novembre 1988, n. 508, recante norme integrative in materia di assistenza economica agli invalidi civili, ai ciechi civili ed ai sordomuti e istituzione di un’indennità di frequenza per i minori invalidi». Gazzetta Ufficiale 17 ottobre 1990 n.243
  18. Sentenza della Corte Costituzionale n. 467 del 20-22 novembre 2002
  19. Legge 11 febbraio 1980 n. 18. «Indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili». Gazzetta Ufficiale 14 febbraio 1980 n. 44
  20. Legge 26 luglio 1984, n. 392. «Interpretazione autentica dell’articolo 1 della legge 11 febbraio 1980, n. 18, in materia di indennità di accompagnamento agli invalidi civili totalmente inabili». Gazzetta Ufficiale 31 luglio 1984 n. 209
  21. Legge provinciale 15 giugno 1998, n. 7. «Disciplina degli interventi assistenziali in favore degli invalidi civili, dei ciechi civili e dei sordomuti». Bollettino Ufficiale 23 giugno 1998, n. 23, suppl. n. 2
  22. Legge provinciale 24 luglio 2012, n. 15. «Tutela delle persone non autosufficienti e delle loro famiglie e modificazioni delle leggi provinciali 3 agosto 2010, n. 19 e 29 agosto 1983, n. 29, in materia sanitaria». Bollettino Ufficiale 31 luglio 2012, n. 31
  23. Delibera della Giunta provinciale di Trento n. 2207 del 15 ottobre 2012. «Disposizioni attuative dell’articolo 10 della L.P. 24 luglio 2012, n. 15, per la concessione e l’erogazione dell’assegno di cura»
  24. Delibera della Giunta provinciale di Trento n. 2704 del 09 aprile 1999. «Indirizzi per la valutazione dello stato di invalidità civile nei riguardi di soggetti ultrasessantacinquenni»
  25. Delibera della Giunta provinciale di Trento n. 2831 del 31 ottobre 2008. «Indirizzi per la valutazione dello stato di invalidità civile nei riguardi di soggetti ultra-65enni affetti da demenza: integrazione e modifica della deliberazione n. 2704 di data 9 aprile 1999»
  26. Delibera della Giunta provinciale di Trento n. 1233 del 14 giugno 2013. «Disposizioni attuative dell’articolo 10 della L.P. 24 luglio 2012, n. 15, per la concessione e l’erogazione dell’assegno di cura - approvazione nuovo disciplinare»
  27. Ministero della Sanità. Circolare prot. n. 500.6/AG. 927-58-1449, 1981

1 Così si esprime, almeno, l’art. 1, comma 1, del decreto legislativo 23 novembre 1988, n. 509 per definire gli «esiti permanenti delle infermità fisiche e/o psichiche e sensoriali». Anche se poi (nel comma 4) quest’indicazione viene messa in bilico dal richiamo all’«entità della perdita anatomica, totale o parziale, di organi od apparati» e dall’importanza «che riveste, in attività lavorative, l’organo o l’apparato sede del danno anatomico o funzionale».

2 Si veda, a questo, riguardo il cd. piano “Cottarelli” presentato all’opinione pubblica nel 2014 nel quale si indicavano misure di verifica straordinaria sugli invalidi per ridurre le difformità registrate a livello regionale.

3 Difficile è stato per noi dare contenuti a quell’attività indicata nel controllo degli sfinteri perché, nell’ICF-CY, essa non è assunta al rango di attività corporea autonoma essendo considerata nell’attività che esplora la cura della persona. Difficile è stato anche dare contenuti all’attività inerente la scolarizzazione visto il suo carattere obbligatorio italiano che mal si presta all’idea di dare un peso di gravità al rendimento scolastico.

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