PM&AL 2015;9(2)27-30.html

Il progetto Agenas sulla medicina difensiva

Quinto Tozzi 1

1 Dirigente Agenas (Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali) , area di studio e ricerca "rischio clinico"

The Agenas project on defensive medicine

Pratica Medica & Aspetti Legali 2015; 9(2): 27-30

http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v9i2.1179

Corresponding author

Quinto Tozzi

tozzi@agenas.it

Disclosure

L'autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

 

Da sempre e per loro stessa intrinseca natura le attività umane hanno a che fare con la possibilità che si commetta un errore; evento questo con una connotazione sempre negativa e a volte drammatica. In ambito sanitario l’errore assume, in primis per le conseguenze sulla salute e l’alto impatto emotivo ed etico, una valenza ulteriormente accentuata e sovente tale da distorcere la comprensione delle reali dinamiche e di alcuni aspetti del suo stesso significato e, conseguentemente, delle misure oggettivamente più appropriate per prevenirlo. Da tener sempre ben presente inoltre che gli errori non sono solo i pochi che macroscopicamente giungono alla ribalta, a volte non proprio disinteressata, dei media, ma sono molto più numerosi comprendendo sia quelli che, fortunatamente, non danno luogo a danni ai pazienti sia quelli poco visibili indiretti e/o organizzativi che predispongono o inducono agli errori clinico assistenziali.

In altri termini l’errore, anche in sanità, è un evento concettualmente ineliminabile e impone, quantomeno eticamente, che vengano sempre messe in atto tecniche corrette per la valutazione e il monitoraggio del rischio che accada e interventi metodologicamente corretti per prevenirlo.

Un aspetto, quasi sempre sottovalutato ma di particolare rilevanza in questi tempi di grande scarsità di risorse, sono le conseguenze economiche degli errori; conseguenze sia dirette in termini di inefficienza e sprechi (alias inappropriatezza clinica e organizzativa per eccesso), sia indirette relative ad uso alternativo ed appropriato ai reali bisogni di quelle stesse risorse. Ciò vale in vario modo e misura per tutti: per il paziente, per i suoi parenti, per chi lo commette, per l’organizzazione in cui si verifica, e per la popolazione generale.

Il legame, non sempre evidente ma reale, tra errori e medicina difensiva (MD) è che una prescrizione basata su MD è tecnicamente un errore in quanto non la si doveva fare oppure non è stata fatta ma la si doveva fare (è cioè inappropriata per eccesso o per difetto).

L’interesse, certamente non recente, per la MD deriva principalmente da questi concetti cui è da aggiungerne però un altro importante, fondamentale e diffuso: l’impatto a volte devastante ma sempre importante che la MD ha su moltissimi operatori sanitari (medici in primo luogo) e in particolare sui loro comportamenti.

Nel determinismo generale della MD, insieme ad altri fattori, gioca un ruolo assolutamente cruciale e del tutto particolare la qualità delle informazioni di cui dispone chi, coscientemente o no, la mette in atto e chi, a livello istituzionale, gestionale e professionale, è tenuto a prenderla in considerazione. È infatti sulla qualità (spesso parziale e non esatta) delle informazioni (veridicità, completezza, accuratezza, tempistica, interpretabilità, fruibilità, ecc.) che scaturiscono i giudizi e le opinioni e da queste ovviamente i comportamenti che, se non corretti, danno luogo ad altri ulteriori errori mantenendo e potenziando il circolo vizioso della MD. Altri problematici aspetti direttamente correlati sono la scarsa o assente percezione di queste dinamiche da parte dagli operatori sanitari, sulle quali, nel momento decisionale, si inseriscono sia il “vissuto”, cioè l’esperienza diretta e indiretta, sia le componenti emozionali, quelle pseudorazionali e quelle, mai semplici, di contesto.

Su questa base si inseriscono inoltre, con andamenti solo in parte simili, anche le aspettative non sempre corrette dei pazienti (ad esempio per una medicina spesso interpretata come miracolistica e la convinzione di aver sempre diritto a qualsiasi prestazione sanitaria anche inappropriata) e le emozioni, di per sé ben poco razionali, legate ad un evento morboso o, per gli operatori sanitari, al lavorare in un contesto del tutto particolare come quello sanitario. È da questo complesso, poco evidente, interconnesso e dinamico insieme che scaturiscono le motivazioni principali della MD e delle aspettative dei pazienti.

A tutto questo si aggiunga trasversalmente la componente relazionale o meglio la qualità e l’efficacia vera del rapporto tra medico e paziente; è infatti questo che, molto più spesso di quanto si creda, funge da detonatore a controversie di varia natura ma è anche questo uno degli elementi più cruciali su cui si deve intervenire se si vuole veramente cercare di risolvere il problema della MD: informare realmente il paziente sui rischi connessi alle procedure cui viene sottoposto e, in modo più ampio ma non meno importante, condividere in modo non burocratico le scelte che lo riguardano (il modulo del consenso informato non è un mero, sterile e seccante atto burocratico ma l’attestazione che il paziente è stato correttamente informato ed ha realmente compreso il contenuto dell’informazione).

Conseguentemente e parallelamente a queste criticità di contesto e relazionali è andata sempre più diffondendosi la pratica della medicina difensiva quale istintivo, grossolano e in realtà non efficace strumento di difesa da errori e/o dalle conseguenti, vere o presunte, accuse di averli commessi; il tutto sostanzialmente nella vana speranza di evitare eventuali conseguenze risarcitorie e giudiziarie.

L’equivoco, o meglio l’errore di base, che dà origine ai comportamenti di MD è la intuitiva convinzione, in realtà opinione soggettiva perché non suffragata da reali evidenze oggettive, che tali comportamenti aumentino la propria sicurezza riducendo il rischio di essere coinvolti in procedimenti penali e/o risarcitori.

In realtà la vera, oggettiva e realistica prevenzione del rischio di commettere errori e di essere denunciati può derivare solo dalla messa in atto di sistematiche appropriate attività di prevenzione degli errori e da una corretta ed esaustiva comunicazione con i pazienti / parenti.

In altri termini la sicurezza degli operatori sanitari può (e deve) solo passare dalla sicurezza dei pazienti. Non si può cioè neppure immaginare di essere “al sicuro” senza che realmente lo siano prima i pazienti; in altri termini gli operatori sanitari corrono meno rischi solo se i pazienti corrono meno rischi; ogni altro approccio è pura, illogica e pericolosissima illazione emotiva. Concetti basilari ma non sempre conosciuti o veramente recepiti in termini di comportamenti.

Come tutti sanno, o dovrebbero sapere, la valutazione della rischiosità e l’aumento della sicurezza dei pazienti utilizza da tempo una metodologia ben solida e precisa e non può essere (come fa la MD) limitata a semplici intuizioni o deduzioni dettate dal buon senso, dall’esperienza o dalle emozioni contingenti. Il problema a volte è che per gli operatori sanitari è spesso più facile adottare comportamenti di MD piuttosto che adottare sistematicamente corrette tecniche di valutazione e di riduzione del rischio (il reiterare il concetto di “corretto” è dovuto al fatto che non raramente vengono messe in atto tecniche che non lo sono o che sono avulse da altre azioni coerenti e sistemiche). Ciò avviene sovente per ignoranza (nel senso di non conoscere l’esistenza stessa di queste metodologie), per incapacità o pressapochismo. Spessissimo presente inoltre anche il deleterio atteggiamento di rimozione del problema e il pensarci solo quando si è direttamente o indirettamente coinvolti. La responsabilità però non può e non deve essere a carico solo dei soli operatori sanitari, che troppo spesso fungono anche da capri espiatori di responsabilità altrui, e in particolare di gravi inadempienze gestionali di sistema. Una vera e corretta gestione del rischio clinico non è infatti un’attività limitata al singolo operatore sanitario ma investe in modo sistemico e sistematico tutta la catena gestionale aziendale (responsabili di unità operativa, risk manager, direzioni sanitarie, vertici aziendali) ma anche regionale per gli aspetti programmatori e di verifica; tutti costoro dovrebbero essere realmente coinvolti nella ricerca delle cause profonde dell’errore finalizzate non alla ricerca dell’esempio da punire “esemplarmente” lasciando poi però le cose come erano ma nell’individuazione, a volte scomoda, di tutte le cause latenti per poi eliminarle definitivamente.

La sicurezza, del tutto presunta e falsa, data dalla pratica della MD dipende principalmente dal fatto che la sua messa in atto è solo apparentemente razionale e conseguenza di una sempre presente, anche se non sempre cosciente, componente emotiva alla base dei comportamenti difensivi. Di tale diffuso comportamento nel nostro paese si è parlato molto ma sovente più sulla base di emozioni contingenti e convinzioni soggettive dando spesso luogo a variegate opinioni non sempre suffragate da dati sufficientemente oggettivi, recenti, completi e quindi veritieri.

Uno dei problemi principali, peraltro non sempre correttamente percepito, è che spesso mancano o non sono recenti, completi e attendibili i dati in merito all’incidenza del fenomeno nel nostro specifico contesto sanitario nazionale, alle sue cause evidenti e profonde e a tutte le sue conseguenze. Ciò ha delle ricadute importanti sulla percezione del fenomeno a livello di popolazione, sullo stesso versante istituzionale e su quello professionale, contribuendo in tal modo ad aggravare l’entità e le conseguenze del fenomeno.

Storicamente il problema degli errori in ambito sanitario origina negli anni ’70 negli USA ma è nel 2000 con il report “To err is human” dell’Istitute of Medicine (IOM) che si focalizza fortemente l’attenzione del mondo sanitario e della popolazione generale sulla sicurezza della sanità. Negli Stati Uniti venivano infatti stimati da 44.000 a 98.000 i morti ogni anno a causa degli errori medici. Questi dati sono stati successivamente proiettati nella realtà italiana, commettendo un palese errore metodologico, e comunicati ai media senza tener conto del nostro specifico contesto, e in particolare delle profonde differenze culturali, organizzative e normative tra i due sistemi sanitari.

Nel nostro paese il risultato è stato di creare nella popolazione e negli stessi operatori sanitari opinioni sovente falsate e non oggettive in merito all’entità del fenomeno e alla rischiosità delle strutture sanitarie; ciò ha contribuito all’ulteriore deterioramento del rapporto medico-paziente e del clima lavorativo, diffondendo sempre di più la MD e aumentando, spesso paradossalmente, il rischio di errori. L’aumento costante e prevedibile del contenzioso medico legale tra pazienti / parenti e istituzioni / professionisti sanitari è una delle conseguenze e uno degli indicatori più rappresentativi di questa condizione.

Elemento cardine delle prestazioni sanitarie definite come difensive è la loro inappropriatezza, cioè prestazioni erogate senza sufficienti evidenze scientifiche e quindi non dovute e non necessarie. Partendo dal concetto che una prestazione sanitaria non difensiva in genere dovrebbe essere appropriata, una azione / non azione sanitaria connotata come difensiva è da considerare inappropriata per eccesso o per difetto (o positiva / negativa). Da qui il concetto che la MD positiva (inappropriatezza per eccesso) rientra anche nel concetto di “spreco”, mentre la MD negativa (inappropriatezza per difetto) non è uno spreco ma una prestazione “dovuta” in termini di evidenze scientifiche e quindi anche un costo dovuto. La sommatoria tra MD positiva (preponderante) e negativa (minoritaria) dà l’impatto economico della MD in generale.

L’entità del problema anche in Italia è sicuramente rilevante; i dati oggettivi sono però scarsi, parziali e non recenti; la percezione, come detto, spesso distorta e con una diffusa, forte e condizionante componente emotiva tale da farne uno dei principali elementi “etiologici” di base della MD.

L’approccio per una corretta comprensione del problema e per una sua soluzione razionale e duratura non può quindi che essere sistemico e pertanto non può prescindere da una conoscenza più approfondita delle sue molte cause, delle loro complesse dinamiche e interrelazioni e delle molteplici e gravi conseguenze.

Quando si verifica un grave evento avverso, le conseguenze possono coinvolgere tre tipi di vittime:

  • prima vittima: è ovviamente il paziente e la famiglia coinvolta;
  • seconda vittima: è il personale sanitario coinvolto (in termini di vissuto e del conseguente cambiamento dei comportamenti professionali e non solo);
  • terza vittima: è la stessa organizzazione sanitaria (in termini di ripercussioni negative sia sul personale, sia sull’organizzazione, sia di tipo economico); tale aspetto è, nonostante il verosimilmente notevole impatto sull’efficienza e sull’efficacia, molto poco conosciuto e quasi mai sinora è stato preso in adeguata considerazione e studiato.

Le conseguenze dei comportamenti difensivi possono essere di varia natura ma hanno quasi sempre una importante valenza emotiva e per questo sovente innescano una spirale negativa in termini di reattività, atteggiamenti clinici, organizzativi e gestionali: l’essere coinvolti in un vero o presunto grave evento avverso cambia, in genere negativamente, i comportamenti dei pazienti o dei loro familiari, degli operatori sanitari e a volte anche delle stesse organizzazioni sanitarie. La natura e gli esiti di questi comportamenti non sono sempre evidenti, spesso non sono tecnicamente corretti e sono solo apparentemente razionali; il tutto dà luogo ad una pericolosa falsa sicurezza. Da notare che tali meccanismi e dinamiche sono sostanzialmente identici a prescindere dalla reale colpevolezza di chi lo ha commesso e impattano negativamente su tutta l’organizzazione e il suo personale.

Conoscere le cause, le dinamiche e il reale impatto del fenomeno ha quindi rilevanza cruciale nella scelta delle azioni migliori da mettere in atto per contrastare il problema.

Nella letteratura primaria internazionale sono disponibili innumerevoli e differenti tipologie di studi originali sul tema della medicina difensiva, tuttavia essi sembrerebbero basarsi su limitate evidenze e pertanto, allo stato attuale, non è possibile determinare da essa conclusioni diffusamente estensibili in generale e nel nostro paese sull’entità globale, tutte le reali cause e i costi del fenomeno.

Il progetto «Medicina Difensiva: sperimentazione di un modello per la valutazione della sua diffusione e del relativo impatto economico» è stato realizzato dall’Agenzia nazionale per i servizi sanitari regionali (Agenas) con un finanziamento della Ricerca corrente del Ministero della salute, con l’obiettivo di sperimentare e validare una metodologia di valutazione e analisi del fenomeno MD al fine di mettere a disposizione delle istituzioni nazionali, regionali e aziendali lo strumento, estendendo successivamente tale analisi e valutazione su tutto l’ambito nazionale e/o regionale. Il fine, oltre a quello di acquisire informazioni preliminari in merito all’incidenza della MD nelle nostre strutture sanitarie, è quello di definire con più precisione le sue cause e le sue dinamiche per migliorare la tipologia e la gestione degli interventi finalizzati al suo contrasto.

Il progetto di questo studio “pilota” è partito dalla ricerca di una corretta definizione di MD così come intesa dalla letteratura internazionale. Sono stati posti come riferimento di base dei quesiti di ricerca coerenti con gli obiettivi del progetto e su questi è stata analizzata e sintetizzata tutta la relativa letteratura internazionale. È stato quindi progettato e realizzato un questionario allineato, anche per la confrontabilità dei dati, con detta letteratura.

Il questionario, tarato sulla letteratura internazionale e composto da 71 items, è stato somministrato con tecnologia web based, previa sperimentazione, su base volontaria e anonima, in quattro regioni scelte per distribuzione geografica (Lombardia, Umbria, Marche e Sicilia) cui hanno risposto 1.484 medici (60% ospedalieri, 20% ambulatoriali, 11% DEA/PS, 8% laboratorio e servizi tecnici) di 38 specialità. La numerosità del campione ottenuto è significativa per gli obiettivi e lo scopo del progetto (validazione del modello di valutazione della MD).

Sono stati quindi elaborati i dati e costruito un report. Gli obiettivi e gli output del progetto sono stati raggiunti.

Il 58% dei rispondenti ha dichiarato di aver esercitato attività di MD nell’ultimo anno. L’azione prevalente è stata la richiesta non necessaria di esami strumentali e di laboratorio (entrambi al 33%) e di visite specialistiche (16%). Il 6% di chi pratica MD riferisce di non fornire, per motivi difensivistici, cure potenzialmente efficaci ma ad alto rischio di complicanze, mentre il 4% riferisce per gli stessi motivi di evitare di assistere pazienti ad alto rischio di complicanze. Dell’intero campione il 93% ritiene che la MD è destinata ad aumentare.

Per quanto riguarda le cause il 31% del campione ritiene che la causa principale sia la legislazione sfavorevole al medico, il 28% il rischio di essere citato in giudizio, il 14% lo sbilanciamento del rapporto medico paziente ed in particolare le eccessive pressioni e aspettative del paziente e dei familiari.

Interessante notare che il 25% dei medici che praticano la MD non ritiene di averne tratto giovamento e che il 69% lo ritiene un fattore limitante la propria professione.

Fa invece molto riflettere il dato che il 42% degli intervistati ritiene che la MD distragga dall’obiettivo primario della centralità del paziente, che il 19% ritiene che incrementi il rischio per gli assistiti e il 14% ritiene che invece lo migliori perché (il 40%) il paziente crede di essere meglio curato.

Il 64% dei medici ritiene che aver assunto comportamenti di MD abbia ridotto il rischio di incorrere in procedimenti legali, il 34% che sia stato ininfluente e solo il 2% che abbia aumentato tale rischio.

Non sono state riscontrate differenze di opinione suddividendo le risposte per fasce di età.

L’86% dei medici che praticano MD ritiene che abbia aumentato i costi e il 14% che non abbia influito.

Per quanto riguarda l’impatto economico la MD incide sui costi del SSN per il 10,5% circa, per una cifra pari a 10 miliardi di €, cifra in linea con altre precedenti ricerche italiane. Tale cifra rappresenta la stima dei costi diretti sulla base della sovraprescrizione delle varie tipologia di prestazioni dovute a MD (in ordine decrescente: farmaceutica, visite specialistiche, esami di laboratorio ed esami strumentali). A questi sono da aggiungere i costi indiretti della MD negativa (tempo del personale, aumento della lunghezza della degenza, aumento dei tempi delle liste di attesa, ecc.). Importante tener presente che ai fini del risparmio di risorse non è pensabile ritenere l’intera cifra di 10 miliardi di € come eliminabile in quanto la parte oggettivamente aggredibile con interventi efficaci è sicuramente molto minore e oggettivamente limitata a quelle prestazioni che hanno una evidenza scientifica forte e inconfutabile.

Secondo gli intervistati gli interventi organizzativi principali per controllare il fenomeno della MD sono: riforma delle norme che disciplinano la responsabilità professionale (47%), maggiore interessamento da parte dell’opinione pubblica (19%), incentivi per le performance mediche positive (17%), maggior supporto da parte delle aziende (14%). Gli interventi professionali ritenuti importanti sono: aderenza alle evidenze scientifiche (17%), aggiornamento, migliore comunicazione con il paziente (16%).

Come visto lo studio, pur non dando risultati assoluti, fornisce importanti informazioni per ampie riflessioni, per la conoscenza del problema e per individuare interventi mirati al suo contenimento. Molto utile sarebbe l’applicazione di questo strumento a tutto il territorio nazionale.

La relazione integrale del progetto sulla medicina difensiva è scaricabile dal sito web di Agenas al seguente indirizzo: http://www.agenas.it/images/agenas/monitor/quaderno/pdf/15_medicina_difensiva.pdf.

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