PM&AL 2015;9(3)57-59.html

Il medico non incorre in responsabilità penale a fronte del ragionevole dubbio sul nesso di causalità. Commento a Corte di Cassazione - Quarta Sezione Penale, Sentenza 28 novembre 2014, n. 49654

Alessandro Buzzoni 1

1 Avvocato penalista, Foro di Rimini

Physicians don’t incur criminal responsibility if there is reasonable doubt about the causal link. Comment to: judgment of the Court of Cassation (28 November 2014, n. 49654)

Pratica Medica & Aspetti Legali 2015; 9(3): 57-59

http://dx.doi.org/10.7175/pmeal.v9i3.1195

Corresponding author

Alessandro Buzzoni

sanbuz@libero.it

Disclosure

L’autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Premessa

Nell’ambito delle decisioni giudiziali afferenti la responsabilità medica, si ritengono ormai consolidati e pacifici gli orientamenti giurisprudenziali che assumono quale caposaldo delle proprie argomentazioni il portato della nota sentenza “Franzese” della Corte di Cassazione a Sezioni Unite [1], secondo cui, sostanzialmente, allineandosi al principio di diritto della “dimostrazione di colpevolezza al di là di ogni ragionevole dubbio”, di cui all’art. 533 comma 1, del codice di procedura penale: «La condotta del medico che si configuri come colposa, in presenza di probabilità solamente causali, non rappresenta più la condicio sine qua non, senza la quale cioè, nel giudizio controfattuale, si può affermare che l’evento lesivo non si sarebbe verificato ma, al contrario, che anche senza quella condotta colposa (o meglio, in presenza di una condotta medica non colposa), si può dire che quel particolare evento si sarebbe potuto verificare ugualmente» [2].

Atteso il risalente ed esponenziale contenzioso medico legale in materia, non sono mancate ulteriori e successive decisioni della Suprema Corte in tema di responsabilità medica e nesso di causalità, in linea con quanto precisato acutamente nella sentenza delle Sezioni Unite.

Ancor più recentemente i giudici di legittimità, seguendo il solco segnato dalla sentenza “Franzese”, hanno avuto modo di occuparsi nuovamente dell’errore colposo del medico in genere, precisando ulteriormente che il semplice errore del medico non lo rende responsabile del danno cagionato al paziente, essendo necessario che sussista un nesso causale tra la sua condotta e l’evento dannoso. Il ragionevole dubbio sulla presenza di tale nesso di causalità, pertanto, non permette di giungere a una responsabilità del soggetto agente.

Il dettato della Corte di legittimità appare di notevole rilievo, aprendo ulteriori e nuovi scenari sul tema della necessaria dimostrazione dell’errore colposo in ambito medico sanitario, ai fini di una corretta dimostrazione dell’eventuale giudizio causale di responsabilità.

Il caso pratico

La fattispecie portata all’attenzione dei Supremi Giudici delle sezioni unite riguardava la vicenda di un medico che, in servizio di turno presso il Pronto Soccorso di un noto nosocomio, si trovava a essere accusato del reato di omicidio colposo per non avere esattamente diagnosticato una specifica patologia a carico di un paziente, in seguito deceduto per le complicanze della patologia in atto [3].

Tralasciando nello specifico la tipologia di affezione concreta, ciò che interessa in questa sede è sottolineare che nel primo grado di giudizio il sanitario veniva assolto con formula piena (perché il fatto non sussiste) dalla gravosa accusa formulata a suo carico, non essendovi, secondo l’organo giudicante «certezza sulla presenza del nesso causale tra condotta del medico e fatto dannoso», anche sulla scorta di quanto emerso dalle perizie e consulenze tecniche in atti.

Il primo giudice pertanto, escludeva in radice ogni forma di responsabilità dell’imputato, appiattendo il proprio giudizio alla luce della perizia e delle consulenze tecniche espletate nel corso del procedimento.

Detta decisione assolutoria veniva poi confermata dalla Corte d’Appello nel giudizio di secondo grado, «non essendo possibile stabilire con certezza dagli atti processuali, il preciso momento in cui il quadro clinico del paziente fosse divenuto indicativo della specifica patologia che ne aveva causato la morte».

La Corte territoriale precisava ulteriormente che, come stabilito dalla perizie in atti, in ogni caso anche «una immediata diagnosi e l’attuazione di idonea terapia non avrebbero, con alto grado di probabilità, potuto evitare l’evento-morte del paziente».

Non essendo dello stesso avviso, le costituite parti civili presentavano tuttavia ricorso per Cassazione avverso detta decisione assolutoria, confermata in secondo grado, lamentando un vizio di motivazione nella pronuncia impugnata atteso che la stessa, pur avendo «constatato un comportamento negligente dell’imputato, l’aveva ritenuto esente da ogni responsabilità, confermando la sentenza di assoluzione dall’accusa di omicidio colposo».

La decisione

Nel rigettare il ricorso per infondatezza dei motivi prospettati, la Corte di Cassazione ha inteso sgombrare il campo da qualsiasi dubbio, precisando in maniera alquanto sibillina con la sentenza in commento che «il giudice di merito ha fatto corretta applicazione dei principi sanciti dalla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo i quali, in tema di reato colposo omissivo improprio, l’insufficienza, la contraddittorietà e l’incertezza del nesso causale tra condotta ed evento, e cioè il ragionevole dubbio, in base all’evidenza disponibile, sulla reale efficacia condizionante dell’omissione dell’agente rispetto ad altri fattori interagenti nella produzione dell’evento lesivo comportano l’esito assolutorio del giudizio».

Con le proprie argomentazioni la Suprema Corte ha largamente sottolineato i risultati peritali e delle consulenze espletate in corso di causa, ritenendoli determinanti al fine di prendere atto «dell’esito incerto del giudizio controfattuale, in quanto, ipotizzata come realizzata la condotta dovuta, non è risultato provato che l’evento mortale si sarebbe evitato al di là di ogni ragionevole dubbio».

Il perito e i consulenti d’ufficio avevano infatti accertato che il medico, anche se avesse agito con la diligenza propria postulata dall’articolo 1176, comma 2, del Codice Civile [4], potendo riconoscere e identificare la patologia del paziente sino dal momento del primo ricovero, non avrebbe potuto condurre con il suo operato a esiti differenti dal decesso, in quanto la percentuale delle possibilità di guarigione – pur in presenza di una corretta e tempestiva diagnosi – era comunque grandemente ridotta (attestandosi intorno al 17-20%).

Da tali evidenze non poteva che discendere, pertanto, un giudizio assolutorio in favore del sanitario imputato, difettando la dimostrazione del nesso causale tra la condotta concretamente posta in essere e il decesso del paziente, atteso il limitato “effetto salvifico” di qualsiasi tipologia di attività del medico.

Sulla scia delle decisioni che si sono stratificate nel tempo a partire dalla nota e basilare sentenza “Franzese” delle Sezioni Unite, anche la recente pronuncia della Cassazione in commento, nel confermare l’assoluzione del sanitario imputato del delitto di omicidio colposo di cui all’art. 589 c.p. [5], ha voluto ribadire il principio di diritto secondo il quale «la responsabilità penale sussiste solo in presenza di un reale nesso causale tra la condotta imprudente o negligente dell’agente e il fatto dannoso, un rapporto di causa-effetto che assume i connotati di una condicio sine qua non che rende l’autore (il medico, nel caso di specie) irresponsabile qualora sia altamente probabile che la morte del paziente sarebbe parimenti soggiunta».

La sentenza “Franzese” delle Sezioni Unite aveva del resto ulteriormente precisato che il nesso di causalità tra condotta ed evento non può ritenersi integrato in base al semplice e solo “coefficiente di probabilità statistica”, posto che esso deve essere sempre verificato in base a un giudizio di “alta probabilità logica”, di modo che possa ritenersi configurabile solamente quando sia possibile appurare che, supponendo come realizzata la condotta doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi, l’evento con elevata credibilità razionale non si sarebbe verificato, ovvero si sarebbe verificato in un periodo significativamente posteriore o con minore energia offensiva.

Dall’esclusione del nesso di causalità tra condotta ed evento, dipendono dunque ancora oggi i sonni tranquilli dei sanitari eventualmente implicati in vicende giudiziarie.

Bibliografia

  1. Corte di Cassazione, Sezioni Unite Penali, 11 settembre 2002, sentenza n. 30328
  2. Codice di Procedura Penale, art. 533, comma 1
  3. Corte di Cassazione, sez. IV Penale, 28 novembre 2014, sentenza n. 49654
  4. Codice Civile, art. 1176, comma 2
  5. Codice Penale, art. 589

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