Aspetti medico-legali della teleradiologia. Che cosa ci hanno insegnato i casi di Marlia e Barga
Grazia Carosielli 1, Concetta Brugaletta 2, Alessandra De Palma 3
1 Specialista in Medicina Legale
2 Dirigente Medico U.O.C. Medicina Legale e Gestione Integrata del Rischio, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna
3 Direttore U.O.C. Medicina Legale e Gestione Integrata del Rischio, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico S. Orsola-Malpighi, Bologna
Abstract
Telemedicine is the use of information and telecommunications technology to provide, support and supplement traditional health care services at a distance, thus overcome the presence of physical, geographical, social and cultural barriers, and ensure effective and equitable availability of access to healthcare. However, in spite of the opportunities granted by the Telemedicine, its spread in the country is still affected by the presence of medico-legal problems.
Teleradiology, the sector with the most large application e-Health service, uses integrated systems capable of transferring multimedia remote radiographs, ultrasound and computerized axial tomography and magnetic resonance imaging, for their interpretation, to ask for a second opinion in particularly complex cases, for a collegial review of a case and, finally, for a diagnosis in cases of emergency.
In 2013, doctors and medical technicians of Radiology, working in two hospitals posted of AUSL 2 Lucca (“Marlia” and “S. Francesco di Barga”), were indicted for the crime of the unauthorised practice of the medical profession and for the violation of legal obligations relating to radiation protection. During the trials it was found that in the two hospitals were provided, after prescription, radiological basic building blocks, and the images were interpreted by a radiologist not present in the place, but using computer technology (RIS-PACS System).
Criminal trials under review, in which all defendants were acquitted as requested by the prosecution, suggest that if the evidence and the law had been further enhanced, already under preliminary investigation, criminal prosecution would not have even started. In addition, the changes introduced by the Telemedicine services – among them the reorganization of the mode of service delivery, and the revolution of the doctor-patient relationship – impose a reflection on how to evaluate the responsibility of the professionals involved.
Keywords: Telemedicine; Technology; Quality of care; Legislation; Liability
Medical-legal aspects of teleradiology: what the cases of Marlia and Barga taught us
Pratica Medica & Aspetti Legali 2015; 9(4): 99-105
http://dx.doi.org/10.7175/pmeal.v9i4.1212
Disclosure
Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo
Introduzione
L’ampia e capillare diffusione delle reti telematiche che ha investito ogni ambito della società, incluso quello sanitario, il costante incremento della vita media della popolazione, con l’inevitabile conseguenza di dover fornire risposte ad esigenze assistenziali diverse e sempre più complesse – in ragione anche del tipo di utenti, spesso anziani, nonché della natura di patologie da trattare, per lo più di tipo cronico – hanno rappresentato, rispettivamente, lo strumento e il fine ultimo per una riorganizzazione dei servizi sanitari da offrire ai cittadini. È stato, pertanto, sperimentato il trasferimento dell’assistenza sanitaria dall’ospedale al territorio [1], nella consapevolezza che è più sicuro, e anche meno costoso, non solo economicamente, ma pure in termini di disagio per le persone, spostare le informazioni sullo stato di salute, piuttosto che il paziente stesso [2].
In tale ottica, la telemedicina, ovvero l’uso delle tecnologie informatiche e delle telecomunicazioni per fornire e sostenere l’assistenza sanitaria quando la distanza separa coloro che ne usufruiscono [3], consente di integrare la prestazione sanitaria tradizionale, favorendo la trasmissione sicura di tutte le informazioni necessarie alla prevenzione, diagnosi, trattamento e monitoraggio sia di pazienti affetti da patologie croniche (per esempio il diabete, l’ipertensione, la depressione) e sui quali incombe l’insidia d’insorgenza di complicanze, sia di persone appartenenti a categorie considerate a rischio di sviluppare determinate condizioni morbose [1]. E non solo.
La diffusione delle tecnologie informatiche nel mondo sanitario ha permesso di raggiungere importanti risultati anche relativamente alla riduzione dei tempi di esecuzione di alcuni esami strumentali – con il contemporaneo miglioramento della qualità delle immagini ricavate, a tutto vantaggio dell’accuratezza del processo diagnostico – nonché alla possibilità di produrre referti e consulenze specialistiche in formato digitale, che si “spostano” in maniera più rapida e più sicura rispetto ai pazienti: in particolare, la possibilità di trasferire, attraverso reti di connessione spesso operanti in tempo reale, tutte le informazioni relative agli assistiti, consente di effettuare una visita, un consulto per i casi più impegnativi, finanche una diagnosi in caso di emergenza, con evidente innalzamento della qualità della prestazione sanitaria erogata. Inoltre, la possibilità di ottenere una consulenza a distanza rappresenta un metodo semplice ed efficace di integrazione e interazione tra curante e specialista.
Del pari, sempre nell’ambito del potenziamento della cooperazione fra le diverse figure professionali coinvolte nel percorso clinico-assistenziale del paziente, vanno menzionate altre due opportunità offerte dall’impiego delle tecnologie informatiche in ambito sanitario, ovvero la digitalizzazione della cartella clinica, nonché la possibilità di archiviare un numero rilevante di informazioni in uno spazio piuttosto contenuto, operazioni che non fanno altro che aumentare sensibilmente la possibilità di scambiare, all’interno e all’esterno del luogo di cure primarie, le informazioni relative ai pazienti, nell’intento di condividere maggiormente le decisioni diagnostico-terapeutiche da adottare [4]. Preme, altresì, rilevare come la possibilità di ricorrere all’uso di nuove tecnologie informatiche costituisca, per il personale sanitario, un’occasione di crescita sia a livello individuale, mediante l’acquisizione di ulteriori specifiche competenze, sia professionale, rendendo praticabile anche la via della formazione a distanza.
La telemedicina è, indubbiamente, uno strumento utile ed efficiente che permette di assicurare a tutti un’adeguata e qualificata assistenza sanitaria indipendentemente dalla presenza di barriere fisiche, geografiche, sociali e culturali, garantendo un’effettiva equità e disponibilità di accesso alle prestazioni sanitarie [1]. Il suo importante sviluppo negli ultimi anni ha consentito di migliorare la qualità del servizio sanitario erogato a fronte di un contenimento dei relativi costi di gestione. Infatti, l’impiego di moderne e sofisticate tecnologie ha permesso di riorganizzare e razionalizzare i servizi sociosanitari da erogare in termini di maggiore efficacia, efficienza ed appropriatezza, rendendo pienamente realizzato quel processo, avviato negli anni Novanta, di aziendalizzazione degli enti sanitari pubblici [5], di cui il contenimento della spesa di settore – anche in ossequio all’etica di una corretta allocazione delle risorse “finite” – ha da sempre rappresentato un importante obiettivo da perseguire.
Il settore che vanta una larga applicazione dei servizi della telemedicina è, senz’altro, quello della teleradiologia [6] che utilizza sistemi integrati multimediali in grado di trasferire a distanza immagini radiografiche, ecografiche, nonché di tomografia assiale computerizzata e di risonanza magnetica, per l’interpretazione delle stesse, per chiedere una seconda opinione in casi particolarmente complessi, per una revisione collegiale di un caso clinico e, infine, per una diagnosi nei casi di emergenza [7,8]. Nell’ambito della teleradiologia rientrano il teleconsulto, la teleconsulenza e la telegestione che, a fini clinico-diagnostici, rappresentano le modalità di realizzazione dell’atto medico radiologico che utilizza la tecnologia per la trasmissione a distanza di immagini e si avvale dell’interazione tra più figure professionali dedicate, in comunicazione tra loro.
In particolare, la telegestione consiste nella gestione di un esame diagnostico radiologico da parte di un medico radiologo – distante dal luogo di esecuzione dell’indagine – che si avvale della collaborazione del medico richiedente (rapporto formale tra due medici) e del tecnico sanitario di radiologia medica (TSRM), presenti sul luogo dell’effettuazione dell’esame e con i quali comunica, in tempo reale, per via telefonica e/o telematica [9].
I contesti organizzativi all’interno dei quali la Telegestione può trovare applicazione sono la teleradiologia intramuraria (quando il radiologo presta servizio presso la struttura che ha il rapporto diretto con il paziente, anche se le radiografie sono effettuate presso un’altra sede ovvero un’altra città) e quella extramuraria (quando il radiologo lavora presso un’azienda che non ha alcun tipo di rapporto con il paziente) [8].
Tuttavia, a dispetto delle opportunità concesse dalla telemedicina – fra le tante, la possibilità di riorganizzare e ottimizzare le prestazioni sanitarie, con conseguente riduzione dei costi a carico del Servizio Sanitario Nazionale, nonché una maggiore collaborazione fra i vari professionisti della salute coinvolti, e fra questi ultimi e i pazienti – la diffusione nel territorio nazionale appare ancora condizionata dalla presenza di problematiche di natura medico-legale [4, 10, 11], tuttora non completamente risolte e sulle quali si tornerà in seguito, oltre che da una certa forma di resistenza messa in campo dagli stessi professionisti che, sprovvisti del necessario substrato culturale e formativo, guardano con timore il cambiamento del rapporto medico-paziente, inevitabile effetto della rivoluzione del modello assistenziale operante fino ad oggi.
I casi
Il 9 aprile 2013, due medici e due tecnici sanitari di radiologia medica, in servizio presso l’AUSL 2 di Lucca – sezione distaccata intrapresidio di Marlia, venivano rinviati a giudizio per il concorso nel reato di esercizio abusivo di una professione, per la violazione degli obblighi di legge in materia di radioprotezione e, solo il Direttore Sanitario e il Direttore dell’Unità Operativa di Radiologia, per il reato di rifiuto di atti d’ufficio.
Pochi mesi dopo (1 luglio 2013), altri due medici e ben dodici tecnici sanitari di radiologia medica, in servizio presso l’AUSL 2 di Lucca – presidio ospedaliero “S. Francesco” di Barga, erano rinviati a giudizio per il concorso nel reato di esercizio abusivo di una professione, per la violazione degli obblighi di legge in materia di radioprotezione e, solo il Direttore Sanitario e il Direttore dell’Unità Operativa di Radiologia, per il reato di rifiuto di atti d’ufficio.
Durante il dibattimento fu possibile accertare che, in ambedue i presidi ospedalieri, erano effettuate, su prescrizione medica e previo ricorso al sistema di prenotazione delle prestazioni specialistiche ambulatoriali, indagini radiologiche di base – ovvero prive del ricorso al mezzo di contrasto – quali esame del torace, dell’apparato osteoarticolare e ortopantomografie. Poiché in nessuno dei due distretti era prevista la presenza fisica del medico radiologo, le immagini erano refertate a distanza presso l’Unità Operativa di Radiologia dell’Ospedale di Lucca, grazie alle tecnologie informatiche acquisite a seguito di ingenti investimenti economici regionali (Sistema RIS- PACS).
Con la sentenza pronunciata il 4 luglio 2014 tutti gli imputati per il caso “Marlia” erano assolti con formula piena (il fatto non sussiste), esito processuale che ha riguardato anche tutti gli imputati del caso “gemello” (“Barga”; udienza del 16 luglio 2015): in entrambi i procedimenti penali la richiesta di assoluzione, formulata dallo stesso Pubblico Ministero, è stata pienamente accolta dal Collegio giudicante, che era il medesimo per i due processi.
Commento
In merito alle condotte illecite rilevate, ai medici coinvolti in entrambi i procedimenti penali è stato contestato:
- di aver indebitamente rifiutato di garantire, nella sezione distaccata della struttura ospedaliera principale, la presenza stabile del medico radiologo per lo svolgimento di esami che imponevano la presenza dello specialista in Radiologia;
- di avere, in concorso con i tecnici sanitari, violato la normativa vigente in tema di giustificazione dell’esposizione alle radiazioni ionizzanti;
- di non aver effettuato un’accurata anamnesi per escludere un eventuale stato di gravidanza delle donne;
- di aver consentito che i tecnici sanitari esercitassero abusivamente la professione di medico specialista.
I comportamenti contestati che suscitano maggiore interesse sono quelli relativi all’operato dei tecnici di radiologia medica e, cioè l’avere svolto compiti di esclusiva pertinenza medica (inquadramento clinico-anamnestico dei pazienti, giustificazione dell’esame e acquisizione del consenso informato) e la violazione della normativa sulla radioprotezione.
In merito al primo addebito, l’art. 348 c.p. sancisce che «Chiunque abusivamente esercita una professione, per la quale è richiesta una speciale abilitazione dello Stato, è punito con la reclusione» (fino a sei mesi), ovvero con la multa. Questa norma – il cui scopo è la tutela dell’interesse pubblico relativo al normale funzionamento della Pubblica Amministrazione, mediante l’imposizione dell’esercizio di determinate professioni esclusivamente da parte di quanti sono in possesso di una speciale abilitazione amministrativa (c.d. “professioni protette”), al fine di garantire ai cittadini la presenza, in chi la esercita, dei requisiti di idoneità e capacità – si presenta come una tipica “norma in bianco”, in quanto presuppone l’esistenza di norme giuridiche speciali di riferimento.
Prima di entrare nel merito della valutazione relativa alla correttezza o meno del capo di imputazione così come formulato, appare utile richiamare la copiosa normativa che disciplina l’intera materia in esame, fra cui l’art. 24 della legge 31 gennaio 1983, n. 25 («Modifiche ed integrazioni della legge 4 agosto 1965, n. 1103, e al decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 1968, n. 680 sulla regolamentazione giuridica dell’esercizio dell’attività di tecnico sanitario di radiologia medica»), che prevede che «i tecnici sanitari di radiologia medica sono autorizzati ad effettuare direttamente, su prescrizione medica – anche in assenza del medico radiologo – i radiogrammi relativi agli esami radiologici dell’apparato scheletrico, del torace e dell’addome, senza mezzi di contrasto, secondo le indicazioni di carattere generale preventivamente definite dal medico radiologo, sia nel servizio radiologico centralizzato che nelle strutture decentrate; collaborano con il medico radiologo in tutte le restanti indagini diagnostiche di competenza radiologica». Il risultante profilo professionale è presente, in modo accuratamente delineato, nel Decreto Ministeriale Sanità 26 settembre 1994, n. 746 («Regolamento concernente l’individuazione della figura e del relativo profilo professionale del Tecnico Sanitario di Radiologia Medica»).
Altre importanti disposizioni sono contenute nella legge 26 febbraio 1999, n. 42 («Disposizioni in materia di professioni sanitarie») che, per le professioni sanitarie non mediche, abbandona la logica del mansionario in favore del riconoscimento di uno specifico profilo di natura professionale, nonché nella legge 10 agosto 2000, n. 251 («Disciplina delle professioni sanitarie infermieristiche, tecniche, della riabilitazione, della prevenzione nonché della professione ostetrica») in cui, dopo essere stato completato il percorso di responsabilizzazione e valorizzazione delle professioni sanitarie, vengono ridisegnate le competenze professionali delle medesime (art. 3): a ben vedere, ambedue i testi normativi si pongono nella direzione di riconoscere sempre maggiori spazi di autonomia e responsabilità per gli esercenti le professioni sanitarie non mediche.
E il tema della responsabilità di professionisti sanitari interessati dall’erogazione di una prestazione radiologica è affrontato espressamente dall’art. 5 del Decreto Legislativo 26 maggio 2000, n. 187 («Attuazione della direttiva 97/43/EURATOM in materia di protezione sanitaria delle persone contro i pericoli delle radiazioni ionizzanti connesse ad esposizioni mediche» e successive modifiche e integrazioni), ove si afferma che gli «aspetti pratici per l’esecuzione della procedura o di parte di essa possono essere delegati dallo specialista al tecnico sanitario di radiologia medica o all’infermiere o all’infermiere pediatrico, ciascuno nell’ambito delle relative competenze professionali», dovendosi intendere, per “aspetti pratici”, «le azioni connesse ad una qualsiasi delle esposizioni» mediche, quali «la manovra e l’impiego di attrezzature radiologiche, e la valutazione dei parametri tecnici e fisici».
Tali precisi limiti tecnici e deontologici sono stati ribaditi, peraltro, nel Codice Deontologico del Tecnico Sanitario di Radiologia Medica del 2004.
Sulla base della rapida disamina della normativa di riferimento, appare piuttosto evidente che il comportamento di tutti i tecnici sanitari di radiologia medica rinviati a giudizio nelle vicende esaminate sembra essere stato pienamente rispettoso delle competenze specifiche e dei relativi ambiti professionali, così come delineati dal legislatore, oltre che essere stato perfettamente in linea con quanto affermato dall’Istituto Superiore di Sanità in tema di teleradiologia (Linee Guida del 2010) [1], per cui la gestione a distanza di un esame radiologico da parte di un radiologo prevede la collaborazione del tecnico sanitario di radiologia medica, presente sul luogo di effettuazione dell’indagine diagnostica.
In merito all’acquisizione del consenso informato alla procedura radiologica, poi, occorre ricordare che sia per la qualifica professionale di cui è in possesso, sia per quanto contenuto nei documenti prodotti dalla Società Italiana di Radiologia Medica (SIRM) nel biennio 2010-2012, il tecnico sanitario è una figura professionale perfettamente in grado di fornire al paziente tutte le informazioni in materia di tecnologie e tecniche in uso, nonché sugli aspetti radioprotezionistici delle attività radiologiche poste in essere. Del pari, in base alle indicazioni contenute nel citato documento della SIRM, tale figura professionale risulta in possesso dei requisiti necessari per poter acquisire il consenso informato relativo all’esposizione ai raggi X da parte di una donna in età potenzialmente fertile, mediante la raccolta di una dichiarazione, debitamente sottoscritta dalla paziente, con la quale la stessa esclude la possibilità di una gravidanza in atto (procedura seguita in ambedue i presidi ospedalieri toscani). Preme rilevare, inoltre, come nei casi in esame (Marlia e Barga) si è trattato di esami diagnostici tradizionali che non prevedono l’uso di mezzo di contrasto e, pertanto, la necessità di acquisire un consenso esplicito in forma scritta è da considerarsi una ovvia maggiore capacità documentale.
Dunque, tutti i tecnici di radiologia imputati nei procedimenti penali in esame erano in possesso delle adeguate competenze in materia per fornire ai pazienti esaustive informazioni relativamente agli aspetti tecnici dell’indagine radiologica in programma e per raccogliere, altresì, il consenso all’esame, anche nei casi di pazienti di sesso femminile in età fertile.
Con riferimento alla violazione della normativa in materia di radioprotezione, giova precisare che l’art. 3 del D. Lgs. 187/2000, al fine di prevenire l’ingiustificata esposizione a radiazioni ionizzanti, stabilisce che per tutti i medici radiologi sussiste una specifica responsabilità derivante dalla necessità di valutare, per ciascun paziente, il rapporto fra benefici diretti per la sua salute e quella della collettività rispetto al danno alla persona che l’esposizione diretta potrebbe cagionare, nonché di vagliare la possibilità di ricorrere a tecniche alternative per ottenere il medesimo risultato diagnostico (c.d. “principio di giustificazione”).
Nei casi in esame, poiché nei presidi ospedalieri distaccati di Marlia e Barga erano effettuate esclusivamente prestazioni radiologiche di base (esami del torace, di segmenti scheletrici, delle arcate dentarie) – comportanti cioè la somministrazione di dosi di radiazioni ionizzanti estremamente esigue e perfettamente comprese entro i limiti di sicurezza per la salute pubblica – la giustificazione delle esposizioni di quel tipo di indagini radiologiche – peraltro sostenuta da un’adeguata prescrizione del medico richiedente – stante anche l’assenza di metodiche alternative, è risultata insita nella stessa procedura utilizzata, essendo il rischio di danno alla persona che la stessa può causare, praticamente inesistente (per l’esiguità della dose impiegata) e, comunque, certamente inferiore al beneficio atteso (diagnosi altamente probabile/corretta gestione del paziente). In altre parole, lo stesso art. 6 del D.Lgs. 187/2000, introducendo il concetto di «procedure inerenti le pratiche radiologiche clinicamente sperimentate», afferma il principio per cui, se, sulla base delle migliori prove di efficacia rinvenibili nella letteratura scientifica di riferimento, si riesce a dimostrare che una determinata indagine radiologica è in grado di rispondere efficacemente ad un quesito clinico, allora la procedura risulta appropriata, ovvero giustificata ex ante. Pertanto, agendo nel contesto di procedure cliniche e raccomandazioni ministeriali, il tecnico sanitario di radiologia medica può autonomamente, per le competenze tecniche acquisite nel corso della formazione universitaria e per la conseguente abilitazione all’esercizio della professione conferitagli dallo Stato, valutare la congruenza fra un determinato quesito clinico e l’indagine radiologica proposta.
Tale impostazione, oltre ad essere compatibile con il disposto dell’art. 3 del D.Lgs. 187/2000, consentirebbe, inoltre, di garantire appropriatezza e qualità delle prestazioni erogate, omogeneità di erogazione, nonché la riduzione bidirezionale di eventuali rischi, clinici per i pazienti e di natura medico-legale per i professionisti sanitari.
In definitiva, la possibilità conferita per legge a queste figure professionali di svolgere, previa prescrizione medica, l’attività radiologica di base – che non comporta, per esempio, l’impiego di mezzo di contrasto – in assenza del medico radiologo, ha privato i reati contestati dell’elemento oggettivo (condotta degli imputati non conforme alla normativa vigente), rendendo inevitabile, in ambedue i procedimenti penali celebrati, l’epilogo assolutorio con formula piena (il fatto non sussiste).
Conclusioni
Le vicende processuali esaminate hanno richiamato l’attenzione su alcune delle tante problematiche medico-legali correlate all’impiego degli strumenti di telemedicina. Fra queste, merita particolare attenzione il completo stravolgimento della relazione medico-paziente: infatti, la perdita del contatto fisico tra soggetti prestatori e destinatari dell’assistenza sanitaria, oltre a rappresentare un’inevitabile conseguenza del tipo di servizio erogato, priva la relazione in parola di quella componente dell’interazione personale che include vuoi aspetti eventualmente rilevanti a fini diagnostici (per esempio la palpazione di un organo e/o di un’area anatomica), vuoi l’importanza del linguaggio del corpo, da sempre efficace strumento di integrazione della comunicazione verbale [2].
Al netto di ciò, appare piuttosto ragionevole pensare che eventuali timori degli operatori sanitari sul punto potranno essere efficacemente superati investendo maggiormente sia sulla loro formazione – mediante l’adozione, già nel contesto universitario, di un programma strutturato di impiego delle apparecchiature di acquisizione delle informazioni e delle tecnologie di trasmissione dei dati, oltre che attraverso lo sviluppo di competenze di natura psicologica per umanizzare la relazione a distanza [1] – sia fornendo un’adeguata e completa informazione al paziente – che deve essere rassicurato circa la garanzia di cura – magari impiegando in quest’attività, in parte o completamente, proprio il tempo che il ricorso agli strumenti della telemedicina consente di razionalizzare.
Ovviamente, in tale contesto, per garantire che il processo decisionale risulti effettivamente condiviso, è necessario che al paziente siano fornite non solo tutte le informazioni relative al tipo di servizio erogato e al personale in grado di effettuarlo, ma anche, e soprattutto, siano comunicate tutte le situazioni, potenzialmente pericolose, che la natura elettronica della procedura in atto può comportare, quali:
- l’errata installazione/l’errato funzionamento delle apparecchiature con conseguente alterazione dei dati trasmessi e i possibili successivi errori diagnostici e/o terapeutici;
- l’inadeguata manutenzione o l’inadeguata gestione della strumentazione in uso;
- la rottura improvvisa delle apparecchiature ovvero un difettoso funzionamento delle stesse con interruzione e/o discontinuità di trasmissione dei dati/immagini [11].
A tal proposito, pare opportuno ricordare che sul costruttore ricade la responsabilità per danni prodotti a seguito del non corretto funzionamento delle apparecchiature in uso, nonché dell’errata indicazione dei tempi e della modalità di manutenzione delle stesse, mentre l’onere di vigilare sulla correttezza e l’efficacia del controllo periodico della strumentazione in dotazione incombe sui sanitari che, per quanto di propria competenza, sono tenuti a verificare «l’idoneità del sistema all’uso» [12], segnalando la sussistenza di eventuali anomalie di funzionamento.
Con particolare riferimento alla teleradiologia, ulteriori profili di responsabilità professionale in capo ai sanitari possono configurarsi in caso di:
- imperizia (per carente formazione, errata elaborazione/interpretazione delle immagini diagnostiche, sia in caso di prestazione professionale effettuata singolarmente, sia in équipe; omesso/ritardato ricorso ai servizi della teleradiologia per la risoluzione di un caso particolarmente complesso);
- imprudenza (pratica della teleradiologia in assenza delle adeguate capacità ed esperienza professionale);
- negligenza (pratica della teleradiologia in mancanza di idonee attrezzature strumentali) [12].
In quest’ultimo caso potrebbe ravvisarsi anche un coinvolgimento delle figure apicali delle strutture sanitarie, non essendo, il personale sanitario ivi operante, stato messo nelle condizioni di poter utilizzare le attrezzature idonee all’esercizio sicuro di questa nuova metodologia.
Altri importanti aspetti di natura medico-legale riguardano il tema della sicurezza e della confidenzialità dei dati in teleradiologia, con riferimento all’integrità e all’affidabilità dei dati trasmessi per via telematica, alla tutela della privacy del paziente, alla responsabilità degli atti compiuti. Il primo aspetto può essere affrontato e risolto solo avvalendosi di una soluzione di natura tecnologica, che attiene alla corretta configurazione del sistema informatico utilizzato, in grado cioè di garantire un’adeguata raccolta e trasmissione dei dati, prevenendone la violazione e l’inappropriata diffusione [11].
In merito alla tutela della privacy, il rispetto delle norme contenute nel D. Lgs 30 giugno 2003, n. 196 («Codice in materia di protezione dei dati personali») e successive modifiche e integrazioni, dovrebbe, unitamente all’adozione di opportuni sistemi di sicurezza (crittografia dei dati, autenticazione dell’utente, uso di password di sicurezza e di reti wireless protette, monitoraggio e controllo dei dati), porre gli operatori sanitari nella condizione di impiegare i servizi di teleradiologia con un buon livello di sicurezza.
Il problema della responsabilità degli atti nasce, invero, dalla constatazione che in teleradiologia l’esame radiologico è effettuato in assenza del medico specialista che referta, a distanza, l’esito dell’indagine. Tale situazione impone il ricorso alla firma digitale che garantisce l’ascrivibilità del documento al soggetto che lo ha sottoscritto, l’autenticità del contenuto, la non ripudiabilità (cioè l’impossibilità per l’autore di disconoscere la sottoscrizione o il contenuto del documento) e l’integrità del documento stesso, aspetti già affrontati dal legislatore nel D.P.R. 10 novembre 1997, n. 513 («Regolamento recante criteri e modalità per la formazione, l’archiviazione e la trasmissione di documenti con strumenti informatici e telematici») e dal D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82 e successive integrazioni e modifiche («Codice dell’Amministrazione digitale»).
Sempre in tema di responsabilità professionale, occorre ricordare che la carenza di normativa “specifica” per la telemedicina, impone che le più comuni problematiche di natura medico-legale vengano affrontate e risolte mediante l’interpretazione dei riferimenti normativi già esistenti e indirettamente applicabili. Pare, tuttavia, indiscutibile che, per la modalità di erogazione del servizio teleradiologico non possa prescindersi, in caso di errori diagnostici e/o terapeutici, dal concetto di condivisione, fra i diversi operatori sanitari coinvolti (medico richiedente o presente all’esecuzione dell’indagine, quando necessario; tecnico sanitario di radiologia medica; radiologo a distanza), della responsabilità, esattamente come accade per la prestazione sanitaria erogata in équipe. Infatti, sul sanitario a contatto diretto con il paziente – che rappresenta la figura professionale con cui si ritiene essersi formalizzato il contratto di cura [5] – incombe l’obbligo di trasmettere, in modo corretto e completo, i dati anamnestici, obiettivi e strumentali alla centrale ricevente, anche ai fini della giustificazione dell’indagine, nonché di eseguire correttamente le indicazioni diagnostico-terapeutiche ricevute; al tecnico sanitario è affidata la corretta esecuzione dell’esame; mentre al radiologo del sito ricevente spetta, oltre alla giustificazione dell’esame, la refertazione dello stesso.
Proprio per la sussistenza di strette interconnessioni fra le varie fasi del servizio, è necessario che ciascun professionista si adoperi, per la parte di propria competenza, con la necessaria diligenza, prudenza e perizia: tale atteggiamento sembra l’unico idoneo a vincere vuoi le perplessità dei pazienti, vuoi i residui timori dei professionisti, anche e soprattutto con riferimento ad eventuali ripercussioni in ambito medico-legale.
Le vicende processuali dei presidi ospedalieri di “Marlia” e “Barga”, esitate nell’assoluzione con formula piena di tutti gli imputati richiesta dallo stesso Pubblico Ministero, suggeriscono non solo che una maggiore valorizzazione, già in fase di indagini preliminari, delle testimonianze e della documentazione disponibile (normativa vigente), avrebbe probabilmente consentito di orientarsi verso la richiesta di archiviazione piuttosto che di rinvio a giudizio, ma anche che le novità introdotte dai servizi di telemedicina – fra tutti la riorganizzazione della modalità di erogazione del servizio e la rivoluzione del rapporto medico-paziente – impongono una riflessione sulla modalità di valutazione della responsabilità dei professionisti coinvolti, avendo bene in mente che «l’innovazione promessa dalla telemedicina non è quella di farci fare a distanza le stesse cose che si potrebbero fare in presenza del paziente, ma di stimolarci a fare quello che pensavamo di dover fare di persona, ma che in realtà si può fare a distanza [13]».
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