L’obiezione di coscienza: quel poco che sappiamo di lei
Fabio Cembrani 1, Gianluca Cembrani 2
1 Direttore U.O. di Medicina legale, Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento
2 U.O. di Medicina legale, Azienda provinciale per i Servizi sanitari di Trento
Conscientious objection: the little we know on it
Pratica Medica & Aspetti Legali 2016; 10(1): -7
http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v10i1.1234
Disclosure
È di prossima uscita un volume su questo tema a firma degli autori dell'editoriale.
La presentazione di un libro è sempre un’operazione molto delicata e davvero rischiosa per il pericolo concreto che si corre di essere travisati nelle reali intenzioni: il rischio, già grande quando ci si cimenta nel compito di dare un’interpretazione personale alle opere di altri Commentatori, aumenta, naturalmente, quando la presentazione riguarda un libro di cui si è Autori.
Di esso ne siamo consapevoli dovendo ammettere che la nostra consapevolezza è nata non ora ma nel momento stesso in cui l’Editore (cui va la nostra personale riconoscenza per il costante sostegno di cui siamo stati onorati) ci ha gentilmente chiesto di scrivere questo Editoriale. Che non si propone, in alcun modo, di dirigersi verso i trafficati lidi della promozione commerciale che affidiamo all’entusiasmo ed al coraggio dell’Editore ma di stimolare l’interesse del Lettore sul tema dell’obiezione di coscienza nel campo della cura: un tema di estrema attualità, particolarmente complesso («un’araba fenice») e di straordinaria pregnanza per «le sue molte reincarnazioni», come ha evidenziato Salvatore Prisco nella Sua dotta introduzione al nostro libro.
Perché essa rappresenta uno tra i più significativi riconoscimenti che l’esperienza giuridica contemporanea ha attribuito alla libertà personale e uno tra i riflessi più profondi dell’idea universale assegnata alla dignità umana che, però, si scontra con le legittime esigenze dell’ordinamento, con le sue stesse finalità, con il principio di legalità e con l’esigibilità dei diritti inviolabili iscritti in ogni persona umana. Ponendo essa un’infinita serie di criticità che si muovono tra due polarità opposte: tra la libertà del singolo da un lato e la solidarietà che la democrazia partecipativa impone a ciascuno di noi dall’altro. Non eludendo certo chi, in funzione del suo ruolo pubblico, svolge come molti di noi una specifica funzione che, sempre più spesso, può sollevare delicatissime questioni che investono le nostre personali coscienze, i valori di riferimento di cui siamo legittimi portatori, le nostre specifiche sensibilità e la nostra stessa umanità.
Non solo in quei campi della cura in cui l’obiezione di coscienza ha trovato un esplicito riconoscimento giuridico (la sperimentazione vivisettoria sull’animale, l’interruzione volontaria della gravidanza e gli interventi di procreazione medicalmente assistita) cui abbiamo dedicato il 2° capitolo del nostro libro, ma anche in quelli in cui si discute sulla legittimità del ricorso al suo utilizzo per potersi astenere dagli oneri attesi dall’ordinamento giuridico (esplorati nel 3° capitolo del libro). L’ambito della contraccezione di emergenza è, a questo riguardo, particolarmente problematico per i (dubbi) effetti post-fertilizzanti dei principi attivi messi sul mercato ed esso è la spia della moltiplicazione delle istanze di legittimazione dell’obiezione di coscienza che ha fatto assumere a questa categoria giuridica nuovi ed impensabili volti espressivi, modulati dalle ampie possibilità oggi offerte dalla tecnica, non certo esauribili nell’inizio e nel fine della vita. Come è accaduto anche per gli interventi di interruzione volontaria della gravidanza oggi realizzabili per via farmacologica, che hanno ampliato i dubbi e le incertezze riguardo all’ambito di applicazione dell’obiezione di coscienza per la profonda antinomia di cui si è, purtroppo, reso protagonista l’art. 9 della legge n. 194 del 1978: essendoci chi la estende a tutte le procedure antecedenti e successive all’atto interruttivo della gravidanza (ivi compresi gli accertamenti e le verifiche in capo alle strutture consultoriali) e chi, al contrario, la circoscrive alla sola esecuzione dell’intervento chirurgico cui si richiama la norma.
Il libro, che vede la luce con l’Editore SEEd di Torino, tratta di molte questioni.
In primo luogo, della coscienza e della possibilità di riconoscere ad essa una vocalità espressiva chiara, autentica, intonata e, soprattutto, veritativa visto l’elevatissimo numero di medici obiettori registrato in Italia: di avere, dunque, una coscienza personale, di mantenerla salda e di irrobustirla gradualmente senza cedere alle lusinghe dell’opportunismo, dell’egoismo, dell’interesse personale e dell’ipocrisia. Ed anche di cambiare il suo orizzonte espressivo quando ciò sia l’effetto di una maturazione autentica dell’individuo: sulla possibilità di avere, dunque, una coscienza a cui occorre guardare considerandola una straordinaria opportunità per la crescita del vivere collettivo, della solidarietà e della reciprocità.
Ma tratta, anche, delle relazioni tra lo Stato e i cittadini nella non pretesa di affermare primati o esclusività. Perché, se è necessario continuare a credere nell’equidistanza del potere costituito verso le diverse prospettive morali o religiose che si agitano nel tessuto sociale e le tante identità che compongono il pluralismo democratico, è altrettanto urgente affermare che nessun ambito confessionale mai potrà condizionare, a suo piacimento, la vita democratica in cui convivono opzioni morali diverse e modi, altrettanto diversi, di interpretare la visione del mondo.
E tratta, ancora, delle relazioni che esistono tra i diritti inviolabili e i doveri inderogabili, tra i beni primari e gli interessi collettivi, tra l’uti singulus e l’uti socius, analizzando anche le loro intersezioni etico-pratiche per l’ordinato vivere sociale.
Il libro tratta, dunque, usando il linguaggio rawlsiano, dell’idea pubblica di giustizia e della società intesa come mutuo sistema di cooperazione e di sviluppo.
Di questioni, dunque, ampie, davvero difficili ed ancora controverse ma vitali per la sussistenza e la sopravvivenza della democrazia, fors’anche della nostra continuità di genere. Visto che su di esse non esiste un accordo, nemmeno di massima, tra le agguerrite schiere degli interpreti che hanno affrontato l’obiezione di coscienza con approcci contrastanti, dubitativi, molto spesso antitetici, qualche volta contraddittori e altrettanto spesso inconciliabili. Essendoci chi la considera come il più forte traguardo raggiunto dalla democrazia costituzionale difendendola a tutti i costi a con ogni mezzo e, anzi, chiedendone il suo allargamento di orizzonte e il suo coraggioso esercizio da parte di tutti i consociati, ritenendolo vitale per la progressiva evoluzione dell’ordinamento; e, dall’altra, chi la considera una tra le più temibili minacce per l’ordine sociale costituito mettendo essa in discussione i diritti e le libertà dei cittadini, la tenuta della solidarietà, l’unità dell’ordinamento e la stessa idea di legalità su cui poggia il diritto. Che, senza di essa, verrebbe ad essere minato in modo permanente e irreversibile nelle sue stesse basi costitutive.
Chi appartiene alla prima schiera sottolinea il carattere conciliativo dell’obiezione e lo fa avvalendosi del rilievo costituzionale dato alla libertà di coscienza e, al contempo, dando fondo all’idea che lo sviluppo sincronico e coerente della personalità (art. 2 Cost.) non può far di essa a meno. Per affermare, in ultima analisi, che questa libertà deve essere salvaguardata a tutti i costi e con ogni mezzo e, anzi, allargata a tutti quei campi del vivere sociale sui quali esistono visioni morali controverse ed estesa a tutte le posizioni pubbliche per non tradire il principio di uguaglianza, fin’anche a quella esercitata dal Giudice. Con nuovi e inaspettati volti assegnati all’obiezione di coscienza, davvero dalle conformazioni somatiche impensabili fino a qualche decennio fa quando, con l’abrogazione dell’obbligo di leva, l’interesse per l’istituto obiettorio sembrava essere venuto meno.
A questa impostazione, si oppongono i (meno numerosi, ma non certo meno autorevoli) sostenitori dell’idea che la scelta del non facere davanti ad un ordine imposto dall’ordinamento giuridico ne ponga a repentaglio la sua unitarietà e la sua stessa legalità, diventando così uno strumento pericoloso di disgregazione della socialità e dell’ordine costituito. Una mazza (o una clava) che può essere brandita da chicchessia con l’obiettivo di rompere l’asse politico, pur deciso dalla maggioranza democratica; messa, paradossalmente, a disposizione dall’ordinamento nelle mani di ogni consociato e dei gruppi sociali minoritari che si possono così opporre alle decisioni da questa assunte, contrastandole sul piano politico. Dando così scacco alla legalità su cui si regge l’ordinato vivere civile che deve sapersi difendere ed ergere un argine invalicabile contro chi viola i divieti e contrasta i doveri inderogabili attesi dall’ordinamento, necessari per la sua stessa sussistenza. Anche perché, in alcuni campi del vivere collettivo (nell’interruzione volontaria della gravidanza, primo tra tutti), la schiera degli obiettori è diventata così folta e numerosa da mettere in discussione il diritto della donna a una scelta procreativa responsabile compromettendo la regolarità e la continuità del funzionamento dei servizi pubblici e così impedendo l’esercizio delle libertà che la legge pur ad essa riconosce.
C’è, dunque, chi sottolinea il primato assoluto della coscienza nella vita democratica rimarcando anche la natura dialogica e conciliante dell’obiezione e chi, invece, ne denuncia pubblicamente la sua pericolosa distruttività e l’anarchia di massa prodotta da quel ricorso collettivo ad essa auspicato, a più riprese, dalle nostre più alte Autorità confessionali.
Entrambe le idee espresse delle opposte schiere degli interpreti prestano, però, il fianco ad alcune ragionevoli critiche che abbiamo sviluppato nel nostro libro.
La posizione di chi difende l’obiezione di coscienza a tutti i costi e con ogni mezzo dimentica – o finge di non vedere – quali sono le sue conseguenze pratiche in alcuni campi del vivere sociale. Soprattutto in quelli in cui il non possum dell’obiettore incide direttamente sui diritti e sulle libertà degli altri consociati, mettendo a repentaglio la sussidiarietà delle istituzioni pubbliche e la stessa idea di solidarietà che ne rappresenta le fondamenta costitutive; come è avvenuto nel campo dell’interruzione volontaria della gravidanza dove l’esercito composto dagli obiettori ha ripetutamente colpito l’autonomia riproduttiva della donna e il suo diritto alla salute esponendo, al contempo, le organizzazioni sanitarie a sostenere oneri aggiuntivi per garantire in qualche modo il servizio e che potrebbero essere dedicati ad altro. Perché l’esercizio di ogni nostro diritto di libertà deve necessariamente fare i conti con l’idea di solidarietà e di mutua cooperazione che tiene assieme le maglie di una collettività nella cui rete coesistono aspetti culturali e umani profondamente diversi. Sottolineando che il loro esercizio pratico sarebbe puramente teorico senza questa prospettiva di fondo che è la sola a porci nelle condizioni di poter realmente esercitare i diritti e le libertà in un contesto concreto e vitale e non su un’isola deserta in cui, sul piano almeno teorico, ogni nostro comportamento può essere almeno teoricamente lecito. Perché un conto è vivere da soli su di essa essendo le nostre libertà soggette al solo vaglio condizionato dalle caratteristiche e dalle opzioni ambientali e dalle nostre necessità fisiologiche; un altro è, invece, scegliere responsabilmente di compiere il nostro arco di vita in un contesto collettivo dinamicamente ordinato dove gli orientamenti filosofici, religiosi e morali sono diversi e dove, proprio a causa di queste diversità, la scelta democratica durevole e sicura non è quella di agire con i mezzi della repressione o con l’oppressione, ma attraverso la cultura della sussidiarietà, del rispetto, della non discriminazione, della reciprocità e della solidarietà. Coltivando la non illusoria certezza che l’idea di giustizia è fatta sì di diritti e di libertà di base ma che esse, proprio perché siamo esseri umani, si devono relazionare, in prospettiva conciliante, con le ragioni pubbliche, con gli interessi collettivi, con i doveri inderogabili e con un’equa uguaglianza delle opportunità concesse a tutti. La conseguenza è che questa tesi non convince appieno, non tenendo in alcuna considerazione né gli aspetti che fanno da fondamento teorico all’idea della democrazia liberale né, almeno nel nostro Paese, gli effetti prodotti dall’elevatissimo (aberrante) numero di medici obiettori non chiamati a pagare alcun onere per la loro testimonianza pubblica.
Tuttavia, qualche ragionevole critica deve essere anche mossa anche alla tesi contraria. Chi afferma che l’obiezione di coscienza è un lusso che non ci possiamo più permettere forza, del tutto impropriamente, la perversione degli effetti pratici conseguenti al un suo utilizzo umorale. Arrivando al punto da considerarla, addirittura, un temibilissimo nemico dell’ordine e della legalità costituita dalla maggioranza e così scartando, frettolosamente, quella prospettiva teorica (non solo costituzionale ma anche antropologica) che deve essere salvaguardata e difesa. Perché negare il valore della coscienza e il diritto di ogni essere umano ad avere una coscienza è come amputare la persona umana di un suo tratto costitutivo specifico, individualizzante, irripetibile, anche se questo non significa certo posizionarla in uno spazio assiologico di ordine metafisico (o trascendente) ma di storicizzarla nella trama dei valori costituzionali e all’interno della stessa idea di dignità. Considerando, quest’ultima, non già come un (ulteriore) diritto che si affianca, per così dire, agli altri diritti e libertà sancite dalla trama degli ordinamenti ma come quel qualcosa che le caratterizza in maniera ordinata e che consente il loro effettivo esercizio dentro il vivere collettivo. Dando forma, spessore e volume alla democrazia che non è, certo, un vuoto di relazioni, di nessi e di significati, a prescindere dai condizionamenti metafisici, filosofici e politici religiosi che su di essa vanno comunque ad incidere. E la cui asticella è stata posta, dai nostri Padri costituenti, in una direzione straordinariamente performante che non possiamo trascurare.
Dunque, entrambi i poli estremi della discussione che il dibattito italiano registra sull’obiezione di coscienza non convincono appieno. Perché il primo forza la prospettiva teorica e antropologica della coscienza e della libertà del suo esercizio senza considerarne gli effetti pratici e la circostanza che la preminenza dell’una non può certo decretare la sconfitta dell’altra; e perché il secondo enfatizza le conseguenze pratiche del non possum coscienziale al punto, poi, da metterne in discussione la stessa legittimità del diritto di obiettare. Nella prima posizione prevalgono gli aspetti teorici a discapito degli effetti pratici; nella seconda si danno, invece, voce amplificante a questi ultimi ovattando, di conseguenza, gli aspetti della teorica costituzionale e della filosofia del diritto.
La nostra posizione è, per contro, sostanzialmente intermedia difendendo sì l’obiezione di coscienza (e il diritto dell’essere umano ad avere una coscienza) ma con una difesa che non elude i pericoli della sua strumentalizzazione e del suo uso improprio quando, addirittura, non umorale, di opportunità o di comodo. E mantenendola dentro il ristretto spazio perimetrale offerto dall’eccezione derogatoria dell’interposizione affidata al legislatore dell’urgenza che è chiamato a contenere quegli abusi numerici così preoccupanti registrati, almeno nel mondo sanitario, nel nostro Paese. La nostra idea di fondo è, dunque, che l’obiezione di coscienza deve essere interpretata come un’eccezione rispetto alla regola generale che chiede ad ogni consociato l’ubbidienza (non passiva ma consapevole) ai precetti dell’ordinamento, nell’ipotesi in cui il diritto del singolo può compromettere i diritti e le libertà degli altri. Quando, cioè, l’astensione o il non possum coscienziale incida non in astratto sulla loro concreta e piena esigibilità. Il che non significa abdicare all’idea che la coscienza continua a mantenere un ampio livello di protezione costituzionale: questo non è in discussione e, anzi, l’ordinamento nel suo complesso è doverosamente chiamato a dar spazio alle coscienze di ogni singolo consociato rafforzandone la promozione come bene di rango primario. Attraverso un doppio binario di tutela:
- riconoscendo uno spazio e una tutela generale ai moti dell’anima quando gli stessi non vanno ad incidere sull’esigibilità dei diritti di terzi, purché gli stessi non siano fonte né di disuguaglianze né di discriminazioni;
- una tutela particolare nell’ipotesi in cui il non possum dell’obiettore possa rappresentare un ostacolo reale e concreto alla soddisfazione e garanzia di questi diritti.
Perché, in questa seconda ipotesi, l’obiezione deve continuare ad essere una eccezione stabilita dal legislatore chiamato al difficile compito di disciplinare la deroga, anche se questo non significa ridurre né il livello di garanzia costituzionale assegnato alla coscienza né il diritto ad avere una coscienza.
Per rimanere tale, è pacifico che l’eccezione deve essere garantita e salvaguardata da qualcuno. Non certo dai diversi gruppi identitari ma dalla maggioranza parlamentare chiamata, nella prudente attività di regolamentazione, al difficile compito di caratterizzare il reale conflitto costituzionale senza cedere alle pressioni confessionali, come è avvenuto nel campo degli interventi di procreazione medicalmente assistita quando gli stessi (almeno inizialmente) non ponevano certo in discussione la possibilità di intervenire sugli ovociti fecondati. Disciplinando il suo esercizio pratico, nelle ipotesi in cui ciò è realmente necessario, con vincoli procedurali non solo legittimi ma soprattutto produttivi di effetti pratici, bilanciando, sempre e comunque, i diritti inviolabili con i doveri inderogabili e ricercandone un loro, non sempre semplice, punto di equilibrio. Per non farla diventare un’opzione di comodo o una vera e propria forma di lotta politica perpetrata con la resistenza e con la disubbidienza civile che sono altre fattispecie rispetto al non facere obiettorio. Ed insistendo, di necessità, sulla prestazione sostitutiva che ci sembra essere il solo strumento che può essere legittimamente usato nell’interposizione perché la coscienza mantenga viva la sua struttura veritativa, non essendo consentito alcun esame intrusivo nel vaglio coscienziale da parte di chicchessia. Senza verità la coscienza si svilisce, perde forza e vigore, si trasforma nei fantasmi più o meno spaventosi ma comunque sempre temibili dell’egoismo imperante o dell’ipocrisia diffusa, perdendo il suo nucleo genetico connotativo. E non dimenticando che, proprio in quanto testimonianza pubblica, il non possum coscienziale pretende il pagamento di un prezzo non in astratto ma concreto; la cui onerosità dovrebbe essere tanto maggiore quanto più elevato è il pregiudizio arrecato dall’obiettore al regolare funzionamento dei servizi, al perseguimento degli obiettivi cui essi sono rivolti e alla stessa esigibilità dei diritti di chi al servizio si rivolge esprimendo un bisogno.
Questa è la nostra personalissima opinione che sottoponiamo all’attenzione del Lettore e al dibattito che ci auguriamo possa anche delineare le strade future su cui sarà possibile incamminarci che richiedono, a nostro modo di vedere, la costruzione di un diritto generale e unitario dell’obiezione di coscienza. Anche se ciò non significa cavalcare l’idea di attribuire alla coscienza un primato indiscutibile, senza “se” e senza “ma”, mettendo così a repentaglio l’uso equilibrato che deve essere assegnato al catalogo delle tante libertà. Ed eludere, così, l’esigenza di trovare un accordo su quali sono i suoi caratteri costitutivi, sui limiti all’esercizio di questo diritto che non può essere incondizionato e illimitato, sui suoi vincoli e sulle sue modalità espressive verificando, in particolare, se essi possono essere o meno desunti dagli interventi legislativi fin qui approvati o, in alternativa, se occorre individuarli ex novo desumendoli dai principi di rango costituzionale e tenuto comunque conto delle necessità imposte dal vivere democratico.
Il nostro sforzo, che affidiamo all’intelligenza del Lettore, è stato così quello di sviluppare la prospettiva riconciliante dell’obiezione di coscienza con l’obiettivo di ridare nuova luce e rinnovato vigore alle condizioni di base della democrazia. Perché senza queste condizioni il rischio effettivo è quello di trasformare il vivere collettivo in un arido terreno in cui è destinato a prevalere l’egoismo, l’opportunismo e l’interesse personale. E così provando a ricollocare il diritto all’obiezione di coscienza dentro la trama della società che gli individui decidono responsabilmente di costruire come sistema di mutua (e reciproca) cooperazione riconoscendo le diversità non componibili che esistono tra le diverse fedi religiose e le molte opzioni filosofiche e morali. Nella consapevolezza che non può mai essere decretato un loro ordine gerarchico nel senso che ogni religione e ogni opzione morale ha il diritto di sopravvivere accanto alle altre, purché essa sia ragionevole. Ben sapendo che ragionevolezza e razionalità non sono sinonimi e che le verità dogmatiche (o rivelate) non possono sempre essere sottoposte al tribunale della ragione. Anche perché esse cesserebbero di essere verità dogmatiche che, in quanto tali, sono sottoposte al solo vaglio della fede.
Per chi desidera approfondire
L’obiezione di coscienza nella relazione di cura
Fabio Cembrani, Gianluca Cembrani
Edizione stampata
ISBN 978-88-97419-65-5
17x24 cm
390 pagine
Prezzo: € 35,00
Edizione ebook
ISBN 978-88-97419-66-2
Prezzo: € 24,99
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L’obiezione di coscienza rappresenta uno dei più significativi riconoscimenti che l’esperienza giuridica contemporanea ha dato alla libertà individuale. Tuttavia è una tematica ostica, di difficile composizione, quasi “di frontiera”, che molto spesso si scontra con il principio di legalità, gli interessi collettivi e i diritti di terzi, specialmente nel campo del diritto alla salute.
In questo volume gli Autori delineano con grande precisione un attento catalogo delle normative sull’obiezione di coscienza attualmente in vigore, passandone in rassegna i profili costituzionali e i limiti procedurali. Vengono quindi illustrati quei campi dell’agire professionale in cui l’obiezione di coscienza ha trovato pieno ed effettivo riconoscimento giuridico: la vivisezione animale, gli interventi di interruzione volontaria della gravidanza e la procreazione medicalmente assistita.
Per finire, gli Autori affrontano quei campi della relazione di cura in cui è ancora in discussione la legittimità del non facere coscienziale del medico e degli altri professionisti della salute, come la contraccezione farmacologica di emergenza, il rifiuto alle cure e l’accertamento della morte.