PM&AL 2016;10(3)85-90.html

Il concetto medico legale di «lavoro usurante» in ambito previdenziale: corretta applicabilità nella pratica valutativa presso i Centri Medico Legali (CML) INPS

Marcella Scaglione 1,2, Michele Sammicheli 1,2

1 Medico chirurgo specialista in Medicina Legale

2 Medico esterno convenzionato, CML INPS di Siena

Abstract

Some work categories are considered difficult for the effort they need, thus requiring a specific categorization. These work categories are defined as “arduous”. The article describes the recognition for certain job categories of the arduous status in the evaluation practice among the medico legal departments (Centri Medico Legali – CML) of the Italian national welfare institute (Istituto Nazionale della Previdenza Sociale – INPS).

Frequently, the adjective “arduous” is attributed to work categories that are not defined in that way by the physicians of the INPS Institute, by the family doctors who draw up the medico legal certificates (the so called “SS3” certificates) and by the doctors who work at the so called “Patronato”, an Italian social organization which offers medical and legal services to all citizens.

The article aims to define the working activities for which it is suitable to use the categorization “arduous” and highlight at the same time those work categories for which such a categorization is not always applicable.

This research describes some cases observed by our medico legal department of the incorrect use of the categorization “arduous” for work activities that should not be considered as such. The purpose of the article is to provide a short guide to family doctors and physicians who work at “Patronato” on how to properly categorize a work as “arduous” in the context of the social security medicine.

Keywords: Arduous work; INPS; Italian law 222/1984; Job categories

The medico legal concept of «arduous work» in the social security medicine and its proper application in evaluation practices among the medico legal departments (CML) of the Italian national welfare institute (INPS)

Pratica Medica & Aspetti Legali 2016; 10(3): 85-90

http://dx.doi.org/10.7175/PMeAL.v10i3.1275

Corresponding author

Marcella Scaglione

marcellascaglione@libero.it

Disclosure

Gli autori dichiarano di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo

Definizione di lavoro usurante

Nel 1982, Redaelli e Iacovelli [1] descrivevano il lavoro usurante come quello che «richiede al lavoratore uno sforzo eccessivo con conseguente abbattimento delle sue residue energie psicofisiche ad un livello tale che il periodo di riposo successivo non risulta sufficiente al loro reintegro: da ciò deriva un logoramento delle strutture psico-fisiche del soggetto, interessante particolarmente gli organi già menomati per precedenti affezioni» [2,3].

Il concetto di lavoro usurante venne normato, circa un decennio più tardi, nel Decreto Legislativo n. 374 dell’11 agosto 1993, il quale, all’articolo 1, definiva «usuranti» quei lavori per i quali «… è richiesto un impegno psicofisico particolarmente intenso e continuativo, condizionato da fattori che non possono essere prevenuti con misure idonee» [4].

Il predetto decreto legislativo elencava, nell’allegata tabella A, quelle tipologie lavorative da considerarsi usuranti; tra queste, si annoverano il lavoro continuativo notturno, i lavori alle linee di montaggio con ritmi vincolanti, i lavori in galleria, cava o miniera, quelli espletati direttamente dal lavoratore in spazi ristretti, i lavori in altezza, i lavori in cassoni ad aria compressa e quelli svolti dai palombari, i lavori in celle frigorifere o all’interno di ambienti con temperatura uguale o inferiore a 5 gradi centigradi, i lavori ad alte temperature. Sono, ancora, elencati come lavoratori sottoposti a particolare usura gli autisti di mezzi rotabili di superficie, i marittimi imbarcati a bordo, il personale dei reparti di pronto soccorso, rianimazione o chirurgia d’urgenza, i trattoristi, gli addetti alle serre e fungaie e i lavoratori dediti all’asportazione dell’amianto da impianti industriali, da carrozze ferroviarie e da edifici industriali e civili.

Tale decreto legislativo sanciva dei benefici pensionistici per i lavoratori esposti a particolare usura, come poi ribadito dalla legge n. 388 del 23 dicembre 2000, art. 78, commi 8-13, e fatta propria dall’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale con circolare n. 115 del 25 maggio 2001; questa descriveva le condizioni per il riconoscimento del beneficio della riduzione dei requisiti di età anagrafica e contributiva per il pensionamento di anzianità e di vecchiaia per i lavoratori che risultino aver svolto mansioni particolarmente usuranti in ragione delle caratteristiche di maggiore gravità dell’usura, nel periodo compreso tra la data dell’8 ottobre 1993 ed il 31 dicembre 2001 [5].

Come ci ricorda Fallani [6], il lavoro usurante non indica, infatti, un rapporto di lavoro individualizzato bensì precise tipologie lavorative con caratteristiche di richieste energetiche e psichiche, con modificazioni del bioritmo, con esposizione obbligata e non altrimenti bonificabile a variazioni climatiche-ambientali, le quali agiscono negativamente su una popolazione di lavoratori con la stessa intensità di danno. Nei soggetti affetti da determinate patologie il lavoro usurante determina l’instaurarsi di un logoramento psicofisico più gravoso e rapido rispetto ai soggetti affetti dalle medesime patologie ma non sottoposti a lavoro usurante.

Va considerato che l’usura da lavoro è da intendersi come concreta ed attuale e non come possibile e/o potenziale; il soggetto deve, cioè, subirne concretamente gli effetti che devono rendersi palesi in un tempo più o meno breve. In altre parole, non è da considerarsi usurante quel lavoro di cui sia ipotizzabile un’azione dannosa lontana nel tempo, tanto da coincidere con il normale, fisiologico, invecchiamento dell’individuo, né tanto meno quel lavoro che possa cagionare un ipotetico futuro peggioramento di una patologia [7]. Si tratta, quindi, di un “danno futuro” o “di previsione”, che pur non essendosi ancora realizzato, si può ragionevolmente prevedere e costituisce una concausa di lesione che si realizza in un tempo medio o lungo, condizione quest’ultima che differenzia il lavoro usurante dal lavoro controindicato, che è una concausa di lesione con rapida evoluzione (si rammenti, ad esempio, l’operaio dedito al sollevamento di ingenti gravi ed affetto da un recente evento ischemico cardiaco) [8].

Si ricordi, infine, che l’usura nasce dallo scontrarsi tra la faticosità prodotta dal tipo di lavoro espletato e la patologia o il complesso morboso presentati dal lavoratore [9,10]; ecco che una mansione lavorativa può diventare usurante per un tipo di patologia molto più che per un’altra. Ad esempio, le mansioni che prevedono l’utilizzo di macchine vibranti o lunghi periodi alla guida di automezzi divengono più usuranti, cioè responsabili di un maggior logorio psico-fisico, nel caso di patologie osteo-articolari o rachidee che non nel caso di patologie polmonari o cardiache. Al contrario, l’esposizione a basse o alte temperature o il sollevamento ripetuto di pesi eccessivi divengono più usuranti nel caso di patologie cardiache, così come le mansioni che prevedono il mantenimento della stazione eretta prolungata divengono maggiormente usuranti per le patologie da insufficienza venosa, le tromboflebiti o le vasculopatie di altra natura. Lavori routinari, quelli con ritmi serrati e tempi obbligati, lavori di responsabilità, che espongono il soggetto ad elevato stress psichico divengono più usuranti, invece, nei soggetti affetti da patologia mentale, quali psicosi o sindromi ansioso – depressive, che non in lavoratori affetti da patologia osteo-articolare [11].

Il concetto di lavoro usurante nel contesto della legge 222/84

Il concetto di lavoro usurante entra in gioco, nella pratica valutativa previdenziale stabilita dalla Legge n. 222 del 12 giugno 1984, fondamenta della moderna revisione della disciplina dell’invalidità pensionabile INPS, nel caso di assicurati che si trovino in attualità di lavoro.

Infatti, la valutazione dello status di invalido si differenzia tra quella del soggetto che, al momento dell’accertamento medico legale, non esplichi alcuna attività lavorativa e quella del soggetto che, invece, al momento della visita medica, si trovi in costanza di lavoro.

Nel primo caso, invalido è da considerarsi colui la cui capacità di lavoro (concetto che si è venuto, pian piano, sostituendo a quello di capacità di guadagno), in attività confacenti, sia ridotta a meno di un terzo. Nel secondo caso, invece, ciò qualora il soggetto stia svolgendo un’attività lavorativa, è da considerarsi invalido colui che lavori in condizioni di particolare usura, declassamento di mansione o svolga un’attività di tipo caritativo. Si rammenti infatti che «il carattere usurante dell’impegno in attività confacenti alle attitudini dell’interessato rileva anche ai fini del giudizio sulla riduzione della capacità di lavoro richiesta per l’attribuzione dell’assegno ordinario di invalidità previsto dall’art. 1 Legge 12 giugno 1984, n. 222» [12].

Spesso, quindi, il medico INPS, nell’atto di definire o meno invalido ex lege 222/84 un soggetto in costanza di lavoro, deve stabilire se l’attività da questi espletata sia o meno usurante, essendo le fattispecie del declassamento lavorativo e dell’attribuzione di un lavoro caritativo ben più rare nella pratica valutativa presso i Centri Medico Legali INPS.

Il medico esaminatore viene, così, a muoversi in un terreno scivoloso e pieno di insidie, che porta, sovente, a riconoscere usuranti, nella loro globalità, attività lavorative per le quali, invece, solo specifiche mansioni rivestono questa caratteristica. La distorsione del concetto di “lavoro usurante” viene amplificata, spesso, in fase di visita medica per ricorso sanitario, allorquando il medico di Patronato, chiamato ad assistere alla visita medico legale, non vedendosi riconosciuta la prestazione, si aggrappa, nelle sue note critiche, al concetto di usura lavorativa spesso in maniera impropria.

Ancora, nei certificati di presentazione per le domande di invalidità previdenziale, i cosiddetti modelli SS3, anche i medici di famiglia ricorrono, talora in maniera impropria, all’appellativo usurante. Ecco, così, che l’attività dell’operaio muratore e quella dell’artigiano edile divengono lavori usuranti, al pari di quella di un magazziniere che lavori in altoforno o in un’industria di terrecotte o quella di un addetto al confezionamento che lavori presso un caseificio.

Non si vengono, cioè, a valutare le singole e specifiche mansioni che un soggetto svolge, ma ad includere la sua attività lavorativa nel novero dei lavori usuranti solo perché, occasionalmente, impiegato in mansioni che prevedono lavori in altezza, in ambienti ristretti, con esposizione a basse o alte temperature.

Casi commentati

La descrizione e la successiva analisi critica di alcuni casi reali riscontrati nella pratica valutativa effettuata presso il nostro CML può essere chiarificatrice sul non corretto utilizzo del concetto di lavoro usurante in riferimento alla valutazione medico legale in ambito previdenziale.

Caso n.1

Sintesi

Uomo di anni 55, macellaio dipendente presso la grande distribuzione, affetto da lombosciatalgia da ernia discale L5-S1 e da rottura del tendine del muscolo sovraspinato della spalla destra a modico impegno funzionale in individuo destrimane.

Il soggetto, riconosciuto in prima istanza non inabile e non invalido in subordine ex lege 222/84, vedeva confermato il giudizio di reiezione sia dello status di inabilità che di quello di invalidità in sede di ricorso sanitario. Il medico del Patronato, concorde sulla diagnosi ma discorde sulla valutazione medico legale, argomentava il suo giudizio asserendo che “il danno neurologico all’arto inferiore destro associato all’impegno funzionale della spalla destra rendevano il lavoro usurante”.

Considerazioni

Il lavoro di macellaio dipendente non può assimilarsi, tout court, a lavoro usurante.

Nella fattispecie in esame, trattavasi di un macellaio che operava presso una macelleria di un supermercato. Pur potendo il soggetto lavorare in ambienti ristretti o a bassa temperatura, muovendosi, tra la sala di lavorazione delle carni, il bancone della vendita e le celle frigorifere, non si configurano i caratteri di intensità e continuità temporale del logoramento psicofisico proprio della malattia usurante; in altre parole, a ben analizzare la mansione lavorativa alla quale il soggetto in esame era adibito, questi non presentava un’esposizione duratura e permanente, nell’arco del turno di lavoro, alle basse temperature delle celle frigorifere, né, tantomeno, era impiegato continuativamente al sollevamento di pesanti carichi di carni, che spesso era facilitato da sollevatori ed avveniva con la collaborazione fattiva dei colleghi.

Caso n. 2

Sintesi

Donna di anni 41, operaia addetta alla caseificazione, affetta da artrite psoriasica a maggior impegno assiale, tipo sacroileite, in terapia con corticosteroidei e farmaci immunosoppressori (leflunomide, Arava©).

Il soggetto veniva riconosciuto, in prima istanza, non invalido ex lege 222/84, giudizio confermato anche nel successivo ricorso sanitario. I medici dell’Istituto che avevano trattato la pratica riportavano, in esame obiettivo, che la patologia di cui soffriva la donna era causa di una ridotta limitazione funzionale sia assiale che articolare; né il medico che aveva esaminato la pratica in prima istanza, né quello che aveva visitato la paziente in fase di ricorso sanitario, descrivevano l’attività lavorativa della donna come usurante.

In sede di visita collegiale, il medico del Patronato, discorde sulla valutazione medico legale, argomentava il suo giudizio affermando che «la donna è affetta da un quadro patologico e clinico-articolare che ne limita fortemente l’attività lavorativa specifica in considerazione della pressoché costante esposizione al freddo e che, in rapporto alla patologia sofferta, può ritenersi usurante».

Il soggetto, che ha poi adito alla via giudiziaria, si è visto riconoscere, dal consulente tecnico medico legale nominato dal Giudice del Lavoro del Tribunale di competenza, lo status di invalido INPS dalla data della domanda amministrativa; il CTU (Consulente tecnico d’ufficio), nella sua relazione di consulenza medico legale, argomentava la propria valutazione, sottolineando di fatto l’usura dell’attività lavorativa svolta dalla donna, che la esponeva costantemente a sbalzi termici, in rapporto alla patologia presentata, responsabili, sinergicamente, di un logorio psico-fisico accelerato rispetto a quello di qualsiasi altro lavoratore del medesimo comparto.

Considerazioni

Nel caso in oggetto, in virtù della patologia presentata dalla donna (malattia reumatologica che può mostrare un decorso più aggressivo e rapido se non viene limitata l’esposizione a sbalzi termici continui), la mansione lavorativa espletata può configurarsi quale usurante.

Trattavasi, infatti, di un’operaia caseificatrice la quale, in maniera ininterrotta, durante tutto l’arco del turno di lavoro, era impegnata nella produzione di formaggi e latticini, immergendo le mani nell’acqua delle vasche di affioramento dei prodotti caseari.

Dall’anamnesi lavorativa presente nelle relazioni di visita medica presso l’INPS, si apprende come il medico competente dell’azienda, a seguito del rilievo della patologia artritica, aveva disposto di limitare temporalmente l’utilizzo della lavoratrice al processo di caseificazione, rimansionandola allo stoccaggio dei formaggi, che avveniva, però, sempre in ambiente a bassa temperatura.

Nonostante il cambio di mansione, quindi, il lavoro di caseificatore costituiva indubbiamente, per la donna, attività di tipo usurante, proprio in virtù della patologia presentata (anche se cagione di una ridotta limitazione funzionale sia assiale che degli arti), dell’ambiente in cui il lavoro veniva svolto e della continua esposizione a sbalzi termici nonostante il rimansionamento.

Corretto è da considerarsi, quindi, in questo caso, il ricorso all’aggettivo usurante per l’attività espletata dalla donna mentre è da ritenersi alquanto discutibile la valutazione medico legale a cui sono giunti i due sanitari dell’Istituto che hanno trattato la pratica della lavoratrice in prima istanza e in fase di ricorso amministrativo.

Caso n. 3

Sintesi

Uomo di anni 45, operaio trattorista presso una piccola azienda agricola, affetto da spondilodiscoartrosi con ernie discali a livello di L2-L3, L3-L4 e L4-L5 associato a lombosciatalgia refrattaria alla terapia medica a base di antinfiammatori non steroidei e miorilassanti.

Il soggetto, non riconosciuto invalido in prima istanza per la legge 222/84 è stato poi valutato, dal medico INPS in fase di ricorso, come invalido.

Nel certificato SS3, stilato dal medico di famiglia all’atto di presentazione della pratica all’Istituto, lo stesso sanitario aggettivava l’attività lavorativa espletata dal soggetto come usurante. L’aggettivo era stato condiviso dal medico esaminatore INPS in fase di ricorso, il quale, nel giudizio medico legale conclusivo (modello SSV/coll), scriveva: «Uomo di anni 45, operaio trattorista in attività usurante presso azienda agricola di piccole dimensioni, affetto da lombosciatalgia in spondilodiscoartrosi lombare a media ripercussione funzionale sul rachide».

Il medico che aveva trattato la pratica in prima istanza, invece, non aveva adeguatamente approfondito il possibile aspetto di usura dell’attività svolta, limitandosi a considerare la ripercussione funzionale prodotta dal quadro spondilodiscoartrosico a modica incidenza funzionale. Nell’esame obiettivo riportato nel modello SS4, infatti, questi certificava una «limitazione di oltre 1/3 della flessoestensione del rachide lombare, Lasegue bilateralmente ++-, Wassermann positivo in sede bilaterale»; nessun accenno, invece, veniva fatto al rapporto tra l’entità delle limitazioni funzionali prodotte dalla patologia e l’attività lavorativa espletata, nel concreto, dall’uomo.

Considerazioni

La specifica mansione di operaio trattorista svolta dal soggetto può configurarsi quale attività usurante, sia in considerazione del tipo di patologia sofferta dall’uomo (spondilodiscoartrosi lombare con sintomatologia sciatalgica non responsiva alla terapia farmacologica) sia del suo contesto lavorativo: trattavasi, infatti, di una piccola azienda agricola di solo tre operai, nella quale era difficilmente ipotizzabile un rimansionamento che escludesse l’attività di trattorista od il sollevamento di carichi. Tanto più se si pensa che l’azienda agricola era dedita alla produzione di ortaggi in pieno campo, per la coltivazione dei quali le attività di aratura, semina e raccolto a mezzo di macchine agricole costituiva la pratica quotidiana. Difficile, quindi, se non impossibile poter escludere il lavoratore dall’insulto continuativo nel tempo delle vibrazioni prodotte dai mezzi agricoli.

Corretta, in questo caso, appare l’utilizzazione dell’aggettivo usurante da parte del medico di famiglia nel certificato SS3 di presentazione del quadro morboso ai sanitari dell’Istituto Nazionale di Previdenza Sociale.

Caso n. 4

Sintesi

Uomo di anni 54, operaio edile presso una grande ditta di costruzioni, affetto da cardiomiopatia dilatativa in fase iniziale e in buon compenso emodinamico (frazione di eiezione cardiaca pari a 48% in assenza di anomalie ecocardiografiche del ritmo).

Nel certificato SS3 redatto dal medico di famiglia si leggeva: «Cardiomiopatia dilatativa con alterazione della funzione di pompa sistolica in operaio edile in attività lavorativa ad elevata usura».

Il soggetto, non riconosciuto invalido in prima istanza per la legge 222/84, aveva visto confermarsi il parere di non invalidità anche in fase di ricorso sanitario. Nel giudizio collegiale conclusivo, il medico del Patronato, discorde sulla valutazione medico legale asseriva che «la natura della patologia cardiaca, associata all’attività lavorativa espletata, da considerarsi in questo caso di tipo usurante, rendono il soggetto invalido oltre i 2/3 in attività confacenti».

Considerazioni

L’uomo espleta l’attività di operaio edile in una ditta costituita da oltre venti operai. Proprio in virtù del numero rilevante di lavoratori dell’azienda, questi poteva essere impiegato, concretamente, in attività a minor carico fisico, escludendolo dai lavori in altezza, quali quelli su ponti a sbalzo o impalcature o dal sollevamento di ingenti carichi, senza inficiare la produttività della ditta.

Infatti, il medico competente dell’azienda, a seguito del riscontro della patologia cardiaca, lo aveva riconosciuto lavoratore idoneo permanentemente alla mansione ma con limitazioni, escludendolo dal sollevamento di carichi pesanti (oltre i 15 Kg), dalle operazioni di manovalanza più gravosa e dai lavori in altezza, destinandolo invece a lavori di carpenteria e a lavori effettuabili con l’utilizzo di macchinari (intonacatura, sabbiatura, rifinitura delle murature), anche in virtù dell’esperienza lavorativa maturata negli anni dall’uomo.

Non condivisibile appare, così, nel caso in esame, il riferimento al termine di usura sia da parte del medico di famiglia che del medico del Patronato; l’analisi approfondita del contesto lavorativo in cui lo stesso operava e della sua rimansionabilità, consentivano di escludere l’impiego in mansioni ad alta usura per la patologia cardiaca.

Conclusioni

Attraverso la disamina dei quattro casi sovraesposti, estrapolati per la loro peculiarità dottrinaria tra i molti che sono giunti all’osservazione del CML INPS di nostra competenza, si è cercato di chiarire, in maniera sintetica e ai fini di una concreta applicabilità per i medici di famiglia, i medici di Patronato e i colleghi medici che operano in ambito previdenziale, il rapporto tra lavoro usurante e malattia pensionabile.

Troppo spesso e in maniera frettolosa, infatti, alcune attività lavorative vengono etichettate come usuranti, sia nei certificati di presentazione dei casi medico legali predisposti dai medici di famiglia e poi trasmessi, per via telematica, all’INPS, sia nelle diagnosi stilate dai medici dell’Istituto in fase di valutazione, sia nei giudizi formulati dai medici di Patronato in sede collegiale.

L’usura prodotta da un’attività lavorativa nei confronti di un lavoratore è la risultanza dell’incontro / scontro tra diversi fattori:

  1. la patologia e/o il complesso patologico che affliggono il lavoratore e la loro incidenza funzionale sulla capacità lavorativa in attività confacenti, cioè sull’insieme di quei lavori che il soggetto può espletare sulla base della sua predisposizione individuale, del corso di studi effettuato, dell’esperienza lavorativa maturata negli anni in un determinato settore o comparto;
  2. l’attività lavorativa espletata, con particolare attenzione alla precipua mansione che il lavoratore esplica, ricordando sempre la necessità, affinché si produca usura, che vi sia un impegno psicofisico particolarmente “intenso” e “continuativo”, responsabile di un logorio del soggetto che non è inquadrabile nel fisiologico processo di invecchiamento e non è ristorabile con i periodi di riposo e di esclusione dal lavoro. Le specifiche tipologie di lavoro usurante sono quelle elencate, e normate dal punto di vista di anticipo pensionistico, nella tabella A del D. Lgs. n. 374 dell’11 agosto 1993;
  3. il contesto lavorativo in cui opera, nel concreto, il lavoratore: un conto, infatti è che si tratti di un artigiano, di un lavoratore in proprio o di una ditta individuale, condizioni nelle quali l’ipotesi di rimansionamento divengono inapplicabili come lo diviene l’esclusione da particolari mansioni ad elevata usura (si pensi, ad esempio, all’esclusione dal sollevamento di carichi pesanti nel caso di un artigiano edile che operi in ditta individuale, limitazione che, di fatto, rende non più effettuabile il lavoro di muratore). Altro discorso, invece, può essere fatto per ditte di grandi dimensioni, con un rilevante bacino di operatori, nelle quali vi sono concrete possibilità di rimansionamento e per i lavoratori delle quali, il medico compente aziendale, può disporre idoneità parziali temporanee o permanenti e limitazioni all’effettuazione delle mansioni considerate a maggior usura per la patologia sofferta dal lavoratore.

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