PM&AL 2018;12(1)15-20.html

Profili di responsabilità infermieristica in un caso di amputazione dell’avambraccio da errata pratica infusionale in neonato prematuro

Luigi Pais dei Mori 1,2,3

1 Infermiere legale

2 Fondatore dello studio di Infermieristica legale e forense LPdM, Belluno

3 Presidente dell’Ordine degli Infermieri della Provincia di Belluno

Abstract

This article refers to the case of a premature newborn twin (23 weeks of gestation + 6). Of the two brothers, only one survived, in a highly compromised state of health that led to a notable and dramatic series of clinical events: infectious complications, chronic renal failure, viscera herniation, intestinal perforation and thrombocytopenia, treated with various infusions of platelet concentrates.

During an infusion of platelet concentrate, an extravasation occurred with important tissue infarction. The lesion created, secondary to ischemic necrosis, evolves into dry necrosis, from the hand to the whole forearm, and leads to the amputation of the right forearm, despite the various attempts, pharmacological and surgical, experienced to avoid the extrema ratio.

The purpose of this article is to analyze what happened considering scientific clinical evidence and the profile of responsibilities related to nursing practice.

Keywords: Nursing practice; Professional responsibility; Critical nursing; Vascular Access Device Related Complications; Infiltration; Extravasation

Nursing responsibility profiles in a case of forearm amputation by wrong infusion practice in a premature newborn

Pratica Medica & Aspetti Legali 2018; 12(1): 15-20

https://doi.org/10.7175/pmeal.v12i1.1375

Corresponding author

Luigi Pais dei Mori

luigi.pais@gmail.com

Disclosure

L'Autore dichiara di non aver conflitti di interesse in merito agli argomenti trattati nel presente articolo.

Introduzione

Il piccolo Agostino, lo chiameremo così, viene alla luce prematuramente (23 settimane di gestazione + 6), in un ospedale italiano, con parto gemellare. Il fratello, secondo nato, decede poco dopo. Le precarie condizioni di salute, correlate all’immaturità generale, impongono, tempestivamente e in modo continuato nel tempo, vari trattamenti intensivi e invasivi, sia da un punto di vista clinico che da quello infermieristico.

La responsabilità infermieristica nella «corretta applicazione delle prescrizione diagnostico-terapeutiche» (Decreto 739/94, art. 1, comma 3, lettera d) [1] deve necessariamente comprendere, anche alla luce della recente (e precedente) normativa in tema di responsabilità dell’esercente le professioni sanitarie, la conoscenza meticolosa delle tecniche, delle pratiche e dei rischi derivanti da quanto esperito in ottemperanza alle prescrizioni. L’importanza capitale di questo assioma è direttamente proporzionale alla complessità clinico-assistenziale della persona assistita.

In ambito normativo rileva particolarmente, rispetto a quanto sopra esposto, anche la piena autonomia professionale dell’infermiere (e, per estensione, di tutte le professioni sanitarie cosiddette “non mediche”) sancita con la Legge 42/1999, art. 1, comma 2, che definisce anche peculiarmente il campo proprio di attività professionale: «Il campo proprio di attività e di responsabilità delle professioni sanitarie di cui all’articolo 6, comma 3, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, e successive modificazioni e integrazioni, è determinato dai contenuti dei decreti ministeriali istitutivi dei relativi profili professionali e degli ordinamenti didattici dei rispettivi corsi di diploma universitario e di formazione post-base nonché degli specifici codici deontologici, fatte salve le competenze previste per le professioni mediche e per le altre professioni del ruolo sanitario per l’accesso alle quali è richiesto il possesso del diploma di laurea, nel rispetto reciproco delle specifiche competenze professionali» [2]. Nel setting assistenziale in discussione è ineludibile la necessaria e particolare competenza clinica da esperire in ordine alla gestione delle particolari e complesse prescrizioni diagnostico-terapeutiche in risposta ai bisogni di salute dei piccoli pazienti e, parimenti, queste competenze devono essere implementate e manutenute dalla formazione continua per mantenere il più contenuto possibile il margine di rischio clinico presente.

L’attribuzione di autonomia professionale e di conseguente responsabilità diretta dell’esercizio agito della professione infermieristica viene richiamata anche dalla Legge 251/2000, laddove, all’articolo 1, comma 1, si ripercorrono i parametri professionali di definizione dell’ambito specifico di responsabilità professionale: «Gli operatori delle professioni sanitarie dell’area delle scienze infermieristiche e della professione sanitaria ostetrica svolgono con autonomia professionale attività dirette alla prevenzione, alla cura e salvaguardia della salute individuale e collettiva, espletando le funzioni individuate dalle norme istitutive dei relativi profili professionali nonché dagli specifici codici deontologici ed utilizzando metodologie di pianificazione per obiettivi dell’assistenza» [3].

Assodato il quadro normativo, nel caso in esame specifico si provvederà ad esaminare e argomentare in merito alla diligenza professionale infermieristica in relazione ai fatti che hanno portato all’amputazione dell’avambraccio destro di Agostino a seguito di infiltrazione extravasale di emocomponenti, equivalente, in termini di istolesività (pur con meccanismo diverso) allo stravaso di chemioterapici vescicanti.

Sintesi del caso clinico

Le precarie condizioni di salute di Agostino alla nascita hanno necessitato immediatamente di rianimazione cardio-polmonare in sala parto e, stante la prematurità estrema, è stato immediatamente trasferito in Terapia Intensiva Neonatale (TIN).

Durante la degenza il piccolo è stato sottoposto a tutte le cure del caso per il supporto vitale e per una notevole e drammatica serie di eventi clinici: varie complicanze infettive, insorgenza di insufficienza renale acuta, erniazione dei visceri a seguito del posizionamento del catetere dialitico peritoneale, perforazione intestinale.

Dopo neanche un mese di vita viene trasferito in condizioni critiche presso l’Unità operativa di Rianimazione, ove viene curato e assistito a seguito dell’intervento di chiusura del dotto di Botallo e di laparotomia esplorativa (resezione intestinale e confezionamento di ileostomia) a correzione dell’eviscerazione spontanea occorsa.

In questo periodo viene rilevata l’insorgenza di piastrinopenia, trattata con varie infusioni di concentrati piastrinici.

Durante un’infusione di concentrato piastrinico avviene uno stravaso dello stesso con importante infarcimento tissutale. Agostino viene sottoposto a varie consulenze ed esami strumentali; la lesione creatasi, secondaria a necrosi ischemica, evolve in necrosi secca, dalla mano a tutto l’avambraccio, e porta all’amputazione dell’avambraccio destro, nonostante i vari tentativi, farmacologici e chirurgici, esperiti per evitare l’extrema ratio.

La difficile e importante storia clinica di Agostino prosegue fino alla dimissione, avvenuta circa 6 mesi dopo la sua nascita. Il fascicolo sanitario è composto da migliaia di pagine ma, per quanto oggetto di discussione nel presente contributo, ci si limita ai fatti inerenti l’evento descritto.

Discussione

La complessità clinico-assistenziale del piccolo paziente ha chiaramente richiesto un notevole impegno da parte dei sanitari. La necessità di supporto vitale, di trattamento delle varie complicanze accorse e di stretto monitoraggio intensivo hanno portato a vasto utilizzo di vie infusive con importante coinvolgimento del patrimonio venoso, già obiettivamente complesso, per la natura del paziente.

Si ha contezza di questo già nella tenuta del diario assistenziale, ove vengono giornalmente riportate note che rimandano ai controlli dei presidi utilizzati e/o alla necessità di sostituzione degli stessi (cateteri venosi centrali, periferici e centrali ad inserzione periferica – PICC).

Parimenti, da buona prassi, viene tenuta una scheda di monitoraggio dell’utilizzo dei presidi per infusione, che riporta la data di inserimento, di rimozione e la motivazione in merito alla necessità di sostituzione del presidio.

Come si evince dalla documentazione, le sedi di venipuntura necessitavano di frequente cambio (mediamente ogni 1-2 giorni), a causa del continuo stravaso (“fuoriuscito”).

Rispetto alle sedi utilizzate, i luoghi più comuni di lesioni da stravaso nei neonati e nei pazienti pediatrici comprendono il dorso della mano, l’avambraccio, la fossa cubitale e il dorso del piede. Queste sono le zone del corpo dove la pelle del tessuto sottocutaneo è più sottile, il che li rende i siti più adatti per incannulare la vena, ma, di contro, le zone più suscettibili di lesioni [4].

La pratica stessa della terapia per via endovenosa si associa ad un tasso di indebolimento della vena per irritazione (flebite chimica e/o meccanica), con un tasso di insorgenza compreso tra il 2,3% e il 60%, in funzione delle caratteristiche del paziente e delle terapie infuse [5].

Ad identificazione dello stato di precarietà del patrimonio venoso di Agostino, è opportuno ricordare anche il vasto utilizzo, obtorto collo, di farmaci con caratteristiche di istolesività, fin dalla nascita. Il diario clinico segnala, infatti, che «alla nascita è stata avviata duplice terapia antibiotica ad ampio spettro (ampicillina + gentamicina)» e successivamente «vancomicina e tazocin, poi teicoplanina, poi amfotericina b, piperacillina-tazobactam, meropenem».

Alcune di queste molecole sono note per la loro irritabilità tissutale, aumentando il rischio di insorgenza di flebite chimica, più o meno evidente, come viene riportato in letteratura (Tabella I) [6].

Farmaco

Diluizione

pH

mOsmol/L

Flebite

Nome commerciale

Acyclovir

NS @ 5 mg/ml

10,5-11,6

316

ZOVIRAX

Amikacin

NS @ 5 mg/ml

3,5-5,5

349

AMICACINA

Aminophylline

NS @ 5 mg/ml

8,6-9

327

TEFAMIN

Amiodarone

D5W@ 2mg/ml

4,1

CORDARONE

Amphotericin B

D5W@ 0,1mg/ml

5,7

256

AMBISOME

Amphotericin B Albecet

D5W@ 1-2 mg/ml

5,5-6

280

Amphotericin B Ambisome

D5W@ 1-2 mg/ml

5,0-6,0

280

Amphotericin B Amphotec

D5W@ 0,2-0,8 mg/ml

5,0-6,0

280

Ampicillin-Subalctam

NS 100 ml

9 (8-10)

400

AMPICILLINA

Ampicillin 1&2 gm

NS 100 ml

9 (8-10)

328-372

Meperidine

SW 50mg/ml

3,5-6

302

Meropenem

NS@ 5mg/ml

7,3-8,3

300

SI

MERREM

Methicillin 1gm

SWI 10ml

7,6 (6-8,5)

510

SI

Tabella I. Molecole antibiotiche e incidenza di flebite chimica: in grassetto le molecole utilizzate nel caso. Modificata da [6]

Sempre rispetto al rischio di complicanze durante le terapie infusionali, in letteratura si trovano raccomandazioni di particolare cautela in merito alle caratteristiche peculiari dei pazienti: le persone anziane, quelle che necessitano di restrizioni idriche (cardiopatici e nefropatici), neonati e bambini sono particolarmente vulnerabili e a rischio di flebite chimica a causa della ridotta capacità di emodiluizione e alla frequente necessità, soprattutto nei neonati, di utilizzare cannule di diametro comunque importante rispetto al calibro delle vene, con conseguente ridotta emodiluizione del farmaco infuso [7].

Ed ancora: «Bambini e anziani potrebbero non essere in grado di comunicare il loro dolore locale e vanno valutati più frequentemente» [8]. Stanti le condizioni generali e in considerazione dei farmaci utilizzati, Agostino era necessariamente e opportunamente sedato (paziente in ventilazione assistita)

I controlli dei presidi, stanti le difficoltà descritte, sono correttamente riportati (es. «CVP mano dx da controllare», «CVP mano dx in ordine») ed è interessante notare che un/a infermiere/a ha correttamente ipotizzato l’uso dei cateteri venosi centrali presenti per la somministrazione dei concentrati piastrinici: infatti, in una giornata, viene riportato nel diario infermieristico «Ore 12.50 inizia trasfusione PLT (id est Piastrine) in CVC (id est catetere venoso centrale)». La buona pratica clinica di valutazione del miglior presidio atto allo scopo è riportata da autorevole letteratura professionale [9] proprio in tema di terapia infusionale: «L’infermiere deve possedere le conoscenze e competenze per selezionare il dispositivo più appropriato per il paziente e per la terapia e per ridurre al minimo gli eventi avversi».

Pertanto, «la scelta del catetere vascolare dipende dalle caratteristiche chimico-fisiche delle soluzioni da infondere, dal volume e dalla velocità di infusione, dalla durata della terapia, dalle condizioni del paziente, dalla preferenza e dal piano terapeutico complessivo» [10].

È opportuno pertanto chiarire se il concentrato piastrinico riporti intrinsecamente un rischio di complicanza tale da necessitare di particolare diligenza nel monitoraggio dell’infusione.

A questo proposito rileva l’Infiltration Scale [11], scala validata internazionale, che riporta i segni e sintomi della gravità dello stravaso della sostanza infusa e quindi del possibile danno tissutale determinato. Come si evince dalla scala, riportata in Tabella II, il massimo grado di rischio (n = 4) viene indicato per l’infiltrazione di farmaci irritanti o vescicanti (es. farmaci chemioterapici) alla pari dell’infiltrazione di emocomponenti, questi ultimi non tanto per le caratteristiche istolesive, quanto per il rischio di coagulazione e quindi di compressione extravascolare.

Grado 0

Nessun sintomo

Grado 1

Cute pallida e fredda al tatto, edema < 2,5 cm, con o senza dolore

Grado 2

Cute pallida e fredda al tatto, edema 2,5-15 cm, con o senza dolore

Grado 3

Cute pallida e translucida, fredda al tatto, edema > 15 cm, dolore lieve-moderato, possibile intorpidimento

Grado 4

Cute pallida / translucida / tesa / arrossata / livida / sudata, grosso edema > 15 cm, edema tissutale profondo (segno della fovea)m difficoltà circolatorie, dolore moderato-grave, infiltrazione di qualsiasi quantità di emoderivati, irritanti o vescicanti

Tabella II. Infiltration Scale. Modificata da [11]

Nell’ambito della miglior pratica clinica, ancor più in setting di cura pediatrici, viene raccomandato l’uso della scala validata per l’infiltrazione e/o stravaso allo scopo aiutare a prevenire e intervenire immediatamente alla comparsa dei primi segni, riducendo così il verificarsi di potenziali complicanze molto più gravi [12].

La raccomandazione di trattare lo stravaso di qualunque infusione, anche se non classificata come direttamente istolesiva, viene ribadita anche dalla Infusion Nurses Society, società scientifica statunitense di infermieristica infusionale: «Nonvesicant solutions and medications may produce tissue damage in neonates and infants […] Vesicant and nonvesicant solutions and medications can produce compartment syndrome with the possibility of arterial and nerve damage that could lead to complex regional pain syndrome or amputation of the extremity if not quickly recognized» [13].

L’infiltrazione tissutale di farmaci e sostanze è dunque una complicanza nota della terapia infusionale e in letteratura sono chiaramente descritti i fattori che contribuiscono al rischio di infiltrazione e di stravaso [14]; in Tabella III vengono evidenziati in grassetto i fattori noti, o probabili, inerenti la pratica infusionale condotta su Agostino.

Fattori meccanici

  • Catetere venoso periferico di dimensioni più grandi rispetto alla vena
  • Scelta inappropriata del sito (per esempio, aree di flessione, braccio dominante)
  • Instabilità del catetere
  • Scarsa sicurezza degli aghi inseriti nella porta di accesso vascolare
  • Attività del paziente
  • Siti di venipuntura multipli (per esempio un secondo foro sopra il primo)
  • Uso di una pompa per infusione durante l’infiltrazione o lo stravaso
  • Rottura del catetere venoso periferico

Fattori fisiologici

  • Vene di piccolo calibro o in cattive condizioni
  • Formazione di coaguli al di sopra del sito di inserimento del catetere venoso
  • Formazione di trombo o guaina di fibrina sulla punta del catetere venoso

  • Linfedema

Fattori farmacologici

  • pH
  • Osmolarità
  • Vasocostrittori potenziali
  • Citotossicità

Tabella III. Fattori di rischio per infiltrazione e stravaso [14]: in grassetto i fattori inerenti la pratica infusionale del presente caso

Verificate le molteplici caratteristiche che aumentano il rischio di stravaso, è necessario capire quali sono le migliori pratiche cliniche da porre in essere qualora si verifichi l’evento avverso.

Le raccomandazioni della Infusion Nurses Society riportano la necessità di monitorare attentamente l’infusione (trasfusione) in atto al fine di rilevare precocemente l’eventuale stravaso di farmaco, sostanza o emocomponente rischioso se soffuso nei tessuti, per fermare l’infusione il prima possibile e intervenire anche aspirando direttamente dal catetere quanta più sostanza soffusa possibile. Nel caso in cui dovesse verificarsi stravaso/infiltrazione si deve dunque interrompere immediatamente l’infusione, rimuovere il deflussore lasciando in sede l’ago-cannula e provare ad aspirare con una siringa la sostanza residua nella cannula (1-3 ml) e successivamente rimuovere il catetere venoso [15].

Numerosi altri autori riconducono “il fattore tempo” ad elemento essenziale di intervento nella prevenzione del danno tissutale: «lo stravaso deve richiedere un immediato intervento con l’interruzione dell’infusione» [16-19].

Puntualizzando, la letteratura internazionale citata riporta come best practice nell’ambito specifico:

  • la valutazione del rischio di infiltrazione in base ai rischi specifici del paziente;
  • la valutazione del rischio di infiltrazione in base alle caratteristiche delle sostanze infuse;
  • la scelta del presidio infusionale più adatto in base al rischio di infiltrazione (catetere venoso periferico, catetere venoso centrale/PICC);
  • il monitoraggio dell’infusione tanto più attento quanto è presente il rischio di lesione legato alla possibile infiltrazione;
  • l’immediata sospensione dell’infusione in caso di infiltrazione.

Nel caso in esame il piccolo Agostino aveva tutte le caratteristiche di massima allerta rispetto al rischio di lesione da stravaso in quanto, come ampiamente argomentato:

  • aveva un patrimonio venoso estremamente sfruttato, con frequenti necessità di cambio dei cateteri venosi periferici per “fuoriuscita” del presidio dal sistema circolatorio;
  • era stato sottoposto a terapie con sostanze istolesive;
  • veniva sottoposto a frequenti infusioni di emoderivati (20 documentate);
  • non c’è stata valutazione d’equipe sulla possibilità, stante le condizioni di rischio descritte, di utilizzare un presidio infusionale più sicuro (CVC e/o PICC), come peraltro episodicamente fatto;
  • non c’è evidenza di tempestivo intervento a seguito dello stravaso occorso.

A questo proposito il diario infermieristico riporta, in una giornata, una nota alle ore 18.00 «Somministrate piastrine. Controllare flogosi gamba sx e braccio dx in cui sono stravasate le piastrine». Il diario clinico riporta la prescrizione «[…] si decide di trasfondere PLT 30 ml» alle ore 15.00, quindi la somministrazione è avvenuta dalle ore 15.00 alle ore 18.00 ad una velocità di 10 ml/ora (tot. 30 ml), regolata, come verificato, da una pompa infusionale.

L’utilizzo di una pompa infusionale per questo tipo di infusione può ragionevolmente aver aggravato il danno tissutale in quanto ha continuato ad infondere, forzosamente, nonostante lo stravaso avvenuto. Questo si evince anche da quanto descritto nel già citato diario clinico: «Nel pomeriggio (circa h. 18.00) stravaso durante infusione di PLT»; alle ore 18.00 l’infusione era ragionevolmente terminata.

La segnalazione, peraltro, risulta assai tardiva, in quanto la nota del medico viene riportata alle ore 20.00: «Si segnala mano e avambraccio dx fortemente ecchimotico».

La possibile assenza di allarme del presidio utilizzato per l’infusione non rileva ai fini scriminanti per negligenza, come osserva la Suprema Corte di Cassazione, IV Sezione Penale, nella Sentenza n. 31133/2011, in quanto «sussiste la responsabilità penale per lesioni colpose delle infermiere […] che negligentemente omettano i dovuti controlli durante tutta la notte in cui erano di turno, per accertare la presenza in vena o meno dell’ago della flebo, non accorgendosi così della sua accidentale fuoriuscita dal lume venoso e cagionando in tal modo lesioni cutanee».

Ulteriormente, è stato verificato che le vie di infusione non erano a vista in quanto l’arto risultava fasciato, cosa contraria alla buona pratica clinica, in quanto deve essere opportunamente e facilmente ispezionabile il sito di infusione, proprio allo scopo di prevenire e/o intervenire tempestivamente in caso di problematiche [9].

Conclusioni

Nell’analisi dei profili di responsabilità professionale infermieristica rispetto a quanto descritto si rilevano aspetti di imprudenza, imperizia e negligenza nella gestione dell’infusione di piastrine e la conseguente soffusione di emocomponente che ha portato alle lesioni, causalmente correlate , all’amputazione dell’arto di Agostino.

In particolare si rileva:

  • imperizia nella corretta valutazione del rischio di lesione da stravaso dell’infusione di concentrato piastrinico nonostante i molteplici fattori di rischio presenti;
  • imprudenza e negligenza nell’utilizzo di un presidio infusionale (catetere venoso periferico), più volte sostituito per pregresso stravaso, nonostante la presenza di una valida alternativa (catetere venoso centrale e/o PICC), peraltro già utilizzata per il medesimo fine;
  • negligenza per l’intempestività dell’intervento che avrebbe dovuto interrompere immediatamente l’infusione;
  • negligenza per l’intempestività della segnalazione al medico dell’evento avverso, avvenuta solamente ore più tardi.

Agostino oggi è vivo ed è portatore di un grave deficit cognitivo a seguito dell’anossia cerebrale perinatale. La riabilitazione protesica dell’arto amputato è decisamente difficoltosa per la carenza di collaborazione. Inoltre ha un importante deficit nella deambulazione, causato da una cicatrice cheloide in sede articolare da esiti di stravaso durante terapia infusiva.

Bibliografia

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