Memorie traumatiche precoci e disturbo post traumatico da stress. Uno studio sperimentale
Roberto Infrasca 1
1 Dipartimento di Psichiatria ASL5 , La Spezia
Abstract
INTRODUCTION. This paper has analyzed the Post-Traumatic Stress Disorder (PTSD) in order to address clinical and psychopathogenetic aspects of the disorder. An extensive literature supports the presence of a strong link between childhood trauma and dissociative symptoms, indicating this link as the primary or predominant source of PTSD. In addiction, several studies have shown that – exposed to the same traumatic conditions – not all people develop a Post Traumatic Stress Disorder, a problem not addressed by clinical research.
METHODS. The study aimed at verifying the existence of a correlation between childhood traumatic memories (sexual, psychological, and emotional abuse, exposure to family violence), and the further development of this anxiety disorder. Moreover, the research wanted to obtain a psychopathology profile of PTSD. Subjects were required to fill the Minnesota Multiphasic Personality Inventory (MMPI), including the PTSD-Keane scale, and some MMPI special scales.
RESULTS. This research has verified a statistical relationship (logistic regression) between traumatic childhood events and the development of the Post Traumatic Stress Disorder. In addition, the results obtained from the sample of psychiatric patients indicate a strong disorganization of the personality of patients with PTSD symptomatology.
DISCUSSION. The data show that childhood trauma organize a basic vulnerability which increases 10 times the risk to develop this pathology after a traumatic experience.
Keywords: Early traumatic memories; Child abuse; Personological disorganization; Post-Traumatic Stress Disorder
Early traumatic memories and Post Traumatic Stress Disorder (PTSD). An experimental study
Pratica Medica & Aspetti Legali 2012; 6(2): 51-57
Introduzione
L’interesse per le conseguenze prodotte da una situazione traumatica è antico. Freud ritiene che «qualsiasi esperienza che susciti una situazione penosa – quale la paura, l’ansia, la vergogna o il dolore fisico – può agire da trauma» [1], valutando che questi eventi sono «in grado di provocare una eccitazione psichica tale da superare la capacità del soggetto di sostenerla o elaborarla». L’autore definisce il trauma come «un’esperienza che nei limiti di un breve lasso di tempo apporta alla vita psichica un incremento di stimoli talmente forte che la sua liquidazione o elaborazione nel modo usuale non riesce, donde è giocoforza che ne discendano disturbi permanenti nell’economia energetica della psiche» [2].
Più recentemente, in conseguenza della fine della guerra nel Vietnam e dell’elevato numero di veterani affetti da disturbi psichici, si è assistito a un rinnovato interesse per il trauma, che ha visto l’inserimento nel DSM del 1980 di un nuovo quadro clinico definito “disturbo post traumatico da stress” (DPTS). La caratteristica fondamentale di tale patologia è lo sviluppo di particolari sintomi conseguenti all’esposizione dell’individuo a una condizione traumatica [3]. La risposta emozionale all’evento comprende paura intensa, sentimenti di impotenza e di terrore. L’espressività sintomatologica si dispiega attraverso ricordi spiacevoli ricorrenti e intrusivi dell’evento (immagini, pensieri, o percezioni) e frequenti sogni spiacevoli che riguardano tale vissuto. L’individuo affetto da DPTS agisce o avverte come se l’evento traumatico stesse per ripresentarsi, reagendo a questa rappresentazione con difficoltà psicologica e un’intensa reattività fisiologica rispetto a fattori scatenanti (interni o esterni) che raffigurano (o ricordano) l’evento traumatizzante.
Tale condizione patologica è associata alla messa in atto di condotte di evitamento degli stimoli associati al trauma (pensieri, percezioni, conversazioni, attività, luoghi o persone che potrebbero rievocare l’evento). Inoltre, si osservano una ridotta affettività, sentimenti di distacco, estraneità nei confronti degli altri, marcata riduzione dell’interesse o della partecipazione ad attività significative e incapacità di ricordare qualche particolare legato al trauma. Un altro indicatore viene rintracciato nell’aumento dell’arousal, cui fanno da riscontro difficoltà nell’addormentamento e nel mantenimento del sonno, irritabilità o scoppi di rabbia, difficoltà a concentrarsi e ipervigilanza. Il quadro sintomatologico esposto deve essere presente per più di un mese e il disturbo deve causare disagio clinicamente significativo o menomazione del funzionamento sociale, lavorativo o di altre aree importanti.
Nel panorama delineato, è stato osservato come – a parità di condizioni traumatizzanti – non tutte le persone esposte a tali eventi sviluppano un disturbo post traumatico da stress, problema eziopatogenetico sostanzialmente non risolto dalla ricerca psichiatrica. Di fatto, non appare ancora chiaro se le cause di questa diversa reattività debbano essere addebitate a fattori biologici oppure a fattori psicologici o ancora all’interazione tra gli stessi [4]. A tale riguardo, alcune ricerche hanno verificato come la gravità della sintomatologia post traumatica non sia direttamente correlata alla gravità dello stressor, bensì intimamente legata alla risposta soggettiva all’evento traumatico [5].
Un’ampia letteratura sostiene la presenza di uno stretto legame tra trauma e sintomi dissociativi, vedendo in questa relazione psicopatologica la principale o prevalente origine del DPTS [6-9]. Il concetto di dissociazione si riferisce a un processo che disgrega l’unitarietà dell’Io, conseguente all’azione di meccanismi difensivi attraverso i quali l’individuo cerca di fronteggiare situazioni che percepisce come disastrose [9]. L’iniziale valenza adattiva di tali difese può assumere un profilo patologico se questa modalità diviene lo stile difensivo prevalentemente utilizzato dall’individuo nell’affrontare altri eventi stressanti [10]. Per le sue caratteristiche, quindi, il trauma psicologico è un evento che risulta non integrabile nel sistema psichico individuale elaborato nel passato, rimanendo dissociato dal resto dell’esperienza psichica, principale causa della sintomatologia relativa.
Un altro importante settore di ricerca ha preso in considerazione il legame tra traumatismi infantili e dissociazione. Di fatto, numerosi studi hanno costantemente verificato un elevato livello di dissociazione nei bambini con storie traumatiche (abusi sessuali, abusi psico-emotivi, esposizione a scene di violenza familiare), rispetto ai bambini che non hanno sperimentato tali eventi [11,12].
Inoltre, deve essere tenuto presente che i traumi sperimentati nel periodo infantile colpiscono un Io incompleto e fragile, sul quale questi eventi agiscono producendo fratture e punti di vulnerabilità della sua nascente architettura psichica. In queste situazioni, l’Io infantile si difende attraverso la rimozione dei conflitti affettivi scatenati dal trauma, ponendo precocemente le basi (aumento della probabilità) per l’esordio di quadri psicopatologici [13-15]. Queste osservazioni delineano così un’area di disagio psichico trasversale che implica un insieme di disturbi connessi alla patologia traumatica, tra cui le sindromi post traumatiche da stress [16].
Oltre agli eventi traumatici classici (disastri naturali, guerra, aggressioni violente, gravi incidenti automobilistici, morte improvvisa di una persona significativa, gravi malattie, ecc.), numerose ricerche attribuiscono un importante ruolo ezio e psico-patogenetico nel DPTS alle situazioni traumatizzanti conseguenti agli abusi sessuali, emotivi e fisici patiti nell’infanzia [17-19], unitamente all’esposizione reiterata a scene di violenza familiare [20-23].
Queste situazioni potrebbero organizzare nel bambino un substrato mnesico composto da emozioni violente, laceranti e ingestibili (dall’Io infantile), il cui assetto caotico non permetterebbe il loro inserimento in un “puzzle emozionale” cui è possibile assegnare un ragionevole significato (agevolazione di una loro graduale elaborazione), rimanendo così una condizione che conserva una informe ma poderosa tonalità emotivo-affettiva. Questa ultima caratterizzazione psicodinamica, pur rimanendo “silente” (dissociazione) e in uno stato potenziale, si rivela un fattore in grado di destrutturare profondamente la personalità, che potrebbe riaffiorare e manifestarsi in successive esperienze traumatiche (repentina irruzione nella coscienza delle terrorizzanti memorie traumatiche infantili che provocherebbe l’annientamento delle già fragili difese e una frammentazione personologica).
In questo ambito di ricerca potrebbe trovarsi il possibile legame di continuità tra l’evento traumatico contingente e quelli patiti precocemente (rievocazione della loro “intatta” dimensione angosciante), dinamica che spiegherebbe – almeno a livello teorico – la diversa reattività individuale e sintomatologica mostrata dai soggetti esposti a uno stesso evento traumatico.
Scopo della ricerca
Il lavoro sperimentale era orientato a investigare due specifici ambiti riguardanti il DPTS. Il primo voleva analizzare quanto il profilo psicopatologico dei soggetti con tale sintomatologia ansiosa fosse significativamente differenziato da quelli in cui la stessa non era presente, e quali fossero gli aspetti clinici che caratterizzavano il suo assetto psico-comportamentale. Il secondo era volto a chiarificare le ragioni per cui, a parità di condizioni traumatizzanti, solo una parte delle persone esposte a tali situazioni tende a sviluppare sintomi post traumatici. Per rispondere a tale quesito la ricerca ha verificato l’associazione tra quelle che abbiamo definito memorie traumatiche precoci (multiabuso ed esposizione a scene di violenza nel periodo infantile) e il disturbo d’ansia indagato (esistenza di differenze statistiche significative negli stressor infantili tra soggetti positivi e non positivi alla scala Keane per la misurazione del DPTS). La ricerca, quindi, non si proponeva di verificare la corrispondenza tra diagnosi clinica e scala DPTS-Keane, essendo orientata agli scopi sopra argomentati.
Metodi
Il campione era formato da 487 pazienti psichiatrici afferenti al Servizio di Salute Mentale della ASL5 di La Spezia: 243 femmine (età media = 42,9; ds = 12,2) e 244 maschi (età media = 43,2; ds = 13,1). Le diagnosi, formulate secondo i criteri del DSM-IV-TR, erano così suddivise: disturbi di personalità (25,6%), disturbi d’ansia (15,2%), disturbi depressivi (26,9%), disturbi psicotici (11,5%) e disturbi somatoformi (20,8%).
Ai soggetti è stato somministrato il MMPI-1 dal quale sono state ricavate le scale di controllo e cliniche, alcuni indici e scale speciali (Psicoticismo, Factor A, TS – Threat Suicide, Hostility, Ego Strength, Incubi notturni) [24], unitamente alla scala PTSD-Keane [25] che rileva la presenza dell’omonimo disturbo d’ansia rispetto a un cut-off ≥ 30 punti [25,26]. Questa ultima scelta metodologica era basata su due principali criteri: l’attendibilità psicometrica riconosciuta a tale strumento (la scala è ancora presente nel MMPI-2 – Minnesota Multiphasic Personality Inventory: scala PK), la sua capacità di rilevare autonomamente la presenza/assenza della specifica sintomatologia post traumatica, principio sul quale sono basati molti strumenti di valutazione (per esempio, EDI – Eating Disorder Inventory; STAI-Y; Zung; TAS – Toronto Alexithymia Scale; SCL 90 – Symptom Checklist 90).
Infine, al campione è stato chiesto di rispondere ad alcune domande estrapolate dal Questionario sugli Eventi Infantili Stressanti(QEIS) [27]. Il questionario è formato da 76 domande a risposta multipla che indagano il periodo infantile tra 0-10 anni rispetto alle abitudini alimentari, all’adattamento scolastico, al rapporto con le figure genitoriali, al clima familiare, alle abilità relazionali, ai tratti psico-comportamentali del bambino. Tra queste domande sono state utilizzate quelle riguardanti gli abusi (sessuali, fisici e psicologici) e l’esposizione a scene di violenza familiare. La comparazione statistica tra le variabili è stata effettuata tramite l’analisi della varianza (Anova), la regressione lineare, la regressione logistica.
Risultati
In Figura 1 sono presentati i profili MMPI ottenuti dai soggetti classificati come DPTS assente (scala Keane < 30 punti), oppure DPTS presente (scala Keane ≥ 30).
Figura 1. Profili MMPI ottenuti dai soggetti classificati come DPTS assente (scala Keane < 30 punti), oppure DPTS presente (scala Keane ≥ 30)
Si nota agevolmente come, pur essendo un campione formato da pazienti psichiatrici, quelli appartenenti al gruppo con scala Keane positiva mostrano un profilo estremamente più elevato rispetto a quello ottenuto dal gruppo con tale scala negativa. Di fatto, l’analisi della varianza ha verificato che, eccettuata la scala Mf/Mascolinità-Femminilità (p = ns), tutte le altre evidenziano differenze statistiche molto significative (p < 0,00000), risultati sovrapponibili a quelli ottenuti da altri ricercatori [25].
Inoltre, il profilo MMPI positivo al DPTS mette in luce il Code Type 1-2-8 (Hs-D-Sc) [24], codice che suggerisce una profonda condizione depressiva associata ad ansietà e agitazione che conduce alla paura di perdere il controllo. I soggetti con questo codice si mostrano ansiosi, agitati, tesi e irrequieti. Spesso riferiscono disturbi del sonno e incapacità di concentrarsi. Il quadro clinico è caratterizzato da un’affettività disturbata e sintomatologia somatica. Tali pazienti sono inquadrabili clinicamente come depressi: mostrano un rallentamento ideo-verbo-motorio, possono rivelarsi ipersensibili alle reazioni degli altri, sospettosi delle loro motivazioni e, per questo, tendono a evitare relazioni interpersonali strette. I tratti di personalità includono dipendenza, anassertività, irritabilità e risentimento. Si rileva la paura di non riuscire a controllare le proprie emozioni, la negazione degli impulsi e la presenza di periodi dissociativi di tipo acting-out. Le persone con questo codice sono generalmente caratterizzate da un serio disadattamento. La diagnosi più comune è disturbo schizoaffettivo o, in ogni modo, un disturbo della personalità caratterizzato da un’alterazione della sfera timica e pulsionale.
Il confronto tra il profilo MMPI con scala Keane positiva (≥ 30) – gruppo 1 – e il profilo MMPI con scala Keane negativa (< 30) – gruppo 2 – consente di effettuare una serie di osservazioni differenziali. Il disagio emotivo del gruppo 1 appare decisamente più elevato rispetto all’altro, rivelando maggiori difficoltà a limitare l’interferenza tra i problemi e la normale vita di relazione. Tale profilo mostra un sensibile innalzamento dei punteggi nella maggioranza delle scale cliniche, con una accentuazione, anche sintomatica, di taluni aspetti critici della personalità. In particolare, questi soggetti sembrano più esposti ad esperienze in cui l’ansia è difficilmente controllata, mentre il contatto con la realtà può risultare pregiudicato.
A differenza dell’altro gruppo, i soggetti appartenenti al profilo positivo al DPTS presentano un’accentuazione della reattività psicofisiologica, un aumento dell’attenzione verso temi somatici o di preoccupazioni per la propria salute e la possibilità di sviluppare ansie ipocondriache. I soggetti 1 tendono a reagire depressivamente agli eventi stressanti, manifestano sentimenti di sfiducia, una riduzione della motivazione al cambiamento, dipendenza da attenzioni e vantaggi che sembrano ricevere in funzione della loro situazione di disagio emotivo (comportamenti di manipolazione nevrotica).
Si notano atteggiamenti rivendicativi nell’affrontare il rapporto interpersonale. Lo stile decisionale tende ad essere rapido, le reazioni paiono impulsive e dirette. Questi soggetti sembrano avere sviluppato una maggiore attenzione per i dettagli, cui attribuiscono significati scarsamente verificabili. Si evidenzia la presenza di atteggiamenti interpretativi (tentativo di comprendere una realtà percepita come minacciosa), sensi di incertezza e una maggiore reattività ansiosa.
In queste personalità il momento decisionale tende ad essere procrastinato (a volte eccessivamente) nella ricerca di ulteriori dati su cui basare le proprie decisioni. Si apprezzano sentimenti di inadeguatezza, possibili esperienze di isolamento – quantomeno di ridotta affettività – nella vita di relazione. Questi soggetti polarizzano l’attenzione sul proprio disagio riducendo l’efficacia della comunicazione, anche a causa della possibilità di disturbi formali dell’ideazione. Si rilevano timori del giudizio degli altri, cui possono conseguire segni di incostanza nell’azione. I soggetti mostrano una notevole riservatezza, tendono ad essere selettivi nell’iniziare rapporti sociali ed esibiscono atteggiamenti di evitamento delle situazioni interpersonali. I sensi di abulia e sfiducia appaiono rilevanti, i livelli di iniziativa ridotti.
La regressione lineare tra la DPTS-Keane e le scale speciali del MMPI-1 Threat Suicide (r = 0,9288; p = 0,000000), Hostility (r = 0,8797; p = 0,000000), Factor A (r=0,8796; p=0,000000), Ego Strength (r = -0,8255; p = 0,000000), Psicoticismo (r = 0,8703; p = 0,000000), Disturbi del sonno (r=0,8608; p = 0,000000), oltre a mostrare correlazioni statistiche elevate, mette in luce – nel paziente positivo al disturbo post-traumatico da stress – ideazione suicidaria, ostilità intensa, forte ansietà e turbamento emozionale, grave disadattamento, stile psico-comportamentale di tipo “schizoide”, povertà nel contatto con la realtà, scarse risorse individuali e incubi notturni ricorrenti.
Le elevate correlazioni statistiche tra la scala Keane e le scale speciali del MMPI necessitano di alcune considerazioni. Partendo dal fatto che le scale speciali del MMPI sono composte da item di significato differenziato, una relazione statistica elevata dovrebbe trovarsi solo nel caso in cui le diverse scale fossero formate dagli stessi item, oppure che tale concordanza si rivelasse prevalente. Nella ricerca questa concordanza non sembra esistere. Di fatto, la scala Keane (formata da 49 item) condivide 18 item con la Threat Suicide (52 item), 6 item con la scala Hostility (34 item) e la Factor A (39 item), nessun item con la Ego Strength (68 item). I risultati statistici, di conseguenza, paiono derivare dal fatto che la sintomatologia del DPTS si esprime principalmente attraverso l’ideazione suicidaria, una forte ostilità, un profondo disadattamento e una precaria “forza dell’Io”, tratti clinici che le omonime scale rintracciano puntualmente. Una verifica di quanto affermato, riguardante l’ideazione suicidaria, può essere ottenuta confrontando statisticamente la scala Keane con l’item 339 del MMPI (“Quasi sempre vorrei essere morto”). L’analisi della varianza rileva che alla risposta “Falso” tale scala assume un valore di 19,88 (non significativo), mentre alla risposta “Vero” la scala mostra un valore significativo di 32,50 (F-Ratio = 149,86; p = 0,000000).
Infine, la regressione logistica tra presenza/assenza del DPTS ed eventi traumatici infantili ha messo in evidenza alcuni importanti risultati, che potrebbero fornire una chiave di lettura (almeno teorica) su uno dei quesiti che il lavoro si è posto, vale a dire i motivi della presenza di una reattività sintomatologica post-traumatica solo in alcuni dei soggetti esposti allo stesso evento stressante/traumatizzante. Di fatto, le variabili traumatizzanti dell’infanzia che aumentano molto il rischio di DPTS nel campione psichiatrico analizzato sono state rintracciate nelle molestie sessuali (OR = 11,5; IC 95% = 2,1-64,4), nell’esposizione a scene di violenza familiare (OR = 10,0; IC 95% = 1,2-84,7), nei sistematici abusi psicologici (OR = 10,2; IC 95% = 2,3-45,7), mentre i maltrattamenti fisici non hanno dimostrato un ruolo statisticamente significativo nel fenomeno indagato (OR = 1,2; IC 95% = 0,2-7,0).
Discussione e conclusioni
La ricerca ha messo in luce alcuni importanti profili del paziente classificato come portatore di DPTS (positività alla scala Keane del MMPI-1), fornendo nel contempo un corredo teorico sulla (psico)patogenesi di tale disturbo d’ansia. Principalmente, lo studio ha evidenziato la profonda disorganizzazione che caratterizza questa personologia e la sua multiforme espressività sintomatologica rispetto all’altro gruppo indagato. Riproducendo molti dei criteri diagnostici enunciati nel DSM-IV-TR [3] ai punti A, B, C e D (pag. 502-503), i risultati ottengono una verifica della loro attendibilità, pur essendo stati conseguiti attraverso una metodologia differenziata (MMPI-1, scala Keane, ecc.).
A differenza del gruppo negativo, quello positivo al DPTS rivela una architettura personologica particolarmente carente negli aspetti della stabilità emotiva, dell’adattabilità e del controllo, dell’autostima e dell’estroversione, rivelando così un profondo disadattamento generale che permea sia gli aspetti interiori (inibizione, ansietà, inquietudine emozionale, suggestionabilità, esitazione), sia quelli interattivi (diffidenza, ansia sociale, povertà relazionale, isolamento).
I risultati sottolineano come, pur se il campione è composto da soli pazienti psichiatrici, quelli positivi alla scala Keane mostrano una considerevole destrutturazione della personalità la cui origine – nella presente ricerca – non sembra possa essere giustificata solo attraverso il quadro clinico di appartenenza, che risulterebbe così un fattore non specifico del DPTS [25]. Nella prospettiva del lavoro, il collasso personologico evidenziato da questa tipologia di pazienti orienta a valutare una potenziale e consistente fragilità originaria che, esposta a un trauma contingente, implode profondamente, disconnettendo molti aspetti della personalità.
Di fatto, la regressione logistica ha verificato come l’esposizione del bambino a condizioni traumatiche (abuso sessuale e psicologico, situazioni di violenza familiare) aumenta di oltre dieci volte il rischio dell’esordio di DPTS nell’adulto esposto a situazioni traumatizzanti, condizione rilevata in altre recenti ricerche [28].
Questo “effetto moltiplicatore” sullo stressor attuale (calamità naturali, eventi bellici, gravi incidenti, aggressioni, ecc) conseguirebbe così da un vissuto cumulativo tra eventi traumatici attuali e quelli sperimentati nell’infanzia, impatto che determinerebbe una reattività esasperata nei soggetti portatori di questa vulnerabilità di base. A tale riguardo, Bowlby [29] afferma che la qualità delle prime esperienze relazionali è fondamentale nello sviluppo psichico, considerando l’attaccamento come sistema primario sul quale si fonda la fiducia/sfiducia di base, dinamica affettiva in grado di fornire importanti informazioni alla reattività patologica a un evento traumatico. Altri ricercatori sostengono che un precoce trauma relazionale (cui consegue la disorganizzazione dell’attaccamento) influenza negativamente l’organizzazione cerebrale del bambino piccolo (i circuiti emozionali limbici si svilupperebbero in modo precario), condizione che potrebbe essere l’origine neuropsicologica dell’amplificata vulnerabilità nei confronti di emozioni violente e angoscianti [30].
In questa prospettiva, è quindi verosimile che le memorie traumatiche precoci e il loro potere disorganizzante sull’attaccamento possano rimanere ad un livello silente (subclinico) nello stadio adolescenziale e nell’età adulta, e riattivarsi qualora siano esposte ad esperienze traumatizzanti, dinamica peraltro sostenuta da altri ricercatori [31,32]. A parità di condizioni traumatiche, la personalità degli individui portatori di tale vulnerabilità di base - non potendo avvalersi di difese ragionevolmente strutturate e solide per contrastare, gestire e, particolarmente, elaborare l’evento traumatizzante - si trova quindi esposta a una risonanza emotiva interna estremamente amplificata, in grado di produrre una profonda e pervasiva disorganizzazione strutturale [33], destrutturazione psicopatologica che i dati ottenuti rintracciano nel paziente positivo alla scala DPTS-Keane.
Le risultanze della ricerca rintracciano negli eventi infantili scioccanti la condizione significativa capace di elevare sensibilmente il rischio che, tra gli individui esposti a un stesso evento traumatico, quelli portatori di memorie traumatiche precoci siano maggiormente vulnerabili, e abbiano quindi una maggiore probabilità di sviluppare una sintomatologia DPTS. Le variabili evidenziate, e le loro pesanti conseguenze psicopatologiche sulla struttura e quindi sul funzionamento della personalità [34,35], hanno dimostrato di essere “antecedenti stressanti” che svolgono un ruolo significativo nel modulare le conseguenze delle eventuali e successive esperienze traumatizzanti.
Disclosure
L'Autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.
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