La responsabilità del medico in caso di malattia provocata dall’utilizzo off label dei medicinali
Claudio Coratella 1
1 Avvocato Penalista, Name Partner di Coratella – Studio Legale
Abstract
To be marketed in Italy, every drug requires a previuos marketing authorization (AIC). Furthermore, the summary of product characteristics reports specific indications about the drug authorized usage. However the off label use of drugs, i.e. to prescribe approved medications for other than their intended indications, is allowed in selected cases, and only if the drug is included in the lists of AIFA (the Italian Drugs Agency). In such cases, the physician must inform the patient about risks and possible side effects, and must obtain the petient’s signed informed consent. Here we discuss the clinician’ liability in case of side effects related to off label use. In particular, we report a proceeding in which the physician was considered responsible with fraud or guilt in different levels of jurisdiction.
Keywords: Off label; Physician responsibility; Drug marketing authorisation
Physician responsibility in case of disease caused by off label drug use
Pratica Medica & Aspetti Legali 2011; 5(3): 101-106
Il quadro normativo di riferimento
Nel nostro ordinamento, la prescrizione e la somministrazione di specialità farmaceutiche da parte del medico esigono che il medicinale abbia preventivamente ottenuto un’apposita autorizzazione all’immissione in commercio.
Come è noto, il Legislatore italiano definisce “medicinale” ogni sostanza o associazione di sostanze presentata come avente proprietà curative o profilattiche delle malattie umane o che può essere utilizzata sull’uomo o somministrata all’uomo allo scopo di ripristinare, correggere o modificare funzioni fisiologiche, esercitando un’azione farmacologica, immunologica o metabolica, ovvero di stabilire una diagnosi medica [1-3].
L’autorizzazione alla commercializzazione del farmaco (AIC) per le finalità terapeutiche per le quali il medicinale è effettivamente prescritto al malato, quindi, costituisce un presupposto essenziale per la conseguente lecita prescrizione dello stesso da parte del medico ai suoi pazienti [4]: tale autorizzazione, necessaria per l’immissione in commercio sul territorio nazionale delle sostanze medicinali, attualmente può essere richiesta esclusivamente da soggetti stabiliti sul territorio comunitario e ottenuta, alternativamente, in ambito nazionale dall’AIFA [5] o, in ambito comunitario, a norma del regolamento CE n. 726/20041 (in combinato disposto con il regolamento CE n. 1394/2007).
In tale contesto, il legislatore statale è più volte intervenuto per individuare i principi fondamentali volti a regolare le modalità e i criteri in base ai quali è ammesso l’uso dei farmaci al di fuori delle indicazioni per le quali è stata autorizzata la loro immissione in commercio, statuendo, inizialmente, che qualora non esista valida alternativa terapeutica2, possono essere erogati i medicinali innovativi la cui commercializzazione è autorizzata in altri Stati ma non sul territorio nazionale, i medicinali non ancora autorizzati ma sottoposti a sperimentazione clinica e “i medicinali da impiegare per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata”, inseriti in un apposito elenco predisposto e periodicamente aggiornato dalla Commissione unica del farmaco (oggi AIFA) conformemente alle procedure e ai criteri adottati dalla stessa [8].
Successivamente, con altra puntuale statuizione, è stato precisato che il medico – in deroga al principio generale secondo cui, nel prescrivere una specialità medicinale o altro medicinale prodotto industrialmente, è tenuto ad attenersi alle indicazioni terapeutiche, alle vie e alle modalità di somministrazione previste dall’AIC – può, in singoli casi, sotto la sua diretta responsabilità e previa informazione del paziente e acquisizione del consenso dello stesso, impiegare un medicinale prodotto industrialmente per un’indicazione o una via di somministrazione o una modalità di somministrazione o di utilizzazione diversa da quella autorizzata (ovvero riconosciuta agli effetti dell’applicazione dell’art. 1, comma 4, del D.L. n. 536/1996) [9]. Tale potere, tuttavia, proprio perché eccezionale, è rigidamente subordinato all’accertamento da parte del medico – in base a dati documentabili – del fatto che il paziente «non possa essere utilmente trattato con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica o quella via o modalità di somministrazione e purché tale impiego sia noto e conforme a lavori apparsi su pubblicazioni scientifiche accreditate in campo internazionale»3.
Al fine di circoscrivere ulteriormente le condizioni in base alle quali è possibile fare ricorso a medicinali per indicazioni terapeutiche diverse da quelle autorizzate, poi, il legislatore statale ha statuito anche che in nessun caso il medico curante può prescrivere, per il trattamento di una determinata patologia, un medicinale di cui non è autorizzato il commercio quando sul proposto impiego del medicinale «non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazioni cliniche di fase seconda»4 [10], attribuendo alla Commissione tecnico-scientifica dell’Agenzia Italiana del Farmaco la competenza di valutare, «oltre ai profili di sicurezza, la presumibile efficacia del medicinale, sulla base dei dati disponibili delle sperimentazioni cliniche già concluse, almeno di fase seconda» [11].
Il legislatore, dunque, circoscrive il ricorso ai farmaci cd “off label” a condizioni eccezionali e a ipotesi specificamente individuate in apposite disposizioni statali, che non possono essere in alcun modo oggetto di deroga ad opera di disposizioni di carattere regionale5.
Sul punto, infine, appare opportuno evidenziare che anche l’art. 12 (prescrizione e trattamento terapeutico) del codice di deontologia medica, consente l’uso off label dei farmaci «purché la loro efficacia e tollerabilità sia scientificamente documentata» e sia stato «acquisito il consenso scritto del paziente debitamente informato», fermo restando che «il medico si assume la responsabilità della cura ed è tenuto a monitorarne gli effetti».
Concludendo, pertanto, il medico che intenda utilizzare un dato farmaco per farne un uso per indicazioni non previste dal foglietto illustrativo o prescrivere un farmaco sperimentale, deve farlo entro determinati confini normativi e deontologici: specificatamente, qualora ritenga che il paziente non possa essere utilmente trattato a livello farmacologico in altra maniera, può lecitamente ricorrere alla prescrizione off label di farmaci se il medicinale che vuole utilizzare è già stato autorizzato a livello nazionale o comunitario, ovvero, è stato quantomeno incluso nell’apposito elenco predisposto dalla Commissione unica del farmaco, e purché ne abbia dato idonea informazione al paziente acquisendone il consenso alla somministrazione non per una delle indicazioni di impiego di cui al foglietto illustrativo, ma per il conseguimento degli effetti collaterali eventuali voluti [4].
L’utilizzazione off label dei medicinali e la giurisprudenza
Come è noto, quando un farmaco viene somministrato fuori dalle indicazioni del prontuario farmaceutico allo scopo dichiarato di sfruttarne uno dei (possibili) effetti collaterali che si sia accertato essere utile al risultato terapeutico che si intende ottenere, si parla di uso cd off label del farmaco.
La somministrazione di farmaci off label, ossia per scopi diversi da quelli indicati sul foglietto illustrativo (cd bugiardino), è oramai divenuto un tema di grande attualità. Nella Tabella I sono indicati alcuni esempi di utilizzi off label di farmaci.
Farmaco |
RCP |
Uso off label |
Tipologia di uso off label |
Azitromicina |
Antibatterico |
Antinfiammatorio (nella fibrosi cistica) |
Indicazione |
Clonidina |
Ipertensione arteriosa |
Analgesico o nel trattamento del disordine da deficit dell’attenzione |
Indicazione |
Desametasone |
Somministrazione parenterale |
Via orale (in pediatria) |
Via di somministrazione |
Diazepam |
Somministrazione parenterale |
Somministrazione rettale (epilessia) |
Via di somministrazione |
Fluoxetina |
Depressione maggiore |
Eiaculazione precoce |
Indicazione |
Infliximab |
Artrite reumatoide |
Colite ulcerosa, vasculite sistemica |
Indicazione |
Pregabalin |
150 mg/die incrementabile in funzione della risposta del soggetto |
600 mg/die (nel trattamento iniziale del dolore neuropatico) |
Dose |
Risperidone |
Schizofrenia |
Autismo |
Indicazione |
Tobramicina |
Somministrazione parenterale |
Inalazioni (fibrosi cistica) |
Via di somministrazione |
Valaciclovir |
La sicurezza e l’efficacia del farmaco nei bambini non è stata stabilita |
Usato nei bambini < 12 anni |
Età |
Tabella I. Alcuni esempi di utilizzi off label [16]
Qualche anno fa, infatti, la nota sentenza n. 440/2006 emessa dalla Sezione distaccata di Monsummano Terme del Tribunale penale di Pistoia aveva suscitato molto interesse tra i giuristi, poiché affrontava proprio la questione della somministrazione di un farmaco fuori dalle indicazioni del prontuario farmaceutico allo scopo dichiarato di sfruttarne uno dei possibili effetti collaterali muovendo un pesantissimo addebito al medico imputato nel relativo procedimento penale [17-20].
Nel campo della responsabilità medica, infatti, le condotte ritenute meritevoli di condanna penale sono solitamente riconducibili più che altro all’ambito della colpa commissiva o omissiva, mentre, nella citata sentenza, i giudici di merito hanno configurato la penale responsabilità a titolo di dolo eventuale, anziché di colpa, in capo a una psichiatra che aveva prescritto per la cura dell’obesità l’assunzione di un farmaco sperimentale – un antidepressivo con un principio attivo che viene usato per l’epilessia, ma che ha, come effetto collaterale eventuale, il dimagrimento – in dosaggi superiori a quelli consentiti, in difetto di un’adeguata informazione e dell’espresso consenso del paziente6, nonché in assenza di continui e attenti controlli e/o monitoraggio sull’andamento di una terapia nuova para-sperimentale, cagionando al medesimo lesioni personali dalle quali era derivata una grave malattia nervosa consistita in emicrania, incubi, depressione ed eccitabilità, oltre a disturbi plurimi di tipo fisico (calcolosi renale, disturbi oculari) per un periodo superiore a 40 giorni.
Secondo i giudici di merito, sussisterebbe in tale ipotesi un nesso di causalità attiva – anziché, come avviene di solito nel campo della colpa medica, omissiva – tra la condotta e l’evento, in quanto il medico non avrebbe provocato la malattia con mancanza di volontà, cioè con un atteggiamento psicologico riconducibile alla colpa, ma avrebbe voluto gli effetti collaterali7. La finalità terapeutica, difatti, non escluderebbe il dolo – quindi il reato di lesioni volontarie – quando il medico, pur animato da intenzioni terapeutiche, agisca essendo conscio che il suo intervento produrrà una non necessaria menomazione dell’integrità fisica o psichica del paziente («se l’imputato è conscio del fatto che la somministrazione di un farmaco in uso off label, oltre al probabile e sperato beneficio desiderato, possa produrre ulteriori non necessarie menomazioni dell’integrità fisica del paziente, accetta il rischio dell’insorgenza di questi ulteriori effetti collaterali, ponendosi nell’alveo del cosiddetto dolo eventuale»).
Sulla base di tale assunto e in ragione dell’insorgenza di uno stato patologico come conseguenza dell’utilizzo off label del farmaco, con la citata sentenza n. 440/2006 è stata declarato la penale responsabilità della psichiatra per il reato di lesioni volontarie ex art. 582 cp8.
Successivamente, però, i principi di diritto contenuti nella sentenza n. 440/2006 sono stati completamente ribaltati dalla Suprema Corte di Cassazione, la quale ha statuito che il medico che prescriva medicinali “off label” (cioè per finalità terapeutiche diverse da quelle che gli sono riconosciute) e che non agisca in via del tutto sperimentale, risponde a titolo di colpa e non di dolo delle lesioni riportate dal paziente a causa della loro somministrazione, qualora non abbia compiuto un’attenta valutazione comparativa tra i benefici perseguiti e i rischi connessi alla particolare utilizzazione del farmaco che era possibile prevedere sulla base della situazione clinica del paziente medesimo, risultando invece irrilevante in proposito l’eventuale mancata acquisizione del consenso informato9 dello stesso paziente al trattamento [26-35].
Secondo la Suprema Corte, infatti, nel caso de qua la decisione di adottare una prescrizione off label per la cura dell’obesità era stata correttamente assunta, ma il medico aveva successivamente violato la regola di condotta che, in ogni caso, gli impone di sottoporre ad attenta verifica la originaria prescrizione e monitorare così gli effetti collaterali imputabili alla somministrazione del farmaco (in buona sostanza, il rimprovero che si muove al medico è quello di aver omesso, nell’aumentare il dosaggio del farmaco, di procedere ad adeguata attività di monitoraggio del paziente e di valutare le ragioni della mancanza di una reazione positiva ai dosaggi inferiori o di riscontrare l’eventuale – pur prevedibile – comparsa di manifestazioni negative collaterali).
Tutto ciò premesso e considerato, i giudici di legittimità hanno in più occasioni evidenziato che allorché un medico decida di assumersi un “rischio consentito”, prescrivendo la somministrazione di un farmaco off label, deve contestualmente informare anche gli altri professionisti che verranno eventualmente in contatto con il paziente in ragione del particolare impiego del farmaco di tale decisione e delle modalità nelle quali intende operare.
Sulla base di tale principio giurisprudenziale è stata, ad esempio, ravvisata una posizione di garanzia sia in capo al medico “di ruolo” che in capo al medico specializzando in una ipotesi in cui questi, operando all’interno di una struttura ospedaliera, avevano concorso a determinare il decesso di un paziente, omettendo di istruire adeguatamente un’infermiera in merito alle corrette modalità di somministrazione di un farmaco off label10, pur sapendo che il rischio di un eventuale erronea somministrazione era altissimo poiché sulla confezione del farmaco era indicata proprio la modalità che poteva essere mortale: in tali casi, la giurisprudenza vede rafforzato l’obbligo cautelare di segnalare alla persona incaricata a eseguire il compito che le modalità sono diverse da quelle indicate sulla confezione e, nel caso di decesso del paziente, ravvisa il reato di cui all’art. 589 (omicidio colposo).
Disclosure
L’Autore dichiara di non avere conflitti di interesse di natura finanziaria in merito ai temi trattati nel presente articolo.
Bibliografia
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- Coratella C. La responsabilità penale del medico. Milano: Giuffrè Editore, 2006
- Decreto legge n. 269 del 30 settembre 2003, art. 48, comma 2, con modificazioni, dalla legge n. 326 del 24 novembre 2003
- Decreto legislativo n. 219 del 24 aprile 2006, art. 6, comma 1
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- Legge n. 244 del 24 dicembre 2007, art. 2, comma 349
- Legge della Regione Emilia-Romagna n. 24 del 22 dicembre 2009
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1 Quando per un medicinale è stata rilasciata un’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), ogni ulteriore dosaggio, forma farmaceutica, via di somministrazione e presentazione, nonché le variazioni ed estensioni sono ugualmente soggetti ad autorizzazione. Il titolare dell’AIC è responsabile della commercializzazione del medicinale. La designazione di un rappresentante non esonera il titolare dell’AIC dalla sua responsabilità legale [6]
2 Secondo la Suprema Corte di Cassazione, è in colpa il medico che somministri ai paziente un farmaco di cui siano noti gli effetti tossici per scopi terapeutici diversi da quelli autorizzati (cd “prescrizioni off label”) nel caso in cui siano disponibili diverse ed efficaci terapie e senza un adeguato e continuo controllo degli effetti della terapia [7]
3 Con tale disposizione normativa, dunque, vengono enucleati dal legislatore i contorni e i limiti dell’utilizzo della somministrazione off label dei farmaci, individuando specificatamente le condizioni oggettive e soggettive cui deve essere subordinata la stessa. Sono condizioni oggettive necessarie per la prescrizione off label del farmaco la previa informazione del paziente e l’acquisizione del consenso dello stesso; sono condizioni soggettive che circoscrivono i margini di discrezionalità rimessi al medico nell’ambito della sua valutazione tecnica di opportunità dell’impiego off label dei farmaci, invece, la valutata impossibilità da parte del medico, “in base a dati documentabili”, di trattare il paziente con medicinali per i quali sia già approvata quella indicazione terapeutica che si ricerca come effetto collaterale eventuale del farmaco impiegato e la necessità che tale impiego sia “noto e conforme” a livello scientifico internazionale [4]
4 Parimenti, è fatto divieto al medico curante di impiegare, ai sensi dell’art. 3, comma 2, del DL n. 23/98, convertito con modificazioni dalla Legge n. 94/98, un medicinale industriale per un’indicazione terapeutica diversa da quella autorizzata ovvero riconosciuta agli effetti dell’applicazione dell’art. 1, comma 4 del DL n. 536/96, convertito dalla Legge n. 648/96, «qualora per tale indicazione non siano disponibili almeno dati favorevoli di sperimentazione clinica di fase seconda»
5 Come era recentemente avvenuto, a mero titolo esemplificativo, in Emilia-Romagna ove era stato espressamente derogato con legge regionale alla legge statale prevedendo che la «Regione, avvalendosi della Commissione regionale del farmaco, può prevedere, in sede di aggiornamento del Prontuario terapeutico regionale, l’uso di farmaci anche al di fuori delle indicazioni registrate nell’autorizzazione all’immissione in commercio (AIC), quando tale estensione consenta, a parità di efficacia e di sicurezza rispetto a farmaci già autorizzati, una significativa riduzione della spesa farmaceutica a carico del Servizio sanitario nazionale e tuteli la libertà di scelta terapeutica da parte dei professionisti del SSN» [12]. La recentissima sentenza della Corte costituzionale del 12 gennaio 2011, n. 8, invece, emessa nell’ambito del giudizio di legittimità costituzionale di tale disposizione ha correttamente evidenziato che tale disposizione individuava, in maniera inaccettabile, condizioni diverse rispetto a quelle stabilite dal legislatore per l’uso dei farmaci al di fuori delle indicazioni registrate nell’AIC: in particolare, laddove le disposizioni statali circoscrivono il ricorso ai farmaci cd off label a condizioni eccezionali e a ipotesi specificamente individuate, la norma regionale introduceva una disciplina generalizzata in ordine all’indicato utilizzo dei farmaci, rimettendo i criteri direttivi alla Commissione regionale del farmaco, eludendo così il ruolo che la legislazione statale attribuisce all’Agenzia Italiana del Farmaco nella materia de qua [4]. Il legislatore regionale, nello stabilire la possibilità di utilizzare, nell’ambito del Servizio sanitario nazionale, un medicinale per indicazioni terapeutiche diverse da quelle prescritte dall’Agenzia del farmaco (AIFA) all’atto del rilascio dell’autorizzazione, è andato oltre le proprie competenze, incidendo sui livelli essenziali di assistenza [13], la cui determinazione spetta alla potestà legislativa esclusiva dello Stato ai sensi dell’art. 117, co. 2, lettera m), della Costituzione. L’erogazione dei farmaci, infatti, rientra nei livelli essenziali di assistenza [14,15]
6 Il consenso del paziente è requisito di liceità del trattamento medico chirurgico [21-23]. Anzi, il valore che la giurisprudenza attribuisce al diritto di autodeterminarsi del paziente – che comprende anche il diritto di rifiutare le cure – rende ovvia la conclusione che alcun addebito può essere mosso al medico nel caso di rifiuto cosciente del paziente di ricoverarsi o comunque di essere sottoposto a terapie [21,24,25]
7 Il farmaco, tra l’altro in via di sperimentazione, venne somministrato fuori dalle indicazioni del prontuario farmaceutico allo scopo dichiarato di sfruttarne uno dei (possibili) effetti collaterali
8 Il Tribunale ha evidenziato che la finalità terapeutica non esclude il dolo – quindi il reato di lesioni volontarie – quando il medico, pur animato da intenzioni terapeutiche, agisca essendo conscio che il suo intervento produrrà una non necessaria menomazione dell’integrità fisica o psichica del paziente. Se l’imputato è conscio del fatto che la somministrazione di un farmaco in uso off label, oltre al probabile e sperato beneficio desiderato, possa produrre ulteriori non necessarie menomazioni dell’integrità fisica del paziente, accetta il rischio dell’insorgenza di questi ulteriori effetti collaterali, ponendosi nell’alveo del cosiddetto dolo eventuale
9 Sul punto, la Suprema Corte ha statuito – anche qui innovando – che «in tema di attività medico-chirurgica, benché questa richieda, come condizione per la sua legittimità, il consenso informato del paziente, ciò non significa che l’eventuale mancanza di tale condizione (non riconducibile, peraltro, alla scriminante di cui all’art. 50 c.p.), comporti, a carico del medico, in caso di esito infausto del trattamento, la configurabilità, a seconda dei casi, del reato di lesioni volontarie o di quello di omicidio preterintenzionale, dovendosi presumere che, salvo casi eccezionali, il medico abbia agito con finalità curative e, quindi, in assenza del dolo costituito dalla coscienza e volontà di produrre lesioni. Ne consegue che quando si faccia questione di colpa medica e di nesso di causalità con riguardo ad una condotta, omissiva o commissiva, che si assuma apportatrice di danni per il paziente, i relativi canoni di valutazione debbono essere sempre gli stessi, indipendentemente dalla circostanza che vi sia stato o meno il consenso informato, salva tuttavia la valutabilità della mancata acquisizione di detto consenso come elemento di colpa nella sola ipotesi che abbia impedito la conoscenza, da parte del medico, delle reali condizioni del paziente e, quindi, la possibilità di diagnosi complete e di adeguate scelte terapeutiche». Difatti, «pur se l’attività medico-chirurgica, per essere legittima, presuppone il “consenso informato” del paziente, è da escludere che dall’intervento effettuato in assenza di consenso o con un consenso prestato in modo invalido possa di norma farsi discendere la responsabilità del medico a titolo di lesioni volontarie ovvero, in caso di esito letale, a titolo di omicidio preterintenzionale. Ciò in quanto il sanitario, salve situazioni anomale e distorte (nelle quali potrebbe ammettersi la configurabilità di tali reati: per esempio, nei casi in cui la morte consegua a una mutilazione procurata in assenza di qualsiasi necessità o di menomazione inferta, con esito mortale, per scopi esclusivamente scientifici), si trova ad agire, magari erroneamente, ma pur sempre con una finalità curativa, che è concettualmente incompatibile con il dolo delle lesioni»
10 «integra, pertanto, il reato di omicidio colposo di cui all’art. 589 c p sia la condotta dell’uno, che aveva dettato la prescrizione senza precisare tali modalità “improprie” di somministrazione, sia la condotta dell’altro che l’aveva trascritta sulla cartella clinica, omettendo di segnalare tale mancanza (nel caso di specie la prescrizione ometteva di specificare la necessità di somministrare per via orale un farmaco disponibile in fiale destinate alla somministrazione per via endovenosa e, all’esito dell’istruttoria, emergeva come nessuna istruzione fosse stata impartita all’infermiera che, di conseguenza, aveva proceduto alla somministrazione per via endovenosa, cagionando la morte del paziente)» [36]