PM&AL 2011;5(1)3-5.html

La sicurezza sul lavoro del disabile psichico

Vito Sanna 1

1 Specialista in Medicina del Lavoro. Responsabile Unità Operativa Complessa di Medicina Legale INPS Torino

La legge 68/99, che riporta la normativa relativa al diritto al lavoro dei soggetti disabili, ha come finalità «la promozione dell’inserimento e della integrazione lavorativa delle persone disabili nel mondo del lavoro attraverso servizi di sostegno e di collocamento mirato». Essa si applica «alle persone di età lavorativa affette da minorazioni fisiche, psichiche o sensoriali e ai portatori di handicap intellettivo» [1].

Come si può evincere dalle frasi sopra citate, nella legge 68/99 il legislatore ha espressamente riconosciuto tra le persone disabili anche quelle con problematiche psichiche.

L’articolo 63 comma 2 del decreto legislativo 81/08 (Testo unico in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro) recita inoltre: «I luoghi di lavoro devono essere strutturati tenendo conto, se del caso, dei lavoratori disabili» [2].

L’obbligo espresso nel comma 2 vige in particolare per le porte, le vie di circolazione, gli ascensori e le relative pulsantiere, le scale e gli accessi alle medesime, le docce, i gabinetti e i posti di lavoro utilizzati da lavoratori disabili.

L’articolo 42 dello stesso decreto al comma 1, asserisce ancora che «il datore di lavoro, anche in considerazione di quanto disposto dalla legge 12 marzo 1999, n. 68, in relazione ai giudizi di cui all’articolo 41, comma 6 (visite disposte nell’ambito della sorveglianza sanitaria), attua le misure indicate dal medico competente e qualora le stesse prevedano un’inidoneità alla mansione specifica adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni equivalenti o, in difetto, a mansioni inferiori garantendo il trattamento corrispondente alle mansioni di provenienza».

Alla luce di quanto esposto finora si potrebbe pensare che la sicurezza del lavoratore disabile rientri semplicemente nella normativa più ampia sulla sicurezza dei posti di lavoro. C’è invece un’essenziale precisazione da fare: all’atto dell’assunzione, il datore di lavoro deve chiaramente indicare e definire le mansioni specifiche e i ritmi (anche per lavorazioni non interessate a sorveglianza) per ciascun disabile di cui si faccia carico; inoltre particolari attenzioni o limitazioni vanno assunti per attività che presentano ovviamente una pericolosità intrinseca.

È bene ricordare che, sempre per la legge 68/99 art. 5 comma 2, sono esclusi dall’obbligo di assunzione dei disabili «i datori di lavoro pubblici e privati che operano nel settore del trasporto pubblico aereo, marittimo e terrestre, per quanto concerne il personale viaggiante e navigante».

Il datore di lavoro, dopo un’attenta analisi sulla collocabilità del disabile, espressa dalle commissioni valutative in applicazione della legge 68/99 attraverso la valutazione delle capacità utili e del relativo grado, dovrebbe inserirlo in un ambiente senza ritmi sostenuti e con funzioni anche complesse ma certe; funzioni che non coinvolgano in maniera preponderante l’aspetto della critica valutativa quando questa funzione risulti compromessa.

Le commissioni valutative (le stesse che operano per l’applicazione della legge 104/92), pertanto, dovrebbero non soltanto indicarne il collocamento mirato e/o l’uso di supporti quali strumenti o servizi, ma anche quantità e qualità dei supporti necessari al disabile per l’inserimento lavorativo.

Per quanto concerne i disabili psichici, nell’ottica della sicurezza è possibile suddividerli in almeno due grandi categorie:

  • tutti coloro che presentano dei deficit di funzioni intellettive (ritardi mentali e sindromi associate);
  • i soggetti con deficit di funzioni cognitive semplici o complesse e problemi di relazioni sociali (psicosi, disturbi di personalità, ciclotimici, ecc.).

Il primo gruppo di soggetti si mostra più facilmente gestibile in quanto presenta una migliore affidabilità e, per operazioni semplici, una migliore relativa concentrazione.

Il secondo gruppo è, ovviamente, di più complessa gestibilità, specialmente nel rapportarsi con altri, soprattutto in una logica di gruppo di lavoro. La sicurezza intrinseca ed estrinseca appare complessa e diversa a seconda della o delle patologie del disabile: quindi un ciclotimico è meno gestibile nella fase florida che in quella depressiva, un depresso o un ansiogeno hanno bisogno di luoghi e persone certe alle quali affidarsi, un paranoico va continuamente stimolato a valutare il proprio operato al fine di non esacerbare le sue paure fonte di attacchi aggressivi.

Tutto ciò non impedisce che il disabile psichico, correttamente integrato, possa rendere, in termini di produttività, come soggetti considerati “normali”. Le capacità residue, non colpite dalla disabilità, possono e devono essere utilizzate al meglio; ogni mansione, perciò, va adeguatamente stimolata con piccoli rilievi positivi e gratificazioni.

Si comprende, dunque, quanto per questi soggetti disabili sia necessaria la figura di un tutor di riferimento e quella di un supporto psicologico; ma in questo caso il concetto di tutor deve superare quello solito di supervisore e integrarsi con quello di interfaccia con la realtà lavorativa. Il tutor va opportunamente formato e deve conoscere le reali esigenze del disabile, indicando i sussidi a lui più adatti; deve instaurare un rapporto che permetta di prevenire eventuali esacerbazioni conflittuali con quei lavoratori che lo vedono come un privilegiato o un soggetto debole (da “mobbizzare”).

La sola presenza di un tutor specializzato non basta a contenere le problematiche del disabile psichico, che devono essere seguite anche con un adeguato supporto psicologico. Spesso l’inserimento lavorativo crea un allontanamento dalla terapia, una sorta di emancipazione dalla malattia con ovvie e gravi conseguenze; altre volte si può instaurare una “nuova paura”, quella della perdita del lavoro appena conquistato, che comporta un aggravamento della sintomatologia di base.

Nell’affidare delle mansioni a questi soggetti disabili è importante ricordare che una delle fonti di pericolo consiste nel non riconoscere il pericolo stesso; la scarsa capacità di critica può indurre costoro a sopravalutare le proprie capacità o a non vedere pericolosità in attività fuori dalle regole.

La facile distrazione in questi soggetti può ritenersi un’altra fonte di pericolo; infatti, se la ripetitività delle funzioni provoca disagio in tutti, a maggior ragione può indurre ad atteggiamenti devianti e pericolosi nei disabili psichici. Purtroppo è comune affidare attività noiose e poco apprezzate ai disabili, ma anche queste mansioni andrebbero turnate e, soprattutto, andrebbe adeguatamente descritta la logica di sistema per ogni attività, al fine di renderne partecipe l’operatore.

Un’ulteriore fonte di pericolo può crearsi quando un disabile viene isolato dagli altri lavoratori; ciò può accadere perché in qualche modo il diverso fa paura, si ritiene che non possa fare gruppo, e si pensa che al più possa essere deriso. È essenziale che queste posizioni vadano combattute con assoluta fermezza attraverso l’informazione e la condivisione dei problemi che possono sorgere all’interno dei gruppi di lavoro. È meglio non tacere né lasciare incancrenire situazioni di conflittualità che potrebbero sfociare in atteggiamenti aggressivi da parte di tutti i soggetti interessati.

Dal corrente anno, nei piani di valutazione dei rischi, diventa obbligatorio indicare anche quello da stress da lavoro correlato. Per stress si deve intendere l’adattamento o meglio il nuovo adattamento dell’organismo a una situazione esterna modificata, perciò, quando la richiesta di performance supera le capacità psicofisiche di un soggetto, questi entra in una sorta di “affaticamento” che porta inevitabilmente a distress. Nei suddetti piani andranno così individuati e segnalati gli indicatori di crisi.

Senza voler entrare in dettaglio, potremo ritenere che uno degli indicatori significativi possa essere rappresentato dal numero dei giorni di assenza per malattia, mentre un altro potrebbe riferirsi al numero di doglianze o di richieste di cambi di mansioni.

Il disadattamento, come fonte di iperstress e pericolo, deve essere considerato in maniera differente nel “normale” e nei soggetti con disturbi di personalità. Infatti chi ha difficoltà nel raffrontarsi con terzi vive una continua fase di distress. Un “esaurimento” delle capacità psicofisiche apparirà più rapido in questo soggetto. Perciò, una volta analizzata la situazione con una raccolta di dati, questi andranno rielaborati per decidere le strategie più opportune da adottare, strategie che devono inevitabilmente riguardare l’organizzazione del lavoro.

Nei piani di valutazione dei rischi, però, manca quasi sempre un capitolo specifico per i disabili, in quanto tali soggetti vengono inseriti in posti già “prefabbricati” e non creati ad hoc. In un recente passato molte ditte hanno creato appositi reparti dove relegare tutti i disabili in una sorta di riserva, al fine di poterli controllare, ma questi reparti non hanno avuto alcuna funzione produttiva né effettuavano servizi utili. Queste soluzioni risultano penalizzanti sia per gli individui che per le economie di scala.

In conclusione la disabilità deve essere considerata una risorsa particolare e non soltanto un percorso terapeutico. Solo così le diseconomie che si instaurano produrranno ricchezza reale.

Bibliografia

1. Legge n. 68 del 12 marzo 1999, in tema di “Norme per il diritto al lavoro dei disabili”. Gazzetta Ufficiale 23 marzo 1999, Supplemento Ordinario n. 57/L

2. Decreto legislativo n. 81 del 9 aprile 2008. Attuazione dell’articolo 1 della legge 3 agosto 2007, n. 123, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro

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Dott. Vito Sanna

E-mail: vito.sanna@inps.it

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